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Autore: TheGayShark    17/11/2015    1 recensioni
Crossover Glee/Harry Potter.
Storia ambientata a vent'anni dalla caduta del Signore Oscuro. Un nuovo ordine si è formato nel mondo magico, dove il male non ha mai cessato di esistere. Riuscirà l'amore a farsi spazio nel nuovo regno del terrore?
#Brittana - Il riassunto fa schifo, la storia è un po' meglio.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Quinn Fabray, Santana Lopez, Un po' tutti | Coppie: Brittany/Santana, Puck/Quinn
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Villa Lopez -

 

L'unico rumore che accompagnò le due streghe nella loro passeggiata  fu quello delle catene di Brittany, che strisciando contro il pavimento ad ogni suo passo,  ricordavano costantemente alla latina la loro presenza. La bionda, dal canto suo, si stava davvero impegnando per non essere troppo rumorosa, tanto da assicurarsi addirittura di respirare nel modo più silenzioso possibile. Voleva a tutti i costi evitare di infastidire la maga che procedeva a passo sicuro davanti a lei in quel labirinto di stanze che, con forse troppo coraggio, la donna chiamava "casa". 

Per quanto si fosse ripetuta di mantenere lo sguardo basso e non proferir parola - consiglio che le aveva dato qualche ora prima il mago che aveva appreso si chiamasse Talbot-, di tanto in tanto, Brittany alzava gli occhi per studiare quell'ambiente cupo e opprimente. Aveva notato subito il cambio di pavimentazione, il parquet di legno era meno freddo e più delicato delle mattonelle gelide in pietra con cui, fino a quel momento, i suoi piedi nudi avevano dovuto aver a che fare. Da quel che aveva registrato, avevano salito lungo ben due rampe di scale, separate da corridoi spaziosi. Sulle pareti, notò, non mancavano quadri e affreschi, né tantomeno fantasie di dubbio gusto. Non avrebbe voluto passare un'ora in più in quella magione, ma qualcosa la portava a pensare che non avrebbe più visto altro all'infuori di quelle quattro mura.

Grazie al cielo i suoi arti inferiori, per quanto doloranti, non le davano grossi problemi. Se non fosse stato così, non sarebbe mai riuscita ad affrontare l'ennesima scalinata che si trovò davanti.

Il braccio, invece, continuava a farle vedere le stelle. Era gonfiato a tal punto da far credere alla bionda che, se quel diavolo d'una strega che la stava portando chissà dove non l'avesse preceduta, l'infezione che sembrava essersi messa in moto nel suo gomito l'avrebbe uccisa. 

Brittany rabbrividì al pensiero ed irrigidì di poco i muscoli del braccio. Quel minuscolo movimento fu sufficiente a provocarle un'ulteriore scarica di dolore alla quale la strega proprio non riuscì a trattenere un lamento disperato. 

Nonostante il rumore, la mora non si voltò. Proseguì dritta ed indisturbata fino ad arrivare ad una porta il cui legno era stato intagliato in modo da raffigurare il corpo in rilievo di un serpente, accompagnato da varie "S", probabilmente d'oro, incastonate in ogni dove. La Mangiamorte posò la mano sulla maniglia e si fece da parte per far entrare prima Brittany. La bionda capì che non si trattasse di un gesto di cavalleria, quanto più di diffidenza

Senza che Santana dicesse niente, Brittany a testa bassa le sfilò davanti e si sistemò a qualche passo dall'entrata. Sentì il peso di quegli occhi scuri posarsi su di lei e udì la porta richiudersi ma, presa com'era dalla curiosità, anziché rivolgere le proprie attenzioni alla latina, cominciò a guardarsi attorno. Al centro della stanza vi era una scrivania nera, spaziosa, ricoperta da pergamene, libri e piume. A contornare le pareti, invece, c'erano mensole e diversi mobili con scomparti pieni di libri. 

La bionda pensò che o la latina era un'amante della lettura, o quello dovesse essere il suo studio. Probabilmente erano tutti strumenti che le servivano per il suo assurdo lavoro. 

La donna dalla carnagione olivastra si andò a sedere sulla sedia nascosta dietro alla scrivania, agli occhi di Brittany quella specie di poltroncina-trono, sembrava essere l'oggetto più comodo della stanza. Santana prese un respiro profondo e lo sbuffo scocciato che emise successivamente arrivò come un chiaro campanello d'allarme alle orecchie della bionda. 

«Lilburrow, immagino.» Disse la mora con un ghigno esemplare facendo trasparire una buona dose di soddisfazione e mettendo le mani nella smisurata pila di pergamene che abitavano sulla sua scrivania. Emise un verso che parve di scherno, ai suoi occhi quel piccolo paesino non significava chiaramente nulla. Non era totalmente consapevole di aver distrutto un villaggio incantato in cui la vita sembrava essersi fermata a secoli prima, non immaginava cosa volesse dire spazzare via sogni e speranze di centinaia di persone. Come poteva.

