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Autore: stillfreeit    15/11/2015    0 recensioni
La consolle cominciò improvvisamente a lampeggiare di rosso.
Anche lo schermo lampeggiava.
Le spie poste accanto al propulsore, lampeggiavano anche loro.
Ma il Dottore non stava guardando, troppo occupato con i suoi gessetti e la sua lavagna.
Avrebbe dovuto sentire l’allarme ma, avendo veramente cercato un po’ di silenzio e concentrazione per qualche minuto, aveva optato per l’intelligentissima mossa di spegnere tutti i fastidiosi allarmi che avrebbero potuto disturbarlo.
Col senno di poi, avrebbe sicuramente preferito essere disturbato dall’allarme, piuttosto che dal pericolo stesso per cui l’allarme l’avrebbe disturbato.
Dunque, mentre per il TARDIS la minaccia era cominciata già da qualche minuto, per il Dottore tutto iniziò con un violento scossone.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Doctor - 12
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il Corsaro, o comunque si chiamasse la sua versione femminile, abbracciò il Dottore.

Non avrebbe mai potuto essere a conoscenza della sua nuova politica contraria agli abbracci e, considerata la situazione già abbastanza peculiare, il Dottore non se la sentì di illuminarla in proposito.

Dunque restò lì, in attesa che finisse, rigido come un lampione vestito di tutto punto, stretto tra le braccia della sua nuova, vecchia amica, della quale versione maschile aveva sicuramente conservato il vigore stritola-costole.

«Non ti vedo da secoli!» esclamò lei, picchiettandogli le spalle con le mani guantate. Il Dottore deglutì, senza dire nulla, sperando di non averlo fatto in maniera eccessivamente evidente. Era un sollievo poter nascondere il viso, in quell’occasione.

Infine, per suo estremo sollievo, l’abbraccio si sciolse. Il Corsaro volle comunque prolungare il contatto mantenendo le mani sulle sue spalle, quasi volesse sincerarsi che non si trattasse di un ologramma. Il suo sguardo era così pieno di gioia che il Dottore faceva davvero fatica a mantenerlo. «Non sei cambiato per niente! Be’, si fa per dire…».

Il Dottore strinse i denti, mai così tanto colto di sorpresa ed impreparato nella sua intera esistenza.

Immaginò che se chiunque - probabilmente una balena astrale - avesse deciso di passare in quel momento per quello scorcio di spazio profondo, si sarebbe trovato di fronte ad una scena piuttosto singolare: un vascello in perfetto stile piratesco (a parte l’innocuo dettaglio che non ci fosse l’ombra di un pirata degno di tale nome su quel ponte, come di nessun altro oltre a loro due), navigava placido nel vuoto cosmico ed aveva, per oscure ragioni, trainato a sé una altrettanto vagante cabina blu della polizia londinese degli anni ’60. I rispettivi proprietari - della nave e della cabina, s’intende - avevano appena finito di abbracciarsi.

Tuttavia, nessuno - neanche la balena astrale - sarebbe stato più stupito del Dottore, che aveva di fronte l’inequivocabile esemplare non solo dei Signori del Tempo, che aveva contribuito lui stesso ad eliminare dalla faccia dell’universo (perlomeno, quello in cui era stato convinto di navigare fino a quel momento) ma, in particolare, di quello che sapeva aver già perso la vita a causa di un pianeta assassino che lo aveva fatto a pezzi e li aveva utilizzati come ricambio per i suoi schiavi.

Eventualmente, gli venne in mente la sola cosa sensata che avrebbe potuto dire in quel momento, nel bel mezzo dello sconfinato universo, in quel contesto, davanti a quella particolare persona:

«Mi dispiace».

Il sorriso del Corsaro vacillò appena, confuso da quelle due parole che per lei non avevano alcun senso. Non in quel momento, almeno.

«Di che cosa?» gli domandò, infatti.

