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Autore: BlackSwallow    08/11/2015    1 recensioni
Una raccolta di missing-moments sulla Malec. Fatti non detti dalla Clare e che io mi sono divertita a immaginare!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Between life and death
 


Gentilissimo Magnus Bane,
Mi rincresce disturbarla a quest’ora ma abbiamo urgentemente bisogno del suo aiuto da Sommo Stregone di Brooklyn. Un allievo dell’Istituto di New York, Alexander Lightwood, ha subito gravi ferite inferte dal demone superiore Abbadon. Ha urgentemente bisogno di cure altrimenti morirà.                                                                                                                                        
                                                                                                                                                        Distinti Saluti,
                                                                                                                                                   Hodge Starkweather 
  P.S. La prego Signor Bane, è solo un ragazzo.


 
Magnus lesse quella lettera per quella che, probabilmente, era la duecento quarantesima volta.

Quando era arrivato il messaggio di fuoco, lui si stava appisolando sul divano con Chairman Meow sopra le gambe a fare le fusa. Come quasi tutte le sere si era perso nei ricordi. Aveva iniziato a ricordare cose che avrebbe preferito dimenticare per sempre come Londra, Will, Camille. Negli ultimi tempi pensava sempre più spesso alla vampira ma non perché gli mancasse lei in carne ed ossa. Ma perché non aveva una relazione più o meno seria da anni e iniziava a sentire la mancanza di qualcuno che lo amasse e che potesse amare a sua volta.
 
Mentre pensava al passato ormai perduto piano piano il sonno si era fatto sentire quando all’improvviso si era materializzata, fra le fiamme, una lettera. Fuori era completamente bianca fatta eccezione per la runa del fuoco disegnata sul dorso. Chairman era saltato via, soffiando indignato per l’interruzione del suo pisolino. Il padrone allora si era alzato e aveva preso il messaggio. Il suo istinto aveva avuto un cattivo presentimento già da quando l’aveva presa in mano. Poi l’aveva aperta e purtroppo il suo istinto non si era smentito. Uno Shadowhunter stava morendo e avevano chiesto il suo aiuto per salvarlo.
 
Sul serio si aspettavano che ci sarebbe andato? Perché mai doveva andare ad aiutare quei Nephilim che, in passato, avevano cercato di farlo fuori? Tutto ciò era ridicolo. Anche solo la richiesta di aiuto che avevano fatto era ridicola. Eppure Magnus non potè fingere di non aver perso qualche battito quando aveva letto il nome del ragazzo: Alexander Lightwood.
 
 Aveva intuito che fosse il ragazzo dagli occhi azzurri grazie a quello che avevano detto lo Shadowhunter biondo e Clary quando erano tornati a casa sua dopo la festa.
 
“Sono Jace Wayland, ricordi? Sono del conclave.”
“Oh, sì!- aveva detto eccitato- Sei quello con gli occhi azzurri?”
“Parla di Alec.” Aveva sentito Clary dire a Jace.
Alec, un diminutivo di Alexander. Era lui, non c’erano dubbi.
 
Ha urgentemente bisogno di cure altrimenti morirà. Ma a lui non doveva interessare se quel ragazzo moriva, giusto?
 
Alexander Lightwood. Aveva davvero un bel nome, pensò Magnus, perché gli altri lo dovevo chiamare Alec? Era come sminuirlo.
 
 Scosse la testa. Ma a che stava pensando? Era un idiota. Sul serio stava prendendo in considerazione di andare a salvare quel Nephilim solo perché aveva un bel nome ed era davvero bello?
 
No. Non aveva motivo di andare a salvare quel Nephilim. Fece per strappare la lettera quando la voce del ragazzo gli si insinuò nella mente. Non è stata colpa tua. Non si può decidere come nascere.
 
Quando Alexander aveva detto quelle parole, aveva perso quasi la sua maschera di indifferenza. Non si sarebbe mai aspettato che proprio un Nephilim potesse dire certe cose o che addirittura potesse capire.
 
Ricordò quando l’aveva visto la prima volta. Aveva aperto la porta e la prima cosa che aveva visto era stata una ragazza dai lunghi capelli corvini che aveva la mano alzata come per suonare il campanello ma, probabilmente, fermata dal ragazzo che delicatamente le stringeva il polso. A primo impatto avrebbe detto che davanti a lui c’era William Herondale.  Ma non si era potuto soffermare troppo a lungo a guardarlo perché lo shock di avere davanti il quasi fantasma di Will aveva preso posto allo shock di aver appena notato Clary in mezzo a dei Nephilim.  Aveva guardato i vari membri del gruppo e poi li aveva lasciati entrare.
 
Mentre salivano le scale aveva osservato di sottecchi il ragazzo con gli occhi azzurri e si rese conto che in realtà era completamente diverso da Will. Aveva gli stessi colori, certo, ma gli occhi azzurri dello sconosciuto erano più miti rispetto a quelli di Will che erano perennemente burrascosi. E i capelli neri che William teneva costantemente arruffati, sullo sconosciuto erano lisci e spettinati. Ed era bello. Bellissimo. Non che Will non lo fosse però quel ragazzo aveva qualcosa di diverso, di estremamente attraente.
 
Nel corso della serata si era accorto che era il suo amico biondo ad essere la quasi rincarnazione del carattere di Will. Sfacciato, impertinente e sempre con la battuta pronta. Tutto l’opposto del ragazzo con gli occhi azzurri, che, si vedeva lontano un miglio, era la timidezza fatta persona senza contare il suo costante arrossire.
 
