PROIBITO
Ed ora... buona lettura! ^__^
16 – Je t’aime, moi non plus (part 1/3) - Carl & Bella [i]
***
Je t’aime
- Carl
***
Bella…
l’avevo trovata! Finalmente!
Finalmente…
Avrei
voluto prenderla tra le mie braccia e correre via con lei, lontano dal
caos di
quel pub, lontano dalle nostre vite costruite a tavolino a Parigi,
lontano da
Forks, dai Volturi e dai ricordi. Lontano da Edward e da Esme.
Dovevo
toccarla, assicurarmi che fosse realmente davanti a me. Provai a farle
una
carezza, ma mi allontanò da sé.
Non
importa, non importa Bella se non mi vuoi. Basta che tu stia bene, che
sia viva…
Si strinse
a me e mi cinse il collo con i suoi polsi sottili; avvicinò il suo
volto al mio
ed io…
Un
istante solo e il contatto era scomparso.
L’afferrai
prima che potesse farsi male e la presi tra le mie braccia, come avevo
fatto
quella mattina, per portarla a lavoro, e tanti anni prima, quando James
l’aveva
morsa e la sua gamba era ferita.
La
strinsi forte a me e corsi via. L’avrei portata a casa mia e non avrei
permesso
che le accadesse più niente.
Vomitò
senza neanche rendersene conto, poi si accasciò tremante a me e la
trasportai
sul letto, mai usato.
Nelle
tasche aveva ancora quasi tutti i farmaci che Bernard mi aveva detto
che
mancavano dal reparto. Fortunatamente non aveva preso tanta roba.
Lo
chiamai quando si fu addormentata e lo pregai di tenere per noi la
storia del
furto. Sembrò onorato di coprire la ‘sua’ dottoressa e di avere
qualcosa di
segreto da condividere con lei.
Mi
sedetti sul letto, accanto a lei, e la guardai dormire per ore.
Sembrava
un angelo con un’ala spezzata. Giocherellai con i suoi capelli sparsi
sul
cuscino, drogandomi del suo odore. La vidi rigirarsi, agitata,
sicuramente in
preda agli incubi da cui cercava di fuggire, poi si calmò e iniziò a
parlare
nel sonno.
Mi
tornarono alla mente le parole di Edward, che diceva che non c’era
niente di
più bello che osservarla mentre dormiva, perché solo allora apriva il
suo cuore
ed era davvero sincera, senza le paure che la attanagliavano ogni
giorno.
Ascoltai
frammenti di frasi senza senso, ma quello che ritornava,
periodicamente, erano
i nomi di persone che erano state importanti nella sua vita.
Chiamò
suo padre, Jacob, mormorò altri nomi e infine evocò i fantasmi del suo
passato
che animavano i suoi incubi e che al risveglio non riusciva mai ad
afferrare.
Sussurrò
il nome di Alice e quello di Edward, come in una litania, a lungo, con
voce
tremante, stringendo convulsamente il lenzuolo.
Le
presi una mano facendole allentare la stretta sul lenzuolo e la portai
alla mia
bocca. La baciai delicatamente e desiderai di morire in quell’istante,
su quel
letto, vicino a lei, perché non avrei resistito al peso di mentire
ancora, né a
quello che la verità comportava.
Ripresi
a giocare con i suoi capelli, carezzandola piano, per non svegliarla.
Mi
presi cura di lei, come se fosse un pulcino caduto dal nido, un oggetto
di
fragile cristallo che poteva rompersi tra le mie mani e mi parve la
prima vera
cosa buona che avessi fatto nella mia vita. Ma anche la più dolorosa.
Ma io
volevo di più…
Non mi
ero mai soffermato a guardarla così a lungo, indugiando sul suo corpo
come
stavo facendo allora: le sue curve sinuose, ammorbidite dagli anni che
avevano
fatto sbocciare la sua giovanile bellezza, si mostravano a me celate
dalle
coperte che la proteggevano. La linea dei fianchi si piegava sulla vita
sottile, sull’addome delicatamente tornito e poi più su, sui seni sodi,
costretti nel reggiseno che indossava dalla mattina precedente. La
camicia
sbottonata sul collo, scopriva la pelle chiarissima e liscia; l’ombra
della
clavicola terminava in corrispondenza di un piccolo neo, proprio al
centro del
suo petto.