Brittany non rispose alle parole dell'altra, l'ultima cosa che voleva fare era conversare allegramente con la donna che le aveva portato via ogni cosa. Ciò che fece, invece, fu lanciarle l'occhiata più cattiva che avesse mai riferito ad anima viva. La latina non la notò nemmeno, immersa com'era da chissà quali pensieri.

«Il tuo nome.» 

Brittany notò che nessuna delle frasi della Mangiamorte veniva mai formulata in forma interrogativa. Non per quanto aveva potuto apprendere fino a quel momento, almeno. Immaginò fosse una sorta di deformazione professionale. Santana Lopez non chiedeva niente a nessuno, esigeva, ringhiava ordini, prendeva, distruggeva. Non aveva bisogno di domandare per ottenere quel che desiderava. Non fino ad allora, comunque. Ma tutto ciò a Brittany cominciava a sembrare irrilevante.

La bionda si disse che, se quelle erano le sue ultime ore, le avrebbe spese insegnando qualcosa a quell'essere spregevole che sembrava essere priva di sentimenti. Non avrebbe più chinato la testa. D'altronde, cosa le restava da perdere?

Non ottenendo risposta, Santana sollevò per un attimo lo sguardo dalla pergamena che stringeva tra le dita. Il suo sopracciglio si alzò all'inverosimile quando i suoi occhi incontrarono quelli chiari della ragazza. 

«Il tuo nome,» Ringhiò allora, a denti stretti, scandendo con una lentezza carica di irritazione ogni singola parola. Poi, come sapendo già che altrimenti non avrebbe ottenuto nemmeno un suono in risposta, aggiunse «Schiava».

Brittany sbiancò improvvisamente, le mancava solo quella. Provò a protestare: «Non sono una sc-»

«Silenzio!» Urlò prontamente la latina, lasciando diversi dubbi nella zucca della bionda. La mangiamorte voleva risposte o silenzio? Come avrebbe potuto rispondere stando zitta? Era chiaro le mancasse qualche venerdì. 

Santana si passò una mano sulla fronte e dopo aver inspirato profondamente inscenò un sorrisetto diabolico che Brittany le avrebbe volentieri strappato dalla faccia con le sue stesse mani, se solo non avesse avuto le catene e un braccio rotto. Non aveva mai avuto impulsi violenti fino ad allora, la presenza di quella donna non aveva un'ottima influenza su di lei. 

«Non te lo chiederò un'altra volta.» L'ammonì spazientita la mora.

«Chiedere? Pensavo me lo stessi ordinando.» Rispose con prontezza l'altra, cavalcando l'onda di coraggio che l'aveva posseduta. Si sforzò addirittura di tenere gli occhi puntati su quelli della latina.

Santana dischiuse le labbra per rispondere, registrando solo in un secondo momento che la ragazza non le avesse dato l'informazione per cui era stata interrogata. Le sopracciglia della mora si abbassarono, facendole assumere un'aria più aggressiva. 

Come osava riferirsi a lei in quel modo, con quel tono? Come poteva un'essere inferiore mostrare tanta ingratitudine? E dire che Santana era certa di averla salvata da un futuro più cupo di quanto non sarebbe stato quello che ora si stava formando per lei, avrebbe almeno dovuto mostrare alla sua salvatrice un po' di gratitudine. Se non altro, le aveva regalato dei minuti in più di vita che ora era tentata di toglierle. Se solo la sua pantera non fosse stata tanto strana..

Ai suoi occhi, comunque, la ragazza era tanto minacciosa quanto un cucciolo ferito, nonostante i suoi nuovi modi scortesi. Era alta, sì, ma allo stesso tempo la sua corporatura delicata non l'aiutava a sembrare tanto pericolosa quanto cercava di fingere con le parole. Nel mezzo bel mezzo del suo studio, in piedi, imprigionata tra le catene create da Talbot, con la veste strappata e sprovvista di bacchetta, l'ospite della latina era più che innocua. Per un momento, le ricordò una specie di bambina dispettosa che tentava di opporsi al volere dei genitori e, solo per quel piccolo frangente, l'impotenza davanti alla realtà della giovane le fece quasi tenerezza.

Se fosse stata un'altra donna, Santana Lopez avrebbe sorriso. Ma Santana Lopez odiava i bambini, soprattutto quelli irrispettosi, e sorrideva solo davanti ad atti di vera crudeltà. 

«Che bel caratterino.» Mormorò la mora, seccata. «Mi domando quanta voglia di scherzare ti resterebbe sotto l'effetto della maledizione cruciatus.»  

Brittany sapeva cosa rispondere, se solo avesse avuto ancora un briciolo di quello strano coraggio che l'aveva abbandonata, le avrebbe detto che c'era un solo modo per scoprirlo, ma non arrivò a tanto. Avrebbe immaginato d'averlo fatto per le ore che le rimanevano da vivere, sempre che ne avesse.

Santana, comunque, sembrava realmente intenzionata di scoprirlo. La sua mano sinistra si era già spostata verso l'interno del mantello, dove riposava la sua bacchetta, quando, spinta dal terrore di dover sopportare ulteriore dolore, Brittany parlò. «BrittanySusanPierce.»

