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Autore: Whatadaph    18/11/2015    3 recensioni
Nel centro di Londra, un clamoroso furto di opere d’arte dal valore inestimabile avviene in circostanze misteriose. Gli Auror brancolano nel buio e Scorpius Malfoy c’è dentro con tutte le scarpe.
Nel frattempo, a Hogwarts, Lizzie Dursley è alle prese con una cotta impossibile e Fred Weasley ne combina una dopo l’altra.
Sono passati sei anni e i nostri eroi si muovono nelle loro nuove vite, tra il Ministero della Magia, l’ospedale San Mungo, il Caffè Nero di Trafalgar Square e un certo castello in Scozia.
Come sempre, se i Potter-Weasley e compagnia non vogliono guai… Sono i guai che li vanno a cercare!
Con la partecipazione straordinaria di quattro squadre di Quidditch, alcune vecchie conoscenze e un grosso gatto peloso.
Genere: Azione, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Hugo Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Metamorphosis'
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CAPITOLO QUINTO

Questione di Quidditch
 
 
24 settembre 2027
Sala Grande, Hogwarts, Scozia
 
Nel giro di pochi giorni la faccenda di Harvey e del suo didietro ardente era sulla bocca di tutta la scuola: con l’esclusione dei Serpeverde, non c’era nessuno tra gli studenti che non avesse imparato a memoria il ritornello dei Banshee Boys.
Sembrava che la melodia risuonasse per la testa di tutti, dal momento che si udiva di continuo canticchiata a mezza voce dagli studenti e da qualche quadro; c’era chi diceva che persino Gazza fosse stato sorpreso a fischiettarla con aria tetra, mentre lavava con uno straccio grigiastro le finestre di un corridoio del terzo piano.
Ovviamente i Serpeverde erano furiosi, e Viola era certa che meditassero vendetta.
Le giornate trascorsero tra sguardi in cagnesco in classe e da un tavolo all’altro, tacite minacce e frecciatine tra i banchi, ma nonostante tutto la mattina di sabato ancora non c’era stato odore di rappresaglie.
La sera precedente, davanti al fuoco scoppiettante della Sala Comune, Fred le aveva fatto notare con tono carico di soddisfazione che ancora non c’era stato segno di reazione da parte dei Serpeverde, ma Viola si era limitata a scrollare le spalle. Sapeva di avere ragione: di solito evitava di esprimersi se non era assolutamente certa di quanto stava per dire. Ma come al solito, nessuno dei suoi amici aveva abbastanza buonsenso da darle retta.
… La vendetta va servita fredda, e quelle serpi lo sanno fin troppo bene.
Quella mattina, tuttavia, i pensieri del gruppo erano concentrati su ben altra materia. Viola sedeva in Sala Grande sotto un cielo solo leggermente brumoso, con già indosso la divisa da Quidditch. Alla sua sinistra c’era Fred, le cui chiacchiere continue non mascheravano del tutto una leggera tensione, intento ad abbuffarsi di una colazione che sarebbe stata più che sufficiente per altre tre persone. Viola conosceva benissimo il motivo della sua ansia: sapeva quanto ci tenesse a giocare in squadra assieme a Darren.
Il quale, dal canto suo, sedeva alla destra di Viola, e a giudicare dalla sua faccia doveva essere sul punto di vomitare.
Viola aprì la bocca per tentare di rassicurarlo – anche se a dire il vero non era tanto brava in queste cose: probabilmente avrebbe detto qualcosa del tipo “Se non ti calmi le selezioni non le passi davvero” – quando le sue orecchie furono raggiunte da una risatina nervosa da parte di Fred.
Si voltò di scatto: chissà come, il ragazzo era riuscito a spedire un po’ di marmellata di ciliegie sul naso di Winifred, che adesso era presa a brontolare con aria stizzita. Fred smise di ridere e le rivolse un sorriso di scuse, per poi affrettarsi a pulire la macchia con il tovagliolo.
Sul volto lentigginoso di Winnie si allargò un inconfondibile rossore. Viola distolse lo sguardo da loro, pensosa.
A Winifred piace Fred, che però ha una cotta per Darren da secoli…
Oh, Freddie. Pensi davvero che non si noti?
La sua attenzione fu improvvisamente distratta dall’arrivo di Bastien, che sorrise allegro – aveva questa capacità di apparire sempre rilassato e perfettamente a suo agio, ma non la dote di trasmettere tranquillità anche agli altri. Lo stomaco di Viola parve sprofondare.
Cosa dicevi di Fred e Winnie? Non sono certo i soli ad avere una cotta totalmente irrealizzabile.
Io lo sapevo che il Settimo Anno sarebbe stato incasinato. Ci sono troppi ormoni in giro.
Bastien le sorrise, mentre lei si scostava per fargli posto sulla panca. Lo osservò servirsi di un’abbondante porzione di toast al prosciutto; naturalmente non le sfuggì il modo in cui i suoi occhi erano saettati in direzione del tavolo di Serpeverde. Seguì la traiettoria del suo sguardo e prevedibilmente incontrò la figura minuta di Candida Flint, che faceva colazione attorniata da Warrington, Buckley e i fratelli Gamp. Scorse anche Lucezia Goldstein, impegnata a sbadigliare, ed Elizabeth Dursley, che sorseggiava il suo tè con aria scontrosa, sistemandosi nervosamente i capelli mentre gettava di sottecchi occhiate a Warrington.
Ci sono così tanti ormoni nell’aria da renderla irrespirabile. Qualcuno ci salvi, per favore.
In effetti, quasi tutti i Serpeverde del loro anno sedevano a fare colazione. Viola non pensò neanche per un momento che fosse strano vedere Candida in piedi a quell’ora, specie di sabato mattina, perché la sua mente aveva già fatto il passo successivo.
Non c’era niente che non le tornasse nel fatto che i capitani avversari assistessero alle loro selezioni – anche Ozzie Omega Ramkin faceva colazione al tavolo di Corvonero, probabilmente in attesa di seguirli in campo. Se a questo si aggiungeva che senza dubbio i Serpeverde meditavano vendetta per lo scherzetto del concerto, beh… C’erano parecchi elementi per non essere sorpresi dalla presenza di Candida al tavolo della colazione.
Vedere arrivare Harvey Higgs pochi istanti dopo non fece altro che incrementare i suoi sospetti.
 