Sfiorai
con la mano tremante la linea del mento: un tocco impercettibile a lei,
ma
infuocato per i miei sensi confusi e riportati in vita dopo troppo
tempo.
Lasciai
le mie dita scendere verso il suo collo e poi più giù, seguendo la
linea
morbida del suo profilo, cercando un impalpabile contatto sotto le
coperte, al
caldo. Disegnavo il suo corpo rapito anch’io dal tormento e dall’estasi
che
aveva animato la mano che dipinse Dio[1];
il
suo calore fluiva nelle mie vene, come sangue fresco, come la vita che
non possedevo
più e che non ricordavo di aver vissuto.
Era
come se, lentamente, stessi tornando vivo, stessi morendo nella mia
natura
di mostro e stessi rinascendo grazie a quel contatto, destinato ad
un’esistenza
che avesse come unico scopo quello di starle accanto.
Mi
sentivo avvampare dal desiderio, inebriato dal suo profumo così
familiare e
nuovo, che ogni volta riscoprivo e sentivo vibrare delle note di un
fiore
differente, uno per ogni giorno che le stavo accanto. Uno per ogni
pensiero che
mi riempiva la mente di lei.
Avrei
voluto aprire la mano, posarla sulla sua coscia, dove era arrivato il
mio tocco
sottile, rubare tutto il calore e farla scorrere con più forza sulla
sua pelle,
tirandola verso di me.
Bella
si mosse, voltandosi e mettendosi supina, tirò fuori un braccio dalle
coperte,
forse le faceva caldo. Dormiva profondamente e sembrava tranquilla.
Non dovresti essere tranquilla,
Bella. Non quando il
pericolo è così vicino a te e ti vuole... non quando la pietà è stata
sommersa
dal desiderio che brucia nel mio corpo.
Era
impossibile resisterle...
La mia
mano tornò su di lei, sempre leggera, ma più fremente per quello che
stava
lottando dentro di me.
Percorsi
verso l’alto la sua gamba, fino al bacino, dove l’osso dell’anca creava
un
delicato pendio. Sotto la stoffa sentii il bordo dell’intimo che
indossava e
per un istante pensai di poter morire ancora, là, accanto a lei, perché
sopportare quel fuoco, fermare la mia mano, era così difficile...
Respirai
riempiendomi i polmoni del suo odore e la testa di mille farfalle
variopinte e
rumorose, che mi facevano ronzare le orecchie e appannare la vista.
Scivolai
con il mio tocco sul ventre morbido e caldo, rubandole quel tepore che
non
potevo avere.
Il suo
petto, scoperto per metà dalla coperta scivolata via, si alzava e si
abbassava
ritmicamente, lento, ipnotizzante. Sentivo la sua pelle bruciare via
via che
risalivo sfiorandola.
Ero
curvo su di lei, disteso su un fianco, la testa appoggiata alla mia
mano.
L’altra che esplorava leggera come brezza posti che avrebbero reso il
paradiso
un luogo secco e inospitale. Sentivo il suo respiro caldo sul mio viso
e
trattenevo il mio per non raffreddarla. Quelle labbra morbide, quel
collo
pulsante e caldo... Mi avvicinai ancora: potevo quasi sfiorare le sue
labbra
con le mie e appagare almeno in parte quella sofferenza che mi
dilaniava il
cuore.
Inspirai
il suo profumo e mi sentii morire.
Volevo
baciarla, dovevo farlo!
Aprii
la mia mano sulla sua pancia, all’altezza dello stomaco e la posai su
di lei,
delicatamente, come in un abbraccio.
L’avrei
stretta forte a me e non l’avrei mai più lasciata da sola in balia dei
suoi
fantasmi, delle sue paure, dei rischi che ogni giorno incrociavano la
sua
strada e la ferivano, come rami acuminati di un viale alberato senza
fine.
