Ehilà! Sono tornata!
Non spedo parole inutili per scusarmi, visto che è colpa mia, ma
ringrazio di cuore gli angeli che mi hanno aspettato e quelli che
leggeranno.
Da qui parte la narrazione di Bella. Il capitolo sarà incentrato
sulla prima parte del loro incontro. Non svelo nulla, avviso solo che
questo capitolo farà sorgere più domande che risposte. ^^
Rosalie_Hale_Cullen: Scusa il ritardo, ecco l'aggiornamento.
Toru85: Eccoti qua! Scusami, altro capitolo misterioso. Ma da prossimo prometto di darti qualche risposta... se tu mi farai le domande
Finleyna 4 Ever: Sorella gemella prezemolina come me regina del sarcasmo! PIacere di risentirti! Non ti preoccupare, il mio computer è messo peggio... bene, eccoti l'aggiornameto di questa storia. Questa sera quello di SOLO GRAZIE A TE. Aspetto i tuoi commenti.
Ele_Cullen: Eccoti accontentata!
Minako chan: Spero gradirai
Your arrive, my awekening
Il vostro arrivo, il mio risveglio
L’avevo raggiunta.
Non so come, non so con quali
forze, ero riuscita a raggiungere il luogo del mio inferno, il Paradiso in
mezzo alle fiamme dell’Ade.
La fatica immane che mi era
costata per arrivare fin lì, i muscoli doloranti, il freddo e l’angoscia al
pensiero di non trovare nulla svanirono in un attimo non appena i miei occhi si
riappropriarono dell’immagine della radura, del nostro posto, della nostro
segreto….
… della nostra fine….
Fuoco. L’incendio divagò doloroso
nel mio corpo, sprigionandosi dal mio cuore per tutto il mio essere. Fuoco
infernale, fuoco indomabile, fuoco atroce. Ma, più doloroso e insopportabile
del dolore in sé, furono i ricordi.
La consapevolezza che tutto era
finito.
Che il mio sogno si era infranto.
Che lui non sarebbe tornato mai
più
Mi trattenei dal gemere per il
dolore, per la tristezza, per i ricordi. Per la consapevolezza che, senza di
lui, quel posto non valeva nulla. Non aveva niente di speciale. Era solo una
stupidissima landa ghiacciata in mezzo alla foresta.
Perché mi stavo illudendo? Perché
continuavo a soffrire per lui?
Ero un idiota. Ero un’illusa. Ero…
umana.
Il disgusto che provai nei miei
confronti fu immenso.
Lo sapevo che non ero nulla.
Lo sapevo che non mi sarei mai dovuta illudere.
Lo sapevo, eppure non avevo badato al mio raziocino che mi metteva
saggiamente in guardia e mi ero lasciata trascinare in un sogno, sperando, pregando perché si trasformasse in
realtà.
Era stato tutto inutile.
Dopo un momento di mutismo
interiore, rotto solo dallo straziante bruciore che mi lacerava le membra,
chiusi gli occhi, e un flebile sorriso privo di allegria comparve sul mio viso
Mpf, alla fine l’ho trovata, pensai, Credevo che l’avrebbe distrutta... Si vede che aveva una gran fretta...
Sentii gli occhi bruciarmi
terribilmente, ma non ne uscì una lacrima. Non mi erano rimaste più, ormai.
Lentamente, sconfitta e più vuota
che mai, mi sedetti sulla neve e portai le ginocchia al petto, cingendole con
le braccia.
Nascosi il viso e mi raggomitolai
su me stessa, mentre una sola parola, in mezzo al vortice di ricordo mi risuonava
nella mente.
Inutile.
Inutile io, i miei sogni, le mie
speranza; inutili i miei sacrifici, le mie lacrime, le mie emozioni.
Inutile ogni istante passato
lontano da lui.
Tremai scossa da un singhiozzo
interiore, mentre il vento gelido mi colpiva le spalle.
Doveva essere gennaio, forse. Almeno
credevo.
Ormai il tempo non aveva più nessuna importanza. Niente e nessuno aveva più importanza. Non da quando lui se ne era andato.
Un dolore lancinante mi trapassò il cuore, lasciandomi
boccheggiane per un secondo.
No, no... non
poteva essere vero. Non ci credevo, non riuscivo ad accettarlo.
Dopo tanti mesi ancora
non riuscivo ad accettarlo.
