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Autore: Seele    10/11/2015    3 recensioni
Quando Louis si risveglia dal coma, in seguito ad un incidente automobilistico, ha dimenticato qualsiasi cosa gli sia successa negli ultimi nove anni.
Compreso Harry, i suoi enormi occhi verdi, e la fede che porta al dito.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nove       



Stan arrivò in ospedale un quarto d'ora dopo, mentre Harry spiegava ancora la situazione al resto della band e ai suoi familiari.

Harry si voltò repentinamente verso il corridoio proprio quando Stan avanzò in sua direzione, come se fosse talmente in pensiero da udirne anche il minimo passo. Sospirò, sollevato -per qualche sciocca ragione, aveva temuto che accadesse qualche imprevisto o che non potesse venire- e lo raggiunse mentre ancora camminava, fermandolo.

Gli posò le mani sulle spalle, stringendole leggermente. “Grazie per essere qui” sorrise, e agli occhi di Stan parve esausto e felice, “non avrei saputo chi altri contattare, se tu ti fossi rifiutato.”

Stan rimase in silenzio per qualche istante, poi sorrise leggermente e scosse la testa. Prima ancora che potesse dire qualcosa, la dottoressa Chittle uscì nuovamente dalla stanza di Louis e Harry si rivolse immediatamente a lei.

“Dottoressa-”

“È ancora un po' intontito, ma i valori si sono perfettamente ripristinati e potrà tornare a casa a breve” lo anticipò lei. “Ho ancora da controllare alcune cose, ma deciderò domani.”

Lanciò una breve occhiata a Stan, di cui Harry aveva già fornito i dati per lasciarlo entrare nella stanza. “Il signor Stanley Lucas?” domandò. Stan rispose con un cenno affermativo. “Può entrare nella stanza. Le raccomando solo di non confondere il paziente, o di non spaventarlo.”

“Non si preoccupi” fece Stan con leggerezza, e per un attimo Harry desiderò soltanto pregarlo disperatamente di seguire alla lettera le indicazioni della dottoressa. Fu proprio lei a distrarlo mentre Stan entrava nella sala, dicendogli che aveva da parlargli in proposito della situazione di suo marito.

Non appena Stan varcò la soglia, Louis dapprima sobbalzò e poi corrugò le sopracciglia.

Stan gli resituì lo stesso sguardo interdetto, come al solito come uno specchio delle sue azioni, e si sedette sulla sedia accanto al suo letto. Louis lo fissò ancora per qualche secondo, poi finalmente aprì bocca.

“Sei vecchio” sbottò.

“Gli anni passano per tutti, amico” rise Stan. “E oh, avanti, sono solo nove anni meno giovane. Dimostro così tanto i segni dell'età?”

Il tono fintamente indignato di Stan strappò a Louis un sorriso. “Quindi è davvero passato tutto questo tempo?”

Stan alzò le spalle. “Sono ancora offeso, ma sì.”

“E io e te siamo ancora migliori amici?” domandò Louis, confuso. “Quel tipo alto ha detto che-”

“È una lunga storia” lo interruppe Stan. “Non saprei nemmeno da dove cominciare a raccontartela.”
Louis aggrottò la fronte. “Com'è possibile che un estraneo si sia messo in mezzo alla nostra amicizia?” borbottò.

“Il fatto è che non è un estraneo, Lou”, cercò di spiegargli Stan, senza rivelare troppi particolari. “L'hai incontrato ad X-Factor nove anni fa, e da allora non vi siete più separati. Se si è messo in mezzo è perché lì ce l'hai voluto tu.”
C'era un leggero tono d'accusa nel suo tono di voce, e Louis preferì ignorarlo. Si grattò la nuca con fare pensieroso. “Cosa è successo in questi nove anni?” chiese infine. “Fammi un riassunto.”

Stan aveva un po' perso i contatti con Louis ultimamente, quindi non seppe precisamente come rispondere. “Vediamo...ci sono stati, uhm, vari cambiamenti nella tua vita. Per cominciare, tua madre si è risposata e ha avuto altri due gemelli, e-”
Louis trasalì. “Mamma ha lasciato Mark?” domandò, gli occhi sgranati.

