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Autore: WibblyVale    07/11/2015    5 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Era un bel pomeriggio soleggiato e le strade della piccola città termale erano gremite di gente. Itachi cercava di farsi largo tra la folla per raggiungere la sua meta. Aveva lasciato Kisame in uno degli stabilimenti termali, adducendo la scusa che entrambi necessitavano un po’ di relax. A quelle parole lo squalo aveva risposto con un occhiolino complice.
L’Uchiha sapeva benissimo cosa il suo compagno pensava: credeva che lui avrebbe visto Kasumi, e in effetti quello era anche vero; ma erano le ragioni, per cui lui credeva che l’avrebbe vista, che erano completamente sbagliate.
Entrò nel piccolo alberghetto fuori mano e si fece dire il numero della camera in cui alloggiava la sua amica. L’uomo al bancone gli indicò la sua destra e gli disse che sarebbe dovuto andare al primo piano. Il moro seguì le istruzioni, poi si diresse impaziente verso la sua meta.
Da quando Shiori gli aveva mandato quel criptico messaggio, in cui chiedeva un incontro, a così poca distanza dall’ultimo poi, aveva iniziato a preoccuparsi. Cosa poteva essere successo di grave in così poco tempo?
Arrivato davanti alla porta della stanza, bussò delicatamente. La voce della Nara lo invitò ad entrare e a chiudersi la porta dietro di sé. Quando si voltò verso di lei, lei si alzò dalla poltrona su cui era seduta e lo abbracciò, nascondendo il suo volto pallido alla vista.
“Cosa succede?” chiese. “Sei così pallida!”
“Oh non è niente.” minimizzò lei. “Devo dirti un po’ di cose e sarebbe meglio che tu ti sieda.”
Itachi sapeva fin troppo bene che doveva fare quello che gli veniva detto se voleva delle risposte alle sue domande. Sotto questo punto di vista, la sua amica era molto simile a lui.
Dopo che si fu seduto su una scomoda sedia di legno, Shiori cominciò a raccontargli di ciò che era accaduto con Kakashi, del come e del perché lei lo avesse lasciato definitivamente. Poi, passò a raccontargli della Valle dell’Epilogo, di quello che lì era accaduto e di come aveva distrutto il potere. Era, però, chiaro che la donna stesse tergiversando. Era un’altra la ragione per cui lo aveva chiamato.
“Mi assicuri di averlo distrutto?” domandò l’uomo riferendosi al misterioso potere.
“Che c’è non ti fidi?” chiese lei offesa. “L’ho fatto di fronte a dei testimoni.”
“Scusa, è che mi sembra tutto così semplice.”
“No, non è per quello. Lo sento”, affermò lei semplicemente.
“Cos’hai detto?”
Shiori si morse il labbro. Era arrivato il momento. Prese i lembi della felpa che stava indossando e se la sfilò da sopra la testa, rimanendo in canottiera. Lo shinobi osservò l’operazione, poi fissò il suo sguardo sul punto che la donna gli indicava con il dito. Il marchio presente sulla sua spalla aveva un aspetto strano. Era come sbiadito. Un sorriso apparve sulle labbra dello shinobi.
“Puoi sentire di nuovo?”
“Non del tutto. Ad intermittenza. Il marchio è ancora attivo.” spiegò la blu.
Le mani della kunoichi tremavano. C’era qualcosa che non andava.
“Shiori, che…”
“Osserva il mio flusso di chakra.” ordinò.
“Perché?” domandò confuso.
“Ti prego fallo e basta.” insistette, con un tono di voce stanco.
Non volendo controbattere lo shinobi attivò lo Sharingan e studiò il marchio e il chakra che partiva da esso. La prima volta che l’aveva visto, questo mandava un flusso continuo di chakra più scuro per tutto il sistema della donna, impedendole di usare i suoi poteri. Al momento, invece, il flusso era debole, intermittente. Ancora però non capiva perché Shiori non gioisse della cosa. Così continuò a seguire il percorso del chakra nel corpo della kunoichi, finché non notò uno strano movimento circolare che non era per niente naturale.