Deglutii,
perché la tensione mi rodeva l’anima, mentre il mio corpo chiedeva solo
di
prenderla.
La
strinsi appena: volevo sentirla mia mentre rubavo un bacio dalla sua
bocca
arrossata.
Ancora
più vicino...
Bella
si allontanò da me, appena, muovendo la testa, riprendendo a sognare.
Mormorò
di nuovo alcune parole. Poi, per ultimo, disse il mio nome, quello
vero, Carlisle
e bisbigliò qualcosa che neanche il mio udito riuscì a comprendere.
Staccai
la mia mano da lei e mi alzai piano dal letto, allontanandomi da quella
stanza,
da quell’odore denso che ottenebrava i miei sensi.
Andai
in salotto e aprii le porte finestre, uscii sul terrazzo e inspirai
profonde boccate
di aria gelida ed umida, fino a che non mi fui ricomposto.
Poi
rientrai in camera, piano, più calmo, e mi sedetti sulla poltrona
accanto a
lei, prendendole la mano. Reclinai la testa sullo schienale e mi illusi
di
dormire.
***
Moi
non plus - Bella
***
Quandi
aprii gli occhi, mi trovai in una stanza ariosa che mi sembrava di
conoscere,
ma nella quale non ero mai entrata, prima di allora. Dalle finestre,
attraverso
i rami degli alberi vicini, filtrava la luce della luna ed era
sufficiente per
illuminare i contorni delle cose che mi circondavano nel silenzio rotto
solo
dalle gocce di pioggia che cadevano dalle foglie, dove si erano
depositate. Le
nuvole si erano un po’ diradate e il vento sembrava essersi acquietato,
come
dopo una tempesta.
Mi
mossi e una fitta lancinante mi strinse il cervello in una morsa,
facendomi
emettere un debole gemito di dolore. Inspirai lentamente e riprovai a
sollevarmi: qualcosa di freddo e liscio bloccava la mia mano. Abbassai
lo
sguardo e vidi la mano di Carl, addormentato sulla poltrona accanto a
me, che
stringeva delicatamente la mia. Rimasi immobile, non sapevo cosa fare.
Capii
subito che quella doveva essere la sua casa, la sua camera.
Il suo
letto.
Lui
stava immobile, vicino a me, esausto. Indossava ancora le scarpe e i
pantaloni
del completo, ma aveva la camicia sbottonata quasi per metà e le
maniche
arrotolate. Un ciuffo biondo era scivolato sulla sua fronte, fino agli
occhi
chiusi. La luce della luna lo illuminava tingendo di riflessi d’argento
la sua
pelle bianca, evidenziando con chiaroscuri ed ombre il suo volto
rilassato, le
labbra socchiuse, la linea del collo e poi più in basso, il petto
scolpito che
intravedevo tra i lembi della camicia.
Era
meraviglioso, al punto da togliere il fiato.
Il mio
invece, si fece affannato per la combinazione di dolore fisico e dolore
morale,
che vedere un uomo come lui distrutto a causa mia, mi procurava. Mi
sentivo
girare la testa, ma non avrei saputo dire perché.
Forse
non stavo bene.
Sfilai
piano la mia mano dalla sua e mi mossi, cercando di non fare rumore.
Non volevo
che si svegliasse, non dovevo sciupare quell’opera d’arte esposta solo
per me.
Mi
misi a sedere sul letto, silenziosamente, e mi portai una mano alla
tempia che
pulsava furiosamente.
Accidenti
alle mie manie autolesioniste e alla debolezza che avevo dimostrato!
Ripensai
alla cazzata che stavo per fare la sera prima... se non ci fosse stato
lui...
me lo ricordavo appena, a metà tra il sogno e il ricordo, che era
arrivato e mi
aveva portato via, prendendomi tra le braccia forti e sicure.
Ripercorsi
sprazzi di ricordi, la sua voce affannata, le sue mani, di nuovo, che
mi
sostenevano, mi costringevano a tenere gli occhi aperti, per non
svenire, la
sua voce che mi chiamava preoccupata.
