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Autore: uhstilinski    17/11/2015    3 recensioni
I numerosi alberi che circondavano la scuola di Beacon Hills erano mossi da un insolito vento autunnale, gli studenti si affrettavano ad entrare, visibilmente infastiditi dal suono insistente della campanella. Un rombo di motore attirò l’attenzione di Emma, un ragazzo in sella alla sua moto rossa fiammante aveva appena parcheggiato a qualche metro dalle gradinate di marmo, sfilandosi il casco per rivelare un paio d’occhi glaciali. Stretto nella sua giacca nera di pelle, sparì lentamente dalla sua vista, mimetizzandosi tra la folla.
«Quello è Jackson Whittemore» mormorò una ragazza dai capelli neri e gli occhi grigi, affiancando la giovane. «Il capitano della squadra di lacrosse e di nuoto, praticamente il tipo ideale di chiunque abbia un paio d’occhi funzionanti». Emma dovette sembrare parecchio confusa, data l’espressione divertita che nacque sul suo viso pallido. «E io sono Valerie Butler», le porse la mano con gentilezza perché la stringesse, sorridendo.
«Emma. Emma Walker».
«Lo so» annuì immediatamente la mora, allungando il passo. «È una cittadina molto piccola, le notizie arrivano prima di quanto immagini» concluse con espressione furba, rivolgendole un altro sorriso cordiale e divertito prima di correre in classe.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don’t go in the woods.


Il buio aveva avvolto Beacon Hills ormai da qualche ora ed Emma aveva da poco iniziato a cucinare la cena per lei e suo padre, che sarebbe rientrato a casa da una delle sue numerose e segrete riunioni di lavoro. A quanto pareva, il consiglio dei cacciatori iniziava a domandarsi perché sua figlia girasse con i lupi mannari: quel piccolo particolare non sarebbe mai potuto sfuggirgli e, purtroppo, iniziava a creare qualche piccolo problema a Chris. Probabilmente credevano che facesse il doppio gioco o qualcosa del genere.
Embrace the wind with both arms, stop the clouds dead in the sky. Hang your head no more and beg no more. Brother wolf and sister moon, your time has come, brother wolf and sister moon”.
La giovane dai capelli bruni e lucenti canticchiava la canzone passata in radio, che in quel periodo della sua vita sembrava essere proprio azzeccata. Probabilmente il destino si divertiva a burlarsi di lei, insomma, quante possibilità c’erano che una stazione radiofonica locale passasse proprio una canzone riguardante la luna e i lupi?
Legò i capelli in una coda piuttosto approssimativa e si avvicinò ai fornelli, controllando che i funghi non si bruciassero. Il riso cuoceva a fuoco lento all’interno di un’altra pentola, ribollendo di tanto in tanto. 
Lanciò un’occhiata all’orologio a muro alle proprie spalle e iniziò a domandarsi dove suo padre potesse essersi cacciato, ma prima che potesse recuperare il cellulare dalla tasca della felpa grigia che utilizzava come pigiama, sentì infilare le chiavi all’interno della toppa ed una voce calda e profonda le giunse all’orecchio.
«Tesoro? Sono a casa» 
Il sorriso sulle labbra di Emma si allargò ancora di più davanti alla consapevolezza che suo padre stesse bene e che anche quella sera fosse ritornato a casa, da lei. Ultimamente viveva con la costante preoccupazione che potesse non rivederlo più da un giorno all’altro ed il solo pensiero bastava a farle mancare il respiro.
«Papà, sono in cucina» trillò lei prima di versare i funghi all’interno della pentola con il riso. «Ho preparato il tuo piatto preferito!»
In un attimo, Chris si ritrovò in cucina, a pochi passi da sua figlia. Le sorrise prima di stamparle un bacio affettuoso sulla fronte, annusando l’aria giocosamente. «Mhm, che buon profumino!» 
«Eh no, mascalzone!» esclamò lei non appena suo padre allungò una mano per assaggiarne un po’. «A lavare le mani e poi a tavola».
L’uomo rise calorosamente e scosse il capo con fare arrendevole, dirigendosi in bagno per lavarsi le mani come ordinato da Emma, che intanto riempì i piatti di entrambi, aggiungendo una piccola porzione extra per suo padre, il quale adorava fare il bis a tavola.
«Ultimamente ti comporti proprio da brava donna di casa, non è che devo iniziarmi a preoccupare?» le domandò lui, rientrando in cucina prima di prender posto a capotavola.