Sbarrò gli occhi, sorpreso, e li alzò verso quelli dell’amica, ricolmi di puro terrore. Non ci poteva credere, allora non aveva capito male.
“Per tutti i Biju!” esclamò, raggiungendo la poltrona e affondandoci dentro.

 
Dopo essere svenuta di fronte ai suoi compagni, Shiori riaprì gli occhi, sbattendo un paio di volte le palpebre. Era sdraiata su un sacco a pelo, all’interno della sua tenda. La luce di una lanterna, improvvisata sul momento da Kenta, illuminava lo spazio attorno a lei. I suoi compagni le stavano intorno, stretti nell’angusta circonferenza della tenda.
La donna tento di alzarsi a sedere, ma puntini blu le si pararono davanti agli occhi, minacciando di farla svenire una seconda volta. Fu in quel momento che senza vederla, si accorse che Aya si stava allungando verso di lei preoccupata.
La kunoichi più grande sbarrò gli occhi, osservando la sua allieva, penetrandola da parte a parte con lo sguardo. La sentiva! Sentiva quanto era preoccupata. Quell’emozione la invadeva. Poi, ad un tratto tutto fu di nuovo silenzio. Una piccola lacrima fece capolino nei suoi occhi, tuffandosi poi all’esterno, e percorrendo sinuosamente la sua guancia.
“Shiori che succede?” domandò Kenta che stava di fronte a lei, davanti all’entrata della tenda.
“Mi pareva di… di aver sentito qualcosa, ma poi è sparito.” mormorò la donna, le cui speranze erano state infrante. “Cos’è successo?”
 “Sei svenuta e ti abbiamo portato dentro. Non ho ancora fatto in tempo a visitarti.” spiegò Aya, guardando gli uomini intimando loro di lasciarle sole.
“Noi non ci muoviamo.” affermò Kenta deciso.
Aya annuì e si avvicinò a Shiori. Questa però la bloccò, voltandosi di scatto verso Hisoka. Il povero ragazzo era in agitazione. Ma quella sensazione passò veloce come era arrivata.
“L’ho sentito! Giuro che l’ho sentito!” Abbassò la manica della maglietta che indossava, facendola scendere lungo la spalla. Il marchio era improvvisamente sbiadito! Tutti quanti rimasero a bocca aperta.
“Ma come…” balbettò Kenta.
“La prova deve averla in parte purificata.” spiegò Takeo, incapace di distogliere lo sguardo da quel marchio che aveva dato loro tanti problemi.
“Non è possibile!” esclamò la blu.
“Cosa intendi?” chiese l’uomo più grande, stringendole una mano tra le sue, con l’intento di calmare quell’agitazione che le si muoveva dentro.
Shiori si morse un labbro.
“Hamura… Lui mi ha detto che il peso che portavo mi impediva di assorbire il potere. L’ha detto come se lui non potesse fare nulla per sollevarmi da tale peso, come se la cosa dovesse fare il suo corso… Invece ora…”
“Forse credeva di non esserne in grado, poi alla fine ce l’ha fatta.” commentò Kenta speranzoso. Sfortunatamente le cose non andavano mai così bene.
La kunoichi, però, scoppiò a ridere, lasciandoli tutti di stucco.
“Orochimaru… Un morto l’ha battuto. È stato così semplice! E io che… credevo fosse impossibile.” Non sapeva perché ma la cosa la rendeva felice, le dava speranza.
Il ninja più grande e Aya si lasciarono contagiare da quella risata, così spontanea che non sentivano da tanto tempo. Hisoka e Takeo, invece, continuavano a scambiarsi sguardi preoccupati. Shiori, in uno dei suoi momenti di percezione, sentì questa latente agitazione e si rivolse a loro.
“Cosa succede?”
“Pensavamo…” cominciò Hisoka. “Insomma l’indebolimento del marchio deve essere dovuto alla purificazione. Forse sarà più facile liberarsene, ma…”
“Ma?” lo esortò.
Hisoka si voltò verso il fratello in cerca di aiuto.
“Il documento numero tredici, te lo ricordi?” domandò Takeo.
“Cos’è il documento numero tredici?” chiese Aya.