 
*
 
Stesso giorno, poco più tardi
Spalti del campo da Quidditch
Hogwarts, Scozia
 
Con l’ovvia eccezione di quello spirito solitario di Aidi Nott, sulle tribune del campo da Quidditch erano radunati tutti i Serpeverde del loro anno.
Elizabeth si guardò attorno. Candida sedeva diritta, senza dar retta a nessuno, scrutando i giocatori in volo attraverso le lenti del suo Omniocolo; di tanto in tanto si sistemava una ciocca di capelli rosso fiamma e appuntava qualcosa sul taccuino che teneva in grembo.
Bernice guardava Higgs con aria adorante, mentre quest’ultimo parlottava a voce bassa con Marcel – entrambi avevano un’aria assai cospiratoria; Lucrezia, dal canto suo, si sporgeva in avanti per parlare con un tipo della squadra di Tassorosso che sedeva proprio davanti a loro.
Stanley sedeva vicino a Lizzie e si rigirava la bacchetta tra le mani con aria distaccata, sorridendo di tanto in tanto con espressione soddisfatta.
Elizabeth aveva deciso di andare al campo non perché le importasse qualcosa del Quidditch, bensì per passare un po’ di tempo con Stanley e tenere nel frattempo d’occhio la situazione. Se fosse successo qualcosa, voleva essere presente per approfittare del suo ruolo di Prefetto nel caso ci fossero problemi. E di problemi ce n’era proprio l’aria. Stanley sapeva essere estremamente vendicativo ed era abbastanza propenso a perdere le staffe; in quanto ad Harvey… Beh, lui era un idiota, quindi c’erano molte probabilità che dimostrasse ancora una volta di essere un troll.
A volte era talmente poco Serpeverde che Lizzie si chiedeva cosa diamine ci facesse in mezzo a loro, salvo poi ricordare che era anche uno stronzo calcolatore – e allora i conti tornavano tutti.
Automaticamente sollevò gli occhi su di lui e lo scoprì a fissarla con la bocca contorta, prima che distogliesse lo sguardo in fretta. Perplessa, Lizzie si chiese se avesse qualcosa di strano in testa o se semplicemente i suoi capelli fossero più orribili del solito.
Grazie al cielo zia Ginny ha promesso di portarmi dal suo parrucchiere oggi. Finalmente potrò andare in giro senza dare l’impressione che una cicogna mi abbia fatto il nido in testa.
Trattenne l’impulso di sollevare una mano per sfiorare i capelli, gettando l’ennesima occhiata a Stanley, che naturalmente non la stava guardando, bensì aveva gli occhi fissi sui movimenti dei giocatori sospesi in aria nel campo di Quidditch. Continuava a giocherellare con la bacchetta – ed era stata solo un’impressione di Elizabeth o aveva sussurrato qualcosa?
Le cose stavano per mettersi male, pensò, mentre le labbra di Stanley si incurvavano in un inconfondibile sogghigno.
 
