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Autore: RMSG    09/11/2015    5 recensioni
Dopo 14 anni e Supernatural bello che concluso, per Misha e Jensen si presenta una nuova sfida. Un amore, quello tra i loro figli, West e JJ, li unirà di nuovo e forse, se tutto va come previsto, potrebbe anche mostrar loro come i sentimenti non si possono nascondere sotto il tappeto.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ritardo clamoroso, lo so, e mi scuso con tutte le persone meravigliose – amiche e non – che seguono questa fan-fiction. Grazie per i vostri bellissimi commenti e per il supporto.
Ormai siamo quasi giunti alla fine di questo viaggio, penso che ci saranno al massimo un altro paio di capitoli (ma non è detto, lo scopriremo vivendo). In ogni caso, fan-fiction o meno, il cockles è lì fuori che ci aspetta, amici miei, e in una quindicina d'anni potremo goderci anche lo Jest (JJ/West).


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Like fathers, like children

Chapter 4: I don’t kiss and tell



Se da una parte l’esperienza con JJ ha confermato la sacrosanta pazienza di West Collins, dall’altra ha ricordato più o meno a tutti (interessato compreso) che se il coraggio per lanciarsi col paracadute non gli manca, quello per affrontare Jensen Ackles due secondi dopo aver quasi baciato la sua unica figlia non sembra essere pervenuto.

“J-Jensen”.

Jensen continua a fissarlo e West rimane immobile seduto sul bordo del letto, il naso che ancora gli pulsa forte, mentre Jay incrocia le braccia rigido.

“Jensen, io… mi dispiace. Ma lo sai, io voglio un bene infinito a JJ, lo sai che non la farei mai soffrire!” blatera rapido West, gli occhi sempre incatenati a quelli dell’altro, il cuore che martella impazzito nella cassa toracica. “Lo sai che cosa significa per me JJ. Lo sai che ho aspettato tanto… e se tu lo ritieni giusto, Jensen, posso aspettare ancora. Posso aspettarla. Anche dieci anni. Dico sul serio”.

Jensen inclina la testa e West è pronto a giurare che quegli occhi verdi siano più pieni di tristezza e nostalgia, che di rabbia. Si chiede che cosa stia passando per la testa del texano, ma comprendere cosa passi per la testia di un Ackles, il più delle volte, è un’impresa.

“West. Io mi fido di te. Sei un ragazzo responsabile, ti ho cambiato persino i pannolini sul set quando quell’imbranato di tuo padre non sapeva farlo, ti conosco bene…”. Jensen alza una mano, additando l’altro. “Ma ti avviso. Se la fai soffrire, se le spezzi il cuore…” la minaccia si ferma, rimane sospesa. Non c’è molto altro da dire. Jensen sapeva che sarebbe arrivato questo momento, tutti lo sapevano.

“Te lo giuro” e le parole di West grondano sincerità. “Non la potrei mai ferire. Mai. Se lei mi vuole, se mi dà una chance, io sono qui”.

West si alza dal bordo del letto e si avvicina a Jensen, che per istinto gli batte una mano sulla spalla affettuoso. “Okay, West. Okay…” Jensen sospira, ridendo amaro. “Vai giù, ora. Tu sei disposto ad aspettare, ma JJ non è molto paziente…”

West sorride e annuisce, abbracciando rapido Jensen e uscendo poi dalla stanza, lasciando l’altro disorientato, a riconoscere che effettivamente Misha ha ragione. Ormai i loro figli non sono più bambini, ma adulti. Uomini e donne con coscienze, che prendono decisioni, che si innamorano. E’ contemporaneamente una bella e brutta sensazione; riconoscere che i tuoi figli sono diventati grandi è contemporaneamente straziante e liberatorio: ha dello sconvolgente, ma ti offre un nuovo ventaglio di possibilità, ti dà il tempo di respirare.

E’ questo che passa per la mente a Jensen quando sta rientrando nella stanza dei cimeli, dove Misha ancora giace, dove ancora aspetta che lui torni. Sempre lì, fermo, solido, una costante incancellabile.

“Mish… hai ragione. Dobbiamo parlare”.