Stan sospirò: ad ogni modo lo avrebbe scoperto da solo, e sarebbe stato peggio. “Sì, Louis. So che non ti piace questa cosa, ma-”

“Considero Mark il mio vero padre!” protestò Louis, interrompendolo di nuovo. Stan fece per aprire bocca, ma quando vide gli occhi di Louis sbarrarsi ancora di più ammutolì. “Altri due gemelli? Ma che cazzo-”
“Louis, per l'amor di dio, siamo in un ospedale” lo riprese Stan. “Calmati. Sentirti urlare così potrebbe spaventare qualcuno.”

Louis non si curò del suo rimprovero, cocciuto come se fosse tornato a- oh, giusto, Louis era tornato ad avere diciotto anni. “Devo parlare con mia madre. E con Mark.”
Stan alzò gli occhi al cielo, cambiando argomento. “Ho anche buone notizie.”

“Fammi indovinare” Louis alzò un sopracciglio, ironico e ancora alterato, “sono miliardario?”

.”

La risposta di Stan arrivò talmente velocemente, e con un tono così serio, che Louis non seppe inizialmente come reagire. Così Stan continuò.

“Fai parte di quella che in passato è stata la boyband più famosa al mondo, i One Direction” raccontò. “Ora siete adulti e prendete il vostro lavoro con più serietà, ma avete ancora successo.”

Le labbra di Louis si schiusero per la sopresa. “Stai scherzando” fece infine, scuotendo la testa.

“No, affatto. Anche Harry fa parte di questa band, e gli altri sono qui fuori.”
“Stan, non è divertente.”

“Sono serio!” sbottò Stan, incrociando le braccia al petto. “Fidati, Louis.”

Louis sbuffò, rimase in silenzio qualche istante e poi arrossì appena. “Quel ragazzo con i capelli ricci, Harry...”

Stan sorrise. “Non provare nemmeno a fingere quel tono disinteressato, Lou.”

Louis sgranò gli occhi, recitando palesemente. “Io? Perché dovrei essere interessato?” replicò, ma la voce gli si abbassò appena nel pronunciare l'ultima parola. Stan sapeva che gli piacessero i maschi sin da quando aveva sedici anni- ma a diciotto Louis era tutt'altro che pronto a fare coming out.

L'amico roteò gli occhi, lanciandogli poi un'occhiata eloquente. “I primi giorni ad X-Factor non facevi altro che parlarmi di lui. Di quanto lo ritenevi stupendo e di quanto avresti voluto portartelo a letto.”

Louis borbottò qualcosa fra sé e sé, appena in imbarazzo. “Beh, al dito aveva una fede.”

Stan rimase in silenzio. Louis aspettò per alcuni secondi che prendesse parola, ma quando non lo fece trasalì e Stan si spaventò, sobbalzando a sua volta. Probabilmente Louis sarebbe scoppiato a ridere, ma in quel momento era troppo impegnato a ricordarsi di respirare.

“Mi stai dicendo che- quel ragazzo lì è- proprio quel ragazzo lì è mio-”

Marito” lo precedette Stan, temendo che sarebbe soffocato, “è tuo marito, Louis. Siete sposati da tre anni.”

Louis esalò solo un verso strano, a metà fra la sopresa e la confusione. “Non ci siamo mai lasciati? Com'è possibile che la nostra relazione sia durata, quanto, cinque anni-”

“Nove” lo corresse Stan.

Nove” ripeté Louis, e sembrava sul punto di dare i numeri. Stan parlò per farlo tacere.

“Louis, Louis, calmati” gli intimò, e Louis fu talmente stupito dal suo tono adulto da zittirsi all'istante. “So che la tua vita familiare ha subito innumerevoli cambiamenti durante gli anni, sin da quando eri piccolissimo” gli disse, con tono fermo ma quasi dolce, “però questo non significa che Harry non sia la persona adatta per te, quella con cui fare una famiglia vera. Lo ami, Louis, e lui ti ama” spiegò con fermezza, “e non hai dubbi sulla vostra relazione, né ce li ha lui. Questa è una cosa seria, non è un gioco. Ci avete pensato bene prima di sposarvi, o di parlare di figli.”
Louis sbiancò. “Figli?” ripetè.

“No!” Stan stese in avanti le mani, temendo seriamente che Louis stesse per avere un attacco di panico. Aveva sempre odiato le responsabilità. “Non avete figli, Lou. Sta' tranquillo.”