La giovane alzò gli occhi al cielo, piegando gli angoli delle labbra verso il basso. «Papà» brontolò, sedendosi dopo di lui. 
«Non fraintendermi, va bene che tu esca con i tuoi amici, ma ultimamente vai in giro più spesso e niente, mi chiedevo se ci fosse.. qualcuno» spiegò brevemente Chris, versandosi della birra fredda. 
«Non c’è nessuno, papà» si lamentò lei, bevendo un sorso d’acqua. 
«Ne sei proprio sicura? Sicurissima?» continuò lui imperterrito, gustando una cucchiaiata di riso prima di assottigliare gli occhi. 
«Più che sicura» disse seria. Alla fine dei conti non era proprio una bugia, lei non aveva nessuno, non era fidanzata ed era sicura di star bene così, da sola. Ma non poteva negare a se stessa di provare una profonda attrazione nei confronti del bell’Alpha dall’aria misteriosa e dagli occhi verde intenso. Nonostante lui non avesse mostrato segni di cedimento, sentiva come se tra loro ci fosse un legame particolare ed inspiegabile che li legasse l’uno all’altra come se fossero costretti da un filo invisibile. Le piaceva pensare che non fosse un caso che ogni volta che lui stesse male, finisse col trovarla, ovunque lei fosse.
«Mi fido, allora» borbottò Chris, per niente convinto.
«Allora, com’è il riso?» domandò lei, volendo cambiare discorso. 
«Buonissimo» fece lui, mangiando con una certa voracità. «Cucini proprio come tua madre… Se solo ti avesse vista crescere».
Emma abbozzò un sorriso vago e malinconico, anche lei si era ritrovata faccia a faccia con quei pensieri ultimamente, poteva immaginare quanto suo padre ne sentisse la mancanza. 
«Ti manca sempre molto, non è vero?» gli chiese intenerita, girando la forchetta all’interno del piatto, dividendo in parti uguali il riso. 
«Più di quanto faccia intendere» ammise lui, con lo sguardo basso.
«Non ti sei più innamorato?» se ne uscì lei un istante più tardi, masticando un paio di funghi. «Dopo la mamma, intendo».
Chris scosse il capo, sorseggiando dell’altra birra. «No, credo che dopo aver conosciuto tua madre, non potrò mai vedere nessun’altra donna allo stesso modo. Lei era unica».
«Papà» mormorò lei, prendendogli la mano. «Ti capisco, anzi, forse non posso capire perché non ho mai provato niente del genere, però… Forse meriti di essere felice di nuovo, non credi?»
«Tesoro» la guardò negli occhi, scuotendo appena il capo. «Sono felice insieme a mia figlia, mi basta».
Emma sorrise spontaneamente nell’udire quelle parole, intenerita dal suo sguardo dolce e sincero. «Lo so, ma io intendevo in maniera più… Romantica» precisò lei, riprendendo a mangiare. 
«Non ne sento il bisogno, ma se mai dovesse succedere qualcosa con qualche donna, sarai senza ombra di dubbio la prima a saperlo» la tranquillizzò lui, imitandola. 
La conversazione tra i due continuò fino alla fine della cena e tra una chiacchiera sui ragazzi della Beacon Hills High School ed un’altra sul consiglio dei cacciatori che intendeva assicurarsi che Chris non diventasse complice dei lupi mannari, si fece ora di andare a dormire, o almeno per quest’ultimo, che sembrava non riuscire più a tenere gli occhi aperti. 
«Tesoro, io vado a dormire. Non stare sveglia fino a tardi, domani hai scuola» si raccomandò lui, avvicinandosi per stamparle un bacio sulla fronte prima di lasciarle finire di lavare i piatti. 
«Tranquillo papà, finisco di pulire e filo dritta a letto» lo rassicurò lei, sorridendo in risposta. Insaponò l’ennesima posata e la sciacquò con attenzione prima di riporla nello scolapiatti.
Buonasera, eccoci di nuovo con un piccolo aggiornamento radiofonico riguardo alle ultime notizie. Beacon Hills sembra non essere più una cittadina tanto tranquilla, date le numerose ed inspiegabili uccisioni che sconvolgono gli abitanti da almeno due settimane”.
Emma tese l’orecchio in direzione della radio, assottigliando gli occhi come a volersi concentrare sulla voce della reporter. C’era per caso stato un altro omicidio da parte del branco di Deucalion? O forse si trattava di qualche cacciatore?