Non fu che un sussurro tremante e spaventato, ma la latina capì che si trattasse del suo nome.

«Brittany Susan Pierce», ripeté con più fermezza.

L'altra esitò diversi secondi prima di allontanare la mano dalla bacchetta e scorrere con gli occhi la pergamena che ancora stringeva nella mano destra. Nel silenzio, la mora scosse il capo. Qualsiasi cosa avesse appena letto non doveva essere stato di suo gradimento.

«Mezzosangue.» Palesò a voce alta poco dopo. Brittany annuì, intuendo a grandi linee dove fosse diretto quel loro discorso. «Sposata con un -»

«Nato babbano» concluse brevemente la ragazza in catene.

«Non ti ho dato il permesso di parlare.» La mora arrivò fulminea per rimproverarla, senza entusiasmo. Perché ogni mezzosangue sembrava non avere il benché minimo rispetto verso le regole basilari del rispetto e della convivenza? Perché sono mezze bestie, non capiscono. Santana sapeva che la voce nella sua testa aveva ragione. Ecco perché stavano cercando di rieducarli ed affidare loro mansioni alla loro altezza. 

Santana posò la pergamena sulla scrivania, inspirando dal naso e sollevando per l'ennesima volta un sopracciglio. «Scelta discutibile, ma tra feccia ci s'intende.»

La mora socchiuse gli occhi e, con fare stanco, si portò le mani alle tempie per massaggiarle. Brittany pensò che un gran mal di testa fosse il minimo che quella creatura malefica si meritasse. Voleva quasi ricordarle che lei, per colpa della Mangiamorte e dei suoi uomini, aveva perso tutto e che avrebbe volentieri barattato la sua situazione con il mal di testa della latina. Il poco buonsenso rimastole, comunque, la fece rimanere zitta.

Santana si alzò in piedi e con gli occhi fissi sull'altra strega, le si avvicinò. Brittany, quasi inconsciamente, si ritrovò ad indietreggiare finché il suo gomito ferito urtò contro il muro, segno che la stanza era giunta alla fine e che per lei non c'era via di fuga. Non si sforzò di trattenere il lamento agonizzante per il dolore che quasi la fece svenire. Cercò di portare la mano al gomito ma, per via delle catene, non riuscì a lenire in nessun modo quel malessere. 

Santana sorrise divertita dalla situazione e presto la sua risata sommessa riempì la stanza. La stessa ragazza che pochi minuti prima si sforzava per fare il vocione in quel momento si era trasformata in un gufetto dall'ala ferita, inoltre il fatto che fosse completamente senza possibilità non faceva che aggiungere comicità alla scena che per Santana pareva tanto ilare. «Deve fare molto male.»

Commentò la mora, con una strana felicità nella voce, indicando poi l'osso della bionda con un cenno del capo. Brittany non riuscì a rispondere, presa com'era dall'insopportabile dolore. L'unica cosa che registrò, fu il movimento dell'altra strega. 

Santana, infatti, aveva nel frattempo estratto la bacchetta dal fodero e dopo aver studiato con poca attenzione la ferita aveva compiuto l'ultimo passo verso la bionda. «È una fortuna che si possa riparare con poco più di un incantesimo.» Cantilenò, poi. 

Brittany arricciò il naso e strinse gli occhi, non riusciva a comprendere se fosse ironica o seria. Annuì, speranzosa che quel mostro di persona che neanche un'ora prima aveva ucciso un uomo, avrebbe cercato di pareggiare il bilancio con la sua coscienza compiendo un'opera caritatevole. Magari non era così crudele o semplicemente non amava le ossa sporgenti.

Però Santana non fece nulla. Si limitò ad osservare il proprio strumento di legno, guardandolo come a voler dire "Guarda che bella bacchetta, è bella ed è mia. È la più bella che ci sia". Così Brittany, ancora legata alle sue speranze, provò a ricordare alla mora che l'unica che poteva fare qualcosa per lei, in quella situazione, era proprio la mangiamorte.

«Non ho più la mia bacchetta.» Brittany si schiarì la voce, sicura che alla latina servisse solo una piccola spintarella. Forse non era abituata a fare del bene e aveva bisogno di essere spronata. 

«Oh, lo so.» Annuì la mora con fare ovvio, scoppiando poi in una risata di scherno. Scosse il capo e dopo averle dato le spalle, con un gesto della bacchetta aprì la porta dello studio. «Muoviti.» La istruì, aspettandola sulla soglia della porta. 

Brittany si sentì cadere. Se vi era ancora un cuore nel suo petto, era sicuramente di pietra. 

«Dove stiamo andando?» 

La latina strinse gli occhi alla sua domanda, prendendo quella frase quasi come un affronto alla sua persona. Le bastò un piccolo movimento del polso per far sì che l'incantesimo da lei pronunciato attirasse le catene di Brittany alla sua mano, costringendo nel frattempo la bionda a muoversi verso la Mangiamorte. «Le domande qui le faccio io.»