Se n’era andato. Era partito senza di me, con le persone a
lui veramente care, senza voltarsi
indietro, senza darmi una motivazione chiara e precisa.
Mi aveva lasciato. Per
sempre.
Non sarebbe mai più
tornato.
Mi aveva detto di vivere la mia vita, di dimenticarlo.
Ma come potevo farlo? Come potevo dimenticare l’unico
periodo in cui avevo vissuto veramente?
I momenti
trascorsi insieme...
Il suo volto angelico...
La sua risata dolce...
I suoi baci... le
sue carezze...
I suoi occhi d’oro
liquido...
Il cuore mi bruciò in petto. Chiusi gli occhi e tentai di
tranquillizzarmi. Non riuscivo a cancellare i suoi ricordi dalla mia mente. Non
riuscivo a smettere di amarlo.
Non ci riuscivo. Né
tanto meno volevo smettere.
Mi aveva detto di vivere la mia vita, senza ripensamenti. Ma
come facevo a vivere se l’unica ragione della mia esistenza era partita e mi
aveva abbandonato?
C’era un modo?
Se anche fosse, non volevo scoprirlo.
Nonostante il dolore che i suoi ricordi mi scatenavano,
nonostante i ricordi mi tormentassero in ogni momento, mi rifiutavo di
cancellarlo dalla mia vita. Forse perché la mia vita era lui.
La mia anima, la
mia esistenza, l’aria che
respiravo... potevo farne a meno, sarebbe bastato lui, la sua presenza, a donarmi
la vita. La sua presenza mi forniva, anzi, continuava a fornirmi l’energia per
tirare avanti.
Benché, in effetti, da quando se n‘era andato la mia vita si
era come fermata.
Tecnicamente ero viva, ma in uno stato di zombie; mangiavo,
dormivo, lavoravo, andavo a scuola... fingevo di vivere per far contenti i miei
amici e la mia famiglia, ma non me ne importava granché. Non partecipavo più
alle attività scolastiche, non avevo più alcun rapporto sciale, non andavo più
da nessuna parte.
Vivevo perché il mio cuore batteva, i miei polmoni
funzionavano e il mio corpo era intero.
Persino il mio corpo sembra contro di me. Perché si ostinava
a vivere se la mia unica ragione di vita era sparita dalla mia vita? Perché non morivo?
Lui se n’era andato.
Cosa mi impediva di porre fine alle mie sofferenze?
Il mio cuore
l’aveva seguito; la mia anima era
con lui. Allora, perché non potevo abbandonare il mio santuario ormai vuoto e
oscuro? Con la sua partenza mi aveva tolto tutto; le mie parti più importante,
quelle che lui, forse, amava di più, l’avevano seguito. Vivevano con lui.
Oramai non mi restava più spazio per nulla se non il dolore
del vuoto, della separazione.
Non ero più umana.
Non ero un vampiro.
Non ero nulla senza di lui.
Ma tiravo avanti, forse nella vana e sciocca speranza che
tornasse.
Che avesse davvero, almeno in un primo momento, provato
qualcosa di forte per me.
Perché ricordavo, anche se faceva male. Ricordavo i momenti
passati con lui. Ricordavo lo sguardo dolce, caldo che mi rivolgeva quando mi
fissava, anche solo per un istante. La voce che usava quando mi parlava. Il
tocco dolce, le labbra morbide....
Strinsi i denti, mentre una lacrima solcava la mia guancia.
Basta, basta, basta. Non ce la facevo più.
Non potevo sopportarlo, bruciava troppo. Non riuscivo a
sopportare, a ricordare... non riuscivo neanche a pronunciare, a leggere, a
pensare il suo nome.
Il suo o quello di qualcuno della sua famiglia.
La nostra famiglia.
Ricacciai tutte le immagini indietro, sigillandole dietro un
muro di cemento. Un muro che ogni notte, ogni volta che abbassavo la guardia,
si sbriciolava con facilità.
Non riuscivo a non pensare a loro.
Mi odiavo. Odiavo
me stesa perché ero stata la causa della loro partenza.
Odiavo me stesa perché avevo stravolto le loro esistenze.
Odiavo me stesa perché ero venuta in quella stupida città, e
mi odiavo ancora di più perché non riuscivo ad abbandonarla.