Asciugò le mani e dopo aver riposto anche l’ultimo bicchiere, si avvicinò alla radio e alzò di qualche tacca il volume.
Lo Sceriffo sostiene che si tratti di attacchi da parte di leoni di montagna e nonostante non si vedessero animali del genere nella contea ormai da anni, la sua sembra essere l’opinione più diffusa. Si raccomanda i cittadini di non uscire dopo il tramonto e di fare attenzione, soprattutto nelle ore notturne”. 
Emma si ritrovò a tirare un sospiro di sollievo, fortunatamente non era morto nessun altro e nonostante il pericolo fosse sempre dietro l’angolo, quella consapevolezza l’aiutava a sentirsi più leggera. 
Spense la radio con un gesto rapido e risistemò le sedie attorno al tavolo, uscendo dalla cucina e dopo aver lanciato un’ultima occhiata per assicurarsi che tutto si trovasse al proprio posto, spense la luce e si diresse al piano di sopra. Salì le scale lentamente, cercando di fare il minor rumore possibile, entrando in camera e dirigendosi nel proprio bagno. Quella novità le piaceva parecchio, a Portland doveva dividerlo con suo padre e l’idea non l’aveva mai entusiasmata troppo. Aveva bisogno di troppo spazio per poter condividere quegli armadietti ristretti con qualcuno. 
Si spogliò velocemente e fece una doccia calda, rilassandosi e cercando di scacciare via tutti i pensieri che l’avevano accompagnata durante la giornata. Pensò che l’indomani avrebbe chiesto a Scott di accompagnarla al ballo, non avendo ancora ricevuto alcun invito. Si ricordò di dover tirar fuori i vestiti dall’asciugatrice e di dover caricare la seconda lavatrice. Poi, dal nulla, le venne il desiderio di poter adottare un cucciolo dal canile comunale: durante la lezione di algebra, Valerie le aveva raccontato di una sua cugina di secondo grado che abitava in Alabama e del fatto che avesse adottato un cane, accendendole così la famosa lampadina. Senza dubbio ne avrebbe parlato con suo padre. 
Dopo cinque minuti fu pronta per andare a letto, stretta nella sua felpa grigia e nei suoi nuovi pantaloni della tuta neri extralarge. Non appena fece per infilarsi sotto il piumone, un ululato proveniente dal bosco la fece quasi cadere all’indietro. Spalancò gli occhi e sentì come una stretta allo stomaco. «Scott» boccheggiò, pensando subito al peggio. «Non può essere».
Senza neanche pensarci due volte, balzò giù dal letto e infilò gli Ugg neri pelosi che indossava per casa, dirigendosi al piano di sotto senza fare troppo rumore. Era certa che suo padre non si sarebbe svegliato, era uno dal sonno abbastanza pesante lui. 
Afferrò le chiavi di casa e il cellulare, infilando tutto nelle tasche prima di iniziare a correre in direzione del bosco, presa da uno slancio di coraggio e disperazione. Non pensò neanche di essere disarmata ed indifesa, in quel momento tutto quello che riuscì a realizzare fu che uno dei suoi amici fosse in pericolo. Non importava se fosse Scott, Isaac o Derek, non avrebbe mai potuto restare in casa ad attendere loro notizie. Una volta superato il limitare con la radura, afferrò il cellulare, tentando di cercare segnale per poter chiamare. Sfortunatamente, in quella zona non prendeva, data la spropositata quantità di alberi, che sembravano fare da barriera naturale a qualsiasi rete telefonica esistente. Ormai era troppo tardi per tornare indietro e mettersi a fare il giro delle chiamate, sperando di rintracciare la persona che si trovasse effettivamente nei guai. Nonostante la paura le attanagliasse la mente, non si pentì neanche per un istante di essersi avventurata nel bosco, era certa che loro avrebbero fatto lo stesso per lei. 
Corse senza una meta ben precisa, sperando di imbattersi in un volto conosciuto e di uscire presto da quella situazione. Si faceva luce con la torcia del telefono, che muoveva a seconda delle necessità. Destra, sinistra, centro. E tutto ciò che i suoi occhi affaticati e stanchi riuscivano a distinguere erano masse di rovi e cumuli di foglie. 
«Scott» ansimò esausta, guardandosi attorno prima di girare su se stessa, trattenendo il fiato. «Scott!?» 