Louis rifiatò. “Mio Dio, Stan. Ho una certa età, a quanto pare, non farmi rischiare l'infarto.”

Stan rise brevemente per la battuta; se Louis scherzava, voleva dire che riprendeva a ragionare. Gli lanciò un sorriso intenerito.

Louis se ne accorse subito. “Che hai da sorridere come un idiota?” domandò, delicato come nove anni prima. Stan grugnì una risata.

“Stai affrontando tutto così bene, Louis. Sono fiero di te. A quest'ora io sarei già preda di una crisi nervosa o di un crollo emotivo.”

Louis tirò un sorriso triste. “In realtà sono terrorizzato, Stanie. Non andartene, per favore.”

Stan gli strinse una spalla, sorridendogli rassicurante. “C'è Harry proprio qui fuori, Lou. Starà attento a te e, vedrai, basterà la sua presenza a tranquillizzarti.”

Lo guardò negli occhi: “fidati di lui. Immagino sia strano pensare che qualcuno che ritieni uno sconosciuto sia in realtà la persona più importante della tua vita, ma ti assicuro che lo è.”

Abbassò leggermente la voce, mantenendo a fatica gli occhi nei suoi, “e ti conosce meglio di quanto io ti conosca...”

Louis si morse il labbro inferiore. “Davvero?”

Stan sospirò e annuì. “Davvero.”

Entrambi rimasero in silenzio per quelli che parvero minuti interi. Poi Louis sembrò arrabbiarsi e sbottò, “però è davvero bellissimo, cazzo.”

Stan scoppiò a ridere. “Chissà in quanti gli mettono gli occhi addosso ogni giorno...” continuò Louis.

“Non è che non lo sappiano, Lou” rise ancora Stan, senza pensare a quel che stava per dire, “ci sono vostre foto su tutti i giornali e-”

“Aspetta” Louis sbiancò nuovamente, come realizzando il senso della parola marito solo in quell'istante, “mia madre sa che sono gay? Le mie sorelle sanno che sono gay? La gente sa che sono-”
Tutto il mondo sa che sei gay, Lou” sbuffò Stan. Louis boccheggiò qualche istante, prima che i suoi occhi si fissassero in qualche punto indefinito della stanza.

Stan deglutì, preoccupato. “Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Lo sanno tutti, e a tutti sta bene. Anzi, ci sono persino dei fan entusiasti che tu e Harry stiate insieme, sono incredibilmente supportivi. Dovresti vedere quanto sono felici per voi.”

“Oh mio Dio” mormorò Louis. “Quando- quando diavolo ho fatto-”

Louis non riusciva nemmeno a pronunciare quella parola, e Stan quasi si pentì di avergli detto la verità. “Hai fatto coming out cinque anni fa. Se lo aspettavano tutti, erano in così tanti a sospettare che tu ed Harry steste insieme da un pezzo.”

Louis chiuse gli occhi e inspirò a fondo, tentando di calmarsi. “Posso vedere...non so, delle foto?”

Stan scosse la testa, risoluto. “Le vedrai quando ti calmerai un pochino. Sei agitatissimo, Lou, e non dirmi di no: so ancora riconoscere quando fai finta di essere tranquillo.”

Louis si massaggiò le tempie. “Posso sapere almeno come diavolo sono finito in coma?”

“Hai fatto un incidente in auto” raccontò Stan, “hai girato le ruote prima di riprendere a guidare. Non hai fatto in tempo a spostarti quando un'altra macchina ti è venuta addosso.”
Calò nuovamente il silenzio, scandito solo dai loro respiri. Quello di Louis era ancora accelerato, ma secondo Stan era solo impegnato ad assimilare tutta quella massa di informazioni.

Fu lui, stavolta, a fare una domanda. “Qual è l'ultima cosa che ti ricordi?” chiese, incuriosito.

Louis ci pensò per qualche lunghissimo istante. “Io...non lo so” mormorò, pensieroso. “Ricordo di essermi trasferito a Londra, ricordo l'accademia teatrale, il negozio in cui ho lavorato...” elencò, stringendo gli occhi per scavare più a fondo nella propria mente. “E la casa in cui abito e-”

“Oh, la casa in affitto a Londra, intendi?” lo interruppe Stan. “Non abiti più lì, ovviamente.”

