Serie TV > Doctor Who
Segui la storia  |       
Autore: stillfreeit    20/11/2015    0 recensioni
La consolle cominciò improvvisamente a lampeggiare di rosso.
Anche lo schermo lampeggiava.
Le spie poste accanto al propulsore, lampeggiavano anche loro.
Ma il Dottore non stava guardando, troppo occupato con i suoi gessetti e la sua lavagna.
Avrebbe dovuto sentire l’allarme ma, avendo veramente cercato un po’ di silenzio e concentrazione per qualche minuto, aveva optato per l’intelligentissima mossa di spegnere tutti i fastidiosi allarmi che avrebbero potuto disturbarlo.
Col senno di poi, avrebbe sicuramente preferito essere disturbato dall’allarme, piuttosto che dal pericolo stesso per cui l’allarme l’avrebbe disturbato.
Dunque, mentre per il TARDIS la minaccia era cominciata già da qualche minuto, per il Dottore tutto iniziò con un violento scossone.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 12
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

«Perché mi guardi così?» ebbe il coraggio di domandare il Corsaro.

Per quanto riguardava il modo con cui effettivamente il Dottore la stava guardando, ci si poteva tranquillamente dimenticare del senso di colpa, della sorpresa e della vergogna che il Corsaro aveva conosciuto del nuovo volto del Dottore fino a quel momento, spostandosi più nettamente verso la rabbia glaciale del Signore del Tempo che si era guadagnato il nome di Tempesta che avanza.

«Perché questo posto è pieno di bambini» rispose il Dottore, gelido. «Non sarebbe educativo sentirmi dire a parole quello che sto pensando».

Davanti a quello sguardo carico di disprezzo che il Dottore le stava puntando contro, il Corsaro si trovò a scoppiare in una risatina imbarazzata:

«Credo che tu abbia frainteso» disse.

Il Dottore inarcò un sopracciglio, fingendo di dare un’altra occhiata intorno.

C’erano bambini di ogni specie, posti uno sopra l’altro all’interno di quei cilindri di vetro. Il riflesso verdastro del liquido dava loro uno strano colorito ma, in ogni caso, qualsiasi fosse la ragione, quello non era il loro posto.

«Ti prego di illuminarmi» le rispose, di un sarcasmo gelido quanto la sua espressione.

Sapeva che c’erano ben poche possibilità che il Corsaro fosse in procinto di dargli una spiegazione che gli sarebbe piaciuta ma, per il bene del ricordo che conservava del Corsaro che aveva conosciuto a Gallifrey, il Dottore aveva bisogno di convincersi che si stava effettivamente sbagliando, che era veramente tutto un equivoco.

«Questi bambini sono morti». Ecco. Appunto.

«Non sei affatto d’aiuto» sbottò il Dottore, incrociando le braccia. Le sue elevate facoltà mentali si stavano lentamente riprendendo dallo shock, abbastanza da cominciare a porsi le ovvie domande e a cercare le altrettanto ovvie risposte: c’era qualcosa che potesse ancora fare per quei bambini? C’era qualcosa che potesse fare per fermare quello scempio o risparmiare la vita dei prossimi? Per quanto tempo avrebbe avuto gli incubi a proposito di ciò che stava vedendo?

«Non li ho uccisi io» riprese il Corsaro, quasi credesse seriamente che ciò costituisse un maledetto attenuante. «Li ho solo recuperati».

Il Dottore non disse nulla, rimase immobile come una statua severa a fissarla. Normalmente avrebbe cominciato perlomeno a sbraitare, ma quella volta era diverso. Quella volta, c’era un Signore del Tempo di mezzo e, dunque, quella situazione surreale quasi gli faceva tornare in mente il motivo che lo aveva spinto a premere quel bottone (o qualsiasi cosa fosse realmente accaduta in quel granaio).

C’era soltanto un dettaglio che non gli tornava affatto: perché glielo stava mostrando? Sulla scala delle cose più sbagliate da mostrare con orgoglio ad un vecchio amico appena ritrovato, dei piccoli silos contenenti bambini morti veniva addirittura prima delle foto delle vacanze.

Il Corsaro attese, sostenendo coraggiosamente il suo sguardo, apparentemente in attesa che lui capisse da solo. Non c’era molto da capire, a parer suo.