Mi dispiace. Quella era stata la sua prima, vera occasione per dirlo.

Erano trascorsi secoli, erano trascorsi corpi, orecchie a sventola, scarpe di tela, cravattini ed occhiali da sole. Aveva espresso il proprio rimorso nei modi più svariati: aveva urlato e maltrattato persone, aveva minacciato eserciti, aveva salvato vite ed interi mondi, aveva cancellato le proprie tracce ed aveva addirittura imprigionato Gallifrey in un universo tasca.

Ma non lo aveva mai detto. Non aveva mai avuto occasione di guardare negli occhi un Signore del Tempo, uno dei buoni, ed esprimerlo a parole e con molta chiarezza.

L’ironia della sorte voleva che, per qualche ragione che ancora il Dottore non era riuscito a spiegare, il Signore (o, in questo caso, la Signora) del Tempo in questione, non avesse ancora idea di cosa si riferisse.

Davanti al silenzio del Dottore, che continuava a fissarla con i suoi grandi occhi grigi come se avesse davanti poco più di un fantasma - e dal suo punto di vista, era esattamente ciò che stava accadendo - il Corsaro decise di riprendere parola, ancora lievemente perplessa per quello strano comportamento:

«Be’, io non ho intenzione di scusarmi per aver arraffato il tuo… com’è che lo chiamavi? DARTIS?».

«TARDIS» la corresse il Dottore meccanicamente e senza neanche accorgersi di farlo. Quel semplice dettaglio, però, bastò per dare una scrollata al suo cervello e riconnetterlo alla realtà del presente, dal granaio in mezzo al deserto in cui era rimasta bloccata: «DARTIS? Che cosa diamine dovrebbe significare?» sbottò, parecchio risentito.

«Ehi, sei tu che dai nomi strani alle cose» si giustificò il Corsaro, alzando le mani a mo’ di scusa.

«Non gliel’ho dato io» borbottò lui, così piano, così rauco e così scozzese che il Corsaro non lo sentì ed insieme non lo capì, perciò decise di far finta di nulla.

«E dove sono tutti quei ragazzini terrestri che ti porti dietro di solito?» domandò, allungando la testa oltre le sue spalle per dare un’occhiata all’interno del TARDIS, presumibilmente aspettandosi di trovarvi nientemeno che una scolaresca in gita. Era anche successo, tra l’altro. Anche abbastanza recentemente.

Ma, in quell’occasione, cascava molto male:

«Sono da solo» rispose il Dottore, chiudendo la porta della cabina blu, rendendola in questo modo impenetrabile a chiunque non possedesse le chiavi o almeno il suo magico schiocco di dita. «Meglio, no? Un solo prigioniero, una sola cella» le fece notare, ben determinato a riprendere il controllo della situazione, dopo tutte le botte in testa - fisiche o meno - che aveva preso.

Era inutile continuare a domandarsi come fosse possibile, la risposta non gli sarebbe piovuta giù dal cielo, doveva andare a cercarla.

Il Corsaro alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Era un atteggiamento che aveva notato spesso nelle donne che avevano a che fare con lui.

«Avanti, seguimi» gli disse, voltandogli le spalle perché la seguisse.

Il Dottore le fu immediatamente dietro: ecco come si trovano le risposte. Non comportandosi da smarrito budino-cerebrato.

«Niente corde? Manette? Pugnali sonici alla schiena?».

«Tu non renderli necessari» rispose lei, senza sfumare più di tanto la minaccia, sebbene stesse ancora sorridendo.

«Dove stiamo andando?» domandò ancora il Dottore, impossibile da contenersi. La seguì lungo il ponte vuoto, tra i cordami penzolanti dagli assi e dalle vele gonfie (sebbene, ovviamente, non ci fosse un filo di vento nello spazio più profondo) dritti verso le scale che conducevano presumibilmente verso il boccaporto.