*
 
24 settembre 2027
Londra, Inghilterra
Mattina
 
Rose non aveva così tanta voglia di andare alla Tana. Non aveva mai così tanta voglia di andare alla Tana, e non era perché non tollerasse i suoi parenti o qualcosa in particolare le desse fastidio.
Semplicemente si sentiva scordata, vagamente fuori posto, come se fosse rimasta un passettino indietro rispetto a tutti gli altri e quel passettino fosse sufficiente per inquadrarla male. Per tenerla fuori dai giochi.
Allora si sforzava di ripetersi che quel passettino non era all’indietro, ma era verso fuori, ed era stata una mossa che aveva compiuto volontariamente, in piena consapevolezza, nonostante non tutti avessero compreso il perché della sua scelta; aveva deciso di abbandonare il suo mondo e di cercare il suo spazio nell’altro, di mondo: il mondo dei Babbani inconsapevoli, quell’universo composto dalla gente più varia ed estremamente più vasto di quello Magico. Si era ritagliata un suo angolino proprio lì, nella sterminata Londra senza magia, dove nessuno poteva riconoscerla per strada o sapere che era un ex-campionessa Tremaghi o che i suoi parenti avevano sconfitto Voldemort.
Un mondo dove poteva essere semplicemente Rose Weasley, una ragazza normale che studiava letteratura inglese e giornalismo all’università e si manteneva facendo la cameriera da Caffè Nero.
Non aveva abbandonato del tutto il suo mondo, quello dei maghi. Lì c’erano tutti i suoi affetti: la sua famiglia, che restava tale nonostante tutto e nonostante non tutti le andassero proprio a genio; lì c’erano anche le sue amicizie: c’era Gwyneth, con la quale il legame si faceva di anno in anno più saldo, c’era Christine, importante per lo spazio che di volta in volta si prendeva perché ne aveva bisogno e perché ne avevano bisogno anche loro.
Un rumore improvviso di passi la fece riscuotere dai suoi pensieri.
Si trovava nella cucina del loro appartamento; era seduta vicino alla finestra, da cui poteva vedere la fila di alberi che percorrevano quella via laterale, poco trafficata, dove si affacciava la palazzina londinese in cui vivevano. Non pioveva ma era una giornata grigiastra, annuvolata.
Gwyneth era entrata in cucina sbadigliando senza curarsi di mettere la mano davanti alla bocca, e adesso era impegnata a tirarsi via dal viso i folti capelli neri, in quel momento piuttosto arruffati. Aveva gli occhi gonfi di sonno e la voce roca quando si rivolse a Rose.
“Caffè?” disse solamente.
“Grazie,” annuì lei di rimando, osservando Gwyn sbadigliare di nuovo e mettere su il bollitore. “Non sei in missione, oggi?” le domandò, continuando a guardarla mentre si faceva cadere su di una sedia dal lato opposto del tavolo.
“No, oggi no,” bofonchiò l’altra. “Tuo zio ci ha assegnato un’indagine più a lungo termine, ma siamo abbastanza in stasi. Più tardi andrò in ufficio per un po’ di brainstorming con Louis e Scorpius.”
Ormai aveva smesso di colpirla la naturalezza con cui termini Babbani comparivano sempre con più frequenza sulla bocca di Gwyneth – probabilmente si trattava anche di un’irriverente e scherzosa ribellione nei confronti della madre – ma sentire il nome del suo ex-ragazzo come sempre le provocò una sensazione strana nel petto, una via di mezzo tra il voler far finta di niente e il desiderio di spingere la conversazione in quella direzione anche solo per avere una scusa per parlare di lui.
“Più tardi?” disse invece, mentre Gwyneth si alzava e versava il caffè in due tazze. “Questo pomeriggio c’è una riunione di famiglia dai miei nonni.”
Gwyn annuì, spingendo verso di lei una delle due tazze, quella blu con i pinguini che giocavano a hockey e la scritta ‘Happy Xmas’. “Louis ce l’ha detto,” convenne. “Ci incontreremo per pranzo.”
Rose avvolse le dita attorno alla sua tazza con i pinguini, da cui si sollevava un filo di fumo e il deciso aroma di caffè. L’altra versò nella propria bevanda un po’ di latte e mezzo cucchiaino di cannella; per sé aveva tenuto la tazza che usava sempre, a righe orizzontali bianche e rosse, che ricordava moltissimo uno di quei bastoncini di zucchero che si appendevano all’albero di Natale.
Per un momento, Rose si chiese come mai la maggior parte delle loro tazze recassero decorazioni natalizie, poi ricordò della passione di Gwyneth per la tradizione Babbana dei mercatini invernali – sospettava che anche questo fosse in parte dovuto a quella sua spiritosissima tendenza di voler far irritare la madre a tutti i costi. Fissa che era stata fomentata dalla loro coinquilina Cecilia, una ragazza stravagante e unica strega della sua famiglia, che invece aveva un gusto spasmodico per le cose inutili dall’aspetto imbarazzante e in particolare per i gadget legati alle festività. Aveva colmato la loro abitazione delle cose più stupide e trash, dal poggiapiedi a forma di maialino –  che grugniva soddisfatto quando qualcuno vi allungava sopra le gambe – al Colibrì Asciugacapelli, che Rose si era sempre rifiutata categoricamente di utilizzare, dal momento che era semplicemente ridicolo.
Cecilia raccattava la maggior parte di quelle scemenze in negozi Babbani di oggettistica e poi li incantava per renderli ancora più imbarazzanti, salvo alcune eccezioni che provenivano dai Tiri Vispi Weasley, dove neanche a dirlo la ragazza lavorava, come la moffetta di peluche che iniziava a emanare odori sgradevoli quando non si puliva il pavimento per troppo tempo.
Ogni anno Rose aveva il terrore del momento in cui arrivavano le festività natalizie, perché allora le sue coinquiline impazzivano letteralmente: prima o poi la sua salute mentale ne avrebbe ricavato danni seri, almeno a detta di Hugo.
Gwyneth era adesso intenta a divorare un’abbondante colazione a base di pane, marmellata e succo d’arancia. Rose sorrise tra sé, puntando di nuovo lo sguardo fuori dalla finestra.
Era stata quasi una casualità quella che aveva portato loro tre – o quattro, dal momento che Christine era spessissimo da loro e che inspiegabilmente andava molto d’accordo con Cecilia – a vivere insieme.
Era iniziato tutto quando Rose aveva rotto con Scorpius e si era ritrovata improvvisamente con la necessità di qualcuno con cui dividere l’affitto dell’appartamento in cui conviveva con il ragazzo. Sarebbe stato decisamente troppo per le sue finanze continuare a vivere lì da sola, ma era in una posizione molto comoda e per giunta non se la sentiva di abbandonarlo così in fretta, di rinunciare subito a tutto ciò che era stato.
La situazione era caduta a fagiolo, perché Gwyneth aveva deciso di essere stufa di vivere nel maniero di sua madre; tuttavia la casa aveva tre stanze, non due, e quando suo zio George le aveva detto che la sua nuova commessa stava cercando un posto a Londra, Rose ne aveva approfittato.
Proprio in quel momento, Cecilia fece il proprio ingresso in cucina, avvolta nella sua vestaglia da panda, appellando una tazza gigante a forma di rana, incantata per gracidare davvero.
Rose sorrise.
 