“Immagino che...” Louis lasciò in sospeso la frase, incerto.

“Sì, abiti con Harry” confermò Stan. “Avete una villa in periferia.”
“È una bella casa?”

“È enorme.”
“Beh” borbottò Louis, faticando per non lasciarsi scappare un sorriso, “direi che essere un cantante famoso ha i suoi vantaggi.”

Stan alzò gli occhi al cielo, scoppiando a ridere per il tono della sua voce. “E ora cos'altro vuoi sapere?”

“Raccontami di mia madre, delle mie sorelle. Raccontami ancora di Harry e della band.”

“D'accordo...”


*


Stan si chiuse silenziosamente la porta alle spalle, e Harry alzò subito la testa dalla spalla di sua sorella non appena udì il rumore della porta che si apriva.

“Mio Dio, Harry” sbottò Stan, spaventato, “sei un antifurto o qualcosa del genere?”
Harry non colse l'offesa, ancora intontito dal sonno. “Come-”

“Sta bene” lo anticipò Stan, “gli ho spiegato un po' di cose. La sua famiglia, il suo presente, e te.”

Harry si svegliò completamente solo al sentirsi nominare, ma Gemma parlò prima di lui. “Gli hai detto che sono sposati?” chiese, corrugando la fronte. “Non capisci che rischio hai-”

“Poteva succedere qualche catastrofe con il suo cervello, okay” ammise Stan, sollevando gli occhi al cielo, “ma non è successo. Per lo più, Harry, adesso puoi fare lo sdolcinato quanto ti pare.”

Gemma guardò Stan con occhi arrabbiati, invece Harry gli sorrise con gratitudine. “Davvero gli hai detto tutto?” chiese, contento. “E lui ha reagito bene?”

Stan annuì. “Gli ho raccontato di X-Factor, della band, del suo coming out. Gli ho detto che al vostro matrimonio ti sei vestito di bianco ed è scoppiato a ridere.”

Anche Harry rise, intenerito dai ricordi. “Ora gli hanno portato la cena, sta mangiando. Harry” cambiò tono immediatamente, guardandolo serio, “non penso che ci sia bisogno che te lo dica, ma meglio che tu lo sappia. È davvero, davvero spaventato da questa situazione, anche se cerca di non darlo a vedere.”

“Lo immaginavo” sospirò Harry. “Farò del mio meglio per tranquillizzarlo.”

Stan annuì, poi si stiracchiò e raccolse la sua giacca dalla sedia vuota accanto a quella di Harry.

“Beh, allora vado. Se avete bisogno sapete come contattarmi. In fine settimana sarò fuori città, ma fino ad allora sono a vostra disposizione.”

Fece per allontanarsi, mentre anche Gemma si alzava per andare a comprare qualcosa per cena al bar dell'ospedale. Harry fece per seguirla, ma all'ultimo momento tornò sui suoi passi e attraversò velocemente il corridoio che Stan aveva già oltrepassato.

“Stan!” chiamò, intravedendo la sua figura, fermandolo prima che uscisse dal reparto. Il ragazzo si arrestò e gli lanciò un'occhiata sorpresa, aspettando che Harry lo raggiungesse.

Quello che il ragazzo fece lo lasciò basito. Harry lo abbracciò, forte, stringendolo con affetto.

Sciolse l'abbraccio solo alcuni secondi dopo che anche Stan lo ricambiò, piuttosto goffamente visto lo stupore. Ma non si allontanò di molto, rimase a guardarlo negli occhi.

“Grazie mille” fece, con voce chiara e sincera. “So che io e te non siamo mai stati grandi amici” mormorò subito dopo, “ma quello che hai fatto per Louis oggi significa davvero tanto per me.”

Lo abbracciò nuovamente. “Grazie, Stan. Grazie sul serio.”

Stan iniziò a sentirsi in imbarazzo, adesso capiva perché Louis fosse tanto preso da lui: Harry sembrava una persona così...onesta. E guardava negli occhi con talmente tanta attenzione da far dimenticare tutto il resto del mondo.

“Stai tentando di sedurmi?” rise, per alleggerire l'atmosfera. Harry gli rivolse uno sguardo confuso.

“Lascia stare” scrollò le spalle il ragazzo, “era solo una battuta.”