Odiavo tutto ciò che mi rendeva così schifosamente umana. Non
riuscivo più a sopportare la mia immagine riflessa.
La mia pelle, già di per sé pallida, era ormai cadaverica,
di uno strano tono giallo-verde, da malata. Gli occhi erano infossati, marcati
da lunghe e scure occhiaie, due pozze di nera pece senza nessuna luce, quella
luce che lui adorava come il colore dei miei occhi...
Odiavo tutto di me, perché mi faceva ricordare quanto fossi
mediocre, quanto fossi scialba, indegna di lui.
Un’altra folata di vento gelido
mi fece rabbrividire.
Non ce la facevo più a restare
lì, me ne dovevo assolutamente andare o sarei morta per il dolore.
Era incredibile… dopo tutto
quello che avevo passato qualche mese prima, quando mi ero ritrovata a un passo
dalla morte per proteggere il mio amore, era a causa sua che mi stavo
lentamente spegnendo.
Che ironia.
Era proprio vero: feriscono più
poche semplici parole che un migliaio di frecce.
Perché ero tornata lì? Ero
davvero masochista fino a qual punto?
Non potei impedire alle immagini
di tornarmi a scorrere nella mente.
Non era vero. Tu eri tutto ciò che una donna… che io volessi. Eri il mio sogno, eri la
mia luce, eri la mia vita. E continui ad esserlo, da qualche parte nel mondo.
Sono io che non esisto più senza di te.
Ma questo non l’hai capito….
…Non
voglio che tu venga con me.…
Ma io si. Voglio stare con te per l’eternità, voglio rimanerti accanto per tutta la tua esistenza, per tutti i giorni che illumineranno la tua vita. Però tu questo non l’hai mai capito; non hai mai provato a soffermarti sulla mia concezione del nostro rapporto, forse perché [un tempo] volevi solo il mio bene. Ma se ne avessimo parlato, se ci fossimo chiariti subito, adesso…
…Sono
stanco di fingere un’identità non mia…
Hai sempre finto di amarmi, allora? Hai finto di interessarti a me, ti tenere a me, di… Sono stata io a obbligarti a portare una maschera fasulla, che tu odiavi? O ti sei semplicemente accorto di quanto io sia insignificante?
…Tu
non sei la persona giusta per me, Bella…
Io l’ho sempre saputo. E te l’ho detto. Non sono mai stata una bella donna, né interessante, né più dotata di altre persone. Io sono insignificante. Ma eri tu che ogni giorno mi ricordavi quanto fossi speciale, mi illudevi che ero quella giusta per te, che avevo doti che nessun’altra aveva, che ti affascinavo per quello. E ora mi chiedo: era solo per il mio sangue che mi stavi vicino?
Per dimostrare che potevi controllarti?
…A
quelli come basta poco per trovare una distrazione…
Una distrazione, un trastullo… come lo ero stato io fino a quel momento? Avresti cercato in qualcun’altra ciò che io non potevo darti? Ciò che mi mancava, ma che fino a poco tempo fa mi avevi detto che possedevo in quantità? Per te sarà facile, tu puoi avere sempre il meglio…
Tu…
non… mi vuoi?
No
Le lacrime scesero copiose dalle
mie guance, in silenzio.
Non avevo la forza di combattere il dolore.
Non avevo la forza di smettere di
pensare a lui.
Non avevo la forza per vivere,
semplicemente.
Ero tornata in quel posto speciale,
e mi ero fatta del male. La voragine nel mio petto si era intensificata,
quadruplicando il mio dolore. Non lo credevo possibile.
Dovevo muovermi, tornare a casa.
Ma il mio corpo non mi rispondeva.
Dopo ore, o forse mesi o anni
chissà, le mie lacrime si fermarono.
Decisi di tornare a casa, di fare
qualcosa prima che il dolore mi assalisse di nuovo.
Mi alzai e mi asciugai le lacrime
dalle guance, tremando [di freddo o di dolore?]
Stavo per voltarmi verso il
sentiero da cui ero venuta quando, tutto a un tratto, una brezza proveniente
dal folto del bosco mi fermò, portandomi un odore a me stranamente famigliare.
Mi voltai e iniziai a scrutare il
folto degli alberi.
L’istinto, per un secondo, mi
suggerì di fuggire. Ma una voce
interiore, più forte e potente, mi ordinò
di restare al mio posto, in attesa.
