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Autore: innominetuo    17/11/2015    10 recensioni
Joe Yabuki ritorna sui suoi passi, dopo un anno di dolore e di rimpianto. La morte di Tooru Rikishi lo ha segnato profondamente. Ma il ring lo sta aspettando ormai da tempo.
E non solo il ring.
…Se le cose fossero andate in un modo un po’ diverso, rispetto alla versione ufficiale?
Storia di pugilato, di amore, di onore: può essere letta e compresa anche se non si conosce il fandom e quindi considerata alla stregua di un'originale.
°°°°§*§°°°°
Questi personaggi non mi appartengono: dichiaro di aver redatto la seguente long fic nel rispetto dei diritti di autore e della proprietà intellettuale, senza scopo di lucro alcuno, in onore ad Asao Takamori ed a Tetsuya Chiba.
Si dichiara che tutte le immagini quivi presenti sono mero frutto di ricerca su Google e che quindi non debba intendersi il compimento di nessuna violazione del copyright.
Si dichiara, altresì, che qualsivoglia riferimento a nomi/cognomi, fatti e luoghi, laddove corrispondenti a realtà, sono puro frutto del Caso.
LCS innominetuo
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bianche Ceneri'
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BANNER-MIO-PER-L-UNICO-DOMANI

Un paio di mesi dopo…tarda sera, all’Hotel New Otani* di Tokyo…

“Siamo entusiasti. Siamo davvero entusiasti del successo di questo ragazzo, così bravo e meritevole. Per questo motivo, noi della Tele Kappa sponsorizzeremo d’ora in avanti gli incontri organizzati dalla palestra Tange perché intendiamo sostenere Joe Yabuki sino alla conquista del titolo mondiale. Perché noi crediamo in lui!”

Così pomposamente enunciò Iwao Fujita, il presidente della rete televisiva. Giusto un paio di giorni prima aveva stipulato un accordo con lo Shiraki Boxing Club e con Danpei Tange per la sponsorizzazione della carriera pugilistica di Joe: in cambio, unitamente al presidente Shiraki, avrebbe detenuto i diritti di esclusiva sulla messa in onda dei suddetti incontri. Il pulcino cresciuto nella stoppa ora aveva un valore commerciale come gallo da combattimento: l’occasione era stata troppo ghiotta per farsela sfuggire. Naturalmente, sia Yoko che Danpei avevano vigilato affinché le clausole contrattuali fossero il più possibile oneste e trasparenti. La Tele Kappa aveva quindi organizzato un sontuoso cocktail party alla moda americana per festeggiare le ultime vittorie di Joe e per annunciare ai soci della Federazione Pugilistica giapponese che, d’ora in avanti, avrebbe sovvenzionato la carriera del giovane pugile.

Joe e Danpei erano gli ospiti d’onore: naturalmente, Danpei sprizzava allegria da tutti i pori, inchinandosi a destra ed a manca, distribuendo sorrisi e battute, senza saltare nessun brindisi, specie se ad altissimo tasso alcoolico. Si prese pure la sua piccola rivincita nei confronti dei presidenti dei club pugilistici che tanti torti gli avevano fatto in passato. Danpei non aveva affatto dimenticato le angherie subite, soprattutto quando aveva faticato ad ottenere la licenza di allenatore e quando aveva bussato, invano, a tante porte: ora poteva finalmente sentirsi loro pari e guardarli dritto negli occhi, a fronte alta. La sua piccola palestra di legno, costruita a mano pezzo dopo pezzo sotto il Ponte delle Lacrime, stava forgiando un campione di boxe dal talento straordinario, come se ne potevano incontrare pochi nella vita. Danpei stava quindi toccando il cielo con un dito: il suo ragazzo aveva spiccato il volo e stava finalmente mostrando a tutti il proprio valore. Adesso l’unica cosa davvero importante era prepararlo bene nella sua ascesa per il titolo mondiale, un passo alla volta. Nell’osservarlo, essendo Joe in piedi poco distante da lui, gli si inumidirono gli occhi per la commozione: Joe stava ancora finendo di crescere. Ultimamente si era alzato di alcuni centimetri ed i tratti del viso erano ora più definiti e mascolini. Stava diventando un uomo, un bell’uomo: di statura medio-alta, slanciato e snello, dalla muscolatura tonica e nervosa. Chissà… forse era anche merito di Yoko Shiraki e della sua presenza nella vita di Joe ad averlo fatto maturare prima… Già molte ragazzine adoranti avevano incominciato a riconoscerlo ed a fermarlo per strada, per farsi lasciare un autografo, cosa che Joe faceva tra l’imbarazzato ed il divertito, sentendosi sempre molto a disagio in queste cose. La nomea di Joe si stava diffondendo a vista d’occhio: sempre più giornali e riviste riportavano articoli e fotografie sul suo conto e sempre più aspiranti campioni di boxe avevano cominciato a bussare alla porta del Tange Boxing Club. Danpei si era schermito, un po’ imbarazzato da tante richieste, promettendo agli speranzosi candidati che avrebbe cominciato ad allenare altri ragazzi oltre a Joe non appena fosse riuscito a costruire la nuova palestra per cui stava risparmiando yen su yen ormai da diverso tempo.