Quando il silenzio si allungò oltre ciò che sarebbe stato necessario, l’espressione di attesa del Corsaro si trasformò prima in stupita:

«Ah» disse, prima di aprirsi in un piccolo sorriso. «Ora capisco da dove arriva questo tuo nuovo perenne senso di colpa: lo avrei anche io se dovessi guardare quegli occhi ogni mattina allo specchio».

Il Dottore continuò a tacere. Il Corsaro aveva ragione: quell’amara delusione condita di rabbia era esattamente ciò che provava per se stesso a seguito di ciò che era stato sul punto di fare o che aveva fatto. Ma, perlomeno, a lui era stato concesso il dono di riuscire a vergognarsene, di certo non mostrava i suoi peccati con lo stesso orgoglio che stava utilizzando lei.

Il Corsaro sospirò profondamente, come se non si fosse aspettata di fare tanta fatica, poi indicò le taniche attorno a loro con un ampio gesto: «Guardali più da vicino» insistette.

Era proprio quell’insistenza folle, che il Dottore non riusciva a comprendere. Perché il Corsaro non era mai stato folle. Non più di lui, certamente. E, a lui, di chiudere dei bambini morti nelle taniche, non gli era mai neanche passato per la mente. «Guardali attentamente. Non li riconosci?».

«Dovrei?» sbuffò il Dottore. Tuttavia, un’occhiata più attenta gliela gettò comunque.

Non vide nulla di più di ciò che avesse già intuito. Niente che giustificasse qualsiasi cosa il Corsaro stesse facendo con quei corpi.

Si avvicinò, quasi senza accorgersene, ad uno dei contenitori. Era un bambino umano. Non poteva avere più di otto o nove anni. Sembrava addormentato, in mezzo alle bollicine prodotte dal liquido secondo chissà quale cinetica.

Poi qualcosa balzò alla sua attenzione. Qualcosa a cui, effettivamente, non aveva fatto caso prima ma, più che una giustificazione, il Dottore la interpretò come un aggravante.

Il bambino indossava dei vestiti molto semplici ma, soprattutto, molto caratteristici: era decisamente un bambino con un pigiama a righe.

I suoi occhi corsero istintivamente verso le braccine magre del piccolo, trovando esattamente ciò che si aspettavano in una corta serie di numeri impressa sulla pelle.

«Hai sempre avuto un debole per i terrestri» stava dicendo intanto il Corsaro, che lo osservava con attenzione alle sue spalle.

Il Dottore continuò a non rispondere. Chiuse gli occhi un momento, cercando con scarso successo di impedirsi di immaginare le circostanze in cui quel bambino doveva aver perso la vita. In ogni caso, la presenza di quel corpo in quel TARDIS era completamente fuori luogo. «Ma non ci sono solo loro: sono i bambini vittime di carestie, guerre, malattie, genocidi nella storia di tutto l’universo. Come ho detto: non è mia la colpa se sono morti».

Adesso che aveva cominciato a notarlo, il Dottore trovò segni distintivi simili - sebbene diversi per circostanza - a quelli del bambino che aveva più attentamente esaminato, presenti in ogni altro, proveniente da ogni pianeta e da ogni epoca. La sua quasi infinita cultura a proposito dell’universo, lo conduceva tristemente a riconoscerle praticamente tutte.

Ma il dubbio ancora permaneva, ed era piuttosto ovvio: perché?

Senza neanche accorgersi di farlo, il Dottore indossò gli occhiali sonici ed esaminò il corpo di una bambina dalla pelle bluastra e le orecchie a punta.

Ciò che ne sortì, riuscì addirittura a stupirlo ancora di più di quanto già non fosse.

«Ma non lo sono» osservò, togliendosi nuovamente gli occhiali, quasi non potesse credere a ciò che gli avevano appena mostrato. «I parametri vitali sono ottimi. A parte il fatto di essere sott’olio».

Aveva più senso. Ad eccezione del fatto che non ne aveva per nulla.

Il Corsaro, questa volta, scoppiò apertamente a ridere.