Ringhiò irritata, stringendo tra le dita della mano destra la catena che legava i polsi della mezzosangue. Brittany non si sforzò neanche di trattenere l'ennesimo urlo di dolore, non dopo quello strattone che l'aveva ridotta a stare sulle ginocchia.

«Non ti è dato il diritto di protestare.» Continuò la latina, «Non ti è dato proprio nessun diritto dal momento in cui il tuo sangue non vale niente. Anzi, meno di niente. Tu ed il resto della feccia che compone la tua stessa razza, siete dei nessuno.» Si corresse brevemente, « E credimi, diventerete tali anche fisicamente.» 

La latina guardò negli occhi la ragazza finché non fu certa di essersi spiegata bene. Diede poi uno strattone alla catena, facendo uscire un altro grido strozzato di dolore dalle labbra della giovane strega. Poi, con un diavolo per capello, si voltò e sempre tenendo nella mano la catena, quasi come se l'altra fosse stata un cane, si tirò dietro la bionda giù per le scale. 

Con i denti stretti per non dare la soddisfazione alla latina di urlare ancora, Brittany notò che il corridoio del primo piano, in qualche modo, fosse meno tetro di quello del secondo, dove si trovava lo studio di Santana.

La Mangiamorte la scortò fino a raggiungere l'ultima porta sulla sinistra. Sfiorò il pomello del legno con la bacchetta e subito la porticina si aprì, rivelando al suo interno una stanzetta modesta. Non c'era nulla più di un letto, una scrivania, una finestra e un trespolo per gufi. Brittany fu svelta nel capire che quella non dovesse essere una stanza di cui i Lopez avessero mai beneficiato in prima persona. 

«Non toccare niente, non sedere sul letto e trattieni i tuoi bisogni. » Ordinò la latina dopo aver fatto entrare la ragazza in quella stanzetta. Prima  che Brittany potesse aprire bocca per chiederle perché la stesse lasciando lì, Santana era fuori dal suo raggio visivo. Sentì la porta chiudersi a chiave e il suo stomaco fece una capriola. L'avrebbe lasciata lì a morire di fame o sarebbe tornata per finirla prima con un guizzo verde della maledizione letale senza perdono?

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Santana capì nel momento in cui si svegliò che quella giornata non sarebbe stata una delle migliori. Non appena la sveglia suonò, le prime avvisaglie di un terribile mal di testa si fecero sentire, fu sufficiente quello per portarla a ricercare la bacchetta sotto al cuscino con il solo intento di far esplodere l'oggettivo metallico. La distruzione della sveglia stava diventando un macabro rituale, il segno dell'ennesimo giorno iniziato male e destinato a finire anche peggio, il più delle volte.

La strega aveva provato ogni genere di pozione, ma niente riusciva ad allontanare per più di qualche ora quello sgradevole dolore al capo che si protraeva ormai da svariati mesi. Era come se uno sciame di Doxy avesse preso residenza nella sua testa e la mora non riusciva più a sopportare oltre quell'increscente situazione.

Anche quella mattina aveva ovviamente saltato la colazione, perché quel fastidio le impediva di introdurre qualsiasi forma di cibo nel suo corpo, e si era preparata invece per la riunione che si sarebbe tenuta da lì a poco in quella che un tempo veniva chiamata Villa Malfoy, ora sede principale dei raduni più importanti di una ristretta cerchia di maghi oscuri. 

Passò un'ora intera a litigare con Jerzy Dolohov, esattamente come aveva preventivato di fare la sera prima. 

Da qualche tempo il Consiglio dei Mangiamorte aveva come usuale punto dell'ordine del giorno l'organizzazione dell'unica scuola di Magia e Stregoneria del Regno Unito. Era fondamentale che tutti i componenti del corpo docenti fossero membri conosciuti dall'Ordine, convinti professanti degli ideali e degli stili di vita del nuovo Governo. 

Santana sapeva che i suoi "colleghi" del Consiglio avrebbero fatto di tutto pur di liberarsi dell'unica donna a cui era consentito far politica, perciò non rimase troppo sorpresa quando venne proposto, con tanto di domanda scritta, che fosse proprio la Latina a prendere la cattedra vacante di presidenza dell'intero istituto. Per quanto la mora non avesse mai disprezzato la figura dell'insegnante, non aveva proprio alcuna intenzione di lasciare quello che aveva scoperto essere il lavoro dei suoi sogni per passare mesi e mesi con ragazzini ignoranti ed irritanti. Non faceva per lei. 

Perciò si stava battendo da diverse settimane contro ogni membro del Consiglio, in particolari modo con Dolohov, lo scoglio più grande. 

Sfortunatamente per lei, con il tempo quell'uomo era riuscito a guadagnassi una posizione privilegiata tra le grazie di Luis Lopez. Per suo padre, il biondino era diventato il figlio maschio mancato, sebbene Santana non lo percepisse affatto come fratello. Non era mai stata una ragazza gelosa ed avrebbe negato fino alla morte che si trattasse di gelosia,  ma non riusciva più a sopportare il modo in cui l'uomo che l'aveva cresciuta guardava quel mago, né tantomeno riusciva ad ascoltare le promesse che Luis faceva al ragazzo. 