Questione di tempo e di pazienza.

Tutto questo però sembrava non scalfire l’ospite d’onore del ricevimento. Taciturno suo solito, Joe pareva quasi estraniato da tutto e da tutti: aveva risposto a monosillabi ai fiumi di domande rivoltegli, dimostrando chiaramente il suo disagio in una dimensione tanto mondana e così lontana dal suo modo di essere. Tange lo aveva quasi trascinato di peso fino all’hotel, promettendogli in cambio che si sarebbero trattenuti solo per lo stretto necessario. Se ne stava per conto suo ad osservare il bellissimo spettacolo di luci della Tokyo notturna ma non dormiente, mentre la torretta rotonda in cima all'hotel, ove si stava tenendo la festa, girava lentamente.

“Joe…eccoti.”

Il giovane si voltò per ammirare una Yoko luminosa e delicata come una calla, vestita di un abito giallo pallido che le scopriva leggermente le spalle: non l’aveva mai vista così bella. Le sorrise, per poi additare al panorama: “Hai visto che meraviglia? Solo Tokyo sa trasformarsi così, di sera… pur rimanendo sempre uguale. Un po’ come te. Mi sorprendi sempre, Yoko…” le sussurrò pianissimo, per non farsi udire intorno, accostandosi leggermente a lei, senza però neppure sfiorarla. Negli occhi di Joe Yoko vide una luce calda e morbida, come se volesse accarezzarla con lo sguardo, in un modo lieve e delicato. Rimase incatenata a quegli occhi per qualche secondo, in silenzio; poi, come per custodirne il riflesso nel cuore e nella mente, abbassò i suoi, di occhi. Tutto questo era solo ed esclusivamente per loro e per nessun altro. Un segreto da custodire gelosamente. In silenzio, si voltarono entrambi a guardare il panorama, fianco a fianco.

Ad un certo punto, Joe si riscosse, dopo aver scorto qualcosa nel riflesso del vetro. O meglio: dopo aver scorto qualcuno.

“Yoko ma… quel tizio laggiù… che ci sta fissando con insistenza…tu per caso lo conosci? Ha una fisionomia familiare ma non mi viene in mente chi diavolo possa essere…”

“Dove? Di chi parli, Joe?” chiese Yoko, voltandosi.

“Guarda bene laggiù, in fondo alla sala. Quel tizio vestito di scuro.”

Yoko seguì lo sguardo di Joe. In effetti un uomo alto e sobriamente vestito, con il capo leggermente abbassato e grossi occhiali scuri pareva intento a fissarli con attenzione. Poi, con un gesto fluido e morbido, si tolse gli occhiali, serbandoli in una tasca della giacca. Quello non era uno sguardo che si potesse dimenticare. Calmo, placido. Ma penetrante: ti si incatenava per non lasciarti più… Un brusio, sempre più crescente di tono, si propagò per la sala.

“Santo cielo, guardate chi c’è!”

“Ma come mai si trova qui, in Giappone… e come ha fatto a venire a questa festa?”

“Qualcuno lo ha invitato
?”