«Con tutto il rispetto, Dottore, ma sarebbe abbastanza inutile scorrazzare con un mucchio di cadaverini provenienti da sconfinate galassie» fu il suo commento, certamente privo di tatto, ma il Dottore non era certamente il tipo da scandalizzarsi. Tuttavia la fissò, palesemente senza capire dove tutto ciò andasse a parare. Che fosse davvero tutto un sogno? «Certo che non sono morti!» continuò intanto il Corsaro, quasi esasperata da cotanta inaspettata ottusità. «Non adesso. Lo sono nel loro mondo e nel loro tempo. Questo fluido li mantiene in stasi nel momento immediatamente precedente al trapasso e ci dà il tempo di rianimarli, curarli e…».

«Basta così!» la interruppe il Dottore, bruscamente. «Ho avuto a che fare con un’acqua miracolosa anche troppo di recente, preferisco non sapere altro».

«Non capisco» disse il Corsaro e sembrava veramente confusa mentre scuoteva piano il capo. «Dovrebbe piacerti come idea, salviamo dei bambini da morte certa».

Be’, era sicuramente un modo di vederla.

Tuttavia, il Dottore era ben lungi dal proporre un brindisi.

«Dove li portate?» domandò, tornando a guardare le numerose fila di taniche. Dove, avrebbe potuto essere un buon inizio per arrivare a capire indirettamente anche perché.

«Dovunque possano far sentire la loro voce nell’universo» rispose il Corsaro.

Le orecchie del Dottore non mancarono di notare quanto meccanica fosse suonata quella risposta, quasi da copione.

«Queste non sono parole tue».

Il Corsaro scrollò le spalle, come se non vedesse il problema.

«Non lavoro da sola» rispose, senza disturbarsi a nasconderlo. «Ho un socio. Be’, l’idea in effetti è stata tutta sua. Io ho messo solo a disposizione la nave».

Un socio, dunque. Un bel chi, si univa allegramente alla brigata delle domande che pretendevano risposta, per riuscire a capire tutto il resto.

Ma una cosa alla volta.

«Dove li portate?» ripeté il Dottore. Il problema era evidente, per lui, ed era più che certo che lo fosse - o lo fosse stato - altrettanto anche per lei. D’altra parte, appartenevano alla stessa specie. Se non i Signori del Tempo, chi altri avrebbe potuto vederlo? Doveva averlo visto! «Perché non li restituite alla loro famiglia, nel loro tempo?» provò a domandare.

«Sai bene quanto me che alle linee temporali non giova che qualcuno torni dal regno dei morti» rispose il Corsaro, come prevedibile.

«No, infatti!» esclamò il Dottore, indicando con il pollice le taniche alle sue spalle, insieme sollevato ed adirato dall’aver ricevuto esattamente la risposta che si aspettava.

Doveva dunque pensare che il Corsaro avesse notato il problema ed avesse deciso felicemente di ignorarlo?

Se era vero che quei bambini erano morti - e a giudicare da ciò che il loro aspetto suggeriva, lo erano certamente - riportarli in vita in questa o in quell’epoca, avrebbe comunque creato dei grovigli nella linea temporale, dei paradossi che solo il Tempo sapeva come si sarebbero risolti e con quali conseguenze.

«Perché sei così diffidente?» gli domandò il Corsaro. Il Dottore scosse la testa, prima di voltarsi nuovamente verso le pareti tappezzate di taniche di bambini. Aveva un suono stupido e folle anche solo nel pensiero.

Era sicuramente meglio rispetto a quello che aveva pensato in un primo momento ma, continuando ad arrovellarcisi mentre si dondolava sui talloni con le mani in tasca, comunque non lo convinceva affatto. «Ti assicuro che siamo in completa buona fede, non c’è alcun guadagno per noi» continuò infine il Corsaro, dopo averlo osservato a lungo in quell’atteggiamento meditabondo.

Be’, modi per guadagnarcisi sopra, avrebbero potuto essercene a bizzeffe e soltanto di quelli che una mente come quella del Dottore riusciva ad immaginare. Ma se anche ciò che il Corsaro aveva appena detto fosse stato vero, anche se fosse stato soltanto un modo per dare a quei bambini una possibilità, non era affatto certo di trovarlo giusto.

«Non mi piace» disse, riassumendo in tre parole tutte quelle lunghe trafile di pensiero, che comunque non avrebbero fatto la differenza.

«Non ti facevo così conservatore» osservò il Corsaro, evidentemente colta di sorpresa.