Sentii che qualcosa di importante era vicino.
Qualcosa di vitale importanza stava per ricongiungersi a me.
Trenta.
Un minuto…
E poco dopo li sentii.
Passi. Troppo veloci per essere umani. Una
corsa a me famigliare.
Ed eccoli spuntare dal folto
degli alberi, fermandosi con grazia di fronte a me, dall’altro capo della
radura.
Quattro creature assurdamente
belle e perfette.
Quattro angeli dalle ali nere.
Quattro vampiri dai volti sconosciuti, ma stranamente famigliari allo
stesso tempo.
Mi immobilizzai, trattenendo il
respiro, la schiena appoggiata al tronco di un albero.
E li studiai mentre i nostri
sguardi si fondevano.
Erano tre uomini e una donna, di
una bellezza inimitabile.
Due di loro, che dimostravano
apparentemente diciotto e diciannove anni, erano molto simili: stessi capelli
biondo pallido, stesso corporatura, stessa espressione sbalordita sul volto
candido.
Il primo, leggermente più alto,
portava i capelli acconciati in un lungo codino biondo, il viso ovale dai
lineamenti nobili sgomento; il secondo, invece, aveva i capelli corti, con una
frangetta a coprirgli la fronte, i lineamenti delicati e fini.
Sembravano due principi
L’altro uomo era sicuramente più
grande di loro, quasi sulla trentina, a occhio e croce: moro, con i capelli
corti e leggermente mossi, aveva una corporatura più robusta dei suoi compagni,
il viso mostrava un’aria più prudente, in qualche modo calma e pacifica,
saggia.
E l’ultima… era stupenda.
Alta, di una bellezza
stupefacente anche per i canoni dei vampiri, doveva dimostrare almeno vent’anni.
Corpo formoso, grazia impeccabile, lineamenti delicati e morbidi… e lunghissimi
capelli neri a coprile la schiena.
Quel nero corvino che mi mancava
terribilmente…
Ma ciò che mi colpì di più,
furono quei quattro paia di occhi di uno stupefacente oro caramellato che mi
studiavano rapiti, quasi a volersi colmare della mia vista.
Così dannatamente famigliari…
Un battito di ciglia, e i quattro
vampiri si mossero.
Mi ritrovai stretta in un
abbraccio gelido, sovrastata dai quattro.
Sollevai di poco gli occhi,
troppo stupefatta per muovermi, e vidi i loro visi immersi tra i miei capelli,
sollevati, commossi.
Che cosa significava?
Chi erano?
“Finalmente, Isa…” mormorò la
mora con voce spezzata dalla commozione. La sua voce era soave e delicata,
dolce. “Finalmente sei qui…”
“Sei tornata da noi, piccola”
disse quello col codino
“Ti abbiamo ritrovato” disse
l’altro “Non ti lasceremo mai più, Isabella, mai più”
“E non ti permetteremo di
allontanarti un’altra volta” concluse quello moro
Non capivo, non riuscivo a
capire.
Come facevano a conoscermi? Che
cosa volevano?
Io non li conoscevo, non li avevo
mai visti prima…
… e allora perché li sentivo così famigliari, così vicini a
me? Perché desideravo che quel abbraccio non finisse mai?
Sentii un verso sorpreso
provenire dalla vampira bruna, che aprì gli occhi di scatto e mi rivolse uno
sguardo ancora più stupefatto del primo.
“Ma che…?” disse, mentre gli
altri scioglievano l’abbraccio e mi fissavano
La vampira mi toccò gentilmente
lo stomaco, come a tastarlo, mentre i suoi occhi uscivano quasi fuori dalle
orbite. Mi girò intorno tre volte, osservandomi nei minimi particolari, prima
di fermarsi davanti a me, togliermi il capello e infilarmi il viso tra i
capelli. Il suo profumo mi stordì; com’era buono e famigliare…
Stupefatta, poso l’orecchio sul
mio petto per qualche secondo, per poi staccarsi e cacciare un piccolo urlo,
portandosi le mani alla bocca.
Io ero letteralmente pietrificata
dalla sorpresa.
“O SANTO DRACULA!” gridò, orripilata
“Che c’è? Che le è successo?”
chiese ansioso quello biondo con codino
“Lei… lei…” esclamò scioccata.
Sembrò che i suoi occhi si fossero riempirsi di lacrime.