E ora il suddetto ragazzo stava morendo. Ma a lui non doveva interessare, giusto? Era un Nephilim e lui non voleva avere niente a che fare con i figli del l’Angelo. Soprattutto con quei Lightwood.  Ricordava benissimo Robert e Maryse nel Circolo, che combattevano pronti a morire pur di sterminare i nascosti. Certo, erano passati anni e anche se i Lightwood  l’avevano chiamato per degli incarichi, di certo non gli facevano simpatia. Come quasi tutto il resto della famiglia, insomma. Non fare di tutta l’erba un fascio. Gli disse una vocina nell’anticamera del cervello. Chi ti dice che Alexander sia uguale a loro?  Magnus lo rivede davanti a sé quando gli aveva fatto l’occhiolino. Dire che Alexander c’era rimasto di sasso era un eufemismo. Aveva spalancato quei meravigliosi occhi azzurri per poi distoglierli da quelli dello stregone. Era diventato rosso fuoco balbettando qualcosa di incomprensibile.
 
Non è stata colpa tua. Non si può decidere come nascere.
 
Forse Alexander era davvero diverso dagli altri Lightwood.
 
Magnus sospirò passandosi una mano nei capelli e decidendosi sul da farsi. Se lo doveva salvare, doveva darsi una mossa. Non poteva usare un portale. Se le ferite del ragazzo erano davvero così gravi come diceva Hodge, non poteva sprecare energie per crearlo. Ma doveva sbrigarsi, Alexander non doveva avere molto tempo.
 
Ci fu una parte di lui che credeva che fosse tutto inutile. Se le ferite del ragazzo erano veramente così gravi, sarebbe morto sicuramente. Sarebbe stato inutile andarci, avrebbe solo assistito alla morte di un ragazzo di diciotto anni e si sarebbe sentito inutile a sua volta.
 
 Scosse la testa: doveva sbrigarsi. Prese la giacca dall’attaccapanni e si fiondò fuori verso l’istituto.
 
[…]
 
Quando arrivò aveva il fiatone. Aveva cercato di andare più in fretta possibile, sperò solo che non fosse già troppo tardi. Entrò nell’Istituto e, come potè costatare,  non c’era nessuno ad accoglierlo. Ingrati. Pensò Magnus. Prima cercano il mio aiuto e poi nemmeno si presentano. Non che si aspettasse un comitato di benvenuto ma almeno qualcuno per fargli capire la situazione. Sospirò e decise di andare a vedere comunque. Gli avrebbe fatto pagare tre volte di più per questa mancanza.
 
 Per sua fortuna era stato abbastanza volte all’Istituto da sapere dove doveva andare. Percorse un corridoio e arrivò all’ascensore. Lo prese e una volta che fu uscito da quest’ultimo, vide un gatto grande e grigio che lo aspettava. Il felino gli fece un verso, si voltò e prese a camminare facendo intuire allo stregone che doveva seguirlo. Accidenti, questo sì, che un benvenuto!  Magnus sospirò e seguì il gatto per i corridoi dell’Istituto.
 
All’apparenza sembrava che non ci fosse nessuno a parte il gatto. Tutte le luci erano spente, per fortuna lui non aveva bisogno di luce per vedere visto che aveva gli occhi da gatto. L’unico rumore che si sentiva erano i passi di Magnus mentre nel resto dell’Istituto regnava il silenzio. Il figlio di Lilith si chiese se fosse uno scherzo.
 
Camminarono ancora fino ad arrivare in un altro corridoio. A differenza di tutti gli altri, questo era illuminato in fondo da una stanza aperta da dove proveniva una  luce.
 
 Magnus fece per fare un passo quando sentì un grido straziante. Il cuore dello stregone iniziò a battere più velocemente mentre il gatto scattava in direzione della stanza. Perché era venuto? Ci teneva così tanto a veder morire un ragazzo di diciotto anni? Cercò di mantenere la calma. Fece un respiro profondo e avanzò velocemente.
 
Man mano che si avvicinava sentiva sempre di più la voce di una ragazza. “Va tutto bene, Alec.– stava dicendo- vedrai, che andrà tutto bene.” A giudicare dalla voce della ragazza, no, non stava andando per niente bene. Arrivò nella stanza ed entrò. Si sentì pietrificato quando vide Alexander Lightwood su quel letto.
 
 Era disteso supino, senza maglietta e senza scarpe. Le lenzuola bianche erano sporche di sangue, così come il corpo straziato del giovane. Aveva i capelli appiccicati alla fronte, probabilmente per il sudore mentre si dimenava per scalciare via le lenzuola. La cosa che terrorizzò Magnus furono gli occhi nel Nephilim. Si era aspettato che fosse incosciente, invece aveva gli occhi aperti, le pupille ridotte a fessure.
 
Si avvicinò mentre la ragazza cercava di mettergli una pezza bagnata sulla fronte. Il gatto che aveva visto prima, era appoggiato con le zampe anteriori sul letto a strusciarsi contro la mano del ragazzo che però non rispondeva alle sue carezze.  “Magnus!?” lui alzò lo sguardo verso la voce che l’aveva riportato alla realtà. Ovviamente era stata Isabelle a parlare. La Shadowhunter era completamente diversa dalla sera della festa. Aveva i vestiti, la divisa , strappati e sporchi di sangue e sporcizia. Le guancie rigate da lacrime nere per il mascara sbavato, il trucco completamente rovinato, la matita bagnata di lacrime. Una persona normale sarebbe dovuta sembrare un panda in quelle condizioni mentre lei sembrava un’attrice di un film drammatico. Peccato che quello non era un film.
 