*
 
24 settembre 2027
Hogwarts, Scozia
Ora di pranzo
 
Poche ore più tardi, avviandosi in Sala Grande per pranzare dopo essersi fatto una doccia negli spogliatoi, Fred Weasley si sentiva decisamente sconfortato. Le selezioni erano state come al solito lunghe e stressanti, e lui non riusciva neanche a rallegrarsi che fossero finalmente concluse, dal momento che con sua grande delusione Darren non era stato ammesso in squadra.
Bastien aveva selezionato come portiere Louie Anderson del Terzo Anno, mentre i nuovi Battitori erano Camden Shaw e Pip Antwis, rispettivamente del Sesto e del Quinto.
Fred era veramente triste e neanche la doccia calda l’aveva fatto sentire meglio. Sbuffò, risalendo lungo un crinale ricoperto d’erba. Aveva aspettato che tutti avessero abbandonato gli spogliatoi prima di chiudere l’acqua e uscire dal bagno, tamponandosi i capelli gocciolanti con un asciugamano. Non voleva incontrare Darren perché sapeva che non sarebbe riuscito a mascherare la delusione e non voleva ferirlo e al tempo stesso era arrabbiato e –
Ma non c’era nulla che potesse fare adesso, no? Poteva solo proseguire verso il castello e rallegrarsi della partenza prevista subito dopo pranzo, alla volta della Tana. Aveva bisogno di starsene un po’ lontano dai suoi amici per stemperare la delusione.
Gli sembrava di sentire la voce di sua sorella nelle orecchie.
Oh, Freddie, non farne una tragedia,” gli avrebbe detto Roxanne, scompigliandogli i capelli. “Non essere così melodrammatico.”
Ma era inutile immaginare cosa avrebbe detto Roxanne, perché Fred comunque non sarebbe riuscito a darle retta, non con questo stato d’animo. Era consapevole di esagerare un po’, ma la cosa che lo faceva davvero andare fuori dai gangheri non era tanto la mancata ammissione di Darren – okay, sì, anche quella – ma soprattutto il fatto che gli errori dell’altro fossero stati così stupidi
Doveva essere una giornata no.
Probabilmente anche Bastien l’aveva pensato, ma da Capitano non aveva potuto agire altrimenti. Non poteva dare la possibilità di una seconda prova a Darren solo perché era suo amico e l’aveva visto giocare altre volte, o anche gli altri candidati avrebbero chiesto un’altra opportunità.
E poi, anche se a Fred costava ammetterlo, Pip e Camden ai provini erano parsi funzionare proprio bene insieme: una coppia di Battitori davvero affiatati.
E Darren… D’accordo, forse Fred avrebbe dovuto prendere in considerazione che c’era la possibilità che non riuscisse ad entrare in squadra. Ma un conto era una prova non eccellente, un conto quello che DJ aveva combinato quella mattina! Sembrava proprio che stesse male o qualcosa del genere: mancava un bolide dietro l’altro – cercava di colpirli ma finiva per agitarsi a vuoto – e quando li colpiva finiva sempre per spedirli nella direzione sbagliata.
Non è giusto non è giusto non è giusto, pensava Fred martellando le parole tra i denti mentre finalmente superava il portone di quercia. C’era qualcosa che continuava a non tornargli: diamine, aveva visto Darren giocare in altre occasioni! Magari non era un fuoriclasse, ma neanche gli era mai parso tanto pietoso.
Si rassegnò a doverlo affrontare quando lo incontrò in Sala d’Ingresso: erano tutti lì – DJ, Bastien, Viola, Laurie, Winnie, Tessie e anche Max Dursley, che stava dando una pacca sulla spalla di Darren con aria dispiaciuta. D’altronde era un po’ presto per il pranzo, dunque era probabile che gli elfi domestici ancora non avessero Materializzato le portate dalle cucine.
Sospirò e si accodò a loro nel superare la soglia della Sala Grande. Per fortuna lo conoscevano abbastanza da sapere quando era il caso di lasciarlo stare, dunque si limitarono ad accoglierlo tra di loro senza dirgli nulla, anzi proseguendo la conversazione già in corso – anche se Viola gli gettò una lunga occhiata penetrante e Bastien gli sfiorò il braccio.
“… Non crucciarti, Darren!” stava dicendo Max, che continuava ad assestare all’altro robuste pacche sulla spalla – Fred temeva di vederlo sprofondare nel pavimento da un momento all’altro. “Magari Shaw cadrà dalla scopa prima della partita e potrai giocare comunque!” aggiunse il Tassorosso, nel suo solito inscalfibile ottimismo, dalle tinte a volte inconsapevolmente macabre – diamine se era bravo con i loro testi musicali più sinistri!
Entrarono nella Sala Grande ancora praticamente vuota, seguiti da gran parte degli studenti, tra cui i Serpeverde tutti in gruppo; li osservò di sottecchi dirigersi verso i loro posti: notò che Warrington stava sussurrando qualcosa all’orecchio di Harvey Higgs, con le labbra incurvate in un sorrisetto freddo. Higgs scoppiò a ridere rumorosamente e gettò un’occhiata beffarda in direzione… In direzione di DJ?
Fred aprì la bocca per dar voce all’improvviso, folle pensiero che aveva sfiorato la sua mente, ma non fece in tempo, perché non appena fece per sedersi sulla panca – e assieme a lui i suoi amici e il massiccio numero di Grifondoro che li avevano seguiti oltre la soglia della Sala Grande – un bruciore terribile si diffuse rapidamente su tutto il suo fondoschiena, costringendosi ad alzarsi di scatto. In pochi, rapidi istanti si accorse che anche i suoi amici e l’intera Casa di Grifondoro era stata costretta a fare lo stesso: quelli che avevano cercato di resistere si premevano le mani sul didietro contorcendosi in smorfie di dolore.
Una fattura urticante! Maledetti… Aveva ragione Viola, come al solito, e come al solito siamo stati stupidi a non darle retta!
Cercò lo sguardo dell’amica, che tuttavia era palesemente concentrata per resistere al dolore senza grattarsi… E allora Fred si rese conto che il bruciore si stava diffondendo su tutto il resto del corpo: si guardò le mani e le scoprì a ricoprirsi di piccole piaghe rossastre che pizzicavano tantissimo, e a giudicare dal prurito e da quel che vedeva sui volti altrui doveva essere così anche sulla sua faccia.
Questo era decisamente troppo. E Fred era davvero di cattivo umore.
Fu così che si precipitò al tavolo dei Serpeverde per dirne quattro a quei maledetti; non si voltò a controllare, ma sapeva che i suoi amici lo stavano seguendo con lo stesso fare bellicoso.