Joe e Yoko rimasero impalati ed incapaci di dire o fare alcunché, mentre il campione del mondo dei pesi medi, inaspettatamente, si mosse verso di loro. Qualche giornalista cercò di interpellarlo, ma bastò un lieve cenno di Mendoza per farlo desistere: quello non era un uomo che lasciasse fare cose a lui non gradite. Tuttalpiù, venne solo scattata qualche fotografia; i flash impazzirono, poi, quando l’uomo si parò proprio di fronte a Joe. Neppure Tange, nel suo inglese maccheronico, riuscì a distrarre l’inatteso ospite dall’intento di avvicinarsi al suo ragazzo. Questi non mosse un solo muscolo del suo viso, restandosene con le mani cacciate nelle tasche: solo l’estrema rigidità del suo corpo poteva tradire l’intensa emozione che lo stava, suo malgrado, pervadendo. Eccolo, il campione del mondo dei pesi medi, a pochi centimetri di distanza da lui. Visto da vicino appariva ancora più imponente. José era snello ma anche possente, più alto di Joe di tutta la testa. La pelle del suo viso, lievemente abbronzata, era segnata ai lati della bocca e degli occhi, a testimonianza della differenza di età non indifferente tra di loro.

Ma quelli erano occhi senza età.

Profondi ed immoti come gli abissi del mare: in essi si poteva leggere tutto e niente…

“Cosa vuole da me, Mr. Mendoza?” domandò Joe, a voce ferma. Era quasi come se la tranquillità del suo astante lo avesse contagiato: ora si sentiva calmissimo, come svuotato da ogni sentimento. Avrebbe potuto accadere qualsiasi cosa: una mano tesa da stringere, un attacco da fronteggiare… Il tempo era come sospeso. Nessuno osava fiatare. Tange e Yoko osservavano, ansiosi, ambedue gli uomini, facendo scorrere lo sguardo dall’uno all’altro.

Con un leggero sorriso sulle labbra ben modellate, José, inaspettatamente, lo fece. Alzò le mani, tutte e due, ed afferrò le spalle di Joe. Inclinando leggermente il capo lo scrutò negli occhi, come in cerca di risposte ad una sua silenziosa domanda, formulata tra sé e sé e non espressa. Accentuando il sorriso, dette con ambo le mani delle bonarie pacche al ragazzo. “Buena suerte.” La voce di Mendoza era profonda e morbida, dalla ricca tonalità, accentuata dall’accento spagnolo.

Rimasero tutti stupiti dal gesto benevolo e dalle parole beneauguranti del campione; questi si limitò poi a ritornarsene tranquillamente sui suoi passi. Fu vano qualsiasi nuovo tentativo dei giornalisti e pure dell’anfitrione di fargli qualche domanda e di trattenerlo alla festa. Se n’era già andato. Com’era apparso, ecco che aveva già lasciato il salone…

Joe rimase fermo allo stesso punto, incapace di fare alcunché. Yoko si mosse timidamente, mettendoglisi al fianco, senza dire nulla; gesto che fu replicato da Tange: tutti e due vollero così sottolineare l’unicità del momento or ora trascorso, restandosene vicini a Joe.

°°°°°°

Un paio d’ore più tardi, al Tange Boxing Club…


“Ma…Cosa sono quei segni sulle braccia, Joe?” esclamò Tange, additando a Joe le sue stesse spalle.

Il ragazzo si era spogliato per tirare qualche pugno al sacco prima di andare a dormire e per concedersi qualche minuto di riflessione su quanto era accaduto al ricevimento. Allibito, notò impressi sulla sua pelle dei segni bluastri … erano i lividi che Mendoza gli aveva lasciato quando lo aveva toccato! Quello che era parso un contatto molto lieve, invece, ora mostrava la potenza insita nelle mani del campione!

“Accidenti… ecco perché mi facevano male… a quanto pare mi ha lasciato un suo ricordino!” bofonchiò.

“Joe… quello non è un pugile come gli altri. È un uomo fiero ed orgoglioso, con molta fiducia in se stesso. Secondo me è volato fin quaggiù dal suo paese per conoscerti e per valutarti: voleva scoprire chi fosse il pugile che si era incontrato con Carlos prima di lui… e che prima di lui lo avesse messo al tappeto…” sospirò, sedendosi sulla panca.

Nel frattempo, Joe aveva ricominciato a sferrare al sacco precise combinazioni di jab e di diretti. “Voleva anche impressionarmi. E devo dire che c’è riuscito!” sorrise “certo che se pure io avessi delle mani così potenti… altro che lividi lascerei! Ma non ne sono in grado. ‘Notte, vecchio: vado a coricarmi, sono a pezzi: le feste mi ammazzano più degli incontri… non sono roba per me.”

°°°°°°

Nel frattempo Yoko non se n’era rimasta inerte.