“Oh, mia piccola Isa!” singhiozzò
lanciandosi contro di me e stringendomi forte al suo petto, nascondendosi tra i
miei capelli “Che ti è successo?! Come hai fatto a ritornare umana?!”
“CHE COSA?!” urlarono i suoi
compagni, increduli
“Ma non lo sentite?!” singhiozzò
disperata quella, quasi soffocandomi tanto mi stringeva forte “Lo sentite il
battito del suo cuore, o sto uscendo di testa? E poi è bollente! Oh, mia piccola Isabella!”
Nascose il volto marmoreo nel mio
collo, singhiozzante. Io rimasi perfettamente immobile, stupefatta.
Ma chi erano questi? E come mai
mi conoscevano?
E perché mi credevano vampira?
“Isa... Isabella...” continuò a
gemere
“Non è possibile che sia tornata
umana!” esclamò frustrato il biondo dai capelli corti “Non è possibile, la
trasformazione non è reversibile! Ci dev’essere una spiegazione, per forza!”
“Sarebbe il primo caso nella
storia della nostra specie che si sia verificato” disse ansioso il moro “Sempre
se di questo si tratta”
“Còmo es possible?” esclamò angosciato
l’altro biondo, portandosi una mano sulla fronte, l’espressione addolorata “La
nostra nĩna non può e non deve essere
tornata umana! No acepto!
No acepto, no acepto, no
acepto! Non per un nostro errore!”
“Non vedo... non capisco, maledizione! Non capisco come
accidenti sia possibile che si sia ritramutata in un essere umano se sono millenni che è una vampira” ringhiò
l’altro biondo “L’unica cosa che mi viene in mente, al momento, è che ci possa
essere il loro zampino...”
Quattro ringhi sommessi nacquero
nei loro petti; la presa della mora attorno a me si fece più stretta, protettiva.
“Non temere, Isa” sussurrò per
rassicurarmi “troveremo una soluzione. Non ti lascieremo da sola”
Fremetti tra le sue braccia,
sbalordita.
Che cosa stava succedendo?
Chi erano quei quattro? Che cosa
volevano da me?
E perché diavolo credevano che io
fossi in precedenza vampira, quando io ero così maledettamente umana?
Troppe domande mi vorticavano in
testa, troppe emozioni nel mio cuore.
Sapevo che dovevo fare qualcosa,
qualsiasi cosa per smuovere la situazione, eppure...
Non volevo.
Nonostante non li conoscessi,
nonostante non sapessi che intenzioni avessero, se fossero psicopatici o meno,
se mi volessero fare del male o no, non riuscivo a bloccare quella sensazione
di famigliarità, quasi di calore che provavo nell’osservarli.
Attraverso uno spiraglio
nell’abbraccio della vampira riuscivo ad osservare i tre uomini discutere animatamente
a bassa voce su di me; le espressioni erano tutte ugualmente preoccupate e ansiose,
ma avevano un modo diverso di dimostrare le loro emozioni.
Il moro manteneva un contegno dignitoso,
sebbene una ruga di preoccupazione gli solcasse la fronte bianca. Le mani
incrociate, la posizione tesa, ascoltava ogni singola parola che il biondo con
i capelli corti stava dicendo, perso nei suoi ragionamenti.
Il biondino parlava guardandolo
fisso, concentrandosi su di lui. Il suo corpo fremeva, sembrava vibrare per il
nervosismo e l’impotenza che lo dilaniava. Il volto era una maschera di
concentrazione, rabbia e dolore.
L’altro, invece, non cercava di
nascondere la sua preoccupazione in alcun modo. Stringeva i pugni lungo i
fianchi, tremando, concentrato sul discorso, ma con un’espressione addolorata e
struggente.
“Sta tranquilla” continuò a
ripetermi piano la vampira, accarezzandomi i capelli “Ci siamo qui noi”
Non capii se si rivolgeva più a
sé stessa che a me.
Un singhiozzo soffocato le nacque
in petto, mentre continuava a cullarmi e a sussurrare di stare tranquilla.
Le loro espressioni addolorate,
la loro sofferenza che in un attimo mi era sembrata così familiare, così sbagliata per loro... mi fece reagire.
Non volevo che stessero male. Per
non so quale assurdo, inspiegabile motivo non volevo che loro soffrissero. Non
sapevo perché, ma dovevano essere felici.