“Shiori e i ragazzi hanno suddiviso cercando di seguire un ordine filologico i manoscritti trovati. Il tredici deve essere uno di quelli che trattano della madre di Hamura e Hagoromo.”
“Esatto.” confermò Hisoka. “E il tredici ci racconta di un periodo in cui Kaguya non poté utilizzare il potere di vita e di morte.”
Shiori sbarrò gli occhi terrorizzata, ricordando alla perfezione cosa quel documento diceva.
“No, voi… voi vi sbagliate.”
“Cosa c’era scritto?” domandò l’uomo più grande.
“Diceva che Hamura non sarebbe mai stato soggetto a quella limitazione, perché tra lui e la madre c’era una differenza sostanziale.” spiegò Takeo. “La madre, be’, non fu in grado di usare quel potere quando portava dentro di sé la vita.”
“Quando era incinta.” aggiunse Hisoka con un fil di voce, che però tutti udirono chiaramente.
La Nara era incapace di proferire parola. Sentì lo stupore dei suoi compagni pervaderla per qualche secondo, vide Aya prendere l’iniziativa e sondarla con il chakra. Quando raggiunse il ventre, l’espressione della ragazza cambiò. Il suo sguardo parlava chiaro, i due gemelli avevano ragione.

 
“Co… Co… Com’è successo?” domandò stupidamente Itachi.
Shiori fece una smorfia.
“Vuoi un dettagliato racconto? O basta che te lo spieghi per sommi capi?”
L’Uchiha arrossì: quella domanda poteva decisamente risparmiarsela in effetti.
“Il padre è…” non riuscì nemmeno a dirlo, sapeva quanto la sua amica ne avrebbe sofferto.
“Si, chi altri?” La donna si morse un labbro, mentre si portava una mano al ventre con fare protettivo.
“Come ti senti?”
“A parte la nausea che mi prende a ore impensabili del giorno, la paura di non essere all’altezza, il momento per niente propizio in cui questo è capitato… Sono… incinta.” Era la prima volta che lo diceva ad alta voce. “Ho una paura folle, ma è mio figlio.”
In quel preciso istante, il moro scattò dalla poltrona e la prese per le spalle.
“Ti riporto a Konoha. Ora.”
“No.”
“Cazzo, Shiori, non è il momento di fare la dura! Hai bisogno di aiuto.” La kunoichi era sicura di non aver mai sentito l’Uchiha imprecare.
“Non capisci. Il bambino potrebbe… potrebbe essere come me. E se Orochimaru scoprisse una cosa del genere, lui… Non posso permettere che mio figlio sia oggetto di esperimenti.”
“Puoi non permetterglielo da Konoha, con il padre di tuo figlio accanto.”
“Non sono qui per farmi giudicare da te. Voglio che tu mi porti da Amaya al tuo nascondiglio. Lì, saremo al sicuro.”
“Kakashi deve sapere!”
“No, lui ha…”chiuse gli occhi, cercando di trattenere le lacrime. “Lui ha un destino più grande da compiere. Nascondersi con noi non lo aiuterà a realizzarlo.”
“Ma ti senti quando parli, almeno? Stai togliendo un padre a suo figlio.”
“Ho bisogno del tuo aiuto. Per favore.”
“No, non in questa follia. Se vuoi il mio aiuto, ti fai riportare a Konoha.”
“Allora me la caverò da sola.”
L’uomo strinse i pugni esasperato.
“Aspetta!” sospirò per prendere tempo. “Io potrei decidere di rivelarti la posizione del mio nascondiglio, ma… devi promettermi che penserai alla mia proposta.”
“Te lo prometto. Ora sono più decisa che mai a fermare Orochimaru. E quando l’avrò fatto, ritornerò assolutamente a casa.”
Itachi si avvicinò e la abbracciò, accarezzandole dolcemente la schiena. Shiori si lasciò andare nell’abbraccio e affondò il volto nel suo petto.
“Grazie.” Sussurrò la donna, con voce tremante.
Per tutta risposta il moro la strinse ancora più forte. Era preoccupato, un bambino poteva essere una cosa bellissima, ma in quella situazione era solo un problema.