Mi
sentivo sporca sia dentro che fuori. Avrei voluto fare una doccia, ma
forse non
era il caso di approfittare della sua ospitalità e fare di testa mia,
mentre
lui dormiva... ma non volevo neanche svegliarlo... era così
maledettamente
bello.
Era
Apollo... Apollo addormentato sul suo carretto dorato...
Allungai
una mano verso il suo volto, mi fermai di scatto poco prima di
toccarlo, quando
il suo respiro fresco sfiorò la mia pelle: un brivido mi percorse
mordendomi
allo stomaco e scendendo giù, verso le gambe, mozzandomi il respiro,
mentre il
cuore nel petto galoppava furioso.
Deglutii
e ricacciai un gemito che stava per sfuggirmi, ferita da quanto faceva
male guardarlo
indifeso davanti a me.
Solo
poche ore prima mi sarei buttata sotto ad un treno del metrò e in quel
momento
ringraziavo Dio per esser viva e poter essere l’unica ad assistere alla
infinita meraviglia di quello spettacolo.
Inspirai
e allungai ancora la mano, fino alla ciocca di capelli sulla sua
fronte, la
scostai delicatamente, senza che se accorgesse.
Il mio
corpo era percorso da brividi.
Scivolai
col mio peso dal letto al bracciolo della poltrona dove stava lui, come
un
gatto. Per una volta il mio equilibrio non mi aveva tradita... forse
perché
stavo facendo la cosa giusta...?
Non
seppi rispondermi, e non resistetti all’attrazione che mi spingeva
sempre più
vicina a lui.
La sua
camicia blu sbottonata, scopriva cose che non dovevo vedere, che mi
aggrovigliavano
i pensieri e bloccavano il mio cuore e i miei respiri.
La mia
mano si avvicinò lenta al suo cuore e vi si posò, un altro brivido mi
percorse
e mi stordì. Carl era gelido... si sarebbe preso un malanno a causa
mia.
Chi
ero io per meritarmelo?
Indugiai
un istante e feci scorrere le dita sulla sua pelle liscia e compatta:
non
poteva essere vero. Stavo ammirando una statua di marmo di Carrara, non
un
uomo, ma la rappresentazione stessa della bellezza più pura e
travolgente.
Se si
fosse svegliato...? Rabbrividii al pensiero dell’imbarazzo che avrei
dovuto
soffrire, ma non fermai il mio tocco leggero e lasciai che le mie dita
percorressero il suo collo scolpito fino al suo viso.
Non
poteva essere vero... Sfiorai piano le sue labbra, sentendo il
desiderio
crescere dentro di me e attrarmi a lui... le mossi lentamente sul suo
volto, le
chiusi in una carezza e mi avvicinai ancora di più, fino a sentire il
suo
respiro fondersi col mio.
Ero
come una falena attratta dalla fiamma di una candela e non desideravo
altro che
bruciare per lui.
Improvvisamente
un violento pizzicore mi colpì alla base della gola e non riuscii a
trattenere
un rumoroso starnuto. Riuscii a voltare la testa prima di starnutire
addosso a Carl:
lui si mosse ed inspirò più forte, svegliandosi.
Con il
cuore in gola, mi alzai di scatto dal bracciolo della poltrona, ma una
fitta di
dolore alla caviglia destra mi mozzò il respiro, strappandomi un
lamento e
annientando il mio equilibrio.
Due
braccia salde mi impedirono di cadere: Carl mi aveva afferrata ancora
una
volta, prima che cadessi.
Quella
statua meravigliosa, le sue braccia forti e rilassate che fino ad un
istante
prima pendevano molli accanto a me, mi tenevano stretta... non poteva
essere
vero... io ero morta e quello era il paradiso... ecco qual era la
realtà.
Ma io
non meritavo tutta quella grazia... sentii le lacrime prepotenti
bagnare i miei
occhi, perché era troppo, tutto quel darsi da fare per me, l’ultima
arrivata,
una donna che era stata abbandonata, che meritava solo di soffrire.