Quella di Dolohov stava diventando una presenza fastidiosa tanto quanto il mal di testa della latina. Ad ogni cena di famiglia prendeva parte anche il mangiamorte, era con loro durante le domeniche in campagna ed aveva avuto anche la bella faccia tosta di presentarsi con al seguito i bagagli quando i Lopez erano partiti per una settimana di vacanze estive.

Santana sapeva che da lì a poco, suo padre avrebbe dato più ascolto a lui che a lei, perciò temeva di perdere ogni suo privilegio. Aveva addirittura cominciato a pensare di doversi sbarazzare del Mangiamorte per poter tornare a dormire sogni tranquilli. 

La mora aveva fatto il possibile per far valere le proprie ragioni quella mattina, ma con un'emicrania da spavento ed un branco di uomini che non sembravano neanche lontanamente interessati alle parole della ragazza, la giovane Lopez non riuscì ad ottenere quello che desiderava. Almeno, non completamente

Al posto di un lavoro a tempo pieno come comandante, Santana fu costretta a ripiegare su due lavori parziali. Con la promessa di presentare entro la settimana successiva un perfetto candidato per il ruolo di insegnante di Difesa contro le arti oscure, Santana era riuscita a mantenere, sebbene con qualche riduzione di uomini, il suo attuale impiego. 

Quando fece ritorno alla sua villa, la mora doveva ancora digerire quell'amaro boccone. Non riusciva neanche a capacitarsi di doversi trasferire nel castello in cui aveva passato alcuni degli anni più noiosi e cupi della sua vita. 

Non aveva neanche fatto in tempo a stappare la pozione che le avrebbe permesso di passare due ore senza mal di testa che una schiera di viscidi ed orribili magneti da quattro soldi si era presentato, come usuale, nel suo salone. Fosse stato per lei, avrebbe saltato ogni cerimonia del genere, ma in quanto membro del Consiglio e comandante di legione, era una mansione che non poteva affatto evitare.

Non aveva programmato di uccidere un uomo, né tantomeno di doversi far carico di una mezzosangue. Non aveva messo in conto, quella mattina, l'eventualità di una situazione tanto assurda.

La possibilità di un colpo di testa da parte del suo compagno più fedele, Mahaf, non le aveva neanche lontanamente sfiorato l'anticamera del cervello.

 

Santana non era affatto nervosa o irritata, bensì furente.

 

Il rumore deciso dei tacchi della strega giunse nella sua camera ancor prima della sua figura e dal brevissimo lasso di tempo che intercorreva tra un ticchettio e l'altro, era possibile intuire buona parte del malumore della Mangiamorte. Non appena la latina aprì la porta della stanza, vide l'ombra con cui tanto desiderava scambiare due insulti. Se ne stava comodamente sdraiata nel morbido materasso della strega e se solo Santana non avesse saputo leggere lo sguardo dell'animale, lo avrebbe fatto volare fuori dalla finestra all'istante. 

Sebbene la postura della bestia sembrava far trasparire un atteggiamento tranquillo e spensierato, quegli occhioni gialli dicevano tutt'altro. Preoccupazione, paura, speranza.

La strega incrociò le braccia al petto, come se fosse in attesa di una vera spiegazione da parte dell'animale che prese quella postura come un chiaro segnale. La pantera scese dal letto ed in un istante divenne un uomo. La figura maschile rivelatasi, si stiracchiò brevemente prima di levarsi sui due piedi, assumendo una postura più consona alla sua nuova forma.

«Dimmi che -» 

Santana non gli permise di concludere la frase. Con la bacchetta già pronta nella mano, le bastò alzare il braccio e premette la punta dell'arma contro il petto largo e muscoloso dell'uomo, che si vide costretto ad indietreggiare fino al letto, con le labbra serrate ed un'espressione di paura sul viso.

«Ricordami ancora perché ti ho tenuto in vita.» Sibilò lentamente la latina, a denti stretti.  

Passarono diversi secondi di silenzio prima che il ragazzo riuscisse a far rotolare le parole fuori dalle sue labbra, dopo quello che sembrò un momento di seria riflessione. «Perché sono il ragazzo più bello che tu conosca e perché sogni ancora di fare un salto sotto le lenzuola con me?»

L'espressione da ebete di Noah Puckerman non sarebbe mai bastata ad evitargli di essere schiantato e lui lo sapeva bene. 

La ragazza, inorridita dalla risposta dell'altro, strinse con più forza l'impugnatura della bacchetta e, aiutandosi con la mano, scagliò il copro dell'animagus contro il muro su cui era sistemata la testiera del suo letto. Se non altro, gli aveva concesso un atterraggio morbido. 