Quando si separarono, Itachi l’aiuto ad accomodarsi sulla poltrona con delicatezza e si sedette di fronte a lei, che stava sorridendo.
“Che c’è?” domandò lui confuso.
“Sei così premuroso. Non sono malata.” L’uomo sbuffò. “E a proposito di questo, ho fatto scrivere a Kenta dei documenti con la scrittura del Secondo Hokage, che confermano tutte le mie informazioni. Voglio essere io a consegnarle personalmente all’uomo con la maschera.”
“Primo, tu non vai da nessuna parte. Secondo, si accorgerà che è un falso. Lo Sharingan non si può ingannare.”
Shiori fece un ghigno divertito e si alzò, avvicinandosi all’armadio ad angolo e prendendo da esso una serie di pergamene. Queste le consegnò nelle mani dell’amico, guardandolo con aria di sfida.
“Dimmi, Itachi, quali sono quelle false?”
La donna era sicura del risultato. Kenta non era solo un abile carpentiere, ma un sublime artista. Era il falsario della Kumori, sapeva riprodurre testi antichi e opere d’arte, senza che nemmeno il massimo esperto nel campo si accorgesse dell’imbroglio.
L’Uchiha prese a studiarle sicuro di sé con i suoi infallibili occhi. La sua sicurezza andò via via svanendo, mano a mano che procedeva con lo studio di quelle carte.
“Allora?” fece la Nara con tono provocatorio.
“Io…” balbettò il moro. “È fenomenale! Non si vedono differenze.”
“Visto. Ho degli ottimi compagni.” disse mantenendo il suo tono sprezzante. “Te compreso.” aggiunse poi più dolcemente. “Vorrei che mi permettessi di andare da lui.”
“Perché?”
“Principalmente curiosità.”
“Ti sembra una buona ragione per mettere in pericolo te e il bambino?”
“No, ma fammelo fare. Devo capire cosa lo spinge.” Lo pregò con tute le sue forze.
“Io e Kisame ti accompagneremo.” Le concesse, infine.
“Non chiedevo di meglio.”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli nervoso.
“Shiori?”
La ragazza, che aveva appoggiato la testa sul cuscino e chiuso gli occhi, li riaprì.
“Cosa?”
L’uomo si schiarì la gola.
“Ho chiesto a Sasori un piccolo favore. Lui ha un infiltrato tra le fila di Orochimaru. Gli ho chiesto se può prendere i dati del tuo esperimento.”
“Sul serio?” Scattò immediatamente a sedere.
Il moro annuì.
“Un giorno, prometto, che ti ripagherò per tutto questo.”
“Non lo faccio per una ricompensa.”
In quel momento, la donna sentì i sentimenti di Itachi entrare in lei. Speranza, un istinto di protezione, tanta apprensione e gratitudine. Oh come le piaceva poter sentire di nuovo, seppur a tratti!
“Di cosa mi stai ripagando?”
“Del fatto che ti preoccupi per me. Nessuno, o quasi, l’ha più fatto. Comunque non così. Insomma… Non c’è una lotta tra repulsione e affetto in te. Tu… Be’ sono sicuro che sarai un’ottima mamma.”
Lei gli sorrise dolcemente, con le lacrime agli occhi.
“Spero che questo piccolo mi ascolti più di quanto non faccia tu.” Scherzò cercando di smorzare la tensione.
“Se ti assomiglia, non lo farà per niente.”
Shiori si rigettò sul letto e l’Uchiha le si sdraiò accanto.
“Figlio mio e di Kakashi. Sarà pigro oltre l’umana immaginazione, non ascolterà una parola di quello che dico e ribatterà su qualunque cosa.”
“Prenderà anche i vostri pregi, ne sono sicuro.”
La kunoichi si morse un labbro.
“Non è stato facile prendere questa  decisione. Io lo amo. Vederlo sorridere… vederlo felice è… è sempre stato il mio obiettivo principale. Potevo aver passato una giornataccia, avercela con chiunque, ma quando sapevo, quando sentivo che lui stava bene, tutto passava in secondo piano. Fargli una cosa del genere…” Si morse più forte il labbro per impedirsi di piangere, facendolo sanguinare.