Non aveva molto senso, io non li
conoscevo. Ma non ci badai in quel momento.
Non badai a nulla se non a loro.
Loro, quattro perfetti
sconosciuti.
Che dovevo aiutare.
Mi separai delicatamente dalla
mora, che rimasta sconvolta dal mio gesto restò a fissarmi ammutolita. I tre
uomini si voltarono a fissarci, attenti.
Io posai lentamente un palmo
sulla guancia perfetta di lei, sfiorandola con dolcezza e lasciandole il tempo
di scansarsi se non avesse gradito il contatto. Ma lei chiuse gli occhi e cercò
con scarsi risultati di mascherare il dolore e il sollievo che quel mio piccolo
gesto le procurava dentro. Sapevo che se ne avesse avuto la possibilità sarebbe
scoppiata in lacrime.
“No. Non piangere” sussurrai. La
mia voce era arrochita dal troppo tempo passato in silenzio, e indusse la
vampira a riaprire gli occhi, lanciandomi uno sguardo preoccupato.
“Isa, che è successo alla tua
voce?” chiese apprensiva stringendo la mia mano tra le sue.
Scossi il capo. “Bella” dissi “Il
mio soprannome è Bella”
I quattro si scambiarono uno
sguardo sorpreso, tornando poi a fissarmi.
“Non... non ti è mai piaciuto”
sussurrò dopo qualche secondo il biondo, mentre quello con i codino si
avvicinava “Ci hai sempre detto... che non era tuo. Che tu non eri Bella”
“Come Isa non sono io” mi sentii in dovere di chiarire; in qualche
modo, anche se non capivo come, quel suo discorso aveva un senso. Il guaio era
che, sebbene lo capissi a grandi linee, non riuscivo a ricordare – o a scoprire
– perché, su quale base le sue parole
mi erano famigliari.
Perché loro mi erano famigliari?
“Qual è il tuo nome, ragazza?”
chiese cortese il moro
“Isabella Swan, per l’appunto
Bella” spiegai volgendomi verso di lui.
Mi studiarono intensamente, più
sorpresi di quanto non lo fossero fino a tre secondi fa.
“Non può essere...” chiese la
mora
“E quanti anni hai, Bella?”
proseguì lui
“Di-diciotto” ricordai con un
fremito chiudendo per un attimo gli occhi
“Stessa età” sibilarono in coro i
due biondi
“Ma sono nata il 13 settembre del
“COSA?!” urlarono “Ma... ma... MA
NON È POSSIBILE!”
“Tu non sei Isabella?!” esclamò
la mora afferrandomi per le spalle e facendomi voltare verso di lei
“Non la vostra” dissi imbarazzata
“Ma non è possibile! Sei tu per forza!” esclamò lei abbracciandomi
“Sei tu, sei tu, sei tu! Devi essere tu! Stessa età, stesso corpo, stessa voce,
stesso viso... accidenti, ti conosco da tre secoli!”
“Mi conosci da quanto?” non potei
fare a meno di domandare. La sua età era pari a quella....
“Va beh, forse è meglio dire due,
ma non c’entra ora!” liquidò lei “Tu mi conosci! Tu devi conoscermi! Io non ti permetto di cancellarmi dalla tua
memoria, Isabella!”
Si gettò contro di me e mi strinse
forte, affondando il viso nell’incavo del mio collo, singhiozzando.
“Per favore, Isa, per favore!” singhiozzò “Tutto ma non
questo! Ti prego, non dimenticarti di me!”
Raggelai tra le sue braccia,
ancora.
Quante volte avevo sussurrato
quella frase, negli ultimi mesi?
Quante lacrime avevo versato
mentre la ripetevo sussurrando, come una macabra litania, pregando con tutte le
mie forze che, ovunque fossero [fosse], esaudissero questo mio ultimo
desiderio?
Portai una mano sui suoi capelli
e li accarezzai piano, sorprendendomi del loro profumo delizioso.
Una stretta al petto mi fece
tremare.
“Mi dispiace” sussurrai “Non ho
tuoi ricordi. Io non ti ho mai conosciuto”
Un singhiozzo più alto degli
altri mi fece dolere il petto, e mi affrettai a continuare.