«Uomini,» cominciò con una chiara nota di disprezzo nella voce, «credete tutti che le donne non vedano l'ora di gettarsi tra le vostre braccia, magari a gambe aperte.» Continuò poi, avvicinandosi al letto dove Puck stava cercando di rimettersi in piedi. Essere lanciato da una parte all'altra della stanza gli creava ancora qualche problema sebbene dopo un paio d'anni di convivenza con Santana Lopez, le sue ossa avevano sviluppato una strana resistenza agli urti. 

«Siete disgustosi.» Ringhiò infine la ragazza,  fermandosi a pochi centimetri dall'altro mago.

Noah aveva imparato a conoscere il carattere della latina e con il tempo, aveva appreso quando aveva la possibilità di parlare ed essere semplicemente spostato di qualche metro, e quando invece aprir bocca gli sarebbe potuto costare molto di più. 

Capì in fretta che quella situazione ricadeva nella seconda categoria, perciò rimase in silenzio e permise alla latina di osservarlo e sfogarsi. Sapeva che se non glielo avesse permesso, ci avrebbero rimesso tutti e tre, lui, lei e Brittany. 

«Non ti ho salvato la vita perché tu potessi incasinarmela, Noah. Non ti ho insegnato a trasformarti per poter passare il resto dei tuoi giorni a condurre un'esistenza che non ti spetta, perlopiù a mie spese, non ne hai alcun diritto.» Calcò maggiormente le ultime due parole, con le sopracciglia increspate e la mascella contratta per lo sforzo che stava facendo per non urlare. Non poteva permetterselo, con quel mal di testa. «Vivi nella mia casa, mangi con me, dormi con me e questa è la tua gratitudine per me. Impazzisci nell'unico giorno in cui avrei preferito non vedere neanche il tuo brutto muso.»

Noah cominciava a non capire più molto. Insomma sì, era vero, stava conducendo uno stile di vita che molti come lui, altri della sua razza, avrebbero pregato di avere. Era al sicuro, protetto, agiato. Aveva un lavoro che  lo costringeva a stare per la maggior parte del tempo sotto la forma di una pantera, ma non era nulla paragonato al genere di torture che attendevano invece gli altri nati babbani. 

Quello che non capiva, però, era perché Santana se la stesse prendendo tanto quella volta. Aveva già fatto altre richieste del genere, si erano concluse tutte con un semplice no. Non che il ragazzo fosse completamente senza indizi, aveva una vaga idea - più che altro una disperata speranza- del perché la latina fosse tanto tormentata. Che avesse torto o ragione, di fatto Santana non sembrava voler  chiudere il discorso con un  semplice “No". 

Il sollievo fu breve, un brivido di terrore percorse la spina dorsale del ragazzone. Un terribile dubbio si insinuò nella sua testolina.

«Santana..» cominciò incerto, non sapendo esattamente come formulare quella folle sensazione. «Lei è..» Non riuscì a terminare la frase, le parole gli si fermarono in gola. 

La mora scrutò il viso del ragazzo alla ricerca di qualche indizio che tradisse tutta quella sua preoccupazione, ma non riuscì a ricavare niente di utile dalla sua espressione. Sospirò ed alzò gli occhi al cielo, cominciava a stancarsi di tutta quella confusione.

«È ancora viva» Rispose allora, inarcando un sopracciglio. «Ma non lo sarà per molto, se non mi spieghi cosa sta succedendo.» 

La latina fece in fretta a tornare seria e con un po' di dispiacere, Puck apprese di dover fare altrettanto. 

«Sto aspettando una risposta.» Incalzò con poca pazienza la mora, irritata oltre misura dal silenzio che Noah aveva deciso di riservarle in risposta.

Puck esitò ancora, avrebbe potuto dirle la verità? Non avrebbe aiutato sicuramente la situazione precaria della bionda, la pura verità era fuori discussione. Così optò per una mezza verità.

«La conosco,» sussurrò con un filo di vergogna nella voce «Conosco quella ragazza.» Fece per riprendere fiato, ma la mora lo interruppe.

«Devi avermi confusa con qualcuno a cui interessa qualcosa della tua vita, Noah. Ti ho già detto che non posso salvare tutti i tuoi conoscenti.» La mora alzò gli occhi al cielo esasperata, era certa di aver già intrapreso discussioni del genere con Puckerman. 

Noah avrebbe voluto dirle che infatti, fino ad allora, non aveva mai accettato nessuna delle sue richieste di aiutare persone a lui care, ma sapeva che non avrebbe giovato la causa. Così provò con un diverso approccio. «Ma lei è diversa! Non sarà sveglia ma è estremamente intelligente, potrebbe tornarti utile per..»

Ancora una volta, Santana si intromise. «Stai insultando la mia intelligenza?» Domandò ad occhi socchiusi, prendendosi il ponte del naso tra le dita nel vano tentativo di calmarsi.

Il ragazzo non era idiota, aveva imparato a conoscere i vari toni di voce della latina e a distinguere i suoi stati d'animo (ossia i vari livelli di rabbia, perché quella sembrava essere l'unica emozione rimasta alla mangiamorte) e sapeva quando e come fermarsi o porre rimedio a situazioni scomode. «Non oserei mai.»