Strinsi
i denti e lasciai che Carl, sostenendomi, mi facesse voltare verso di
sé. Mi
teneva stretta, come se mi stesse abbracciando. Troppo vicina a lui. Ad
ogni
respiro affannato il mio seno si alzava e si abbassava, strusciando sul
suo
petto scoperto. Sentivo che stavo per svenire.
Alzai
lo sguardo verso di lui e vidi i suoi occhi che mi guardavano come se
mi
volesse mangiare. Occhi neri come il fondo di un pozzo senza fine.
Avrei
potuto morire e sarei stata felice per quel contatto.
Chiusi
i miei e mi abbandonai alla sua volontà, reclinando la testa
all’indietro.
[1] “Il tormento e l’estasi”, film di Carol Reed, del 1965. Narra la storia di Michelangelo quando dipinse la Cappella Sistina.
[i] “Je t’aime, moi
non plus”, di
Serge Gainsbourg
Il
titolo "Je t'aime, moi
non plus" é un gioco di parole che nella cover in italiano é stato
ripreso in modo errato con "Ti
amo, io di
più". In un intervista Serge ha rivelato che
l'origine del pezzo è da
ricercare in una nota battuta
di Picasso e nel fatto
che si sentiva troppo timido
per rispondere
"anch'io" ad un "ti amo". (da http://www.dartagnan.ch)
Lascio a voi capire il perché di questo titolo, in questo capitolo…
Disclaimer: i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S. Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
***
Twilight, New Moon, Bella Swan, i Cullen, i Volturi, Stefan e Vlad, il Clan di Denali, il Wolf Pack dei Quileute sono copyright di Stephenie Meyer. © Tutti i diritti riservati.
La
storia
narrata di 'Proibito', le circostanze e quanto non appartiene a
Stephenie Meyer è di invenzione dell'autrice della storia che è
consapevole e concorde a che la fanfic venga pubblicata su
questo sito. Prima di scaricare i files che la compongono, ricordate
che non è consentito
né il loro uso pubblico, né pubblicarli altrove, né la modifica
integrale o di parti di essi, specialmente senza
permesso! Ogni violazione sarà segnalata al sito che ospita il plagio e
verrà fatta rimuovere.
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meredhit89:
Questo è l'inizio di quel che succede alla nostra povera disgraziata...
il capitolo è in 3 parti e dopo si cambia un po' aria, ok? Spero, per
ora, di averti accontentata! Grazie e a presto!!!
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dreaming_eclipse:
Ciao nuova lettrice! Che bello che bello!!! ^__^ Grazie per le tue
parole...mi fa piacere se ti ho un pochino emozionata! Ehhh Bella con
lo spinello... una caduta di stile della dottoressa, lo so... ma quanto
è dolce naufragare nell'oblio che cancella il male...! Qualunque cosa,
pur di non pensare, di non riflettere su quel che poteva essere e non è
stato... Povera Bella!
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Kia_do87:
Carlisle non può non aiutare Bellina a riprendersi... sennò a che
serve??? Ha fatto da Ambrogio avverto un leggero languorino per 10 anni
e poi che fa, va agiocare a briscola al momento opportuno? No, è lì,
pronto per lei... Ambrogio? Tu pensi proprio a tutto! ^__^ (sto
spinello, lo levate o no???
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Michelegiolo:
Ciao Ari, grazie per la tua nuova recensione! Che piacere trovare nuovi
adepti!!! Vuoi sapere se Edward e Bella si rincontreranno... che
dire... svelo o no? Vabbè, dai, svelo... sia mai che qualcun altro si
appassiona! Certo che si rincontreranno, ma dove, quando, come e per
fare cosa... beh, quello aspetta e lo vedrai! Continua a seguirmi!
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eka:
Beh... ora, proprio MaLaTa, no, dai! Ti sto facendo impazzire, sì,
ok... e ti terrò sulle spine per i prossimi 2 capitoli! D'altronde, sei
a divertirti a Londra e io qua a lavorare... un pochino di sana
perfidia, concedimela, eh! Grazie ancora per la recensione e a
presto!!!
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