“Ma se vuoi possiamo costruircene
insieme”
La vampira si separò da me e mi
rivolse uno sguardo affranto, ma piacevolmente sorpreso
“Ma... come fai?” sussurrò il
biondo con il codino, arrivato alle spalle della mora.
Il suo sguardo era piacevolmente
colpito. Da vicino, il suo viso, oltre ad apparirmi bellissimo, sembrava anche
gentile e simpatico.
“A far cosa?” domandai
“Sai chi siamo?”
Un sorriso amaro mi sfuggì dalle
labbra. “Vampiri”
“Non hai paura?” continuò
“Come fai a conoscere la nostra
razza?” chiese l’altro biondo, incredula.
Eccola, la parte amara che aspettavo.
La domanda tabù.
Il mio petto bruciò, ma dovevo
rispondere. Era una domanda più che lecita e non potevo negargli una risposta.
Anche perché non ci avrebbero messo nulla a costringermi, sebbene non si
mostrassero ostili.
Ma non volevo fare i conti con i
ricordi.
“Co... conoscevo una famiglia di
vampiri” dissi con voce sofferente, sentendo la voragine riaprirsi “Ma ora...
non sono più qui. Si sono trasferiti”
Mi hanno abbandonato.
Un singhiozzo silenzioso mi
scosse le spalle mentre chinavo lo sguardo, nascondendo le lacrime che mi riempivano
gli occhi.
“Scusa” mormorò mortifico il vampiro
che mi aveva posto la domanda
Scossi il capo, ma non alzai il
viso.
“Povera piccola, stai tremando”
disse la mora avvicinandosi a me e posandomi le mani sulle spalle
“Non è questo il posto per continuare
la conversazione” disse poi ai suoi compagni
“Per un essere umano questo clima
è duro” concordò il moro “Meglio riportarla a casa”
No!, gridai tra me e me, Vi prego,
non lasciatemi sola!
“Già. Meglio continuare questa
conversazione al caldo” disse il biondo con i capelli corti avvicinandosi
“Davanti a una buona tazza di
cioccolata, eh?” suggerì la mora
“Non dovete...” sussurrai, ma la
mia protesta fu sostituita da un mezzo urlo di sorpresa quando la mora mi
caricò in spalla
“Ho una macchina” tentai di
protestare
“Che macchina è?” chiesi quello
con il codino
“Un pick-up Chevy del
Il biondo con i capelli corti storse il naso,
rivolgendomi un’occhiata di rimprovero.
“Non è precisamente una macchina”
disse accigliato “Anche se per questa città va più che bene”
“Io lo adoro” risposi con
decisione. A molti poteva non piacere la mia macchina, ma io ci tenevo.
Mi sorrise. “Se è speciale per
te, proteggila” disse gentile “Anche se resto dell’idea che come mezzo di
trasporto sia obsoleto”
“Miguel è un fanatico di tutto
ciò che riguarda macchine, elettronica e cose del genere” disse l’altro biondo
strizzandomi l’occhio “È proprio un secchione cervellotico!”
“Non farebbe male neanche a te
appassionarti a queste cose” li ribeccò quest’ultimo
“Ti chiami Miguel?” chiesi
“Miguel Orlando Garcìa” si
presentò con un sorriso gentile
“Io sono Tullio Esteban Rodrìgez,
piacere di conoscerti!” mi salutò l’altro portandosi l’indice e il medio alle
tempie e poi usarle per fare il saluto militare.
“Io sono William Cooper, molto
piacere” disse il moro
“E io Roxanne Dubois” sorrise la
vampira che mi teneva in spalla
“Piacere” risposi a tutti
“Tieniti forte” mi suggerì Will
gentilmente “Roxy ha la brutta abitudine di correre velocemente”
“E il mio pick-up?”
“Te lo riporta Tullio stasera” disse
Roxanne
“Perché sempre io i lavori
pesanti?” si lamentò lui
“Perché te lo ordino io”
Roxanne strinse leggermente la
presa sulle mie gambe. Strinsi la presa attorno alla sua vita e al suo collo.
Freddo. Un freddo piacevole. Quasi dimenticato, ma ora tornato
prepotentemente reale e piacevole.
Mi ero dimenticata, in quel mio
stato di falsa vita, di sonnambulismo ad occhi aperti, di quella bella sensazione.
Eppure, con loro... mi sentii
strana, diversa.
Per la prima volta da mesi, mi
sentii sveglia.