****

 

La giornata, per grazia divina, è conclusa. Partecipare a Gishwhes è già di per sé estenuante, sfibrante addirittura – basta chiedere a chiunque. Se poi contemporaneamente si cerca di conquistare l’amore della tua vita alias amica di infanzia alias figlia del migliore amico di tuo padre… beh, la questione diventa un poco più complessa.

Ma West non si è dimostrato solo paziente, negli ultimi anni. No. Lui è anche determinato. E sconsiderato. Tutti elementi molto utili per Gishwhes; tutti elementi che, con la scusa del doversi svegliare presto domattina per costruire un’orca di legno nel giardino di casa Ackles, hanno permesso a Maison e West di rimanere a dormire lì.

Ora, West non sa esattamente cosa gli sia preso. Se proprio deve dare la colpa a qualcuno la darebbe la colpa a Whatsapp, all’ultimo accesso di JJ avvenuto due minuti prima e alla prova che è effettivamente sveglia all’una del mattino – proprio come lui. Che non riesce a chiudere occhio mentre pensa a quanto è stato vicino dal baciarla.

Perciò adesso, all’una del mattino e qualche minuto, in pantaloni del pigiama e t-shirt di Stanford, West bussa alla porta della stanza di JJ, che piano si apre.

Lei, e West potrebbe essere un attimino di parte ma non troppo, è stupenda. Ha i capelli sciolti, appena pettinati, morbidi e gonfi. Ha un enorme maglietta di jersey dei Dallas Cowboys e le gambe – West,stai calmo – nude. Lunghe cosce bianche che…

“West?” lo chiama lei e West sobbalza, alzando di scatto gli occhi e appoggiandosi con finta nonchalance allo stipite della porta.

“E-ehi…” ride nervoso West, mentre pondera quanto strano e potenzialmente perverso potrebbe sembrare correre a fare una doccia fredda all’improvviso.

“Vuoi entrare?”. JJ inclina piano la testa e sorride a vederlo nervoso. West sa che l’atteggiamento da imbranato insito nel suo DNA è adorabile e fa impazzire le ragazze. Vorrebbe solo che non gli facesse dire idiozie.

“… entrare dove?”. Idiozie come questa.

“Nella stanza, scemo… vieni qui”. E JJ, buon dio, lo tira contro di sé chiudendo la porta piano. Tenendolo per mano lo fa sedere con sé sul materasso ed entrambi con la schiena poggiata alla testa del letto, cominciano a guardarsi.

West si chiede se non dovrebbe quindi far qualcosa, agire, fare l’uomo. Dopotutto lui è il più grande, lui è quello cresciuto nella famiglia super-libera e progressista, col poliamore dietro l’angolo, con falli di legno comprati in Polinesia per soprammobili e…

“Westie?” lo chiama soffice JJ, col soprannome che usava da bambina e, in un certo senso, lo aiuta a tranquillizzarsi, gli rasserena i pensieri. Per un attimo sono di nuovo bambini e West è di nuovo piccolo, di nuovo su una barca con la sua famiglia, di nuovo in braccio a sua madre mentre guarda i riflessi che il tramonto fa sui capelli biondi di JJ.

Almeno sino a quando JJ non gli sale a cavalcioni addosso, stringendo le suddette cosce nude ai suoi fianchi e allacciando le dita dietro la sua nuca, improvvisamente donna e per niente bambina. A quel punto c’è ben poco che lo lasci ancora lucido.

West la osserva a occhi sgranati inarcare la schiena e avvicinare le labbra alle sue. D’istinto la cinge, mettendosi seduto dritto e tirandola di più in grembo, scoprendo per fortuna – o per sfortuna – che l’unica cosa che li divide sono solo le sottili mutandine di lei e i propri pantaloni del pigiama.

Sono fermi, ora; l’una addosso all’altro, i respiri pesanti, le bocche quasi unite. C’è una tensione nell’aria che rende il tutto letteralmente elettrico – e forse un po’ troppo per due ragazzi così giovani e che ancora non hanno trovato il coraggio di baciarsi. Eppure sembra ancora familiare: fra loro è sempre stato così, dopotutto; una carezza, uno sguardo, un abbraccio più lungo rispetto a quelli dati agli altri.