Il Corsaro si voltò nuovamente verso di lui soltanto per concedergli un sorriso misterioso:

«…ti mostro il mio TARDIS».

##

Le scale di legno scricchiolavano sotto i loro passi, come da contratto era giusto che fosse per tutte le scale di legno in ogni angolo dell’universo.

La piccola fiamma di una candela ad olio illuminava fiocamente il corridoio che conduceva verso una porta, anch’essa di legno, in perfetto stile da galeone.

Oltre quella, il soffio del silenzio cosmico dello spazio profondo al quale le orecchie del Dottore si erano da ore placidamente abituate, venne completamente calpestato e sotterrato da un rumore che, almeno per i primi tremendi secondi, gli sembrò assordante quanto un’esplosione.

Non era esploso nulla, in realtà. Erano solo voci. Un quantitativo di voci smisurato, decisamente superiore a quello che ci si sarebbe attesi in un luogo angusto come il boccaporto di una nave, per quanto grande questa potesse essere.

Il fatto era che, quel boccaporto particolare, non era affatto angusto.

Era una locanda dalle dimensioni di una piazza o forse era una piazza travestita da locanda, fatto sta che, nonostante la capienza si estendesse oltre le normali leggi della fisica, era piena zeppa di gente, da far fatica a distinguere dove finisse un avventore e ne cominciasse un altro. Gente proveniente - il Dottore poteva ben dire - da ogni più remoto angolo dell’universo. Specie differenti tra umanoidi, siluriani, qualche Vinvocci (o un Zocci?), un paio di Ood - che non guastano mai - ed addirittura dei Judoon, insieme a tanti altri che il Dottore non provò nemmeno ad elencare nella propria testa.

Mancavano solo tre alieni rosa con la testa a forma di mongolfiera e gli occhioni neri, intenti a suonare strumenti a fiato per allietare l’atmosfera con un’allegra musichetta… ah no! C’erano anche quelli!

«Be’, tu sì che hai capito il significato di più grande all’interno…» fu il suo commento, a voce nettamente più alta del normale per riuscire a sormontare il chiasso.

Ognuno dei presenti parlava, schiamazzava, abbaiava e produceva a modo suo versi più o meno acuti, rendendo praticamente impossibile distinguere e comprendere qualsiasi suono più distante di un millimetro dal proprio apparato uditivo.

Poté solo intuire che il Corsaro, accanto a lui, stava ridendo.

«Sì, tu sei sempre stato molto più timido» gli rispose, praticamente urlandoglielo nell’orecchio.

Mai come in quel momento, il Dottore sentiva la mancanza della quiete del proprio TARDIS, quella dove persino la presenza di un unico essere umano poteva essere considerata praticamente una folla.

Il Corsaro lo prese per un braccio, guidandolo attraverso il marasma.

Alcuni dei passeggeri, sostanzialmente quelli che non indossavano per principio di specie una tuta spaziale militare, avevano lo stesso stile piratesco del Corsaro, qualche volta con tanto di bandana e benda sull’occhio (sebbene il Dottore ne avesse adocchiato uno sollevarla per guardare meglio il fondo del proprio boccale). Un paio di pappagalli meccanici gracchiarono al loro passaggio, mentre molti avventori si sfiorarono la tesa del cappello come gesto di saluto nei confronti del Corsaro, gettando invece occhiate curiose ed insieme diffidenti verso il nuovo arrivato. Altri ancora erano troppo ubriachi, o troppo presi dall’impegno nel diventarlo, per accorgersi di qualsiasi altra cosa che non fosse la bevanda schiumosa nei loro boccali.

Il Dottore era sul punto di domandarle dove fossero diretti, ma cambiò idea immediatamente, considerando che avrebbe comunque ottenuto la risposta alla fine del percorso. Preferì sforzare le proprie corde vocali in qualcosa che lo interessava sicuramente di più:

«Ci sono… altri Signori del Tempo qui con te?». I suoi cuori battevano così forte da sembrare una mandria di cavalli al galoppo al solo pensiero. Non avrebbe saputo dire se fosse eccitazione o paura, aveva sempre fatto molta fatica a distinguerle.