“Che cosa è successo? Dove sono tutti gli altri?” domandò mentre appoggiava delicatamente una mano sulla fronte del ragazzo. Scottava. E non era normale per qualcuno che aveva perso tutto quel sangue. Lo Shadowhunter lo guardò con gli occhi accecati dal dolore. Probabilmente non lo stava riconoscendo neppure.
 
Da vicino notò che Alexander aveva anche le guancie paonazze mentre il resto del volto era bianco come un cencio e la sua bocca si apriva e chiudeva, mormorando qualcosa. Magnus riuscì a registrare dei nomi: “Izzy”, “Jace”, “Mamma”, “Papà” e “Max” con un tono di supplica e lui avrebbe scommesso tutto che, se Alec avesse potuto, avrebbe urlato quei nomi. Il figlio di Lilith ebbe un brivido. Era messo peggio di quanto pensava.
 
“Siamo andati a prendere la Coppa Mortale con Jace e Clary. Poi la tizia che l’aveva in casa si è trasformata in Abbadon e Alec…- Isabelle si interruppe reprimendo un singhiozzo- come se non bastasse Hodge, Jace e Clary sono spariti e io non so cosa fare, Alec sta morendo e loro…”
 
Magnus deglutì. Stava succedendo un bel casino. Quei tre erano spariti ma Hodge gli aveva mandato un messaggio neppure mezz’ora prima. Si passò una mano tra i capelli. “Un problema alla volta. Posso curare tuo fratello ma devi uscire fuori.” Isabelle, che si era illuminata di speranza a quel posso curare tuo fratello, si rabbuiò. “Tu sei pazzo.- disse con voce di ferro- non lo lascerò da solo mentre sta facendo a pugni con la morte. Non se ne parla.”
 
“Quindi preferisci vederlo morire.” Ribattè Magnus e potè vedere chiaramente il panico negli occhi della Nephilim. “Senti,- iniziò lo stregone- lo so che tieni a tuo fratello ma ti devi fidare di me. Posso curarlo, ma ho bisogno che tu esca.” 
 
“Perché dovrei fidarmi?” chiese Isabelle. “Hai alternative?”ribattè. La ragazza si morse le labbra e guardò il fratello steso immobile sul letto. “Bene.” Stava per fare un passo verso la porta quando Alec urlò stringendo fra le dita bianche il lenzuolo, sporco del suo stesso sangue. “Alec!” gridò la ragazza andandogli vicino e accarezzandogli la fronte. Gli occhi azzurri del ragazzo, adesso, erano ancorati al soffitto, mentre respirava affannosamente dalla bocca. Il veleno stava arrivando ai polmoni e non era una cosa buona, considerando che dietro al polmone sinistro c’è il cuore.
 
“Magnus sei sicuro che..” la voce le si spezzò mentre gli occhi le si riempirono di lacrime.  “Sono sicuro.” Bugia. Non era sicuro di poterlo salvare. Anzi era quasi certo che sarebbe morto. Quasi.
 
La cacciatrice guardò prima Magnus e poi il fratello. Si avvicinò di più al ragazzo per poi chinarsi e baciargli la fronte. “Andrà tutto bene, Alec.” Gli mormorò, accarezzandogli la testa. Il Nephilim guardava sua sorella con gli occhi stravolti dal dolore, senza vederla veramente.
 
Isabelle stava per andare verso la porta ma Magnus la richiamò. “Anche lui. Fuori.” Ordinò indicando il gatto che gli soffiò sfacciatamente. Ma la cacciatrice non protestò, si chinò e prese il gatto grigio che fino a quel momento era rimasto ai piedi del letto ad osservare Alec, poi andò verso la porta mentre Magnus metteva velocemente in ordine quello che doveva fare, in testa. “Magnus- lo richiamò Isabelle e lui si girò. La ragazza si era voltata verso di lui, ferma nella porta. La voce supplicante, gli occhi pieni di lacrime- Magnus, ti prego, salvalo.” E poi, mentre una lacrima le rigava la guancia di nero, uscì chiudendo la porta.
 
Lo stregone si voltò verso il ragazzo. Era ora di agire. Si tolse la giacca buttandola su una sedia là vicino e si rimboccò le maniche. Fece un bel respiro e guardò  Alexander che continuava a sussurrare i nomi dei suoi fratelli e dei suoi genitori. Prese una pezza e la mise nella bacinella d’acqua appoggiata sul comodino. “Izzy!” sussurrò Alec un po’ più forte, ma Magnus fu sicuro che volesse gridare. “Mamma! Jace!” Lo stregone gli appoggiò piano una mano sul capo e gli accarezzò la testa, spostandogli i capelli zuppi di sudore dalla fronte. “Va tutto bene, Alec - gli sussurrò con dolcezza mentre metteva la pezza bagnata sulla sua fronte- va tutto bene, però adesso devi restare fermo, okay? Non ti devi muovere.” O potrei peggiorare le cose. Pensò Magnus.  Non fu sicuro che Alec avesse compreso quanto gli aveva appena detto soprattutto perché il ragazzo rimase immobile mentre fissava il soffitto. Sperò solo che avesse capito altrimenti le cose si sarebbe complicate.
 
Fece un bel respiro profondo e appoggiò entrambe le mani sul petto del cacciatore, iniziando a parlare in una lingua sconosciuta al resto del mondo. Non sentì niente di niente, così cercò di concentrarsi di più, solo sul veleno, sul percorso che stava facendo, su ogni singola molecola di quel liquido mortale. Doveva far convergere tutto il veleno in un punto in modo tale da toglierlo tutto in una volta, o quasi. Sarebbe stato doloroso, invertire il corso del veleno non era una passeggiata ma era l’unico modo per far espellere tutta la tossina in tempo, dato che stava arrivando ai polmoni e quindi al cuore. E se Alec si fosse mosso avrebbe rischiato di muovere il veleno accumulato e farlo andare in una zona vitale, facendosi morire prima del tempo.
 