Itachi le strinse la mano.
“Andrà tutto bene.”
Poi, si mise a sedere, ed evocò uno dei suoi corvi. Tirò fuori un pezzetto di carta e vi scrisse sopra qualcosa. Lo arrotolò con cura e lo legò attorno alla zampa dell’uccello nero. Poi, gli ordinò di volare via.
“Ho avvertito Amaya che stai arrivando da lei.” la informò.
Shiori sorrise. Si, finalmente avrebbe riabbracciato il suo Fiorellino. Per quanto tutta quella situazione fosse complicata, avrebbe trovato il modo di sbrogliarla. Il suo obiettivo era proteggere il proprio bambino.
 
In un luogo lontano e dimenticato, in quella che veniva definita una delle terre più belle del pianeta, si trovava una piccola fattoria. Questa era circondata da tante meraviglie da togliere il fiato al solo guardarle, così si diceva. A nord le montagne, i cui picchi erano sempre spruzzati di candida neve, creavano una protezione naturale, mentre a sud il mare e le coste frastagliate impedivano gli attracchi delle navi, se non nelle grandi città, dove l’uomo aveva modellato la terra a suo piacimento.
Lì in quel luogo dimenticato da uomini e dei, però, nessuno osava andare. Erano terrorizzati dai pericoli che la foresta nascondeva. Quella natura era così selvaggia e indomabile, che faceva tremare anche il più coraggioso degli uomini.
Il contatto di Itachi sospirò in fondo era per quello che si trovava lì: nessuno avrebbe mai scoperto quel rifugio. Ogni tanto scendeva in paese per commerciare, ma per lo più se ne stava lì tra la protezione di quelle montagne e di quella misteriosa selva che spaventava i più.
Quando il corvo dell’Uchiha si posò sulla sua spalla, si stava riposando su una panchina all’esterno della casa, gustandosi il sole caldo e le delicate carezze dell’aria sulla propria pelle, dopo una faticosa giornata a seminare i campi. Amaya era da qualche parte nel fienile, probabilmente stava cercando la gatta, che era sparita da qualche giorno.
Il contatto di Itachi prese il rotolo di carta che il corvo gli stava porgendo, allungando la zampa fino a toccare la sua guancia, solleticandola appena con gli artigli, e lo lesse. Era scritto in codice così che nessuno potesse capire, nel caso in cui il corvo fosse stato intercettato. Il messaggio diceva che Shiori era incinta di Kakashi, che temeva di tornare a Konoha e che al più presto li avrebbe raggiunti lì. Non diceva nulla sul fatto che lui l’avrebbe accompagnata o meno. Fece il foglio in mille pezzi.
“Ho capito.” disse al corvo sapendo che avrebbe recapitato il messaggio. “Vuoi che provi a convincerla a tornare a Konoha o mi devo solo occupare di lei?” chiese. “Itachi… Non finire nei guai.” continuò con un tono incolore.
Appoggiò la testa al muro ed aspettò che il corvo se ne andasse, ma quello rimase un po’ di più sulla sua spalla. Sorrise.
“Sto bene e Amaya sta bene. Zenko rimane nel suo mutismo, ma se la cava anche lei. Tu, invece?”
Si preoccupava? Nonostante tutto, non avrebbe mai smesso. Itachi era in giro a combattere, rischiando la vita, cos’altro poteva fare, nella prigione di quelle quattro mura e di quella natura. Ma anche l’Uchiha si preoccupava, nonostante, quelle rare volte in cui passava di lì, non fosse nemmeno in grado di guardare nella sua direzione. Cose strane succedono alle persone che sono state protagoniste di una tragedia, anche se si cerca di giustificare i comportamenti, il dolore, il rimorso e il rancore restano. Per quanto si finga che le cose siano rimaste le stesse, niente può più essere come prima.