Tornò serio in un secondo. “Ora è tutto nelle tue mani.”

“Lo so” replicò Harry, senza esitare. “Grazie ancora.”

Stan sorrise, finalmente spensierato. “So che ci puoi riuscire, Harry.”

Gli diede le spalle, e Harry rimase a guardarlo con un sorriso accennato finché non lo vide scomparire oltre la porta.


*


“È ancora qui, signor Tomlinson?”

Harry si stropicciò un occhio, rivolgendo un sorriso stanco ma gentile alla giovane infermiera appena uscita dalla stanza di Louis. “Suo marito sta bene, ormai. Perché non va a casa a riposarsi?”

“Non riuscirei a dormire lontano da qui, Amanda, lo sai” rispose, con tono educato. “E quante volte ti ho detto di darmi pure del tu?”

Amanda si lasciò scappare un sorriso, poi si morse il labbro inferiore, e infine si scostò i capelli dalla fronte. “Oh, al diavolo, non se ne accorgerà nessuno. Vuoi entrare?”

Harry rise. “Come al solito.”

Amanda gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, sembrava esausto. “Solo perché sei testardo.”

Harry alzò gli occhi al cielo. “Grazie, Amanda.”

“Vai dentro” rispose lei, con affetto. “Ti copro io.”

In quei due mesi, fra di loro si era sviluppata una sorta di amicizia. Inizialmente Amanda lo aveva riconosciuto e gli aveva chiesto conferma della sua identità, poi aveva cominciato a fermarsi a fare due chiacchiere con lui la notte, quando lo scopriva ancora seduto sulle poltroncine fuori dalle sale, incapace di dormire.

Harry le lanciò un ultimo sorriso, poi entrò nella stanza di Louis cercando di fare il minimo rumore. Anche quando Louis era in coma, aveva sempre avuto quella paura sciocca di svegliarlo durante la notte.

Quando Louis alzò però la testa dal cuscino per controllare chi fosse entrato, Harry si sentì il cuore leggero e pieno di gioia. Doveva ancora abituarsi all'idea di Louis sveglio.

“Oh, sei tu” commentò il ragazzo, mettendosi seduto. Harry gli sorrise, raggiungendo il fianco del suo letto e sedendosi sulla poltrona voltata verso di lui.

“Come mai non stai dormendo?” domandò, mettendosi comodo. “Sarai stanco.”

“Tu, piuttosto. Tu sì che sembri esausto. Perché non vai a casa?” replicò Louis. Si morse il labbro subito dopo, accorgendosi del proprio tono di voce. “Scusa, non volevo suonare infastidi-”

“Non preoccuparti” scosse la testa Harry, con una risata accennata. “Non mi va di andare a casa, ecco. Volevo...tenerti compagnia.”

Louis alzò un sopracciglio. “Mentre dormivo?” ribatté, scettico.

“Va bene, va bene” sorrise Harry, alzando scherzosamente gli occhi al cielo. “È che quella non è 'casa' senza di te, Lou.”
Louis si sentì stranamente arrossire. Quel ragazzo non stava flirtando, era serio e dolce e-

“Scusami” fece, timido, “troppo presto, vero?”

Louis sentì il bisogno di schiarirsi la voce. “No, no, capisco” si affrettò a rispondere. “Credo- credo che sia lecito, no?”
Lo sguardo gli cadde involontariamente sulla sua mano, e sulla fede che portava all'anulare. Fece per aprire bocca, ma cambiò idea; Harry intuì ugualmente i suoi pensieri.

“Ce l'ho io, la tua fede” sorrise Harry, sentendosi felice per quel nulla. “La tengo al sicuro, stai tranquillo.”

Il tono di questo ragazzo...era così strano. Uno strano bello. Come una ninna nanna.

Aveva un timbro profondo, dolce, tranquillo. Louis si mise più comodo nel letto, posando la guancia contro il cuscino e tenendo la testa voltata verso di lui.

“Quindi...nove anni...wow.”

Non voleva realmente dirlo, ma le parole gli uscirono di bocca da sole. Non si sentiva ancora pronto a trattare l'argomento con il diretto interessato.

“Non ci pensare ora, Lou. Ne abbiamo tutto il tempo.”

“Adesso dormi anche tu, no?”

“Sì. Ora sono più tranquillo.”