Per la prima volta da secoli, Magnus pregò. Nonostante fosse nato in un secolo molto religioso, non sapeva se dio, o Dio o il Fato o l’Archè o chissà quale altra forma di divinità o chicchessia esistesse. In realtà aveva smesso di crederci quando il suo patrigno aveva cercato di affogarlo e lui l’aveva carbonizzato. Però in quel momento desiderò che ci fosse davvero qualcuno lassù che lo aiutasse a salvare un ragazzo di soli diciotto anni. A volte la vita era proprio ingiusta. Lui aveva vissuto quasi quattro secoli e quel povero ragazzo appena diciotto. Non poteva morire e Magnus non poteva farlo morire.
 
All’improvviso sentì qualcosa pizzicargli le dita. E poi le sentì bruciare e iniziarono a bruciargli pure i palmi. Aprì gli occhi e vide Alec stare immobile con gli occhi chiusi e le mani strette a pugno. Con molta calma sollevò le mani e vide il Nephilim ansimare, come se non riuscisse a respirare. Le sollevò ancora e questa volta il ragazzo spalancò gli occhi e ansimò più forte anche se rimase fermo. Magnus iniziò a parlare in una lingua demoniaca, mentre sollevava sempre di più le mani. Era consapevole che stava facendo scintille da per tutto ma la sua energia da qualche parte doveva pur sfogarsi, e sapeva anche che il pavimento stava leggermente tremando ma quello era per colpa della lingua demoniaca.
 
 Alec urlò quando Magnus iniziò a tirare fuori la ‘bolla’ di veleno dal suo torace. Era un’operazione estremamente delicata si fosse spostato di un solo millimetro sarebbe stata la fine. Lo stregone ebbe paura che Isabelle facesse irruzione nella stanza e interrompesse quel momento troppo delicato facendo muovere suo fratello e facendo sbagliare a Magnus la ‘mira’. Ma Isabelle non entrò e il figlio di Lilith continuò ad estrarre la tossina demoniaca dal corpo del ragazzo mentre questo ansimava e provava ad urlare.
 
Quando tutta la bolla fu fuori dal corpo del Nephilim, fluttuando in aria, Magnus la mise nella bacinella sul comodino. Era una sostanza davvero disgustosa. Era densa, viscosa e appiccicosa che si attaccava ai tessuti connettivi mandandoli in tilt. Il colore era un misto tra il verde palude e il nero catrame. L’odore era perfino peggio. Quella roba puzzava di acqua stagnate, sudiciume dei bagni pubblici, vomito e ammoniaca.
 
Lo stregone schioccò le dita, facendo sparire quella melma rivoltante. Poi si girò di nuovo verso Alec. Molto del veleno l’aveva tolto ma sapeva che ne aveva ancora in circolo, abbastanza per farlo morire. Ripetè il processo una seconda e poi una terza volta.
 
Il volto dello Shadowhunter era una maschera di dolore, mentre gli stringeva forte il polso. Ormai la maggior parte del veleno non era in circolo, ma c’era un altro problema. Il corpo stava iniziando a risentire della mancanza di sangue. Infatti lo Shadowhunter aveva preso a tremare e a sudare freddo,  era diventato completamente pallido e da bollente, era diventato ghiacciato.
 
Magnus si sentiva già esausto ma ancora aveva molto lavoro da fare. Si stupì che Alexander non fosse già morto. Non era da tutti o meglio non era da nessuno riuscire a sopravvivere al veleno di un demone superiore mentre perdi  tutto quel sangue.
Lo stregone prese un breve respiro, non era il momento per mettersi a pensare soprattutto ora che doveva curare delle ferite in cui non era mai stato un maestro. Ma doveva farcela. Non poteva far morire Alec, era diventata quasi una questione personale. Se quando gli era arrivata la lettera avesse pensato meglio, avrebbe potuto avere come aiuto Catarina, o meglio lei l’avrebbe curato e lui avrebbe fatto da assistente. Lei ne sapeva molto di più di lui in questo campo. Magnus si diede del deficiente, non era ora il momento per lamentarsi della sua stupidità.
 
Si sedette sul bordo del letto e appoggiò delicatamente una mano sulla ferita sanguinante più grave, ovvero quella della gamba, dove sembrava essere entrato la maggior parte del veleno. Era una ferita orribile, con la carne lacerata. Il sangue che usciva era nero per la tossina e sembrava non volesse smettere di sanguinare.
 
Magnus iniziò a pronunciare parole in latino e i labbri della ferita iniziarono a sfrigolare come olio sulla padella, facendo ricominciare ad Alec la sua cantilena di nomi. Questa era la volta di suo padre, un certo Max, che Magnus pensò essere un altro fratello, e Jace. Jace per quale Alexander aveva una cotta. Lo stregone si diede ancora dello stupido. Non era il momento di pensare a certe cose.
 
La ferita alla gamba piano piano si rimpicciolì, sanando un poco ma comunque Alec avrebbe avuto problemi a camminarci almeno per qualche giorno. Con delicatezza e aiutandosi con la magia, lo stregone gliela fasciò cercando di bloccare l’emorragia. Avrebbe zoppicato per un po’ di giorni, pensò.
 
Magnus prese un profondo respiro cercando di trattenersi, anche se stava usando la magia doveva fare piano, poteva rischiare di mettere troppa energia e un eccesso di magia sarebbe stato come strattonargli la gamba e quindi la ferita si sarebbe potuta riaprire.
 