L’arrivo di José l’aveva turbata ed aveva fatto nascere in lei mille interrogativi, cui non riusciva a dare una risposta. Quell’uomo era sbucato fuori dal nulla, quasi come uno spirito evocato… per poi sparire di nuovo. Aveva fatto un paio di telefonate ad alcuni amici giornalisti, per scoprire che dopo aver cambiato più auto José Mendoza si era rifugiato all’ambasciata messicana. Mentre, in vestaglia, rifletteva sulla questione, ecco che il telefono aveva ripreso a squillare.

“Salve. Se le interessa posso dirle dove si trova Mendoza.”

“…Kiyoshi? Ma… è Lei? Come ha fatto ad avere il mio numero di telefono?” Yoko non sapeva se restare allibita o se cominciare ad irritarsi sul serio per la sfacciataggine del reporter.

“Esatto, sono io. E per me è stato un giochetto da ragazzi reperire il Suo numero di telefono privato… come anche scovare Mendoza. Trucchetti da giornalista. Allora: vuole sapere di Mendoza o no?”

“Quanti soldi vuole?” sibilò Yoko, seccata.

“Nulla.”

“Non ci credo. I tipi come Lei hanno sempre un prezzo.”

“Uhmmm… stasera La sento assai poco cordiale… Facciamo così: domattina ci prendiamo un caffè insieme e parliamo con calma, ok? C’è una sala da tè in stile occidentale vicina al Palazzetto Kurama…Va bene per le dieci?”

“…”

“Bene. Chi tace acconsente. Dolce notte, principessa.

Yoko rimase interdetta, con la cornetta del telefono in mano, come imbambolata. Alla fine si riscosse, imprecando tra sé e sé per non aver chiuso il telefono in faccia a quel tizio. Ma la curiosità di scoprire qualcosa su Mendoza la vinse sull’irritazione. Sospirando, si spogliò della vestaglia e si coricò. Passò la notte insonne, girandosi e rigirandosi nel letto, decidendosi quindi di alzarsi assai di buon’ora: dopo aver passato in ufficio un paio d’ore a controllare la corrispondenza, Yoko si recò all’appuntamento.

Jun era arrivato già da qualche minuto: l’aspettava fuori, una sigaretta tra le labbra. Ne vederla arrivare, spense il mozzicone in un posacenere pubblico e le sorrise, un po’ sornione.

“Sapevo che sarebbe venuta. Ci tiene davvero a sapere di Mendoza… come immaginavo.”

“Buongiorno.” replicò lei, asciutta e, senza dire altro, lo precedette nel locale.

“Allora, cosa preferisce ordinare?”

“Un caffè, grazie.”

Dopo che il cameriere ebbe loro servito l’ordinazione, Jun si tolse gli occhiali da sole, ravviandosi la folta chioma, lunga quasi fino alle spalle. Yoko lo osservò: un bell’uomo, nulla da dire. Solo che, istintivamente, non riusciva ancora a decidersi se potersi fidare o no di costui. Sorseggiò il nettare robusto dell’arabica tostata a dovere.

“Cosa mi dice di Mendoza? In fondo, siamo qui per questo.” esordì, decisa.

“Dritta al sodo, eh?” ridacchiò Jun “La accontento subito. Mendoza non è venuto da solo: adesso alloggia in un albergo di lusso vicino all’aeroporto con tutta la sua famiglia.”

“Uhm… sa anche fino a quando rimarrà in Giappone?”

“Fino ad oggi pomeriggio: alle quattro si imbarcherà in un volo charter, con i suoi. Se desidera incontrarlo deve affrettarsi: non dimentichi che è protetto dall’ambasciata messicana, e che quindi dovrà chiedere prima di essere autorizzata ad avvicinarlo.”

“Che esagerazione…”chiosò Yoko, sarcastica.

“Beh, e che ci trova di strano? Mendoza è considerato una specie di eroe nazionale in patria: per questo è tanto protetto.”

“Capisco. Se vuole scusarmi, ora devo tornare in ufficio.” Yoko si alzò per inchinarsi a Jun “Grazie per le informazioni. Non esiti ad inviare la Sua parcella allo Shiraki Boxing Club per la… consulenza. Buona giornata.”

“Ma… aspetti un momento…!” provò a dire il reporter, per fermarla, ma invano: Yoko aveva già lasciato il locale.