Il buio della stanza e la stanchezza stavano velocemente guidando Louis verso il sonno, il quale si limitò quindi ad annuire a rivolgere ad Harry un sorriso.

“Buonanotte, Harry.”

“Buonanotte, Lou.”


*

Louis rise rumorosamente, e Harry si svegliò di soprassalto.

Scattò dritto, lasciando lo scomodo schienale della poltrona e premendo le mani sui braccioli, svegliandosi all'istante. Si ritrovò due paia di occhi puntati addosso, sorpresi: quelli di Louis e di sua madre.

Li fissò qualche secondo senza nemmeno respirare e poi ricadde con la schiena sullo schienale, portandosi le mani sul viso e espirando con sollievo. Solo ora si ricordava che Louis si era svegliato il giorno prima.

“Uh, buongiorno anche a te?” commentò il ragazzo, divertito. Harry scostò le mani dal proprio volto, di nuovo calmo -anche se i battiti del suo cuore non ne volevano sapere, di rallentare un po' invece di scoppiare di felicità. “Sì, buongiorno.”

“Era ora che ti svegliassi, tesoro” disse Johannah con dolcezza, “finalmente hai dormito quanto si deve.”

Harry rivolse la domanda a lei, ma i suoi occhi erano incapaci di staccarsi da quelli di Louis. “Che ore sono?”

Johannah guardò il proprio orologio da polso. “Quasi ora di pranzo. Tua sorella voleva portarti da qualche parte per pranzare, non mi ricordo.”

Harry non gliene fece una colpa; anche lui riusciva a malapena a pensare ad altro che non fosse Louis è sveglio. Impiegò qualche secondo per decidersi ad alzarsi, segretamente impaurito all'idea di allontanarsi da suo marito.

Finalmente annuì, decidendo che comunque con sua madre sarebbe stato al sicuro. Non era mai stato così protettivo -fra loro due, era Louis il più geloso e possessivo- ma quegli ultimi due mesi avevano forzato il cambiamento. Aveva il terrore di perderlo di vista anche solo per un secondo.

Non fece nemmeno in tempo a perdersi nei suoi pensieri, che appena oltrepassò la soglia della porta dopo aver salutato, sua sorella lo afferrò per un braccio e gli sorrise.

“Ho prenotato al ristorante italiano a due isolati da qui. Da quant'è che non fai un pranzo decente? Avanti, andiamo!”

Lo trascinò letteralmente per le scale e nella sua auto, ignorando le sue risate e le sue false proteste. Solo quando si sedettero al tavolo, il suo sguardo si addolcì e gli prese una mano fra le sue.

“Sono così felice che tu sia felice” sorrise, “questi due mesi sono stati un inferno.”

“Puoi dirlo forte” conciliò Harry, ma anche lui non perse il tono contento. “Non posso ancora credere che sia sveglio.”

Gemma rise apparentemente senza motivo, e Harry la guardò confuso. La ragazza sorrise maliziosa.

“Ho una bellissima notizia” lo informò, “sai cosa ha detto la dottoressa Chittle?”

Harry scosse la testa, non cogliendo la nota ironica della sorella. “Purtroppo stavo dormen-”

“Louis tornerà a casa con te, dopodomani” sorrise la sorella, entusiasta. “Verrà con te. Non è fantastico?”

Harry sobbalzò. “Sul serio? Sarà dismesso così a breve?” chiese conferma, quasi incredulo. “E tornerà a vivere con me?”

“È quello che ho appena detto, Haz” sbuffò Gemma. Si addolcì nel vedere il sorriso felice, ancora stupito, che si disegnò lentamente sulle labbra di suo fratello. “È finita, Harry” disse sottovoce, come se fosse stato un segreto, “sta bene.”

Gli strinse più forte la mano, vedendo i suoi occhi diventare lucidi.

“È salvo, scricciolo.”



Angolo autrice


Eccovi il nuovo capitolo! Spero che questa storia inizi a piacervi.

Il titolo si riferisce chiaramente agli anni che Louis ha perso -quelli che ha trascorso con Harry.

In questa storia, Louis non crede molto nelle relazioni a lunga durata, perciò è importante far notare quanto sia stupito da questo fatto.

Purtroppo sono di fretta, e non posso dire molto altro- lasciatemi una recensione, se vi va!

A presto,



Seele

  
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