JJ si muove, strusciandosi piano e baciando West sulle labbra, per breve tempo, di nuovo timida, e West vorrebbe tanto, ma tanto, essere impotente, in questo momento: tutto pur di non far sentire a JJ l’erezione crescente.

Vorrebbe sapersi trattenere, sapersi controllare, non mostrarle quanto la desidera e quanto fa male sentire di dover aspettare. JJ però lo tenta e lui è solo umano. Così le scosta i capelli, scoprendole un lato del collo, e mentre lo fa non smette di baciarla, non smette di godersi il respiro affannato di lei che si mischia al suo. Le accarezza la schiena, mentre piega il capo per baciarle il collo. Punta la bocca sulla giugulare che pulsa frenetica, e in un istante West ribalta le posizioni, schiacciandola contro il materasso e incastrandosi fra le sue gambe con la facilità di chi sembra fatto per stare esattamente lì, in quel modo.

JJ lo guarda dal basso, i capelli sparsi sul cuscino bianco e West si ferma ad osservarla. Guarda le sue guance rosse, le labbra già gonfie dai baci, il petto che si alza e si abbassa. Sorride e accarezzando la coscia destra coi polpastrelli, si sposta, stendendosi al suo fianco e baciandola di nuovo. “Va bene così… vero? Abbiamo tutto il tempo del mondo…”.

JJ annuisce e sorride contenta, abbracciandolo forte e baciandolo.

 


****

 

Chiaramente non vi sono regole precise da seguire dopo che hai passato praticamente la notte a pomiciare con la ragazza dei tuoi sogni (asciutti e bagnati). Per cui West in un certo senso si limita a seguire la corrente e a cercare di non annegare.

Più o meno.

La cosa buffa è che, per quanto sia lui che JJ si sentano estremamente esposti e diversi, nessuno sembra notare qualcosa di differente in loro. Né nella loro riscoperta intimità, né negli sguardi furtivi che si lanciano da tutto il giorno tra un item assurdo di Gishwhes e l’altro. Nemmeno Thomas, nel suo essere un perenne guastafeste rompipalle, sembra agire in modo diverso intorno a JJ.

Sua sorella Maison, dal suo canto, mastica una chewing-gum leggendo un libro più vecchio di lei di circa trent’anni mentre aspetta che il suo ritratto fatto di lenticchie di William Shatner (buonanima) si asciughi.

Per quanto riguarda i senior, invece, West non è proprio certo di quello che sta succedendo a suo padre. Sì, di solito è molto impegnato con Gishwhes a cercare di non far crollare i server di Gishbot, ma in questi giorni è… strano. E non strano in mio-padre-è-Misha-Collins-che-vuoi-farci; strano in c’è qualcosa che mi turba, c’è qualcosa di cui ho bisogno di parlare.

Misha è in effetti alquanto evasivo. Dal momento in cui ha varcato la soglia di casa Ackles – da solo, stranamente senza Vicki al seguito –, non sembra dar peso a molto di quello che gli sta succedendo intorno, troppo concentrato nei suoi pensieri.

West pensa che forse dovrebbe andargli a chiedere che cos’ha. E’ lì lì per mettere in pausa il montaggio di alcuni item video quando Jensen, scendendo le scale – anche lui, stranamente solo in casa sin dal mattino presto – passa in cucina a baciare JJ.

“Piccola, sto uscendo. Chiamami per qualsiasi cosa. E non date fuoco alla casa. Qualsiasi danno verrà ripagato col sangue, lo sapete”. JJ rotea gli occhi, ascoltandolo annoiata, ma annuisce e gli dà comunque un bacio sulla guancia.

“Tranquillo, papà… ci sentiamo dopo”. Un altro bacio veloce sulla tempia della figlia e Jensen si avvia fuori casa, seguito da Misha, che effettivamente non si era mai mosso dall’entrata, spiccicando appena qualche parola ai suoi stessi figli.

 

****

Per la prima volta in oltre vent’anni d’amicizia, Jensen e Misha non sanno assolutamente cosa dirsi.