°°°°°°

Qualche ora dopo…


Procedeva a passo sostenuto con la sua corvette, alla volta dell’albergo. Non era stato semplicissimo ottenere il permesso dall’ambasciata messicana: suo malgrado, Yoko aveva dovuto far leva sul prestigioso nome della famiglia. Essere una Shiraki poteva comportare pure qualche vantaggio, almeno una volta tanto… e non solo il problema di avere una nonna reazionaria e dittatoriale. Dopo aver affidato l’auto al parcheggiatore dell’hotel, Yoko chiese alla receptionist di essere messa in contatto con la suite reale: dopo una breve telefonata, le venne concesso il permesso di salire. Yoko avrebbe incontrato la famiglia Mendoza in piscina. Si sentì un po’ sciocca, mentre si recava all’ascensore, oltre che un po’ intimidita, non sapendo bene cosa aspettarsi… respirò a lungo, mentre l’ascensore saliva di piano in piano. In realtà, l’incontro fu poi assai piacevole e tranquillo: Claire Mendoza, una bella donna americana dai lunghi capelli biondi, fu molto affabile con la signorina giapponese tanto ansiosa di fare la conoscenza sua e di suo marito. I quattro bambini, due maschietti e due femmine, di età variabile dai tre ai nove anni, la accolsero quasi come una loro vecchia amica, mostrandole i souvenirs acquistati il giorno prima. Ma, soprattutto, Yoko rimase incantata dalla semplicità dei modi e dalla cortesia del campione: un vero gentiluomo vecchio stampo, che la ascoltò con attenzione e che rispose a tutte le sue domande. Solo ad una domanda non volle rispondere, limitandosi a sorridere quietamente: non volle dire a Yoko cosa pensasse di Joe e perché avesse voluto incontrarlo. Yoko non volle essere insistente e capì che era arrivato il momento di congedarsi. Stringendo la mano ai due sposi, li ringraziò per la loro gentile disponibilità, augurando loro un felice ritorno in patria. Proprio quando stava per girare sui tacchi, Mendoza la sorprese, una volta di più…

“Joe Yabuki mi sembra un giovane promettente. Ma da dove proviene e dove pensa di poter arrivare**?” le disse, in tono pacato.

Quelle parole continuarono a ronzarle nella mente, anche mentre mise in moto l’auto, per poter fare ritorno in ufficio.

“Già… questo è quello che viene spontaneo chiedersi quando si ha di Joe una conoscenza ancora superficiale. Pure io, anni fa, quando lo vidi per la prima volta, mi chiesi chi fosse e che cosa mai potesse volere dalle nostre vite… dalla mia, da quella di Tooru… Ma una cosa è certa: è un uomo che ti entra nella pelle e di cui non ci si può liberare, mai più. E questo lo scoprirà anche Mendoza, quando un giorno, forse, incrocerà i guantoni con lui…

°°°°°°

Qualche giorno dopo, al Kimura Boxing Club...


Aveva fatto bene.

Aveva fatto davvero bene a tenere lontano Joe da quel pugile. Danpei Tange osservava sbigottito come quell’uomo stesse infierendo sul povero sparring partner della palestra. Il coreano era implacabile: con una precisione quasi robotica non dava nessuna possibilità all’altro di stringere la difesa e di contrattaccare in qualche modo. Ma la cosa che più gli fece agghiacciare il sangue nelle vene erano gli occhi di Ryuhi Kim, che erano totalmente freddi, vacui ed inespressivi: quelli erano gli occhi di un rettile che stesse per dare alla sua preda il colpo di grazia, prima di inghiottirsela tutta d’un boccone. In più era spaventosamente alto e possente, dagli arti molto lunghi, che parevano quasi piovere dall’alto sul corpo di quel poveraccio.

Sì: aveva fatto bene a mentire a Joe, dicendogli che il campione di boxe dell’Asia si era rifiutato di organizzare un incontro con lui. Joe aspirava al titolo mondiale, ma sapeva benissimo che per poter arrivare a Mendoza e vendicare Carlos doveva prima disputare dei campionati intermedi: il primo della lista era il campionato asiatico, il cui titolo era detenuto dal pugile della Repubblica Popolare Democratica di Corea. Danpei posò la mano convulsamente sulla tasca del soprabito, ove da quasi tre mesi custodiva gelosamente una lettera inviatagli da Lee Jang, procuratore ed allenatore di Kim, con cui lo invitava a fissare al più presto un match mettendo in palio il titolo del suo uomo. Lettera cui Tange non aveva ancora dato nessuna risposta.