“Non provate neanche a dire che non siete stati voi!” sbottò, arrestandosi vicino a dov’erano seduti.
Stanley Warrington, che si trovava molto vicino a Fred, si voltò senza neanche alzarsi dalla panca, guardandolo con aria sprezzante.
“Sei sempre così agitato, Weasley,” osservò freddamente, con un’incredibile faccia da schiaffi. “Dovresti farti vedere.”
Elizabeth Dursley, seduta dall’altro lato del tavolo, monitorava la scena con occhi attenti.
“Che cos’è quella schifezza sulla tua faccia, Weasley?” fece invece Higgs, sghignazzando convulsamente.
Darren si fece avanti a testa alta, e Fred lo trovò stupendo nonostante tutte quelle bolle. “Credo proprio che stavolta non vi risparmierete una punizione,” fece in tono sorprendentemente calmo e con un’immensa dignità, nonostante fosse impegnato a grattarsi selvaggiamente una pustola sulla fronte. “Siete stati poco furbi.”
Warrington voltò ancora di più il capo verso di loro, con un sorriso sottile sulle labbra. “Ancora scosso per le selezioni, Jordan?” disse suadente. “Dev’essere stata una così grande delusione…”
Fred scattò in avanti, senza vederci più. “Che cosa hai detto?!” sbottò, afferrando Stanley per la collottola per costringerlo ad alzarsi.
Il Serpeverde superò con un passo la panca e si scostò bruscamente dalla sua presa, continuando a guardarlo dritto negli occhi quella sua aria beffarda, prima di sibilare tra i denti: “Ho detto che il tuo amico mi sembrava confuso, Weasley.”
Fu allora che Fred perse del tutto la testa, e non valsero a nulla le braccia di Bastien che erano corse a cercare di fermarlo. Si avventò contro Warrington a testa bassa e per un intervallo di tempo non misurabile il suo mondo si ridusse ad un universo decisamente ristretto di colpi e di pugni: un intervallo di tempo che finì probabilmente pochi secondi dopo, quando la forza magica di un Protego lo allontanò dal Serpeverde. Dolorante si guardò attorno, mentre l’adrenalina dello scontro sfumava e a tratti si accorgeva di Bastien che lo teneva ben saldo per evitare che si scagliasse di nuovo verso Warrington; i suoi occhi misero a fuoco Viola, che con la sua espressione più arrabbiata e le labbra che si assottigliavano faceva paura anche ricoperta di urticaria. La ragazza teneva la bacchetta sollevata – doveva essere stata lei a lanciare il Protego – e lo fissava gelidamente.
Fred si ritrovò a vergognarsi moltissimo. Si accorse di avere il labbro inferiore spaccato e passandoci sopra la lingua sentì il sapore del sangue.
“Venti punti in meno a Grifondoro per questa bravata così poco dignitosa, Fred,” fece Viola  con voce sferzante. Si voltò poi a guardare Stanley, che aveva un inizio di occhio nero e il viso pallido arrossato per lo sforzo. “E dieci punti in meno a Serpeverde per averlo provocato, Warrington,” sibilò ancora.
Apparentemente dal nulla comparve Ozzie Omega Ramkin, l’altro Caposcuola, che affiancò Viola, scandagliando la situazione. “Ci sono problemi?” domandò in tono professionale.
“Li ho risolti, Omega,” replicò Viola, scambiandosi uno sguardo d’intesa con il Corvonero. “Anche se noi Grifondoro siamo impossibilitati a pranzare, dal momento che quei furboni dei Serpeverde hanno gettato una fattura sul nostro tavolo.”
Alcuni professori e il preside giunsero in tempo per sentire le ultime parole di Viola.
“Chi è stato?” domandò subito Vitious, stringendo gli occhi.
“Non lo so esattamente, Preside,” fece lei, improvvisamente calma. Fred ringraziò ancora una volta di dover andare via con Hugo, perché sapeva che altrimenti lo avrebbe aspettato un discorsetto in Sala Comune, e i discorsetti di Viola riuscivano sempre a farlo sentire tremendamente in colpa. “Ma non ho dubbi che sia stato qualcuno di loro. Ne può vedere la prova su di noi.”
Fred guardò i suoi amici: avevano davvero un aspetto pietoso con tutta quella roba sulla pelle, ed era certo di non essere da meno. Non aveva mai detestato i Serpeverde come quel giorno.
Assieme a Vitious erano arrivati il professor Paciock e il professor Lumacorno, direttori delle due Case implicate. Il Preside si rivolse a quest’ultimo, guardandolo da sotto in su.
“Horace, lascio valutare a te se sia o meno opportuno cercare di individuare il colpevole,” disse con la sua voce sottile. “Nel frattempo, ritengo opportuno togliere venti punti a Serpeverde per questo scherzo.”
“Ma professore,” intervenne improvvisamente Warrington, “non ha le prove…”
“Mi fido abbastanza delle parole della signorina Tremlett e della reazione del signor Weasley da non ritenere necessarie altre prove, signor Warrington,” lo interruppe Vitious con un tono che non ammetteva repliche. “In quanto a Weasley…”
“Viola ha appena provveduto a togliere venti punti a Grifondoro per le azioni di Weasley, signor Preside,” intervenne allora Omega, scostandosi un ricciolo scuro dalla fronte.
Vitious annuì. “Bene. La professoressa Jones sta provvedendo a togliere la fattura dalle vostre panche, Grifondoro, così potrete mangiare anche voi.” Gettò un’occhiata di rimprovero a tutti quanti. “Spero che una simile eventualità non si ripeta più.”
Detto ciò voltò loro le spalle e si avviò al tavolo dei professori, seguito dal passo ballonzolante di Lumacorno.
Il professor Paciock, invece, si avvicinò a loro. Sembrava veramente arrabbiato.
“Sono costernato dal suo comportamento signor Weasley,” disse seccamente. “Penso che le siano stati tolti abbastanza punti, ma la violenza non è tollerata a Hogwarts. Pertanto, lei e il signor Warrington sarete in punizione con il signor Gazza una volta a settimana per un mese e mezzo.”
In punizione?!” sbottò Warrington indignato.
Insieme?!” esclamò Fred, orripilato.
Il professore li guardò. “Non una parola di più,” concluse, prima di allontanarsi a passo spedito.
Fred e gli altri si incamminarono insieme verso il tavolo di Grifondoro, dove finalmente gli studenti avevano cominciato a sedersi. Winnie, Darren, Max e Laurie parlottavano a mezza voce, probabilmente dicendo peste e corna dei Serpeverde; Tessie aveva un sorriso vago impresso sul volto e camminava ondeggiando, Viola sembrava ancora molto, molto arrabbiata.
Fred si scambiò uno sguardo con Bastien: come sempre, si capirono senza bisogno di parlare.
I Serpeverde vogliono la guerra? Allora, che guerra sia!
 