Per un attimo fu avvolta da un silenzio agghiacciante e la consapevolezza di essere osservata da qualcuno presto bussò alla sua porta. Indietreggiò fino a colpire con la schiena il tronco di un albero centenario, sussultando al contatto col legno fastidiosamente ruvido. Il buio fitto non l’aiutava affatto a sentirsi meno impaurita, anzi, rendeva le cose ancora più inquietanti. Si ritrovò a chiudere gli occhi e a pregare di non essere azzannata da qualche essere fuori di testa con artigli e peli su tutto il volto.
Sentì dei rumori sospetti alle proprie spalle e non appena si voltò, puntando quella luce accecante in direzione di chiunque ci fosse lì con lei, si sorprese a trattenere il fiato nel riconoscere Peter mezzo ferito e sanguinante a pochi metri di distanza. Fu un sollievo vedere il suo viso contratto in un’espressione di dolore mista a sorpresa. 
«Oh, ragazzina» mugolò, dolorante. «Abbassa quella luce».
«Peter? Sei stato tu a…»
«Ululare? Sì. Quei maledetti degli Alpha mi hanno attaccato, ma sono riuscito a scappare. Tu, piuttosto, che ci fai nel bosco? È pericoloso» disse tutto d’un fiato lui, accasciandosi contro un albero, ormai privo di forze. 
«Ho sentito l’ululato e pensavo fosse stato Scott, credevo ci fosse lui di ronda stanotte» spiegò un po’ scossa lei, con le mani che tremavano. 
«Oh, beh» tossì lui, poggiando il capo contro il la corteccia rovinata. «Spero tu non sia delusa di vedere me. Ti dispiacerebbe aiutarmi?» 
«Peter» la voce di Derek tuonò potente, facendo sobbalzare Emma, che indietreggiò fino ad inciampare contro delle radici, cadendo a terra con un imbarazzante tonfo secco.
«Ahi» mormorò, massaggiandosi la schiena prima di alzare lo sguardo e ritrovarsi davanti l’Alpha. 
«Che stai facendo?» avanzò lui, con i capelli disordinati e lo sguardo perso.
«Io…» balbettò lei, schiarendosi la voce con un colpo di tosse. «Beh, ho sentito l’ululato e credevo ci foss-».
«L’ho sentita quella parte, intendevo dire perché diavolo sei venuta nel bosco da sola sapendo cosa potrebbe aspettarti una volta superato il confine» la interruppe lui, visibilmente seccato. «Lo capisci che non posso badare anche ad una ragazzina che si aggira per i boschi perché crede stupidamente di poter aiutare i suoi amichetti?»
Emma strinse i denti e sospirò profondamente, aggrottando le sopracciglia nella smorfia più dura che riuscisse ad abbozzare. Non lo sopportava quando iniziava a parlare in quel modo velenoso. 
«Forza, alzati» si ammorbidì magicamente lui, porgendole una mano in segno di resa. Aveva rilassato la mascella e disteso i muscoli facciali, risultando decisamente meno scorbutico ed antipatico.
La giovane lo osservò stupita, alternando lo sguardo dai suoi occhi non più rossi come il fuoco alla sua mano sporca di sangue. Non si aspettava che si addolcisse in quel modo, soprattutto non in un momento del genere. 
Era davvero insolito per uno come Derek, ma non tanto insolito come il gesto appena compiuto. Non fu affatto facile decifrare il suo comportamento bizzarro, come mai all’improvviso voleva aiutarla?
Dopo qualche istante passato a guardarsi, si ritrovò ad accettare il suo aiuto, sfiorandogli il palmo coi polpastrelli prima di stringergli la mano e sollevarsi con facilità. Lui la tirò a sé in maniera forse un po’ troppo rude, costringendola ad aggrapparsi alle proprie spalle per evitare che gli cadesse addosso. Si scambiarono un’occhiata particolarmente intensa, gli occhi di lui sembrarono incatenarla a sé, mentre le sue mani andarono a stringerle il bacino in una morsa decisamente troppo stretta. 
Le labbra di Emma si schiusero, mentre il suo petto continuava ad alzarsi e ad abbassarsi velocemente, anche un po’ a causa di quel contatto inaspettato. «Grazie» mormorò, indietreggiando subito dopo a causa del lieve imbarazzo che la pervase nel ricordarsi della presenza di Peter. 
«Sono stata un po’ avventata, mi dispiace» si scusò a bassa voce, abbassando lo sguardo. Solo in quel momento realizzò di essere uscita di casa praticamente in pigiama e con i capelli tirati in una coda disordinata. Non che fosse la prima volta che Derek la vedesse in quello stato, anzi, probabilmente l’ultima volta il proprio aspetto doveva esser stato decisamente più discutibile, tra pioggia e trucco sbavato. 