Alla fine, il titolare della palestra Mito Kimura non resse più alla tensione.

“Colonnello Jang La prego… faccia smettere il suo pugile! Questo non è più un allenamento ma un massacro! Guardi come Kim ha ridotto il mio povero pugile! Lo faccia smettere!”

Il militare lo squadrò freddamente, quasi soppesandolo con gli occhi.

“Sciocchezze. Kim ci sta andando leggero. È il suo pugile ad essere una debole femminuccia. Comunque sia, siamo Suoi ospiti, per cui va bene. Kim,” chiamò il campione, avvicinandosi alle corde: “basta così per oggi. Vai a farti una doccia.”

“Ricevuto.”

L’alto giovane si allontanò a passo elastico da quello che ormai era divenuto un sacco da boxe e che si era accasciato al tappeto con un flebile rantolo.

“Un medico!! Presto!!” urlò disperato Kimura, accorrendo sul ring.

Tange scivolò fuori dalla palestra, insieme ai giornalisti sportivi. L’allenamento pubblico di Kim aveva suscitato vivide impressioni in tutti loro.

“Accidenti, è una macchina, non un uomo…”

“A me ricorda Frankenstein… così alto e con quei lineamenti squadrati…gli mancano i bulloni ai lati del collo ed è uguale sputato!”

“E che dire della potenza dei suoi pugni? Neppure un peso massimo è così feroce!”


Più sentiva i commenti dei giornalisti e più Tange moriva dalla paura per Joe…doveva a tutti i costi tenere lontano il suo ragazzo da quel mostro!

“Vecchio. Eccoti qua, come immaginavo.”

Danpei, perso com’era nei suoi pensieri, era quasi andato a sbattere contro Joe, che lo stava fissando con aria cupa.

“Ehmmm… ma tu cosa ci fai qui? Non dovresti essere in palestra ad allenarti?” farfugliò Tange.

“Eggià… io dovrei starmene in palestra ad allenarmi, mentre tu te ne vai di nascosto a vedere un allenamento pubblico di Ryuhi Kim… proprio lo stesso Ryuhi Kim che – com’è che dicevi? – ‘non lascia mai il suo paese e non rilascia interviste’. Che strano, eh? Dopo la doccia ho curiosato nel quotidiano… e vengo a scoprire che dopodomani questo misterioso campione disputerà un incontro proprio qui a Tokyo… e che oggi pomeriggio si sarebbe allenato pubblicamente al Kimura Boxing Club!” al che afferrò Tange per il bavero, furibondo “A che gioco stai giocando? Quante balle mi hai raccontato? Sono settimane che ti chiedo notizie su di lui e tu fai il misterioso! Tu mi stai nascondendo qualcosa, lo sento!”

“Calmati Joe… calmati figliolo. Ecco… sto cercando di nuovo di organizzarti un incontro con lui…pensavo di raggiungere il suo manager in hotel per parlargli… poi, a cosa fatta, te ne avrei parlato…sai, i nord coreani non sono tipi facili da avvicinare…” staccò le mani del ragazzo, cercando di blandirlo.

Joe lo osservò per qualche secondo: sentiva che Tange non era completamente sincero. Eppure, adesso come adesso, non gli restava altro da fare che fidarsi di lui…

“E va bene. D’accordo. Io torno a casa. Lascio a te la cosa… ma ricordati che io voglio salire sul ring per un incontro decente. Ho fretta, capisci? Non posso restarmene con le mani in mano, né perdere tempo con pugili in basso nelle classifiche, o mi va a finire che Mendoza si ritira dalla boxe! Ciao, ci vediamo a casa. Portami delle buone notizie!”

Danpei osservò Joe allontanarsi con le mani nelle tasche e la testa un po’ insaccata nel colletto del giaccone, maledicendo se stesso per l’ennesima bugia. Gli aveva mentito di nuovo, anche se lo aveva fatto a fin di bene. Ora, però, doveva consultarsi con qualcuno che potesse capire le sue preoccupazioni: per questo si diresse alla metropolitana, per raggiungere lo Shiraki Boxing Club il prima possibile.