Il Dottore la guardò, accigliato. Si trattava veramente solo di questo? Dell’essere infine diventato come tutti quei noiosi Signori del Tempo che aveva conosciuto da giovane? «Sei invecchiato parecchio, Dottore».

Il Dottore sbuffò, con un mezzo sorriso privo di alcuna allegria.

«Questa l’ho sentita già più spesso».

##

Il problema fondamentale del non riuscire a trovare la soluzione al mistero di come il suo TARDIS si fosse scontrato con quello del Corsaro quando non avrebbe fisicamente potuto, era la scarsa collaborazione della sua affezionata cabina.

Di punto in bianco, aveva deciso di rinchiudersi in una sorta di sciopero offeso, rifiutando qualsiasi tipo di approccio, primo fra tutti, quello di schiodarsi dal ponte della nave. Aveva metaforicamente incrociato le braccia e si era piantata lì, non facendo altro che ronzare inutilmente.

Dopo aver provato a convincerla in tutti i modi, il Dottore si era dovuto arrendere all’evidenza di dover prendere le cose più alla lunga di quanto avrebbe desiderato.

Seduto al tavolo da lavoro con strani attrezzi in mano, era appena giunto alla conclusione che l’atmosfera soffusa del TARDIS rendesse veramente scomodo l’utilizzo degli occhiali sonici al posto del cacciavite, nell’atto di prendere per la terza volta il fusibile sbagliato ed imprecando nervosamente contro gli umani - perché comunque era sempre colpa loro - quando sentì la porta d’ingresso cigolare sui cardini.

Il Corsaro aveva insistito per affidargli un aiuto nella risoluzione dei problemi del TARDIS. Ovviamente, il Dottore era certo che nessuno meno che lui fosse in grado di comprendere e trovare una soluzione ai capricci della sua più vecchia compagna di viaggio, ma aveva accettato comunque. Per quanto fosse assolutamente vero che benedicesse spesso la solitudine, sentiva altrettanto spesso il bisogno di avere piccoli incompetenti tra i piedi contro cui sfogare la propria rabbia contro il mondo e a cui mostrare il corretto modo di fare qualsiasi cosa.

Insomma, aveva bisogno di qualcuno che annuisse a tutte le sue affermazioni.

Dei passi leggeri scesero le scale dalla sala di comando. Il Dottore non alzò lo sguardo dal suo lavoro finché l’ombra del nuovo ospite non gli fu praticamente addosso, rendendo ancora meno possibile lavorare.

Si tolse gli occhiali, incontrandolo infine con il suo consueto sguardo perennemente accigliato. Una delle sopracciglia, tuttavia, si inarcò inesorabilmente sulla fronte, quando vide chi il Corsaro aveva deciso di mandargli.

Quel ragazzino era il ritratto del completo disagio nello stare al mondo.

Conciato com’era nel suo abbigliamento da pirata, gli mancavano soltanto i baffetti finti per essere tranquillamente ammesso ad una festa in maschera per bambini, non fosse stato per i piedi nudi ed i segni sulle gambe e le braccia fin troppo realistici di una vita esposta alle intemperie. Sebbene, i suoi grandi occhi azzurri colmi di timidezza sotto un ciuffo di capelli castani, ben poco si prestavano alla reputazione di un brutto ceffo pirata.

«Avevo chiesto un assistente competente» fu il primo, gentilissimo commento del Dottore, tanto per mettere a proprio agio l’imbarazzatissimo nuovo ospite, che subito abbassò lo sguardo mordendosi il labbro e tormentandosi le dita delle mani lungo i fianchi.

«La Signora Corsaro ha mandato me, signore» rispose, ancora con la vocina ancora lontana dall’influenza degli ormoni adolescenziali.

Il Dottore trasalì.

«Dottore» mormorò, tra i denti.

«Sì, signor Dottore» si corresse immediatamente lui, arrossendo fino alle lentiggini.

Il Dottore roteò gli occhi, prima di infilarsi nuovamente gli occhiali.

«Per carità, passami quel trasformatore e non dire più una parola» sbottò, indicando con un dito ossuto la scatola di cianfrusaglie alla sua destra.

Ci si sarebbe aspettati che un bambino umano, all’interno del TARDIS, avendo a che fare con una figura misteriosa e neanche tanto accomodante come la sua, davanti ad una richiesta del genere, provasse almeno a porre qualche domanda.