Quando finì, Magnus, si dedicò a dei taglio sul fianco, probabilmente causato dagli artigli del demone. Curò anche quelli, cercando di pulirle il meglio possibile dal veleno.  Mentre lo stregone sanava le ferite, il cacciatore respirava affannosamente. L’ultima ferita che curò Magnus fu quella alla tempia. Sembrava che avesse battuto forte la testa. Era stato fortunato, pensò. Se la botta fosse stata leggermente più forte sarebbe morto per un grave trauma cranico. Catarina lo stava influenzando con tutte quelle parole da piccolo chirurgo.
 
Appoggiò piano una mano sulla tempia, dove iniziarono a sparare scintille rosse e verdi e azzurre. Quando fu abbastanza sicuro che il Nephilim non aveva niente che non andava nella testa, con delicatezza gli prese il capo e glielo fasciò facendo uscire tante ciocche nere dalla fasciatura.  
 
Ovviamente non aveva abbastanza energia per curare le ferite del tutto, visto che erano state infettate dal veleno, però poteva rimpicciolirle finchè non fossero diventate meno gravi e mortali.
 
Mentre lo fasciava gli venne impossibile non pensare a quanto bello fosse. Il contrasto tra capelli scuri e occhi chiari gli era sempre piaciuto ma i capelli neri con gli occhi azzurri lo facevano impazzire. Come se non bastasse, il ragazzo aveva degli zigomi perfetti, alti, di porcellana e delle labbra che sembravano essere state create solo per baciare ed essere baciate.
 
Magnus percorse con gli occhi il corpo del cacciatore. Era alto e slanciato, con delle lunghe gambe da ballerino. Il busto sembrava essere stato scolpito da Michelangelo Buonarroti sul marmo bianco. Con i pettorali scolpiti e gli addominali che avrebbero fatto sbavare l’intera popolazione mondiale femminile e tutti i gay e bisex esistenti. Lui incluso.
 
Era diversissimo rispetto al parabatai. Certo, anche quel Jace era bellissimo, anzi era piuttosto sicuro, da quello che aveva visto dalla festa, che era il biondo a prendersi tutte le attenzioni e ad essere considerato il più bello ma era troppo spavaldo, fin troppo sicuro di sé. Invece Alec aveva dimostrato una sensibilità più unica che rara per un ragazzo cresciuto da una società piena di pregiudizi verso chi non era uno shadowhunter, senza contare che era stato cresciuto da quei due fanatici dei Lightwood. Lo guardò ancora e gli sfiorò con le dita il petto bianco, segnato solo da vecchie cicatrici  e qualche runa. Era inutile negarlo: era tremendamente attratto da quel ragazzo, come una falena attratta da una fiamma.
 
Scosse la testa e si alzò, stava pensando troppo. Una volta che si fosse accertato che il Nephilim sarebbe sopravvissuto sarebbe sparito. Non voleva avere niente a che fare con i mortali, in grado di donarti il cuore ma con un orologio interno che, per alcuni scoccava l’ora puntuale e per altri lo faceva con troppo anticipo, diceva ‘Tempo scaduto’.
 
Si passò una mano tra i capelli, allontanando tutti quei pensieri e ripetè il procedimento usato per togliere il veleno, un’ultima volta per prelevare gli ultimi residui della tossina in modo da pulire completamente il corpo straziato del ragazzo. Sapeva che era pressoché impossibile eliminare completamente il veleno ma voleva aiutare più che poteva Alexander.
 
La bolla che ne uscì fu così piccola che per la prima volta Alec fece solo una smorfia di fastidio.
 
Quando finì, si alzò e schioccò le dita facendo diventare le lenzuola da rosso sangue a bianco immacolato. Non era il caso che il Nephilim restasse a dormire su un letto sporco del suo stesso sangue.
 
Magnus si lasciò cadere nella sedia, esausto. Il suo lavoro era finito mentre quello di Alec ancora continuava. Quando gli appoggiò una mano sulla fronte, notò che era di nuovo caldo. Non scottava come prima ma sicuramente aveva la febbre piuttosto alta. Questa volta però, non lo poteva aiutare. Adesso dipendeva solo da lui, doveva superare l’ultimo ostacolo. Era resistito al peggio, perché non c’è la doveva fare adesso? Purtroppo Magnus la risposta la sapeva. Ormai l’organismo di Alec doveva essere esausto, dopo aver fatto gli straordinari e c’era una remota possibilità che si arrendesse ora.
 
Magnus sospirò e gli accarezzò una mano, sperando di dargli conforto. Certo, non era né suo padre, né sua madre e nemmeno uno dei suoi fratelli ma sperò lo stesso che gli facesse piacere riceve un po’ di affetto.
 
All’improvviso Alec con un gesto abbastanza deciso prese il polso dello stregone. Magnus lo guardò stupito. Il ragazzo aveva gli occhi chiusi e respirava affannosamente  eppure aveva abbastanza forza da stringere il polso del nascosto in modo saldo. Come se fosse un’ancora per non farlo affondare. Magnus non lo scostò e gli accarezzò ancora la mano. Aveva le mani gelate, notò lo stregone, significava che aveva la febbre alta.
 
Magnus guardò fuori dalla finestra. Era notte fonda e si chiese se Isabelle fosse andata a dormire. Ovviamente no. Si rispose da solo. Doveva essere fuori ad aspettare che uscisse a dirle qualcosa. In effetti voleva uscire a dirle ma non era ancora sicuro al cento per cento che Alec sopravvivesse e non voleva darle false speranze.
 