Se c’era lei, potevano essercene altri.

Potevano. Perché no?

«Nah» rispose invece il Corsaro, ancora senza rendersi conto - un po’ a causa del chiasso, un po’ perché non avrebbe potuto in alcun modo immaginarlo - di quanta speranza mista a timore ci fosse in quella semplice domanda. «Andiamo, chi di noi vorrebbe mai viaggiare con un altro figlio di Gallifrey?».

Il Dottore non rispose.

«Oh. Giusto» ricordò lei, un momento più tardi con un’occhiata di scuse ed un sorriso imbarazzato. «Romanadvoratrelundar, o come diamine si chiamava lei».

Per un momento, il Dottore ebbe quasi voglia di ridere. Romanadvoratrelundar… ma lei avrebbe preferito Fred.

«Hai buona memoria» disse, il rumore di fondo stava sensibilmente calando nel frattempo che si lasciavano alle spalle il clou della folla tra i banconi, le panche e le tende colorate, perciò la sua voce risuonò vagamente più chiara su tutto il resto.

«È il cervello femminile, ha un sacco di spazio in più per la roba inutile. Dovresti provare».

Il Dottore sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Che osservazione originale! pensò, senza ovviamente darsi la pena di esprimerlo. Quella maledetta spada sonica era ancora troppo a portata di mano.

Superarono una piccola zuffa tra un bestione coperto dal pelo verde ed un umanoide barbuto di simili dimensioni, il quale dopo il primo pugno sul muso riprese la propria forma di Zygon, poi di nuovo il tizio barbuto, poi di nuovo Zygon…

«Dunque, che cosa fai di preciso, oltre a rapire TARDIS altrui?» le domandò il Dottore, comportandosi come se tutto ciò fosse perfettamente normale, esattamente come stava facendo lei.

«Oh, in realtà il tuo è stato solo una coincidenza» rispose il Corsaro, spostandosi di lato con impressionanti riflessi, giusto in tempo per evitare un boccale volante.

«È una lei» la corresse il Dottore, mentre scavalcava il corpo svenuto di un fauno spaziale.

«Prego?».

«La mia è stata una coincidenza, non il mio. È una lei».

Il Corsaro lo guardò, decisamente stranita.

«Sei davvero così solo?» gli domandò poi, senza trattenere una risata.

Un muscolo si contrasse spiacevolmente sulla mandibola del Dottore.

«Tornando a noi…» tagliò corto.

«I radar della nave hanno segnalato il… la tua… ehm… cabina! E ho deciso che sarebbe stato divertente portarla a bordo» spiegò il Corsaro, ignorando il suo tono brusco. «È un po’ che non ho a che fare con qualcuno come me».

«Già, ti capisco» commentò il Dottore, ricordando che l’ultima esperienza vissuta con un Signore del Tempo (ah già, era diventato Signora del Tempo anche lui, di recente), non era stata esattamente una passeggiata.

Ma non avrebbe dovuto essere possibile, per il TARDIS del Corsaro, riuscire a scorgere il suo, né tanto meno riuscire a pescarlo e trascinarlo a bordo. I loro TARDIS, in effetti, non avrebbero dovuto esistere nello stesso universo.

Il Dottore accantonò quei dubbi, consapevole che l’unico modo per riuscire a dare loro un senso, sarebbe stato analizzare i dati del TARDIS stesso, e ciò avrebbe dovuto attendere. Per il momento, era solo curioso di vedere ciò che il Corsaro voleva mostrargli. «Comunque, mi pare di dedurre di non essere qui come prigioniero, giusto?».