«Qualcuno mi aiuta? Sono ferito» li richiamò Peter, toccandosi la gamba dalla quale perdeva sangue.
«Non fare il bambino, guarirà. Devo accompagnare lei a casa, pensi di poter stare da solo per cinque minuti senza farti uccidere?»
«E se dovessero tornare?» domandò allarmato il più grande tra i due, gesticolando animatamente. «Mi uccideranno».
«Sono andati via già da un po’, quando ti hanno ferito stavano scappando. Erano i due Alpha più giovani, non hanno il pieno controllo dei loro poteri, se la sono data a gambe dopo aver sentito il mio odore. Tu aspettami qui» gli disse Derek, lanciandogli un’occhiata disinteressata.
«Andiamo, ti riporto a casa» continuò, questa volta rivolgendosi ad Emma, sempre più scossa dalla situazione. 
«Posso tornare da sola, ce la faccio» tentò di convincerlo lei, infilando le mani nelle tasche ampie. 
«Chi mi dice che non ti metterai nei guai di nuovo? Non so se posso fidarmi di una ragazzina come te, sei pericolosa» le rispose lui, scuotendo appena il capo, palesemente contrariato dalle sue parole.
La bruna sospirò arrendevole e gli andò dietro, incamminandosi tra le fitte boscaglie. «Facciamo presto, la gamba di tuo zio non ha un bell’aspetto».
Derek si strinse nelle spalle con noncuranza, osservandola con la coda dell’occhio per assicurarsi che continuasse a seguirlo e che non si facesse male: era talmente scoordinata e sbadata da riuscire ad inciampare persino nei suoi stessi piedi.
«Non badare a lui, è esagerato. Gli passerà, ne ha viste di peggiori» mormorò, guardandosi intorno per assicurarsi di non essere in compagnia di ospiti da loro poco graditi.
«Anche tu sei ferito» sussurrò lei subito dopo, puntando la luce in direzione del suo petto. Non riusciva a spiegarsi perché si ferisse sempre negli stessi punti.
«Non è niente» fece lui, cercando di indietreggiare per sfuggirle.
«Derek» lo zittì lei, spostandogli la mano da davanti, in modo da vedere meglio. La maglietta era tutta strappata, proprio come se quattro artigli lo avessero colpito inaspettatamente, prendendolo in contropiede. «Ti hanno colpito» sussurrò, consapevole di quella verità, avvicinando di poco la mano prima di seguire il grosso squarcio con le dita che combaciavano perfettamente, quasi come se ne fosse stata lei l’artefice. 
«Loro stanno messi peggio, credimi. Non è nulla di cui preoccuparsi» insistette lui, abbassando con un gesto lento la torcia dal proprio torace sanguinante. «Sto bene» affermò con fermezza, specchiandosi nei suoi occhi da cerbiatta contornati da ciglia lunghe e scure, che persino da struccati non perdevano quel non so che di accattivante. Chiunque possedesse un paio d’occhi del genere sarebbe stato in grado di ipnotizzare persino uno come lui, nonostante non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce. Era consapevole dell’effetto che gli avrebbero fatto se fosse rimasto a guardarli per troppo tempo, si trattava di qualcosa che aveva seppellito tempo addietro, assieme ai ricordi del proprio passato non troppo lontano. Qualcosa di strano e forte, incredibilmente e spaventosamente forte.
Emma lo osservò attentamente, sentendo il cuore scalpitarle nella gabbia toracica come mai prima d’allora, ma non per la paura. L’intensità del suo sguardo la destabilizzava, facendola sentire una povera idiota.
L’espressione apparentemente impassibile sul volto di Derek mutò, facendosi più confusa. «Stai bene?» domandò, alludendo palesemente al battito accelerato e al fiato corto.
Lei si limitò ad annuire, scuotendosi da quei pensieri sciocchi. Non era quello il momento adatto per farsi coinvolgere dai sentimenti. 
«Sì, mi sono solo spaventata» biascicò, mentendo spudoratamente.
Il giovane Hale percepì l’odore della menzogna, ma decise di non insistere, probabilmente non aveva voglia di parlarne. 
«Non ne ho trovato nemmeno uno da queste parti, sei sicuro che ce ne siano davvero di lupi mannari?» fece una voce poco lontano da loro, rivolgendosi ad un ipotetico accompagnatore. 