Restò così, seduto su una sedia, con un polso stretto tra le dita del cacciatore e gli occhi fissi su quel ragazzo che stava facendo a pugni con la morte.
 
[…]
 
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato. Potevano essere passati benissimo cinque minuti come tre ore. Non aveva spostato lo sguardo da Alec nemmeno per un secondo, notando gradualmente i miglioramenti. Il ragazzo non tremava più e aveva assunto il normale colore pallido della sua pelle. La mano che gli continuava a stringere un polso, si era riscaldata, così come l’altra. Il respiro gli si era regolarizzato e sembrava sereno. Appoggiò una mano sulla sua fronte e con sollievo notò che non era più caldo, ma fresco.
 
Con più delicatezza possibile scostò la mano di Alec che gli teneva ancora il polso e si alzò, andando silenziosamente verso la porta. Quando l’aprì, vide che appoggiata con la schiena al muro di fronte c’era Isabelle. La testa sepolta tra le ginocchia e le braccia intorno alle gambe. A Magnus non ricordò per niente la cacciatrice sensuale e arrogante che aveva incontrato alla festa ma piuttosto gli sembrò di avere davanti una bambina messa in punizione da sola, per farla affogare nella disperazione.
 
Quando lo stregone aprì la porta facendo cigolare i cardini, la ragazza alzò la testa di scatto. Gli occhi neri di Isabelle erano intrisi di terrore, ansia e speranza.
 
“E’ vivo- disse senza troppi preamboli- e dovrebbe essere anche fuori pericolo.” Gli occhi della cacciatrice si riempirono di lacrime di sollievo mentre si alzava ed entrava nella stanza.
 
Si sedette subito accanto al fratello, prendendogli la mano tra le sue sporche di sangue, probabilmente di Alec. Magnus le si avvicinò. “Se non ti dispiace preferirei rimanere un altro po’. Per assicurarmi che sia tutto apposto.” Isabelle alzò lo sguardo verso di lui. “Certo.” Disse con un filo di voce.
 
Lo stregone prese la giacca dalla sedia e se la mise per poi sedersi di fronte alla ragazza. Era esausto e stremato ma era da tempo che il sangue non gli circolava così nelle vene, velocemente per le emozioni forti che aveva appena provato.
 
Un leggero singhiozzo lo riscosse dai suoi pensieri. Isabelle aveva portato la mano del fratello, stretta fra le sue, al suo viso a coprire le lacrime che le scorrevano sulle guancie. Magnus sorrise, forse non era stata una cosa inutile andare a salvare Alexander.
 
Parecchi minuti dopo  Magnus mise le mani nelle tasche della giacca, accorgendosi che in quella destra c’era il suo cellulare. Lo tirò fuori e l’aprì. La gola gli si seccò quando vide 24 chiamate perse di Catarina. Deglutì e si alzò per poi uscire dalla stanza, seguito dallo sguardo di Isabelle che nel frattempo si era calmata.
 
Quando fu in corridoio, si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò al muro. Stava per richiamare uno dei due suoi amici ma il telefono iniziò a vibrare. Guardò lo schermo dell’apparecchio dove comparve il nome di Catarina.
 
“Pronto?” rispose, leggermente preoccupato. Se lo stava chiamando a quell’ora della notte, doveva essere successo qualcosa. Qualcosa di brutto.
 
“Magnus! Finalmente hai risposto! Mi stavo facendo vecchia a furia di aspettare! Ma si può sapere che stavi facendo?” Lui avrebbe voluto ribattere dicendo che se chiamavi alle 2:54 di notte, non potevi pretendere che qualcuno ti risponda subito ma lei lo precedette. “No, aspetta. Non importa, adesso. Invece, hai saputo?” “Ho saputo, cosa?” chiese, iniziando a spazientirsi. “Di Valentine.” Magnus spalancò gli occhi. “Scusa?” “Accidenti, Magnus. Ma dov’eri? Su Marte? Tutto il Mondo Invisibile non fa che parlare d’altro!” disse la sua amica. “Invece di lamentarti sul fatto che non ho risposto subito, spiegami cosa sta succedendo.” La rimproverò. “Valentine è vivo…” “Dimmi qualcosa che già non so.” In fondo, Magnus se lo immaginava che quel pazzo fosse vivo. “…e ha la Coppa Mortale.” Il Sommo Stregone di Brooklyn ricordò le parole di Isabelle: Siamo andati a prendere la Coppa Mortale con Jace e Clary. “Inoltre, quel pazzo ha della prole- Aggiunse Catarina scioccata e Magnus non si stupì che l’amica fosse così sconvolta, in fondo erano pochissimi sapevano chi era il padre di Clary.- Clarissa e Jonathan Christopher, il figlio acquisito dei Lightwood.” Magnus strabuzzò gli occhi mentre il suo cervello rielaborava tutte le informazioni in mezzo secondo: Jonathan Christopher. Il figlio acquisito dei Lightwood. J.C. Jace.

“Ma… lui è un Wayland.” “A quanto so, Valentine si è finto Micheal Wayland e ha vissuto tutti questi anni nella loro tenuta. Poi ha messo inscena la sua morte e ha mandato il figlio all’Istituto di New York.” Lo stregone si portò una mano sugli occhi e si massaggiò le palpebre. “Catarina, sei sicura?” “Certo che ne sono sicuro! Per chi mi hai preso? Clarissa e Jonathan sono entrambi figli di Jocelyn Fairchild e Valentine Morgerstern.”  Lui sospirò. Aveva sempre pensato che Valentine fosse pazzo, ma non fino a questo punto. “E ora? Dove sono tutti?”chiese leggermente preoccupato per quella piccola pel di carota. “Valentine è scappato con la Coppa, i due ragazzi stanno bene, sono con Lucian Graymark, il capobranco dei lupi di New York. Jocelyn invece è ricoverata qui, è sotto l’effetto di un incantesimo, è in una specie di coma.” Troppe, davvero troppe cose per una sola notte. “Ma-” fece per dire ma fu subito interrotto dall’amica. “Scusa, Magnus, devo andare. I miei colleghi stanno uscendo fuori di testa perché non capiscono il motivo per cui Jocelyn è in coma. Poveri, mondani. Ci sentiamo dopo.” E attaccò.
 