 
*
 
24 settembre 2027
Ottery St Catchpole
Pomeriggio
 
Per fortuna il tempo si era rimesso in sesto.
Sopra il giardino della Tana, le nuvole si erano aperte lasciando spazio ad un cielo di un azzurro un po’ annacquato e a tiepidi raggi di sole. Naturalmente nonna Molly ne aveva approfittato per apparecchiare fuori per il tè, aiutata da figli e nipoti che spediva fuori uno dopo l’altro carichi di dolci, pasticci e tazzine.
Nell’aria albergava una certa confusione: sembrava che tutti stessero parlando contemporaneamente e tutti a voce abbastanza alta; la piccola Clara correva in giro insieme a Remus, il multicolore figlio cinquenne di Teddy, probabilmente inseguendo gnomi da giardino.
Lily era contenta di rivedere lo zio Charlie e di passare una giornata con la propria famiglia al completo, per una volta, ma nonostante tutto era un po’ nervosa. Di lì a pochi giorni avrebbe avuto un esame e si sentiva stupidamente agitata all’idea di star passando il tempo mangiando e divertendosi invece che china sui libri.
… Forse ha ragione Al e sto diventando un’esaurita.
Rilassati, Lily. Ti farà bene una tregua.
Suo fratello era in piedi pochi passi più in là con Quinn, Freddie e zia Angelina; era assai probabile che stessero parlando di Quidditch, visti i soggetti.
Albus era cambiato abbastanza in quegli anni: giocare a livello professionale lo aveva irrobustito, nonostante mantenesse sempre il fisico esile di un Cercatore, proprio come loro padre; portava i capelli più corti e aveva smesso l’abitudine di passarci i capelli in mezzo per arruffarli ancora di più. Quinn invece era rimasta abbastanza simile, ma perse la goffaggine e l’impaccio dell’adolescenza si era rivelata decisamente più allegra e simpatica.
Lily osservò Fred: il cuginetto aveva ormai diciassette anni ed era diventato davvero un bel ragazzo, con la pelle color caffelatte ricoperta di lentiggini più scure; di solito aveva un’espressione spavalda e sfrontata, ma oggi…
Chissà perché le parve mogio.
“Sei riuscita a riemergere dal tuo antro di studio?” domandò una voce sottilmente beffarda.
Si voltò di scatto, affrettandosi a tramutare il sorriso spontaneo che le stava affiorando sulle labbra in una smorfietta. Se gliel’avessero detto quando erano ancora a Hogwarts, non avrebbe creduto che vi sarebbe stato un giorno in cui Hugo l’avrebbe presa in giro per l’ossessione per lo studio e non viceversa.
Gli assestò una leggera gomitata nelle costole. “Come sempre sei l’unico a trovare divertente il tuo umorismo,” lo rimbeccò, sollevando la propria tazza per sorseggiare un po’ di tè.
Accanto a lei, Hugo pescò l’ennesimo biscotto al burro dal piatto da portata che aveva direttamente tolto dal tavolo per portarlo con sé. “Non è vero,” disse con la bocca piena. “Il mio gemello cattivo mi trova esilarante.”
Questa volta non poté fare a meno di ridacchiare. Si voltò a guardarlo di sotto in su: Hugo indossava dei jeans e un pullover a trecce di lana verde scuro sferruzzato da nonna Molly. Portava i capelli legati in un codino sulla nuca e i sottili occhiali da vista appesi al collo del maglione.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma sapeva che il cugino le sarebbe mancato molto nei mesi a venire. Si era ormai abituata a quella routine in cui studiavano tutti i giorni insieme alla Biblioteca Magica Britannica e inoltre adorava Hugo e ammirava tantissimo la sua intelligenza; tutte quelle cose brutte successe sei anni prima avevano sortito anche una conseguenza positiva: le avevano insegnato ad apprezzare ancora di più la presenza di coloro che amava, e Hugo era una delle persone a cui voleva più bene al mondo.
“Perché stai sorridendo così, Lily?” le domandò il cugino con aria sospettosa, brandendo un biscotto al burro come se fosse stato uno scudo. “Sei agghiacciante quando sembri dolce.”
“Allora?” gli chiese con un’altra gomitata, stavolta più scherzosa, evitando di rispondere. “Come vanno le cose a Hogwarts?”
Come prima cosa, Hugo scrollò le spalle, e Lily non poté fare a meno di pensare che non fosse esattamente un buon segno. “Freddie si è messo nei guai, oggi.”
Decisamente, non era un buon segno neanche il fatto che Hugo stesse cercando di sviare la conversazione. Tuttavia, per il momento gli diede corda.
“Solo oggi? Mi è giunta voce che abbia organizzato un concerto metal in Sala d’Ingresso, qualche giorno fa.”
“Vero anche quello.” Hugo sospirò. “Stavolta però l’ha fatta più grossa. Ha preso a pugni un ragazzo del suo stesso anno.”
Lily sbuffò. “Fammi indovinare, un Serpeverde?” Gettò un’occhiata in direzione del cugino più piccolo. “Non mi sorprende che abbia un’aria così depressa: immagino che zia Angelina sia stata furiosa.”
“Non ne hai idea,” fece Hugo. “Ero presente quando si sono incontrati. La zia aveva già ricevuto una lettera da Neville riguardo a quello che è successo, ed era furiosa. Penso che anche più del gesto in sé la faccia arrabbiare che Fred non cerchi minimamente di limare la rivalità tra le Case.”
“E lo zio George cosa ha detto?”
“Lo conosci, ha detto a Freddie che non approvava affatto però poi ha fatto un paio di battute per sdrammatizzare.”