La mano di Derek afferrò quella di Emma, tirandola nell’oscurità con sé. Dovevano nascondersi da quei cacciatori a qualsiasi costo, non era il momento per combattere ancora. Tra frecce impregnate di aconito e proiettili d’argento non l’avrebbe di certo avuta vinta lui. 
«Shh» le intimò, coprendole la bocca col palmo della mano nel percepire il suo respiro affannato. «Non fiatare» le bisbigliò all’orecchio, sfiorandole involontariamente il lobo con le labbra, sentendola fremere. 
La schiena di lei aderì perfettamente contro il petto di lui, teso come una corda di violino. Sentì come il dovere di proteggerla a qualsiasi costo, stringendola con un braccio a cingerle i fianchi sottili coperti dalla felpa pesante. Non seppe spiegarlo nemmeno a se stesso il motivo di quella preoccupazione che gli scorreva nelle vene al solo pensiero di poterla esporre ad un tale pericolo. 
«Non lo so, Hank, a quanto pare dovremo spostarci a est del paese» borbottò un uomo di mezza età, seguendo fedelmente il suo compagno, allontanandosi sempre di più nella direzione opposta alla loro. Quando sembrarono spariti, la mano di Derek si spostò dalla bocca serrata di Emma, che riprese a respirare correttamente e a pensare lucidamente.
«Oh mio Dio» sussurrò terrorizzata, voltandosi prima di puntare la luce dritta negli occhi del ragazzo di fronte a sé. «Scusa» borbottò subito dopo, abbassandola con fare impacciato e agitato. 
Lui sollevò il mento, puntando lo sguardo alle sue spalle e restando come in ascolto. I suoi sensi da lupo gli stavano comunicando qualcosa. 
«Peter sta bene, è nella vecchia casa» commentò, come a volerla tranquillizzare. «Ora posso accompagnarti a casa tua prima di imbatterci in qualche altro pericolo mortale?»
La bruna si limitò ad annuire velocemente, seguendo i suoi passi tra le foglie secche e i ramoscelli spezzati dal vento. Non proferì parola per tutto il tragitto, faticando un po’ per cercare di mantenere il passo sicuro e veloce del pensieroso Alpha.
I loro respiri erano l’unica cosa a rompere il silenzio innaturale della notte che li avvolgeva con prepotenza.
Una volta sorpassato il limitare della radura e raggiunto il portico di casa Walker, Emma si ritrovò a cercare le parole per ringraziarlo di quel gesto, per non averle permesso di essere attaccata da qualche cacciatore o licantropo fuori di sé. Aveva messo a rischio la vita di suo zio per assicurarsi che tornasse a casa sana e salva. Quello, per lei, valeva più di mille parole. Si era preoccupato, aveva smesso di trattarla con sufficienza e di esternare il fastidio che provasse nell’averla attorno inizialmente. E per Emma era già un bel traguardo, stava a significare che forse non era tutto perduto, forse anche a lui importava almeno un po’ di lei.
«Derek» sussurrò, illuminata dalla luce esterna del portico. «Grazie, davvero. Non so come avrei fatto se non ci f-»
«Dovere» la interruppe lui, fronteggiandola in tutta la sua innegabile bellezza mozzafiato. «Tuttavia ora fai parte del branco, no?»
La ragazza si ritrovò a nascondere un piccolo sorriso vittorioso, annuendo prima di liberare un sospiro nell’aria gelida. «Ci vediamo» gli disse, tirando fuori le chiavi prima di girarle lentamente nella toppa per non svegliare suo padre, non avrebbe saputo come spiegare tutta quella situazione surreale.
«Fammi un favore, non andare più nel bosco da sola» mormorò piano lui, assicurandosi comunque che lo sentisse bene. 
La vide annuire e fare un cenno con la mano prima di sparire in fretta in casa, lasciandolo solo davanti alla porta. 


Emma aveva corso letteralmente per tutto il cortile scolastico, stretta in una gonna bianca a vita alta, una maglia rosa pastello ed un cardigan di una tonalità leggermente più scura. Per la fretta aveva persino scordato di allacciare le Converse bianche, rischiando di inciampare più di una volta. Quella mattina si era svegliata venti minuti prima delle otto, il che le avrebbe fatto fare tardi al primo allenamento di lacrosse in cui giocava anche Stiles, al quale aveva promesso di esserci a qualsiasi costo. 