Magnus si massaggiò la fronte. Dire che la situazione era incasinata, era un eufemismo. Sospirò e rientrò nella stanza, dove c’era Isabelle esattamente dove l’aveva lasciata e Alec profondamente addormentato.
 
“E’ successo qualcosa?” chiese la cacciatrice. Il viso era un disastro. Con il pianto di poco prima, aveva rovinato del tutto il trucco che rimaneva. Aveva le guancie sporche di lacrime nere incrostare e gli occhi circondati dal nero della matita. Lo stregone notò anche che stringeva ancora una mano del fratello fra le sue.
 
“Sono successe troppe cose, Isabelle.- lei lo guardò confusa e aggiunse- sappiamo dove sono Clary e Jace.”
 
La ragazza spalancò gli occhi e mentre Magnus le raccontò quello che sapeva.
 
Il Sommo Stregone di Brooklyn passò tutta la notte al telefono, acquisendo sempre più informazioni come per esempio che il covo di Valentine era a Rooselvelt Island, che quel pazzo era scappato con un portale, che Hodge si era fatto togliere la maledizione in cambio della Coppa.
 
Tra una chiamata e l’altra, informava Isabelle delle nuove notizie, ormai tutto il Mondo Invisibile ne parlava.  Catarina non l’aveva più chiamato e non aveva avuto altre notizie di Jocelyn.  Ma sapeva che Clary era insieme a Lucian Graymark. Nonostante tutto, questo lo tranquillizzò. Il licantropo si comportava come un padre verso Clary e le voleva bene come se lo fosse davvero. Fin quando la piccola pel di carota era con lui, non c’era niente di cui preoccuparsi.
 
Quando Magnus guardò l’ora, erano le 6:17. Ormai era quasi l’alba. Ritornò nell’infermeria. Alec dormiva ancora, mentre Isabelle si addormentava per cinque minuti per poi svegliarsi agitata e per niente assonnata. Dopo poco però la stanchezza si faceva sentire di nuovo. La stessa cosa valeva per Magnus. Aveva solo voglia di buttarsi nel letto e dormire per dieci anni, ma le varie chiamate di ogni genere di creatura del Mondo Invisibile, lo tenevano svegliato meglio di dieci caffè.
 
“Perché non vai a dormire?- chiese alla cacciatrice- tuo fratello sta meglio.” Lei alzò lo sguardo da Alec a lui. “Voglio rimanere con lui. Quando si sveglierà, voglio essergli vicino.”
 
Magnus sospirò. “Come preferisci ma ti conviene andare a lavarti il viso. Gli verrà un colpo se ti vedrà ridotta in questo stato.” Isabelle spalancò leggermente gli occhi come se non gli fosse passato completamente per la mente che era ridotta in uno stato pietoso. La ragazza portò una mano alla tasca della divisa uscendo uno specchietto. Quando vide il suo viso stravolto fece una smorfia. “Tranquilla, vatti a cambiare e darti una sistemata. Resto io con lui. Vai.” Lei annuì, chiudendo con un colpo secco lo specchietto. Si alzò e uscì dall’infermeria.
 
Lo stregone si sedette al posto della cacciatrice. Era esausto e senza magia. Si massaggiò la fronte con la mano, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì vide una cosa che lo lasciò di stucco. Alec era sveglio. O meglio, aveva gli occhi azzurri aperti e lo fissava. Magnus non sapeva dire se stesse capendo qualcosa di quello che succedeva.
 
Dalla finestra entrarono i primi raggi di sole che illuminarono il volto di Magnus e poi il resto della stanza.
 
Alec continuava a fissarlo, senza dire niente, come se fosse troppo stordito per capire qualcosa. Aveva il viso sereno che era tornato del normale colore naturale. Lo stregone ne approfittò per guardare quegli occhi azzurri che si rese conto, lo stavano facendo impazzire.
 
“M-magnus…?” era poco più di un sussurro ma lo stregone lo sentì lo stesso  e non potè impedire al suo cuore di riempirsi di uno strano calore.“Shhhhhh.- gli rispose- va tutto bene, guarirai. Ora devi solo riposare.” A quanto sembrava, il Nephilim lo capì perché lo guardò per qualche altro secondo e poi chiuse gli occhi, cadendo di nuovo in un sonno profondo.
 
Probabilmente, al suo risveglio, Alec non avrebbe ricordato più niente.
 
Magnus si accorse che sarebbe potuto rimanere così un’eternità a guardare Alec dormire. Era come in una specie di limbo fatto di serenità, come la quiete dopo la tempesta.
 
Magnus guardò Alec dormire. Sembrava così tranquillo e sereno! Era difficile immaginarselo come il ragazzo che fino a poche ore prima gli stava morendo davanti, che urlava e scalciava dal dolore. Chissà se si sarebbero rivisti. Lo stregone sospirò. Probabilmente no. Già i Nephilim non erano molto inclini a frequentare nascosti, figuriamoci i figli dei Lightwood.
 