Invece, il ragazzino obbedì con molta naturalezza, rovistando dentro la scatola finché non trovò esattamente il pezzo che il Dottore gli aveva richiesto. Infine glielo porse senza osare pronunciare verbo.

Il Dottore tentò di rimanere indifferente, come se neanche avesse fatto caso a quell’evidente stranezza, tuttavia, doveva ammettere che quel ragazzino avesse perlomeno smosso la sua curiosità.

«Come ti chiami?» gli domandò, mentre toglieva nuovamente gli occhiali sonici ed indossava quegli stupidi binocoli da avvicinamento che, insieme alla chioma argentea indomata, gli davano un’aria parecchio folle.

Il ragazzino tacque, guardandosi intorno mordendosi le labbra, sempre più a disagio.

Il Dottore sbuffò. Era una scenetta piuttosto banale che avrebbe dovuto prevedere, divertente quanto mimi e karaoke.

«Puoi rispondere alle domande. Solo, non chiamarmi signore, lo trovo irritante».

«Alexander» rispose il bambino, immediatamente e sembrò sforzarsi con tutto se stesso per trattenersi dall’adoperare quell’appellativo a cui era tanto abituato, quasi come se avesse lasciato la frase in sospeso.

Il Dottore aveva già notato l’accento palesemente irlandese dalle poche parole pronunciate poc’anzi. Che fosse terrestre, d’altra parte, era piuttosto ovvio.

«Quanti anni hai?» domandò ancora, sebbene non fosse difficile da indovinare.

Fu la risposta a coglierlo di sorpresa:

«Non lo so».

Il Dottore alzò uno sguardo curioso su di lui. Con le iridi ingrandite da quei ridicoli occhiali, poco ci mancò che lo spaventasse a morte.

«Be’, è facile scoprirlo: quando sei nato?».

«Sono nato a Waterford, nel 1837» rispose prontamente Alexander.

Irlandese, appunto.

E in un’epoca molto particolare, come il Dottore sapeva perfettamente. La Grande Carestia.

«Ah» commentò. Tornò al suo lavoro, anche solo per impedire alla propria mente di immaginare la minuta figura di Alexander all’interno di una di quelle taniche che il Corsaro gli aveva mostrato il giorno prima. «E sai cos’è un trasformatore». Era parecchio avanti, per essere stato un bambino terrestre del 1837.

«Sono con la Signora da tre anni ormai, ho imparato tante cose» spiegò lui, accennando appena ad un piccolo sorriso che gli solcò le fossette nelle guance.

«Sei uno di quei bambini» osservò argutamente il Dottore. Era strano immaginarsi di parlare con uno di quei bambini prelevati e messi in stasi un momento prima della morte, come se niente fosse. Eppure, era esattamente ciò che stava accadendo ed era, in effetti, una delle esperienze più surreali che il Dottore ricordasse di aver mai vissuto.

«Sono una delle voci, sì» rispose il bambino, chinando il capo in una sorta di gesto di saluto.

«Voci?».

«Le voci perse dell’universo. È così che ci chiamano» spiegò Alexander.

Un bel nome poetico, senza dubbio. La sensazione di averlo già sentito da qualche parte, si risolse immediatamente nel ricordo di aver udito utilizzare quella descrizione anche dal Corsaro stesso e di averla giudicata, già da allora, nient’altro che pura retorica.

«E quando saresti… be’… stato prelevato?». Per onorare i suoi minimi progressi nell’approccio interpersonale, il Dottore si sforzò di non fare alcun riferimento alla sua sicuramente per niente dolce morte prematura.

«Avevo dieci anni».

«Oh, quindi hai tredici anni. Visto? Facile» fu l’osservazione acuta del Dottore, agitando in aria il cacciavite non-sonico che aveva in mano come una bacchetta.

Il bambino si accigliò, pensieroso.

«Non lo so più, a dire il vero» disse, con una scrollata di spalle. «Qualche volta mi sembra che sono passati secoli… altre volte qualche minuto».

Il Dottore sbuffò, con un sorrisetto di comprensione.

«È l’effetto che il TA… che la nave ha su tutte le altre specie» spiegò, come se fosse una cosa da nulla. Aveva un effetto simile anche su di lui, a dire il vero, che ancora oggi non riusciva a calcolare con esattezza la propria età o, forse, vergognandosi di farlo. «Ricordi qualcosa di… prima?». Sperava di aver posto quella domanda con sufficiente delicatezza, almeno per le sue capacità, che erano altresì scarse in tal senso.