Si era fatta una doccia al volo e dopo essersi truccata alla bell’e meglio, si era vestita ed era corsa in auto senza neanche infilare le scarpe, portandosele dietro e abbandonandole sul sedile del passeggero per tutto il viaggio. Quella era la prima volta in cui si ritrovava a guidare scalza e per quanto potesse sembrare assurdo, non ci fece quasi caso. Sarebbe persino scesa senza, se non fosse stato per il vento piacevole che le accarezzò i piedi nudi una volta aperto lo sportello. Aveva la testa totalmente da un’altra parte quel giorno. 
«Ma insomma, finalmente! Stanno per iniziare e Stiles non la smetteva di chiedere dove fossi» esclamò Valerie dopo averla salutata con un cenno della mano dall’alto dei piccoli spalti improvvisati al lato del campo. 
«Valerie» boccheggiò la bruna, fermandosi qualche istante prima di riuscire ad aprire bocca. «Non sai che corsa ho fatto».
La giovane dagli occhi color del ghiaccio la guardò attentamente sistemarsi i capelli castani e lunghi dietro le orecchie, sbuffando una risata nell’aria piacevolmente tiepida. «Si vede».
«Beh, grazie tante» borbottò l’altra, lanciando uno sguardo in direzione del campo occupato già dalla squadra al completo, affiancata anche dalle riserve, che si allenavano in via straordinaria. Il coach era di nuovo il signor Finstock, che, come previsto, non era riuscito a resistere più di un periodo di tempo fuori dai giochi. 
«Hey, ma Stiles che num-» non fece in tempo a finire la frase, che il numero 24 in campo iniziò a sbracciare come un forsennato, facendo ridere di gusto entrambe.
«È il ventiquattro» sospirò divertita Valerie, sventolando la mano in segno di saluto, seguita subito dopo da Emma.
«Stilinski, non stai scacciando le mosche, occhi sulla palla» lo riprese il coach, fischiando ripetutamente per attirare la sua attenzione. «Chi diavolo me l’ha fatto fare a metterlo in campo», sbuffò.
La bruna scosse appena il capo e andò ad accomodarsi affianco alla sua migliore amica, cercando con sguardo attento gli altri due presenti in campo.
«Scott è il numero 11, Isaac è il 14» spiegò prontamente Valerie dopo essersi avvicinata al suo orecchio come se stesse confidando un segreto o se stesse spacciando della droga. 
«Scott è il capitano?» domandò Emma, seguendo il soggetto in questione con lo sguardo durante il suo allenamento mirato. 
«Co-capitano» precisò con un sorrisetto furbo l’altra, facendole cenno col capo di voltarsi.
Gli occhi della bruna si posarono su Jackson Whittemore in tutta la sua bellezza: stava entrando a passo sicuro e fiero in campo, gonfiando un po’ il petto nel ritrovarsi circondato da tutti i suoi compagni. Era un tipo che amava essere al centro dell’attenzione e non perdeva occasione per dimostrarlo. Tuttavia, Emma non riusciva proprio a farselo stare antipatico.
«Wow» commentò, fissandolo per attimi interminabili. 
«Già, è quello che dicono tutte a scuola» sospirò la bella mora, giocherellando con una ciocca di capelli mossi.
«Non è un mistero perché sia così gettonato tra le ragazze, basta guardarlo» fece l’altra, ancora con gli occhi puntati su di lui. 
«Ha il sedere più bello di tutta la Beacon Hills High School» esclamò lei, forse a voce un po’ troppo alta, visto che due ragazze davanti a loro si voltarono con espressione un po’ sconvolta, iniziando a scrutarla severamente. 
«Come se non avessero mai sentito dire sedere» sbuffò la diretta interessata in risposta, sollevando il mento con fare indifferente. «Dove vivono, in un convento di suore?»
«Sei terribile» la riprese giocosamente Emma, assottigliando gli occhi e lasciandosi andare ad una risata divertita e sincera.
L’allenamento era iniziato da venti minuti e Stiles era finito a terra almeno quattro o cinque volte, rialzandosi tuttavia con entusiasmo e voglia di continuare il gioco: nonostante ciò, sicuramente il coach lo avrebbe tenuto fisso in panchina, come al solito.
La gamba della giovane Walker non smetteva di tremare nervosamente, mentre lo sguardo era perso tra le fitte boscaglie attorno al campo. Stava ripensando alla nottata precedente, cercando un modo per raccontarlo agli altri prima che lo facesse Derek. 
«Cos’ha che non va la tua gamba?» chiese un po’ scocciata Valerie, poggiando una mano per fermare quel tremolio incessante.