Lily annuì. “Ho capito.” Gli scoccò un’occhiata in tralice. “Ma io volevo sapere di te, Hugo. Come sta andando?”
“Va tutto bene,” le disse lui con una voce che non la convinse neanche un po’. “Il lavoro è impegnativo ma mi piace. Vado abbastanza d’accordo con il Professor Fortebraccio ed è bello essere di nuovo a Hogwarts con la prospettiva di potervi insegnare, magari, un giorno. In più mi hanno messo a dormire nella Torre di Corvonero, mi piace essere di nuovo lì… Va tutto bene.” ripeté.
Lily sollevò le sopracciglia. “Ma… ?”
Le spalle di Hugo scrollarono di nuovo mentre la sua fronte si aggrottava. Lo vide deglutire. “Ma a Hogwarts c’è anche Tony Menley.”
Le parole del cugino impiegarono qualche secondo prima di essere assimilate dal cervello di Lily. “Che cosa?!” non riuscì a fare a meno di sbottare a voce un po’ troppo alta, attirando lo sguardo vagamente sospettoso di buona parte del parentado.
Dall’aria ansiosa di Hugo capì che non aveva la minima intenzione di parlare di Menley con chiunque della famiglia che non fosse lei. “Ma quindi terrai anche tu delle lezioni?” rimediò in fretta, con un tono di voce abbastanza alto perché tutti potessero sentirla senza che sembrasse strano.
“No, non ancora, hai capito male…” Hugo stette al gioco finché l’attenzione dei familiari non fu riassorbita dalle precedenti conversazione e loro due riuscirono a tornare alla propria.
“Scusami,” fece poi Lily con un tono più basso, “non volevo alzare così tanto la voce, è che sono rimasta sconvolta! Che cosa ci fa Menley di nuovo a Hogwarts? Ti sta perseguitando, per caso?”
“Tutt’altro, non sembra per niente felice di essere tornato,” replicò Hugo in tono vagamente amaro. “Sta facendo un tirocinio con un professore di Storia dell’Arte Magica, un tale Bulstrode: è stato obbligato a seguirlo a Hogwarts per un seminario. Li ho incontrati già martedì mattina sul treno e sono stato costretto a fare tutto il viaggio con loro per non essere maleducato con il professore.”
Lily non riusciva a crederci. “Certo, Hugo, che hai proprio una bella sfiga,” commentò comprensiva. “E com’è andata? Come si sta comportando?”
Ancora una volta, il cugino scrollò le spalle. “Perlopiù mi evita.” Le sue sopracciglia erano tornate ad aggrottarsi e le labbra a stringersi mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto: sembrava preoccupato. “È strano, Lily. Ho come l’impressione che voglia isolarsi, come se stesse costruendo un muro che lo separa dal resto del mondo. L’ho incrociato solo raramente, ho parlato con lui pochissimo e ogni volta riesce a rendere la conversazione sterile… Mette intorno a sé una barriera che è impossibile superare perché non sembra minimamente interessato al contatto umano.”
Lily sospirò leggermente, dispiaciuta e al contempo sottilmente irritata. Detestava vedere Hugo così teso quando avrebbe meritato di essere tranquillo e non sopportava Tony Menley, che era adesso era rispuntato per portargli via la serenità.
Inoltre, non le piaceva che Hugo apparisse tanto coinvolto. “Ma tu vuoi superare quella barriera, Hugo?” chiese direttamente. “Perché mi sembra che te ne preoccupi un po’ troppo.”
Dal sospiro di Hugo, seppe che lo stesso pensiero doveva aver sfiorato anche la mente del cugino, nei giorni passati. “Lo so, Lily,” fece con voce venata di stanchezza. “Solo che non riesco a liberarmi della sensazione che ci sia qualcosa di strano. So che non dovrebbe essere una mia preoccupazione, ma vorrei capire perché si comporta in questo modo.” Detto ciò tacque, abbassando lo sguardo.
Lily sbuffò leggermente. “Vuoi sapere quello che penso?”
Il cugino alzò gli occhi. “Sì, anche se sono sicuro che non mi piacerà.”
Lei strinse per un istante le labbra, risoluta, prima di procedere in tono sicuro ma gentile. “Penso che dovresti lasciarlo perdere, Hugo. So che ti senti in qualche modo legato a lui per tutto quello che è successo sei anni fa, ma non deve essere così. Se anche ha cercato di aiutarti, l’ha fatto in un modo inquietante e di nascosto, con l’unico effetto di terrorizzarti ancora di più.” Automaticamente, sollevò il braccio per accarezzare appena il braccio del cugino. “In tutti questi anni ogni volta che ti scriveva una di quelle sue stupide lettere restavi sconvolto. Non è riuscito a capire che doveva solo lasciarti in pace.”
“Ma mi ha scritto a malapena un paio di lettere l’anno,” replicò Hugo flebilmente.
Lily scosse la testa, piegando appena il collo. “Non è questo il punto, Hugo. Ti stai facendo carico dei suoi problemi senza neanche sapere quali siano. Mi sembra di aver capito che la sua presenza ti mette solo a disagio, quindi dai, pensa che almeno non devi essere tu a evitarlo. Ci sta pensando lui!” gli fece l’occhiolino per sdrammatizzare, visto che Hugo sembrava sempre più triste e confuso.
Questa non ci voleva. Non adesso che nella sua vita stava andando tutto per il meglio…
Hugo parve apprezzare il tentativo, perché abbozzò un sorriso e le strinse la mano che lei ancora non aveva tolto dal suo gomito. Lily pensò che fosse un bene che si fosse confidato con lei invece di rimuginare in solitudine sulla questione, eppure…
Eppure aveva l’impressione che le proprie parole non avessero sortito alcun effetto.
 