Santana si passò una mano sulla fronte e si allontanò in direzione di un baule posato  sotto alla scrivania. Lo aprì, estrasse una pozione dal liquido grigiastro e con una faccia schifata ne bevve il contenuto.

Quando fu certa di non dover vomitare quanto appena assunto, si sedette stancamente sulla sedia e provò a riprendere il discorso con un po' più di calma.

«Lei è speciale..» Borbottò ironica, riprendendo le parole pronunciate dal ragazzo poco prima. «Non dirmi che la ami.»

Noah sembrava sconvolto, le sue sopracciglia si alzarono all'inverosimile e la sua mascella sembrò sul punto di cadere a terra. «Cosa, no! Per Salazar, no!»

Santana sospirò scettica, nonostante il suo "amico" sembrasse sincero. «Illuminami, allora. Cosa la rende meritevole di questa vita? Il suo sangue parla chiaro, conosci le regole.»

"Anche il mio sangue parla chiaro," pensò Noah. «Per favore…» 

La latina alzò un sopracciglio in sua direzione, le suppliche non lo avrebbero portato da nessuna parte.

«Fai una sola eccezione, Santana, per una sola volta... È carina, è intelligente e onestamente, due mani in più potrebbero tornare utili per tenere in ordine la magione.»

La giovane Lopez scosse il capo, per nulla colpita dalle ragioni del mago. Forse era un briciolo carina, aveva dei lindamente delicati, ma era anche vero che Santana avesse visto nella sua vita donne molto più belle. 

«Per quello esistono gli elfi domestici.» Gli ricordò poi, facendo schioccare le labbra. Se avesse desiderato avere della servitù, avrebbe tenuto quella in dotazione della Villa quando suo padre gliela regalò.

Il ragazzo emise una piccola risata. «Sappiamo entrambi che non riesci neanche a guardare quelle creature, Santana.»

Ed era vero, il motivo per cui Santana si era liberata degli elfi domestici era perché avere attorno quei disgustosi, orribili esseri viventi le metteva addosso un senso di nausea persistente, che poco si sposava con il suo dannato mal di testa perenne.

«Lei è la candidata perfetta, San. Inoltre, un po' di compagnia non può farti male, da quant'è che non te la sp-»

«Basta così!» Lo zittì la mora, intuendo troppo tardi dove l'altro volesse indirizzare il discorso. Non voleva parlare di certe cose con lui, oltre ad essere inappropriato era anche disgustoso.

Lasciò che lo schienale della poltroncina sostenesse completamente il suo peso e silenziosamente cominciò a pensare a quanto appena appreso. Valeva la pena tenere la bionda con sé? 

Di certo, non le serviva una bocca in più da sfamare, né tantomeno una bestia da educare. Sarebbe stata solo un peso. Santana capì in poco tempo che non avrebbe mai dovuto risparmiare quella ragazza, nonostante la rara bellezza di quegli occhi blu topazio. Eppure c'era qualcosa in lei che l'incuriosiva, spingendola a pensare di darle realmente una seconda possibilità.

«Per favore Santana..significa davvero molto per me.»

«Ancora una volta, Noah, smettila di supplicare. Solo i bambini maleducati lo fanno, credevo avessi imparato ad essere un uomo. Chiaramente, le macchie di un sangue malato non possono essere totalmente ripulite.» Borbottò la mora, rimettendosi in piedi.

Puck lasciò passare quel commento, non che avesse possibilità di ribattere, comunque. «Non puoi lasciarla morire!» Quando parlò, non riuscì a trattenere il proprio tono di voce e si espresse in quello che era suonato più come un'imposizione piuttosto che una richieda. Era una posizione che sapeva di non poter prendere, ma allo stesso tempo era consapevole di non poter permettere che tutte le sue speranze morissero per colpa della stessa donna che un tempo si era dimostrata tanto caritatevole con lui. 

Santana si accorse del suo tono di voce e prima di raggiungere la porta si voltò, convinta di trovare il ragazzo ancora seduto sul letto. Così non fu, Noah si era precipitato nel frattempo davanti a lei per sbarrarle la via. Alle volte dimenticava l'abilità del ragazzo di materializzarsi.

«Levati di mezzo.» Sibilò soltanto, concentrando tutto l'autocontrollo che aveva per impedirsi di schiantare il ragazzo il più lontano possibile da lei.

«Dalle una settimana di prova prima di decidere. Lo hai già fatto con me, puoi farlo anche con lei. Significa davvero tanto per me...»

«Non lo ripeterò un'altra volta.» 

Il ragazzo non si fece scoraggiare troppo dalla voce minacciosa della latina, ma anzi approfittò della vicinanza per rivolgerle l'ennesimo sguardo supplichevole. Poi, preso da un fulmine di buon senso, fece un passo a lato per farsi da parte e, dopo averle aperto la porta, aspettò che la mora fosse fuori dalla stanza per prendersi il viso tra le mani e sedersi con la schiena contro al muro freddo della camera.