Il fatto era che si ritrovò ad essere veramente curioso di sapere che cosa rimanesse effettivamente nella testa di quei bambini, una volta strappati alla loro realtà brutale in maniera altrettanto brutale.

Alexander gli sembrò stupito da quella domanda ma non sicuramente nel modo offeso che ci si sarebbe aspettati se fosse stata colpa del Dottore e della sua mancanza di tatto. Sembrava, piuttosto, che nessuno glielo avesse mai domandato.

Se quella sensazione fosse stata vera, pensò il Dottore, la situazione sarebbe stata ancora più grave di quanto avesse pensato.

La risposta, dunque, non giunse rapida come era stato per tutte quelle che l’avevano preceduta. Alexander ci pensò su per un intero minuto, concentrandosi tanto da scavarsi una piccola ruga al centro della fronte nonostante la sua giovanissima età.

«Ricordo di aver avuto fame» disse infine. Il Dottore avrebbe potuto giurare di vedere un lampo di doloroso terrore all’interno del suo sguardo che fissava il nulla sul tavolo da lavoro. Probabilmente la sensazione peggiore che ad un umano fosse imposto di provare e che molti abitanti della Terra avevano ormai dimenticato mentre tanti altri erano ancora costretti a farci i conti. «Tutti avevamo fame» aggiunse poi, in un mormorio appena udibile sul ronzio costante del TARDIS.

Il Dottore si dimenticò momentaneamente del suo lavoro, rapito dal discorso come raramente gli era successo prima con altri esseri umani. Ed era solo un bambino.

«Dunque, la tua famiglia…» ancora, sforzò tutto se stesso nel cercare le parole giuste. Per la prima volta, Alexander lo interruppe prima che riuscisse a concludere la domanda.

«La Signora ha preso sia me che le mie sorelle ed i miei fratelli» disse. Fu facile notare il fatto che il destino dei suoi genitori non fosse menzionato nel quadretto. «Io ho deciso di restare qui, loro hanno preso altre vie». Non fu troppo specifico nello spiegare cosa di preciso fossero quelle vie e, sinceramente, il Dottore si dispensò dal domandare.

C’era sicuramente una persona che avrebbe saputo rispondere meglio a tutte quelle curiosità e, probabilmente, senza dover scuotere alcuna componente emotiva.

«Sai dirmi qualcosa di più a proposito del socio del Corsaro? Lo hai mai visto?».

Il velo che aveva appannato lo sguardo di Alexander durante quell’inopportuno ma necessario tuffo nel passato, si scostò in fretta, quando il discorso si spostò ancora sulla nuova realtà della sua vita.

«Sì, capita che si incontra con la Signora, prima di smistare gli altri bambini» rispose, con una scrollata di spalle indifferente. «È un tipo a posto, credo».

Be’, quella era una decisione che spettava a lui.

«Qual è il suo nome?».

«Nicholas Winton».

##

Il Dottore sapeva come pilotare un TARDIS.

Be’, molti avrebbero avuto da ridire in proposito, ma lui avrebbe continuato a sostenere di esserne perfettamente capace.

Ad ogni modo, sebbene la sua perfetta capacità di guidare un TARDIS, ancora gli sfuggiva la meccanica della nave del Corsaro.

Sì, il timone era anche abbastanza intuitivo, sebbene non ne vedesse l’utilità, considerando che una volta impostate le coordinate sulla consolle, fosse praticamente inutile seguire una rotta.

Per quanto riguardava il resto, faceva veramente fatica a trovare un ruolo a tutti quegli uomini - alcuni non erano uomini affatto - intenti a correre da una parte all’altra del ponte tirando corde, ammainando vele, trasportando barili sulla schiena (quelli probabilmente diretti alla locanda per foraggiare le sbronze).

Aveva quasi la sensazione che il Corsaro li avesse assunti unicamente per proprio diletto e per dare un’aria più piratesca al tutto. I capricci dei Signori del Tempo non hanno eguali in tutto l’universo. O non ne avevano.

Per quanto riguardava lei, infatti, non faceva che trascorrere il tempo passeggiando sul ponte o arrampicandosi sulle cime, con la faccia contro il vento praticamente inesistente nel vuoto cosmico.

