La frase rimase impressa
nel cervello di Ryo... e provocò la riapparizione di un ricordo a lungo
sepolto. Un ricordo lontano. Un ricordo di un'altra vita... ma di una vita che
l’aveva formato.
”... riprendere il controllo.”
Un ricordo di Kaibara, un ricordo felice... Una lezione di sopravvivenza e di
vita, semplicemente...
A quell’epoca, Ryo era ancora molto giovane. Non partiva ancora in missione,
per quanto l’avesse fortemente desiderato. Era solo un moccioso. Per lui, la morte
non esisteva... O, più precisamente, non poteva raggiungerlo. Tutto era solo un
gioco... con Kaibara come padre e Kenny come controllore. Ma un gioco che
prendeva sul serio, un gioco dove sconfiggere l’altro era una necessità vitale
e esaltante. Era maturato tra tutti quegli adulti, quei guerriglieri dalla
strana filosofia, degli uomini che andavano sempre al passo con la morte sopra
le loro spalle.
Tuttavia, durante certi allenamenti, preso nel vortice delle sue emozioni,
perdeva allora il controllo di quello che faceva.
Quel giorno, combattuto tra la sua volontà di vincere, la sua voglia di farla
finita rapidamente, e il suo desiderio di vanagloria, era stato sconfitto,
peggio ancora, umiliato. La rabbia di aver perso era stata terribile. C’è l’aveva
indistintamente con sé stesso tanto quanto c’è l’aveva con il suo avversario.
Appartato nella parte posteriore del suo campo base, nascosto da un boschetto
di alberi, sfogava la sua rabbia colpendo violentemente un tronco di un lapacho, ignorando volontariamente i passi che si
avvicinavano a lui.
”Chiunque sia un nemico io lo farò fuori... Lo dimostrerò e nessuno si
prenderà mai più gioco di me...”
»Basta figliolo.«
Ignorò il consiglio che si elevava dietro la sua schiena e continuò a colpire.
Le giunture cominciavano a dolergli molto ma lui accoglieva la sofferenza con
piacere.
Una mano salda gli afferrò la spalla.
»Basta Ryo!«
Questa volta, era un ordine. Quello di un capitano al suo soldato.
Con riluttanza, il bambino si fermò e si girò verso Kaibara. L’uomo riprese con
un po’ meno rudezza.
»Perché lo fai?«
Ryo rifiutò di rispondere. Volse la testa di lato e non vide il sorrisetto
passare sul volto di suo “padre”. Quest’ultimo si sedette appoggiando la
schiena contro un tronco e gli fece segno di avvicinarsi.
I pugni serrati, il ragazzino avanzò e si fermò a meno di un metro dall’uomo,
in tensione. I loro occhi erano allo stesso livello adesso. I loro guardi si
incrociarono.
Kaibara chiese:
»Cosa è successo laggiù, poco fa?«
Un altro avrebbe distolto lo sguardo per nascondere la vergogna di aver perso.
Ma non quel ragazzo, era già troppo fiero, era già un combattente.
»Sono stato battuto.«
»Non solamente battuto,« insisté il comandante, »annientato!«
Il bambino alzò le spalle. Anche davanti a Kaibara, non avrebbe mostrato quello
che sentiva veramente.
»Sai perché?«
Ryo socchiuse gli occhi. Era abbastanza evidente.
»Perché Joe è più forte di me.«
»Sai bene che questo non è vero. La forza fisica non è tutto. Joe non è più
forte di te. Ma oggi, contrariamente a te, lui aveva un solo obbiettivo:
sconfiggerti.«
Il bambino si arrabbiò.
»Anch’io volevo batterlo!«
»Forse si, ma non solo, o sbaglio?«
Questa risposta stuzzicò la curiosità del bimbo. Le lezioni di Kaibara erano
spesso dure ma lo arricchivano e gli permettevo di incrementare le sue
possibilità di sopravvivenza. E queste non sarebbero state accompagnate da una
nuotata controcorrente o un combattimento con i bastoni.
L’uomo continuò:
»Tu non volevi solamente batterlo! Volevi anche impressionare gli altri,
mostrare che, adesso, può partire in missione, farla finiva rapidamente per
riprendere i tuoi allenamenti di tiro... Non è così?«
»Un po’ forse...«
Kaibara sorrise.
»Forse? Ogni tuo gesto tradiva tutte le tue emozioni una dopo l’altra: la tua
precipitazione, la tua mancanza di concentrazione... Joe non ha avuto molto da
fare per farti mangiare la polvere.«
Il bambino aveva capito. Ma che poteva fare?