Non sarebbe fallito tutto per colpa sua.

 

 

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Il silenzio regnava sovrano. L'unica cosa udibile distintamente era la preoccupazione della strega bionda, per la quale la sera sembrava non dovesse arrivare mai, quel giorno. Aveva già vissuto momenti carichi di tensione come quello, poteva anche affermare di aver passato di peggio. La presa di Hogwarts fu un brutto colpo, l'esecuzione di Harry Potter poteva classificarsi senza problemi nella sua top 5, ma quello… quello che temeva fosse successo batteva di gran lunga qualsiasi evento.

Di tanto in tanto un sospiro sconsolato disturbava il silenzio assordante della tenda, costringendo Holly Holiday ad alzare lo sguardo alla ricerca della fonte del suono. Spesso, ad incontrare il suo sguardo, erano gli occhi sconsolati di Finn Hudson,  più raramente quelli dei coniugi Chang. 

Per ammazzare l'attesa, la strega si era lasciata prendere dai ricordi. Le tornarono in mente i primissimi giorni di reclutamento che avevano seguito la caduta di Hogwarts. Ricordò con amarezza come molti dei suoi ex studenti, disgustosamente, immediatamente dopo l'accaduto, strisciarono impauriti nei ranghi dei mangiamorte per aver salva la vita; di conseguenza, in chiaro contrasto, le tornò alla mente la felicità che provò invece quando si presentò a casa di Will Schuester dopo aver ricevuto il suo gufo.
Lì per lì pensò non fosse reale. Credette fosse uno scherzo o una festa di cui si era dimenticata. 
Nel piccolo salotto dell'ex collega aveva trovato una quarantina di maghetti sorridenti, perlopiù giovani ragazzi e ragazze, ex studenti. I loro volti erano provati dalla guerra, i loro fisici deboli. Ad accomunarli, vi era quella luce negli occhi, quella speranza, quell'unico credo: la voglia di resistere, di combattere. Non avrebbero permesso ai mangiamorte di rubargli la vita.

Quello stesso giorno fu fondato l'ordine dei Cavalieri di Minerva, che si espanse in gran segretezza fino a contare centinaia di sostenitori. 
Cominciarono ad allenarsi in segretezza, si diedero degli obiettivi. Ripresero i metodi di Potter e dell'ordine della fenice per comunicare senza il rischio di essere scoperti. Fecero grandi progressi in poco tempo.

La gente cominciò a vederli come beniamini, venditori di sogni capaci di restituire un minimo di dignità alle vite dei maghi, sebbene gli atti di resistenza dell'epoca si limitarono a piccoli sabotaggi. Gli piaceva pensare, comunque, che sebbene nel piccolo, stessero salvando delle vite.

Ognuno dei ragazzini dell'ordine era per lei come un figlio, li aveva visti crescere nei corridoi di Hogwarts, innamorarsi, sposarsi nei tempi più bui, diventare uomini. Perdere uno solo di loro era come perdere un pezzo di se stessa, era così per l'intero gruppo.
Per quanto si dicessero di restare uniti, era chiaro a tutti che le forze del nemico stessero diventando sempre più potenti ed incontrastabili ed ogni lutto era un colpo all'anima dell'odine. Ogni Cavaliere ucciso in battaglia significava essere un passo più vicini alla fine. I fondatori si erano ormai decimati, nonostante i sostenitori dell'ordine segreto continuassero a crescere in tutto il paese. Il morale non era dei migliori.

Nell'ultima settimana gli attentati dei mantelli neri erano costati due perdite certe per i Cavalieri ed una dubbia. Era per l'ultima che, in quel momento, i ragazzi si stavano torturando.

Holly era sull'orlo di una crisi di nervi  quando, finalmente, la tenda si aprì per far entrare una streghetta minuta.

La frangia castana perfettamente in ordine nonostante il cappello che portava, la sciarpa con i colori dell'ordine le arrivava fin sopra al naso ed il maglioncino di lana grigiastro un po' slargato erano diventati i suoi marchi di fabbrica. Finn le corse incontro e dopo aver salutato la fidanzata con un sonoro bacio sulle labbra, le diede un po' di respiro. 

Holly non osò parlare. Voleva l'informazione che Berry aveva ottenuto, poteva leggerlo nei suoi occhi che aveva qualcosa da dire, ma non aveva il coraggio di chiedere. 

Rachel sembrò intuire perché, dopo essersi allontanata di qualche passo dal ragazzo, si tolse il cappello e si mordicchiò le labbra prima di dichiarare in un sussurro: «L'hanno presa.»

 

 

 


Mi scuso per il ritardo, non ho abbandonato la storia. Mi dispiace, il capitolo è venuto più corto di quanto sperassi, ma in fin dei conti credo sia meglio così. Conto di aggiornare più velocemente prossimamente, magari appunto con capitoli più corti (mediamente, questa lunghezza).
Mi scuso per gli errori, tutti miei, spero ci sia ancora qualcuno che segue la storia. Ci siete, vero? Fatevi sentire!

Alla prossima (si spera!)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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