«Per il momento no. Ma le cose possono cambiare e tu hai una reputazione. Posso solo sperare che tu non faccia saltare in aria la nave…».

Il Dottore sbuffò e, per fortuna, le luci soffuse dei lampadari penzolanti dal soffitto non permisero a nessuno di notare la sfumatura rossa delle sue guance.

«È successo solo una volta, e non è stata interamente colpa mia, i Cyberman…».

«Lo so! Lo so!» lo interruppe il Corsaro, questa volta alzando la voce per sovrastare lui più che il resto della confusione, che era un brusio sempre più lontano ora che avevano imboccato un altro corridoio, decisamente meno suggestivo di una nave pirata e molto più di una normale nave spaziale. «C’ero anche io. Era mia anche quella nave, sai?».

«Mi dispiace».

Lo aveva già detto? Non credeva sarebbe stato così liberatorio. Forse perché se lo teneva dentro da troppo tempo.

«Perché continui a dirlo?» gli chiese infatti il Corsaro.

«Perché… sai come vanno le cose, poi… non sai mai se avrai altre occasioni di farlo…» si trovò a dire il Dottore, profondamente a disagio con se stesso, scoprendo solo in quel momento quel suo lato finora mascherato da una rabbia fredda contro tutti.

«Quando sei diventato così malinconico?» lo derise il Corsaro che, inconsapevolmente, stava ponendogli un sacco di domande scomode.

Il corridoio che avevano imboccato sembrava infinito, molto più simile ai corridoi del TARDIS - il suo TARDIS - di quanto fosse stato tutto il resto.

«Non mi hai ancora detto che cosa fai qui, visto che rapisci Signori del Tempo solo per hobby» disse il Dottore, svicolando abilmente la domanda a cui non aveva intenzione di dare una risposta per milleuna ragioni.

«Recupero merce nello spazio e nel tempo».

Il Dottore sbuffò, sarcastico.

«E con recupero immagino tu intenda che la rubi, giusto?». D’altra parte, nient’altro si sarebbe accompagnato tanto bene a quell’atmosfera di pirateria come un’attività di esproprio.

«Non è proprio corretto» rispose il Corsaro, sfoggiando ancora quel suo sorrisetto furbo, senza disturbarsi troppo a negare l’ovvio. «Diciamo che… prendo ciò che la gente butta via. L’ultima volta che ho controllato, non era rubare».

«Sarei curioso di sapere se i proprietari sono d’accordo con te».

Per il sollievo della sua impazienza ed iperattività, cominciava a scorgersi la fine di quel lungo corridoio in una porta blindata, dal cui oblò non si riusciva a scorgere alcunché che potesse suggerire che cosa contenesse.

«Non ho mai ricevuto lamentele» rispose il Corsaro, gemendo nello sforzo di ruotare a due mani la maniglia rotonda, che cedette infine con un cigolio ed un sibilo di fumo.

«Posso chiedere di che merce si tratta?».

Domanda ovvia, la sua, che il Corsaro aveva già provveduto ad anticipare.

«La più preziosa di tutto l’universo» rispose, proprio mentre la porta si spalancava lentamente su un probabile meccanismo automatico.

Una volta che i suoi occhi si abituarono alla potente luce artificiale improvvisa, il Dottore riuscì a scorgere l’interno.

Addossate lungo tutta la larghezze e la considerevole altezza delle pareti, c’erano centinaia di grosse taniche collegate tra loro con intricati grovigli di tubature.

All’interno di esse, gorgogliava allegramente uno strano liquido dal riflesso verdastro ma abbastanza trasparente da mostrare che cosa vi stesse fluttuando all’interno.

Quando il Dottore riuscì finalmente a vedere abbastanza da poterne distinguere le forme, spalancò gli occhi, inorridito: immersi in quella misteriosa pozione, c’erano almeno un centinaio di corpi.

Dalle dimensioni e dall’aspetto, si trattava di corpi di bambini.

   
 
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