°°°°°°°°

Dopo aver rassettato un po’ in giro, dato che Danpei gli urlava sempre “che era troppo disordinato”, si mise a leggere una rivista sportiva che aveva comprato di ritorno dal centro, aspettando così il ritorno del vecchio. Divorava soprattutto gli articoli che parlavano di Mendoza. Si divertì molto a leggere lo scoop sulla comparsa di Mendoza al ricevimento della Tele Kappa: i giornalisti si erano sfogati in illazioni di vario genere, specialmente riguardo all’approccio che il campione aveva tenuto proprio con lui. Sentì aprire la porta.

“Oh finalmente… certo che ce ne hai messo di tempo, eh. Allora cosa mi dici? Si fa questo match?” interpellò quello che credeva fosse Tange, senza però staccare gli occhi dall’articolo che stava finendo di leggere.

“Non intendiamo lasciar correre.”

Joe alzò gli occhi sbigottito, udendo una voce a lui sconosciuta e dallo spiccato accento straniero. Due uomini gli apparvero davanti agli occhi: uno di mezza età e tarchiato, dall’aria malevola, uno molto alto e sulla trentina, che lo fissava freddamente.

“Chi diavolo sareste voi?” sbottò, levandosi in piedi, lentamente. Per una frazione di secondi pensò che si trattasse di qualche sgherro della Yakuza, affinché la dolce nonnina di Yoko potesse finire con lui quello che aveva solo abbozzato, qualche tempo prima… ma poi, fissando bene in volto i due sconosciuti notò che non erano giapponesi ma eminentemente coreani. Lo spilungone, poi, doveva averlo già visto da qualche parte…

“Joe Yabuki, non credere che Ryuhi Kim, il campione, possa avere paura di te. Per questo siamo qui: per dirti di persona che vogliamo un match contro di te il prima possibile. E non ti permettere più di dire in giro che il campione asiatico avrebbe paura di te.” gli pontificò il più vecchio, in un giapponese stentato.

Joe non fece in tempo a replicare, che ecco che sopraggiunse Tange proprio in quel momento… Il pover’uomo rimase di sasso per qualche secondo sulla soglia della palestra, non appena si vide davanti Jang e Kim… Oh no, non era possibile!!

“Andate via! Cosa ci fate qui?” annaspò, cercando di rendere ferma la voce.

“Tange, è stato lei con il suo pupillo a spargere in giro la voce sulla paura di Kim di battersi? Scherziamo? Dopo che IO Le avevo scritto per chiederLe di fissare il match il prima possibile senza che Lei si fosse degnato di rispondermi? A che gioco sta giocando?” gli sbraitò contro il colonnello, puntandogli l’indice sulla spalla con fare minaccioso.

“Sentite, facciamo così. Inutile dire chi ha fatto cosa… tanto più che ormai siete qui: fissiamo questo cavolo di incontro, quando volete voi e dove volete voi. Per me non c’è problema.” propose Joe, con fare sornione.

“Stai zitto, tu! Queste decisioni le prendo io, che sono il tuo manager! Ed ora, voi due, andate via!! Fuori di qua!”

Tange cominciò a spintonare Kim verso l’uscita…cosa che il pugile non gradì affatto.

“Mi tolga le mani di dosso. Non mi tocchi.” al che gli sferrò un gancio nello stomaco che lo lasciò accasciato al suolo, incapace quasi di respirare…

“Vecchio! Rispondimi ti prego!!” Joe cercò di tirare su il povero Danpei, che aveva perso i sensi. Lo appoggiò alla parete, facendogli aria in viso con il cappello, per farlo rianimare. “Dove credete di andare?” ringhiò poi “Confermo di accettare la sfida! Ma prima… vorrei restituire la cortesia!” balzò in piedi con uno scatto felino e piombò su Jang, che si era messo in mezzo “Si tolga di mezzo!” omaggiandolo di un diretto destro e di un gancio sinistro. Non rimase a Kim che afferrare saldamente Joe per i polsi per strattonarlo via dal colonnello, cosa che fece digrignare i denti al giapponese.

“Non qui. Ti aspetto sul ring. Tto manna-yo***” gli sibilò.

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Spigolature dell’Autrice:

*Hotel New Otani di Tokyo: esiste, è un albergo di lusso di cui parla pure il blog che Vi avevo linkato nel primo capitolo. Sulla sommità c’è una torretta che ruota, per una vista panoramica mozzafiato!

new-otani-hotel-tokyo
**frase presa dall’anime, per me troppo significativa per tralasciarla…

***"arrivederci" in coreano.
  
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