 
Amaya aveva cercato la gatta disperatamente. Le era stato ripetuto più e più volte che era normale che si cercasse un luogo appartato per partorire, ma non le interessava. Se avesse avuto bisogno di aiuto? Erano passate nove settimane da che quel grosso gattone rosso girava per casa, e le era stato detto che ormai era tempo per lei di dare alla luce i suoi cuccioli. Voleva vedere con i suoi occhi quel momento.
Entrò nel fienile con l’intento di cercarla. Le era stato spiegato che la mamma-gatta avrebbe cercato un luogo caldo e confortevole per l’occasione e cosa c’era di più confortevole di un bel giaciglio di paglia? Kasumi avrebbe detto un bel letto e tanti cuscini. Ma, in fondo si stava parlando di un gatto, non necessitava di tutte quelle comodità.
Ad un tratto, sentì un acuto miagolio provenire dall’alto. Si arrampicò per la scala a pioli, fino a raggiungere il soppalco rialzato. La luce del sole filtrava appena dal buco ricavato sulla parete. La bambina però aguzzò i suoi occhi dorati e individuò la gatta. Era distesa su un lato tra la paglia, respirava affannosamente, e tra le sue gambe stavano già due gattini. Uno era di grigio proprio come la madre, mentre l’altro era ricoperto da una patina viscida, che la neo-mamma stava cercando di togliere via, leccandolo dolcemente. Quello già ripulito si muoveva lentamente, arrampicandosi sulla zampa anteriore della micia, cercando probabilmente di attirarne l’attenzione, ora tutta concentrata sul fratello.
La partoriente, improvvisamente si distese di nuovo con un leggero miagolio, poi rialzò la testa andando verso la sua coda. Fu in quel momento che Amaya notò il liquido rosso tra le sue gambe e sul suo muso. Spaventata da quella vista percorse a ritroso il percorso per andare a chiamare aiuto.
 
Quando le urla della bambina raggiunsero il contatto di Itachi, il corvo sulla sua spalla volò via, per tornare dal suo padrone.
“Ehi che succede?” chiese, quando le mani della bambina si posarono sulle sue ginocchia.
“Madam Gatta sta avendo i cuccioli. Due sono già nati.”
“Allora ha quasi finito. Ti ricordi che l’avevo visitata  e aveva tre cuccioli nella sua pancia?”  le spiegò sorridendo.
“Si, ma c’è tanto sangue.” Il tono di voce della piccolina era preoccupato. Nella sua ingenuità non sapeva che era una cosa naturale.
“È normale te lo assicuro. Sai che Madam Gatta odia essere infastidita. Lascia che…”
“No, sta soffrendo! Ti prego. Vieni ad aiutarla!”
A quella supplica non poté dire di no. Insomma, in fondo, non avrebbe fatto alcun male verificare che tutto stesse andando per il verso giusto.
“Su, portami da lei.” 
Così corsero insieme verso il fienile e salirono la scala a pioli. Quando li vide avvicinarsi, la gatta arruffò il pelo e soffiò minacciosa. Nonostante ciò, continuarono per il loro percorso.
Il contatto di Itachi sentiva che c’era qualcosa di strano. Forse Amaya non aveva tutti i torti. Si inginocchiò accanto alla gatta, e aspettò che si calmasse.
“Ehi sono io.” le sussurrò. “Permettimi di aiutarti.”
La gatta alzò la testa e andò a leccare le due zampine, che stavano uscendo da lei, ricoperte dalla placenta. Tornò a sdraiarsi. Qualcosa non andava.
“Lascia che ti dia una mano.” ripeté, posando una delle sue mani sul suo ventre.
Non se la cavava un granché con le arti mediche, ma aveva imparato qualche cosa per poter sopravvivere. Passò un po’ di chakra nell’animale alleviando il suo dolore e permettendole di portare a termine l’operazione.
Il neonato appena uscito dal ventre della madre, però, era legato dal cordone e sembrava privo di vita. L’improvvisato veterinario si fece avanti e agì al posto della madre. Recise con cura il loro legame, il procedimento naturale avrebbe richiesto troppo tempo, e ripulì il piccolo con una pezzuola.
La gatta ringhiava, ma non ci fece caso. Il micino stava su un palmo della sua mano. Con l’atra delicatamente cominciò ad infondere un tantino di vita in lui.