Stai facendo di nuovo di tutta l’erba un fascio, gli disse sempre la stessa vocina in testa, Alexander potrebbe essere diverso.
 
Prima che il nascosto potesse pensare altro, Isabelle tornò. Aveva il viso e le mani pulite. Aveva cambiato la divisa con dei vestiti puliti e si era rimessa la matita nera, intorno agli occhi, probabilmente per non far notare che aveva passato la notte in bianco o per non dare nell’occhio, visto che, Magnus sospettò, fosse una di quelle ragazze che si truccasse sempre. Un po’ come lui. Non che lui fosse una ragazza, certo.
 
La cacciatrice si sedette accanto ad Alec e riprese la stessa posizione di prima. “Grazie.” Disse all’improvviso lei. E lui alzò un sopracciglio sorpreso. “Perché mi ringrazi?” chiese confuso. “Perché hai salvato la vita di Alec. Qualunque cosa tu voglia in cambio… la puoi avere.”
 
Magnus si sentì ancora più confuso. Non si aspettava che Isabelle lo ringraziasse, forse lo avrebbe pagato se lui gliel’avesse chiesto, ma non ringraziato.
 
“Non voglio niente.- Rispose per poi sorridere alla faccia stupita della cacciatrice.- non ce n’è bisogno.”
 
[…]
 
Ormai il sole era sorto da qualche ora e Alexander Lightwood dormiva tranquillamente con il volto sereno. Isabelle, dopo essere tornata, cambiata e pulita e truccata nuovamente si era addormentata per circa un’ora per poi svegliarsi e vegliare su suo fratello.
 
All’improvviso il telefono di Magnus iniziò a vibrare e lui andò in corridoi per rispondere. “Pronto?” disse stancamente. “Magnus, tutto bene?” chiese la voce preoccupata di Catarina. “Si, non ti preoccupare, sono solo un po’ stanco. E’ stata una lunga notte.” “A chi lo dici- rispose la sua amica- senti, quando ti sarai riposato, potresti venire qui a vedere cosa c’è che non va in Jocelyn? Per quanto mi sia sforzata, non sono riuscita a fare niente e non ho neppure capito cos’abbia.” Magnus sospirò. “Certo.” “Grazie, sei un tesoro!” cinguettò Catarina e lui sorrise. “Puoi dirlo forte!” La sua amica rise. “La modestia è stata sempre la tua qualità migliore.” Lo stregone fece per rispondere ma in sottofondo si sentì una voce chiamare Catarina che come quasi in tutte le loro telefonate, si scusò e attaccò.
 
Rimise il cellulare in tasca e fece per rientrare in infermeria quando sentì delle voci. “Per l’Angelo, Alec!” esclamò la voce di Isabelle che tradiva preoccupazione e gioia insieme. Magnus si avvicinò alla porta per sentire meglio e infatti sentì una voce impastata e confusa, quella di Alexander. “Iz… non urlare. Mi sta scoppiando la testa. Ma… cosa è successo?” Lo stregone sorrise e dalla fessura della porta lasciata socchiusa, riuscì a vedere Isabelle abbracciare forte il fratello che sembrava un uccellino appena nato, di come si guardava in giro spaesato e confuso.
Magnus sorrise e si voltò. Il suo lavoro era finito.
 
Camminò tra i corridoi dell’Istituto, nel silenzio più assoluto. Stava per arrivare all’ascensore quando sentì qualcuno che correva. Era Isabelle. “Magnus!” lo chiamò. Lui si fermò, voltandosi. Aveva la ragazza di fronte e l’ascensore alle spalle. “Te ne vai?”  “Sì. Come vedi ormai tuo fratello sta bene.- la cacciatrice lo guardò scettico alzando un sopracciglio- okay, magari non proprio bene però non è più in pericolo di vita e mi sembra abbastanza tranquillo e poi si è svegliato.” Aggiunse e la ragazza annuì. “Non vuoi nemmeno salutarlo? Insomma, gli hai salvato la vita, penso che gli farebbe piacere ringraziarti di persona.”
 
“Meglio di no. Ho del lavoro da sbrigare.-  la ragazza fece spallucce – penso che fra non molto dovrebbe ritornare il biondino… com’è che si chiama Trace?”
 
La cacciatrice rise. “Jace. Sono sicura che vedere Alec stare meglio, lo rallegrerà un po’, dopo tutto quello che è successo stanotte. Ieri sera è andato in mille pezzi quando ha visto Alec in quello stato.”
 
Magnus sorrise e indietreggiò verso l’ascensore.

“AH! Un’altra cosa!- lo fermò Isabelle- Come hai fatto a sapere che mio fratello aveva bisogno di aiuto?”
 
Magnus sorrise e indietreggiò ancora entrando nell’ascensore. “Ha importanza?” La ragazza lo fissò con i suoi occhi d’ebano, tra la curiosità e l’esasperazione.
 
“Magnus.” disse ancora Isabelle. “Sì?” rispose alzando lo sguardo su di lei. “Grazie, ancora.” Disse soltanto, ma lo stregone riuscì a vedere bene gli occhi della ragazza, pieni di gratitudine e lucidi di lacrime, che dicevano tutto quello che lei non riusciva a dire. Lui le sorrise e chiuse il cancelletto traballante.
 
“Arrivederci, Isabelle Lightwood.” Disse mentre l’ascensore iniziava a sferragliare verso buio.






Allora... è la prima storia in questo fandom e quindi sono un pò nervosa. 
Ho voluto fare questa storia perchè adoro la Malec, è una delle mie coppie preferite!!
E niente, spero che vi piaccia. 
Se vi va lasciate una recensione.
Un abbraccio!
   
 
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