«Dottore!» lo salutò allegra, mentre penzolava una gamba oltre il parapetto in una maniera che avrebbe provocato lo svenimento a chiunque soffrisse anche solo vagamente di vertigini. Il Dottore la raggiunse, muovendosi a disagio nel mezzo dei marinai in fermento per niente propensi a cambiare direzione del passo, neanche davanti ad un ostacolo mobile come lui. «Allora? Come sta la tua amica blu?» gli domandò, quando fu abbastanza vicino da fare due chiacchiere.

«Ci sto lavorando» rispose il Dottore, con lo sguardo perso verso le galassie ed i colori mozzafiato delle nubi intergalattiche. Mozzafiato era il termine giusto, considerando quali gas tossici bruciavano per conferire quelle cangianti tonalità. Ma era e sarebbe sempre stata una vista spettacolare. Sicuramente, per quanto lo riguardava, ricca di ricordi. «Nel frattempo, ottimizzo» aggiunse.

Aveva deciso che, dal momento che la propria nave si rifiutava categoricamente di salpare, avrebbe dovuto sfruttare quel tempo per capire il più possibile a proposito di quel traffico di bambini nello spazio e nel tempo.

Che fosse esattamente ciò che il TARDIS voleva che facesse? Non sarebbe stata neanche la prima volta.

«Ti è utile Alexander? È un ragazzo in gamba» disse il Corsaro. Il Dottore non rispose, continuando a guardare lo spazio profondo davanti a loro.

Aveva trascorso ormai parecchio tempo in compagnia di quel ragazzino. Non aveva intenzione di ammetterlo ad alta voce, perché sapeva perfettamente quanto gongolamento avrebbe provocato nel Corsaro ed eventualmente nel suo socio, tuttavia Alexander era veramente un ragazzino sveglio e in gamba per un terrestre della sua età e del suo sfondo culturale. Addirittura, un promettente bassista, secondo la sua modesta opinione.

Ma tutto ciò che il Dottore si stava sforzando di tacere, il Corsaro parve intuirlo comunque, a giudicare dal sorrisetto poco meno che ghigno che apparve sulle sue labbra. «Una fortuna che la carestia irlandese non lo abbia spazzato via dalla faccia dell’universo, eh?» aggiunse, con un tono diffidente poco credibile.

Il Dottore alzò gli occhi al cielo. In quel caso, letteralmente.

«Ah ah ah» rispose, scimmiottando in modo volutamente esagerato una risata. «Immagino che tu e tale Winton vi facciate grasse risate con queste battute».

«Uh, beccato!» commentò il Corsaro, con gli occhi scintillanti, a sentirgli nominare il suo presunto socio in affari.

Era chiaro che non avesse mai avuto veramente intenzione di nasconderglielo, ma che si fosse semplicemente divertita a farlo indagare.

«Ora vorresti dirmi che si tratta di quel Nicholas Winton?» le chiese, con uno scetticismo così pesante che avrebbero tranquillamente potuto usarlo come àncora.

«No, naturalmente no» rispose lei, con un gesto secco della mano, come a voler scacciar via delle mosche spaziali. «Non si tratta neanche di un terrestre, ha soltanto adottato quel nome, per ispirazione».

Un’ispirazione davvero curiosa. E lui non era certo di condividere quell’apparente similitudine tra ciò che il vero Nicholas Winton aveva fatto, rispetto a ciò che avevano messo in piedi quei due.

«E quale sarebbe il suo vero nome?».

«Non l’ho chiesto… Dottore» rispose il Corsaro, con un’occhiata sarcastica decisamente significativa che seppe colpire nel punto giusto esattamente come la lama sonica che teneva nella fodera.

Il Dottore schioccò la lingua infastidito, senza però trovare nulla con cui ribattere.

Si poggiò con le mani al parapetto e decise di cambiare elegantemente il discorso.

«Voglio conoscerlo».

Il Corsaro sorrise, consapevole di aver incassato almeno una vittoria schiacciante. Poi si aggrappò ad una delle reti penzolanti dalle vele e balzò agilmente sul ponte, appena dietro di lui.

«Nessun problema» gli disse. «Stiamo giusto andando da lui».

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Doctor Who / Vai alla pagina dell'autore: stillfreeit