“Ti prego. Non ti voglio sulla mia coscienza.” gli sussurrò.
“Starà bene?” chiese la bambina.
Non rispose. Non ne aveva il coraggio. Ad un tratto però, le zampine del gattino accarezzarono il suo palmo. Era vivo! Così lo riappoggiò accanto alla madre che cominciò a ripulirlo con la sua lingua.
Amaya abbracciò una sua gamba.
“Ce l’hai fatta!” esclamò.
Era vero se l’era cavata. Per un pelo, però.
“Puoi vederli più da vicino. Però fa piano.” le spiegò arruffandole i capelli sulla testa.
La bambina lasciò la sua gamba e si avvicino alla famigliola di gatti. Erano così carini.
“Si assomigliano tutti. Sono grigi come la mamma, ma quello che hai fatto nascere è un po’ diverso. Ha dei peli rossicci sulla fronte.”
Il contatto di Itachi sorrise, chissà forse gli dei stavano mandando dei segnali.
 
Quella sera a cena Amaya fu informata dell’arrivo di Shiori.
“Aspetta un bambino?”
“Si. E verrà qui per stare con noi.”
La bimba era felice, ma qualcosa in quella notizia l’aveva lasciata pensierosa.
“Non ti amerà di meno per questo, lo sai? Lei ti vorrà bene nello stesso modo anche se avrà un figlio tutto suo.” la consolò prendendola in braccio e facendola sedere sulle proprie ginocchia.
“Prima di farmi venire qua si è tolta la parrucca e mi ha detto che era in missione. Ha detto bugie a tutti, forse... le ha dette anche a me.”
La bimba si sentì stringere forte.
“No. Non l’ha fatto e quando la vedrai lo capirai. Sarà così felice di rivederti.”
La bambina sorrise, riprendendo il buon umore.
“Anche io non vedo l’ora di vederla.”
Amaya fu appoggiata a terra e insieme lavarono ed asciugarono i piatti.
Più tardi, dopo aver messo Amaya a letto, il contatto di Itachi passò a trovare Zenko. La donna non passava molto tempo con loro. Preferiva stare sola nella sua camera, seduta su una comoda poltrona a guardare fuori dalla finestra.
“Zenko, è ora di dormire.” Le disse, aiutandola poi ad alzarsi e portandola verso il letto.
Negli ultimi mesi si era indebolita molto, aveva perso ogni energia. Loro facevano il possibile per tenerla su di morale, ma lei non parlava, e di certo non voleva la loro compagnia.
“Oggi ho fatto partorire Madam Gatta. Amaya mi ha chiesto di aiutarla. Fosse stato per me probabilmente quel gattino sarebbe morto.” La donna non fece nemmeno cenno di aver sentito. “Sai, io so cosa vuol dire sentirsi soli, non accettare del tutto la propria situazione, ma dobbiamo reagire. Che senso ha vivere sennò?”
La donna, indifferente, si avvolse nelle coperte e chiuse gli occhi. Le luci furono spente.
“Buonanotte.” salutò ma, come sempre, non ricevette alcuna risposta dalla donna.
Uscì dalla stanza sospirando. Chissà forse Shiori avrebbe portato loro una ventata di aria fresca.
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice.
Ciao a tutti!
Parto con i ringraziamenti a tutti voi che continuate a seguire la mia storia.
Devo dire che era tanto che aspettavo che questo capitolo uscisse, direi che porta con sé una svolta piuttosto grossa per i nostri protagonisti. 
Una piccola nota sull’ultima parte: l’idea del gatto con il ciuffo rosso mi è stata data da una lettrice che ha esattamente una gatta così. Quando me ne ha parlato ho subito pensato a un modo per inserirlo nella storia. Grazie LaviniaHatake per l’idea! E scusa per averti fatto aspettare così tanto! Inoltre, per scrivere del parto mi sono guardata un video su YouTube: devo dire che non è per i deboli di stomaco, ma vi giuro veder nascere quel micino è stato estremamente commovente.
Ci vediamo al prossimo capitolo!
  
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