*
 
24 settembre 2027
Ottery St Catchpole
Pomeriggio
 
Nel giardino della Tana albergava un allegro caos e Rose tutto sommato poteva ritenersi contenta di essere lì, dal momento che era circondata da persone che le volevano bene e per loro poteva sopportare una certa dose di confusione.
Fino a pochi secondi prima stava parlando con Ted Lupin dell’ultimo corso su Shakespeare che aveva seguito all’università, ma poi l’altro era dovuto correre a sedare un litigio tra il figlio Remus e la piccola Clara e lei era rimasta in piedi appoggiata alla staccionata, con tra le mani una tazza di tè che si stava raffreddando. Ridacchiò nel vedere i capelli di Ted imitare il colore che stavano prendendo quelli di Remus per consolarlo della litigata.
Si guardò intorno e individuò presto sua madre, minuta e con una selva di ricci crespi ancora completamente castani; era in piedi accanto allo zio Harry, nei cui capelli corvini si iniziava invece a intravvedere qualche filo grigio. Con loro c’era suo cugino Louis: Rose suppose che Hermione si stesse facendo raccontare qualcosa delle ultime indagini – nella sua famiglia vigeva un concetto assai elastico di segreto professionale, mentre da Gwyneth non riusciva mai a cavare un ragno dal buco a caso ancora in corso – dunque si avvicinò senza esitare, incuriosita.
“… E sono scomparsi così, all’improvviso?” stava chiedendo sua madre.
Lo zio Harry sospirò, ma fu Louis a parlare: “Stiamo ancora cercando di capire esattamente come, e una volta chiarito questo sarà già un punto di partenza.”
“Capisco,” sua madre annuì con aria concentrata. Rose a volte si chiedeva per quale stupidissima ragione non avesse fatto l’Auror, dal momento che le sarebbe palesemente piaciuto moltissimo e probabilmente aveva più cervello di tutto il Dipartimento messo assieme – nulla togliendo a suo padre, lo zio e i cugini, ovviamente – ma poi ricordava che si trattava nientemeno di Hermione Granger, paladina dei deboli, e la sua scelta di essere un MagiAvvocato le appariva nuovamente sensata. “Dunque non c’è ancora modo di capire come sia avvenuta la rapina… Mi sembra di aver letto qualcosa–”
“Che rapina?” la interruppe però Rose, reputando che fosse un momento adeguato per intervenire.
L’attenzione dei tre si rivolse verso di lei e Louis, dispettoso come al solito, si sporse per buttarle un braccio sulla spalla e scompigliarle tutti i capelli con la mano libera. Rose si divincolò, in tempo per sentire le ultime parole di una frase pronunciata dallo zio Harry.
“… Museo Magico Britannico.”
“Al Museo Magico Britannico?” ripeté Rose, aggrottando le sopracciglia. “Una rapina?”
“Proprio così,” replicò Louis. “Ma non li leggi i giornali? Era in prima pagina.”
“Non, molto, ultimamente,” ammise lei, passandosi le mani tra i capelli in un tentativo di riordinarli almeno un po’. Aveva improvvisamente rammentato un episodio dell’estate appena trascorsa. Doveva essere successo a metà giugno o giù di lì… Uno dei suoi clienti abituali, un bel ragazzo poco più grande di lei di nome Rick Murphy, era stato sospeso dal lavoro perché era avvenuta una rapina proprio mentre lui era un servizio. Rick lavorava alla National Gallery di Londra, come guardiano notturno o qualcosa del genere; la filiale di Caffè Nero in cui lavorava Rose si trovava proprio in Trafalgar Square, dove si affacciava un’ala del grande museo Babbano.
È mai possibile
Probabilmente non c’entrava niente, rifletté: era anzi assai poco probabile che i due furti avessero qualcosa a che fare l’uno con l’altro, dal momento che erano avvenuti in due musei letteralmente appartenenti a diversi mondi. Tuttavia le pareva di ricordare che i Babbani non avessero saputo che pesci prendere, almeno a giudicare da quello che aveva sentito da Caffè Nero, e in ogni caso sarebbe stato sciocco non condividere quell’informazione con gli Auror.
“Zio Harry,” disse in fretta. “Quest’estate è avvenuta una rapina alla National Gallery.”
“È vero,” le fece eco improvvisamente una voce. Lizzie Dursley sembrava essersi Materializzata al suo fianco – aveva sempre avuto questa inquietante capacita di comparire senza preavviso – e Rose notò che portava un nuovo taglio di capelli molto grazioso, corto alle orecchie. “Mi ricordo di averlo sentito al telegiornale quest’estate.”
Vide Louis strabuzzare gli occhi – probabilmente si stava chiedendo cosa fosse un telegiornale – e subito dopo farsi estremamente attento. “Una rapina ad un museo Babbano? Riuscite a ricordare altri particolari.”
Lizzie si mordicchiò il labbro inferiore e scosse la testa, ma Rose aggrottò le sopracciglia, sforzandosi di ricordare le parole di Rick.
 
“E io non c’entro niente, Rose. Le telecamere sono diventate nere di punto in bianco! Ho subito fatto partire l’allarme, ma quando è arrivata la polizia quelli erano già scomparsi. Mi hanno sospeso… Ma l’hanno visto anche loro, dopo, che le telecamere erano tutte nere.
 
“Conosco un ragazzo che lavorava lì,” fece Rose, guardando prima lo zio Harry, poi Louis e infine sua madre. “Un Babbano. Era di turno la notte della rapina. Mi ha detto che i video di sorveglianza sono diventati di colpo completamente neri e dev’essere accaduto tutto in pochissimo tempo, visto che i ladri se n’erano già andati quando è arrivata la polizia.”
Osservò distintamente lo zio scambiarsi uno sguardo con Louis, ed era uno sguardo che conosceva benissimo per esserselo scambiato ripetutamente con suo fratello e i cugini, nel corso dell’ultimo anno di scuola.
Quello sguardo rivelava che l’informazione che lei aveva fornito poteva avere una certa importanza, dopotutto; ma soprattutto, significava guai.
 
 
 


Note dell’Autrice
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi scuso per il preannunciato ritardo, ma ho ritenuto opportuno far slittare l’aggiornamento di una settimana per avere pronte più parti dei capitoli successivi (mi si prospetta un mese d’inferno, da adesso a Natale!).
Spero che la storia vi stia piacendo! Se avete tempo/voglia, lasciate un cenno del vostro passaggio, ché qualche commento fa sempre piacere e mi rassicurerebbe sull’andamento della storia.
Grazie <3
Daph





 
   
 
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