Sono seduti sui sedili posteriori del fuoristrada di Jensen, ognuno con la schiena poggiata al proprio sportello. Jensen trova che la posizione sia estremamente scomoda, vista la maniglia dello sportello che sente conficcata dritta in un rene o suppergiù, ma è comunque una situazione familiare, questa. Tanto, tanto tempo fa lo facevano spesso. Parlare seduti nei sedili posteriori dell’Impala, tra una pausa e l’altra sul set.

Sono in un parcheggio poco fuori Austin, dove la vista è ottima e dove soprattutto è difficile incontrare turisti che abbiano l’età giusta per riconoscere uno di loro. Jensen si guarda le mani e si accorge di star rigirandosi i pollici, nel peggiore dei cliché.

“Jensen, volevi parlarmi. Sono qui. Parliamo”.

Giusto. Parlare. Sembra facile.

“Misha…” mormora. “Io…” sospira e alza gli occhi al cielo, fissando le raffinate cuciture interne del tettuccio della macchina. “Mish… lo sai che… insomma, ci conosciamo da tanti anni. Davvero, davvero tanti. Siamo invecchiati insieme, in un certo senso…” finalmente volge lo sguardo a Misha. “Ma mi sembra che abbiano ancora delle cose in sospeso”.

“Penso proprio di sì”. Jensen sbuffa una risata amareggiata alla risposta neutrale di Misha. Vuole che parli io, vuole sentirmelo dire.

“Non è che io voglia che il nostro rapporto cambi dopo aver messo in chiaro certe cose. E’ che non trovo giusto… tutto questo”.

E’ Misha ora a sbuffare. “Tutto questo cosa? Avermi detto che non ricambiavi quando era assolutamente falso e lo sapevano tutti, compresa tua moglie?”

Jensen abbassa gli occhi, trattenendo una smorfia. “Quello, sì… ma anche averti lasciato in pausa per così tanto tempo. Io credo che…” sospira pesante, Jensen, come se dire queste parole gli facciano male fisicamente. “Credo che tu sia rimasto ad aspettarmi per troppo tempo. E’ che i sentimenti che c’erano fra di noi…”

“Che ci sono, Jensen, non mentire a te stesso.” lo interrompe Misha seccato.

“… i sentimenti che ci sono fra di noi non sono quello che cerchiamo, non sono abbastanza per… per… non dopo così tanto tempo, Misha, non dopo… umpf!”.

Di certo ritrovarsi Misha a cavalcioni su di sé non era il risultato che Jensen sperava di ottenere con una discussione del genere. Prova a muovere il capo, a scuoterlo, a prendere Misha per le cosce e a spostarlo. Perché non è giusto e non si merita un contatto del genere.

Le dita di Misha incrociate dietro la sua nuca, però, gli impediscono di muovere il capo e quegli occhi blu, quei dannatissimi occhi blu, lo ancorano al sedile.

“Jensen. Jensen, guardami. Guardami, ehi.” Misha lo fissa, non lo lascia andare. “Io ti amo. Ti ho aspettato quindici anni e ti assicuro che altro tempo non cambierà nulla… il punto è che tra un po’ non avrò più l’età per salirti così sulle ginocchia e il mio sesso orale potrebbe essere accompagnato dall’utilizzo di una dentiera…”

Jensen soffoca una risata, ma guardandolo sempre a occhi sbarrati, incredulo.

“Ma, ehi, io sono qui. Se lo ritieni giusto, ti aspetto altri dieci anni.” e Jensen sussulta a quelle parole, il cuore in gola. “Mi sta bene. Credi che se avessi potuto non avrei smesso di soffrire per te? Credi che se fosse stato nelle mie capacità non avrei permesso a me stesso di smetterla di rincorrere chi non aveva il coraggio di desiderarmi? A questo punto, amarti è una parte di me. E se ti sembro sdolcinato, è okay, perché è esattamente quello che sono in questo momento e… cosa? Cos’è quella faccia? Quella smorfia?”.

“Mish…” mormora Jensen, gli occhi quasi lucidi e le braccia adesso intorno alla schiena di Misha, tonica, incredibilmente, esattamente come l’ultima volta che lo ha stretto a sé così. “Ho voglia di baciarti”.

“Oh…”

“Oh? Tutto qua?”.

“Che vuoi che ti dica? Sono quindici anni che aspettavo di sentirtelo dire ad alta voce”.

 

 

 

   
 
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