Suo padre gli diede la risposta.
»E’ tutta una questione di controllo Ryo... questo è l’importante... Avere
delle emozioni non è sempre un male... Ma lasciarsi sommergere da loro, al
contrario, può solo condurti alla perdita. Rinchiuderle funziona solo per poco
tempo... questi sono solo comportamenti da deboli. C’è una sola soluzione:
guardarle in faccia e dominarle tutte.
Se hai perso, è perché, non solo hai lasciato che ti guidassero, ma soprattutto
non le hai domante secondo la loro importanza.
Molti sentimenti ti attraverseranno, contemporaneamente, spesso contraddittori...
Sta a te sapere quali sono i più importanti... Durante il combattimento, gli
hai lasciati tutti liberi... Se tu ne avessi scelto uno, ti ci saresti attenuto
e avresti vinto... Poiché avresti scelto il più importante....«
»Vincere.«
»Esatto, o, nel caso di un vero combattimento...«
»Sopravvivere.«
»Perfetto, hai capito. Lezione conclusa.«
Kaibara si rialzò sorridendo e cominciò a dirigersi verso il centro del campo.
»Vincere e sopravvivere! Queste sono sempre le cose più importanti, non è
cosi?« gli urlò Ryo.
Il bambino non poneva una domanda. Lanciava un’affermazione e desiderava
rivedere una giusta conferma.
Kaibara si fermò ma non girò la testa.
»In regola generale sì, ma non sempre...«
Ed era ripartito lasciando il giovane ragazzo pensieroso di fronte una risposta
simile.
Ryo non aveva capito... Fino a quel giorno in cui Kaibara era venuto a cercarlo
invece di abbandonarlo ai loro nemici del momento.
All’inizio, Ryo aveva creduto che suo padre avesse fatto un errore di
giudizio... Un errore indegno di lui.
Eppure quel giorno, il giorno in cui, per suo figlio, aveva perso una gamba,
Kaibara aveva deciso che l’emozione più importante era l’amore che nutriva per
Ryo, più importante di vincere e sopravvivere.
Fu molto più tardi, dopo essere stato tradito da quello stesso padre, dopo aver
sfuggito la guerriglia e scoperto un altro mondo che tutta la portata di quel
gesto aveva colpito Ryo...
Ed oggi quel ricordo gli tornava alla mente... ”vincere e sopravvivere, è la
cosa più importante?” – “in regola generale sì, ma non sempre.”
Ryo aveva a lungo dimenticato la fine della risposta...
”Per me è sempre stata vincere e sopravvivere...
Forse ho la morte nel sangue, ma Kaibara mi ha donato anche una forma d’amore
paterno.”
Ed era questo quello che faceva sì che soffrisse così in questo momento. Lui
non era quel assassino senza cuore che gli piaceva credere...
Era stato allevato tra la guerra e la violenza, ma attorno a lui, delle persone
vegliavano sul suo benessere. Forse maldestramente, forse insegniandoli
a tenere ed a servirsi di tutte le armi possibili... Ma questo apprendimento
gli aveva permesso di adattarsi al suo nuovo ambiente, di vincere e di
sopravvivere.
Certo, era stato il testimone di orrori ineffabili prima ancora di poter dar
loro un nome. L’odore del sangue l’aveva seguito per giorni e giorni. Degli
incubi indescrivibili l’avevano tenuto sveglio delle settimane intere. Talmente
spesso, aveva sentito delle ossa rompersi o delle pallottole penetrare in dei
corpi che quel suono così particolare, preannunciatore di morte, era diventato
una dolce litania alle sue orecchie. Non aveva avuto altra scelta. Quello o
morire. Uccidere o essere uccisi. Era questo che gli aveva insegnato Kaibara.
Era questo che aveva creduto. Era questa la verità.
Non rimpiangeva niente tuttavia... Insomma non tutto. Nell’orrore di una guerra
senza nome e senza reale obbiettivo, vedere una nuova alba era la più bella
vittoria possibile. Voleva sopravvivere! Era questa l’unica realtà.
”Non sono stato infelice durante la guerra... In ogni caso, non fino a
quando Kaibara è diventato pazzo...
In quel posto si era scatenato l’inferno... fisicamente e psicologicamente...
Io sono diventato pazzo tanto quanto lui... tra la polvere degli angeli e quel
tradimento, cosa mi restava per non sprofondare?
Niente, se non vincere e sopravvivere...
Sono sopravvissuto... e ti ho sconfitto.”