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Autore: Bolide Everdeen    12/11/2015    0 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 1, Fuyumi Albarn.]
I suoi occhi le si erano incagliati nello specchio, per osservare Cassandra Stonem. L'ultima volta, forse. E forse, l'ultima volta in cui avrebbe visto e notato come talmente detestabile uno specchio, probabilmente la causa di tutte le arroganze subite nella sua intera vita.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Stare

Aveva cinque anni. Osservava una figura di una bambina che si stagliava in un paesaggio identico a quello alle sue spalle; ricopiato per risaltarla, per contestualizzare e concederle di comprendere. Quello era il fenomeno; riprendere le sagome di una persona, traslitterarle su uno specchio, su una superficie, mostrarla a se stessa. E lei osservava quella figura di bambina che avrebbe potuto descrivere come lei. Chi era, veramente?

Non lo sopportava. Non sopportava il fatto che si tradisse con questo spudorato metodo; che appena si affacciava su uno specchio notasse quanto la realtà discordasse dalle sue idee su se stessa, quanto i suoi pensieri fossero solo una mimica di ciò che effettivamente avveniva. Niente. Non era vero, e non trovava modo per renderlo vero. Non il suo volto all'interno della sua mente. Non quello che era raffigurato dallo specchio.

Cassandra Stonem. Non riusciva a riconoscersi neanche in quel nome; in questo aggregarsi di suoni creato per un'altra persona, un'altra Cassandra Stonem, qualcuno disposto ad inchinarsi al passare dei momenti ed al passare degli specchi come i suoi genitori sembravano desiderare. Talvolta aveva paura che di notte la venissero a prendere; che la estraessero dal letto e la privassero di quella vita che stava conducendo. Le caramelle, forse. Le caramelle erano un motivo per rimanere, in più la scuola stava per iniziare, poteva arrecarle nuove idee, nuove conoscenze, l'abilità di scrivere, di comunicare in qualche implicito modo i suoi pensieri. Non li chiamava “pensieri”. Era troppo distante dal conoscere una parola simile. Li chiamava uccelli che si aggiravano per la sua mente e le suggerivano parole addirittura improbabili per la situazione. Ma li accettava. Perché quegli uccelli era quanto mai divertenti, l'unica sua evidente speranza di continuare.

Cassandra Stonem. Veramente, Cassandra Stonem?

No. Probabilmente, no. Nessuna Cassandra Stonem nello specchio.

***

Aveva dieci anni. E osservava una ragazza, o una preadolescente, comunque volessero classificare la sua età, squadrare austeramente lo specchio. Chi sei, tu. Perché continui a rimanere qui, continui a conservare il tuo silenzio, continui a non essere ed ad impersonarti come la ragazza dello specchio. Sai chi è lei, lo sai? Nessuno. Non esiste. È un'impressione. Credevo che tu l'avessi compreso. Cassandra depose i suoi occhi, allontanandoli da quelli del riflesso, e quella sagoma la imitò come se non avesse nessun'altra scelta. È vero che non aveva nessun'altra scelta? Sì, perché era solo un riflesso.

Ma si stava rivolgendo a se stessa, e non lo aveva notato. Domande di una voce ancora più interna, un rimorso ancora più acuto che aveva l'obiettivo di annullare tutte le fiamme che si stagliavano i direzione del specchio, renderle una corazza, un gradino per elevarla. Fortificarla. Perché si riduceva fino ad osservarsi nello specchio e rimpiangere, rimanendo inerte?

Ormai non temeva più di essere sostituita di notte. Lo considerava un pensiero puerile; in più conosceva abbastanza i capitolini per comprendere la loro ostinazione. La loro attitudine era tentare di plagiare le persone, esibendo lo sfarzo come se fosse un carattere positivo, per manifestare tutta la loro onnipotenza o il desiderio di essa; cercando di ottenere e senza mai capire. Senza mai capire. Suo padre, sua madre; le persone che pretendevano di essere tali. Non lo erano.

Aveva abbandonato le bambole. Era un processo che si era già avverato a sei anni, quando aveva avuto un alibi per rimpiazzare il loro utilizzo con i compiti. Le piaceva studiare, ma le pareva che ci potesse essere qualcosa dietro alle pagine e alle parole, qualcosa di occultato, che le avrebbe concesso di ergersi ancora di più rispetto alla sua attuale verità. L'unica sua certezza era che nessuno fosse nessuno. Non secondo i documenti i quali riportavano il suo nome.

Si accorgeva che metà dei suoi pensieri non avevano un senso persino per lei. Eppure non li rinnegava. Si divertiva a sfigurarli fino a donargli un significato, traslare parole per renderli reali. Perché sapeva che, al di sotto di tutta quella apparente follia, si trovava della verità. E la verità era nella sua vista, ciò che le ispirava. Il ripugno per la figura riflessa.

Cassandra Stonem. Dieci anni.

Quanto tempo avrebbe dovuto ancora sopportare?

Avrebbe anche potuto evitare di sopportare?

***

Aveva quindici anni ed era rimasta ipnotizzata da quei due occhi preganti all'interno di un riflesso. Nel buio, a causa della luce della luna che trapelava dalle finestre, riusciva a scorgere quello sguardo. Forse, qualcosa di reale c'era. La coscienza che non avvertiva più; la coscienza materiale la quale l'aveva assicurata a quel posto fino a quel momento. Il momento in cui aveva deciso di scomparire, di volatilizzarsi, di unirsi ai raggi della luna nella notte.