«Oh» sollevò le sopracciglia l’altra, sorpresa da quel gesto. In realtà non si era nemmeno resa di conto di star tremando in quel modo. «Scusa, ero soprappensiero e mi sono lasciata prendere dall’ansia».
«Ansia? E per quale motivo?» domandò la mora con un pizzico di sorpresa nel tono della voce, continuando comunque a seguire l’allenamento. «Avanti, sputa il rospo».
«Ieri sera sono andata nel bosco» confessò a bassa voce Emma, guardandola con la coda dell’occhio, quasi spaventata. 
«Sei andata nel bosco?!» gracchiò l’altra in risposta, strabuzzando gli occhi nel voltarsi per cercare il suo sguardo. «Emma, sei impazzita per caso?» 
La bruna sospirò, stringendosi nel cardigan di lana. «Non capisci, ho sentito un ululato e pensavo ci fossero Scott e Isaac di ronda. Era così disperato e carico di dolore che non ho nemmeno ragionato».
In quel momento Emma sentì lo sguardo di Scott puntato addosso, stava sentendo la conversazione anche lui e non sembrava particolarmente felice. 
«Ma ovviamente non c’era nessuno dei due» la precedette Valerie, accorgendosi di quel rapido scambio di sguardi. 
«Era stato Peter ad ululare, due degli Alpha l’hanno attaccato e sono fuggiti nel sentire l’odore di Derek. Scott, non volevo cacciarmi nei guai, pensavo fossi in pericolo» sussurrò la bruna, consapevole del fatto che Scott fosse ancora in ascolto. Lui sospirò da lontano e riprese a correre dietro ai suoi compagni di squadra, raggiungendo Isaac, con quale intraprese una breve conversazione.
«Stava ascoltando anche lui» sospirò Emma, incrociando le braccia al petto, temendo che potesse essere arrabbiato con lei. «Sono stata impulsiva, ma pensaci, tutti loro, ognuno di loro sarebbe corso nel bosco al mio posto».
Valerie distolse lo sguardo, arricciando le labbra prima di cingerle le spalle con un braccio. «Hai ragione, Scott capirà. Sei stata coraggiosa… e anche fortunata, visto che hai incontrato il tuo bel lupo» ridacchiò subito dopo, dandole una gomitata scherzosa.
«Oh, ma smettila» arrossì lei, abbassando il capo in maniera quasi automatica, nascondendo l’imbarazzo dietro i folti capelli. «Mi ha accompagnata a casa, ma prima siamo quasi stati beccati da due cacciatori. È stato… movimentato».
«Alla faccia del movimentato» commentò ironicamente l’amica, scartandosi una gomma da masticare alla cannella. «Vuoi?»
Emma scosse appena il capo in risposta, odiava le gomme alla cannella. «No, grazie» aggiunse, imbattendosi nell’espressione interrogativa di Valerie, che so strinse nelle spalle e tornò a guardarsi intorno curiosamente, forse alla ricerca di Aiden.
«Lui ti piace» esordì all’improvviso, masticando la gomma con disinvoltura prima di accavallare le gambe fasciate da un paio di pantaloni grigi. 
«Cosa?» farfugliò la giovane Walker, fissandola contrariata prima di dover ammettere a se stessa di essere una pessima bugiarda. 
«Non mi freghi, Emma. È palese il tuo interesse nei suoi confronti».
«Si nota tanto?» bisbigliò arresa, iniziando a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli particolarmente ribelle. 
«Allora lo ammetti!» esclamò Valerie, battendo le mani con euforia. «Comunque io l’ho capito perché ti conosco, che razza di migliore amica sarei se non notassi certe cose?»
«Sembri entusiasta» mormorò con un sospiro. «È terribile».
La mora aggrottò la fronte, arricciando le labbra con fare perplesso. «Perché mai? Io dico che siete carini, mi ricordate un po’ Catullo e il suo dissidio interiore» ammise quasi a se stessa, gesticolando. «Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior» recitò con teatralità, portandosi una mano sul petto con espressione crucciata. 
«Ma cosa…» borbottò confusa Emma, sbattendo le palpebre più volte, domandandosi di che diavolo stesse parlando. 
«Che c’è?» la guardò seria l’altra, sollevando un sopracciglio. «Io leggo» le fece presente con un sorrisetto compiaciuto, scostandosi i capelli dalla spalla con un rapido gesto della mano fin troppo nel suo stile.


   
 
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