Vari oggetti erano contenuti nella sua valigia. Vestiti di salvezza, senza alcuno sfarzo e di estrema praticità, provviste per qualche giorno, l'indispensabile in soldi, qualche lettura fra cui uno riferito alla sua cultura preferita, quella giapponese, una delle misere salvezze che la scuola le aveva donato oltre alle attività basilari. Leggere; scrivere. Erano state anche la sua condanna. Stranamente, le trovava più adorabili accorgendosene.

Leggere perché si dedicava prevalentemente a testi disdegnati dal resto della sua classe, o anche dal resto della capitale, risalenti anche a prima della creazione di Panem. Libri degli anni duemila, novecento, talvolta addirittura dell'ottocento; chi poteva essere tanto folle da leggerli? Eppure, riusciva a trovare la sincerità solo in quelli. Non nelle trite storie d'amore fra due persone cieche, fondate su quel motivo. E scrivere... perché non riusciva a mentire mentre scriveva. Aggiudicandosi in questo modo il sospetto dei suoi professori, e dai professori al preside, e dal preside ai genitori, e dai genitori all'intera città. La osservavano, scorgevano la sua pressoché totale assenza di trucco, la riconoscevano. Cassandra Stonem, la nota stonata dell'intera città. Adorava quella condizione. Era cosciente che era la sua ultima alternativa.

E l'aveva posta in una situazione di pericolo. Una situazione la quale l'aveva condotta a quella decisione: partire. Scomparire da quella villa, da quel ripetitivo posto che creava un folle e bruciante astio ogni volta in cui lo vedeva; quel posto che provocava la sua malattia. L'aria stagnante in esso. Dato che probabilmente presto l'avrebbero fatta scomparire, perché non scomparire in autonomia? Aveva deciso di andare nel distretto 1, poiché era il più vicino. Il treno era quella notte, si sarebbe imbarcata come clandestina per non destare dubbi. La sua abilità doveva concentrarsi nell'invisibilità. E nel rimanere invisibile, normale, comprensibile nel distretto di arrivo; confondersi fra al gente, quella che conduceva una vera vita al di fuori di tutte le menzogne di Capitol City, e lì sfogarsi con tutti i gesti che si erano intrappolati nelle sue braccia durante quel tempo.

I suoi occhi le si erano incagliati nello specchio, per osservare Cassandra Stonem. L'ultima volta, forse. E forse, l'ultima volta in cui avrebbe visto e notato come talmente detestabile uno specchio, probabilmente la causa di tutte le arroganze subite nella sua intera vita.

***

Aveva sedici anni. Un frammento di vetro sul terreno si era rivelato differente dalle sue credenze: si era piegata su di esso, e aveva visto in esso l'immagine riflessa di una ragazza, un'antica conoscenza sotterrata dai mesi e dai giorni trascorsi lontani da dove lei era stata generata. La riconosceva, allora. Aveva qualcosa di più reale, di più affidabile alla sua identità. Come tutti gli eventi attorno a lei.

«Fuyumi!» Una voce da dietro, una tonalità presentata in svariate occasioni alle sue orecchie. Una voce la cui missione non era quella di formare, di portare una persona ad inginocchiarsi, a confonderla con la rumorosa e colorata folla. Uno dei sei componenti del suo gruppo, le uniche persone oneste mai conosciute in tutta la sua esistenza. Anche il distretto 1 aveva mostrato l'influenza dello specchio, la vicinanza con i padroni nella vanità. Però, Cassandra aveva trovato loro, e questo le aveva concesso di fermarsi. Di poter raggiungere una minima ed apparente pace. Il silenzio per qualche tempo.

«Arrivo.» Cassandra si alzò, ripetendo mentalmente il modo in cui si erano rivolti a lei. “Fuyumi”. Mostrandosi la conformazione del suo volto, non più quella di Cassandra Stonem, capitolina, bensì quella di Fuyumi Albarn, una “ragazza d'inverno”, secondo il giapponese. Quando era stata obbligata a scegliere un nuovo nome, si era affidata alle sue conoscenze del giapponese. Due parole per descrivere se stessa, in modo piatto ed altisonante. Le erano bastate.

Era rimasta sorpresa. Gli specchi non erano il perno della vita, non più. Se ne era accorta, e sorrideva di questa considerazione mentre seguiva i suoi compagni.

Era sempre stata differente. Aveva abolito ogni vita precedente distruggendo la visione della sua figura; aveva perso ogni senso della realtà conquistandolo.

 

Spazio autrice

So perfettamente che non è credibile. Ma, ahimè, non ho cinque anni da nove anni e dieci da quattro. E non riesco ad immaginarmi i pensieri di una bambina. Un'altra testimonianza di quanto sia una pessima scrittrice. Be', passiamo oltre.

Ventesima one shot della serie “500 – Behind the scenes”, che narra episodi di vita dei protagonisti della fan fiction interattiva “500” (perciò: i personaggi non sono miei). Qui abbiamo Cassandra Stonem, ufficialmente Fuyumi Albarn, tributo del distretto 1. Non vado oltre.

Un saluto a (molto) eventuali visitatori,

Bolide

P.S.= il titolo è derivato dal verbo inglese “to stare”, “fissare”, e non dall'italiano “stare”.

  
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