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Autore: SagaFrirry    22/11/2015    0 recensioni
Terzo ed ultimo capitolo della trilogia. Ormai è trascorso molto tempo dall'ultima battaglia. I pianeti e gli universi si spengono, gli Dei si addormentano. Che sia la fine? E quel ragazzo con un teschio tatuato sul volto che ruolo avrà? Vecchie conoscenze, nuovi personaggi, profezie dimenticate e divinità risvegliate. L'inizio della fine!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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XXXI

 

CREPUSCOLO

 

Il drago di Mihael ringhiò, sputando fuoco, infrangendo il silenzio che si era creato fra i presenti.

“E chiudi il becco!” gli gridò contro Enrikiran “Nessuno ti ha interpellato!”.

Il figlio dell’Inverno allungò il braccio verso la bestia, lanciando un getto d’acqua quasi solida dal freddo. Metà del suo viso era coperto di ghiaccio, come gelidi erano i suoi occhi e la cresta che aveva per capelli. Colpì quel grosso animale in pieno muso e gli serrò le fauci, bloccandole in una morsa di acqua gelata. Enrikiran rise, contento del risultato. Si scosse. Si sentiva strano. Qualcosa dentro di lui gli dava proprio una strana sensazione. Il suo potere, leggermente più forte del solito, era come fuori controllo e fremeva per essere espresso. Guardò giù e vide sua sorella Marinditi-ya a terra. Trasalì perché sempre gli avevano ripetuto che, nel caso di morte di uno di loro, gli altri avrebbero dovuto affrontare pessime conseguenze. Questo perché, senza il verde della Terra, l’Aria non può essere prodotta e, senza Aria, il Fuoco non brucia e l’Acqua non può generarsi. Probabilmente non era morta la Semidea della Terra perché lui, figlio dell’Inverno, era ancora in vita e, salvo un po’ di debolezza e questa strana sensazione di malessere, non si sentiva prossimo alla fine. Cercò con lo sguardo il suo fratello minore, che non volava più. Sembrava anche lui piuttosto debole e confuso, ma nel complesso stava bene.

“Oh, Selene…perché lo hai fatto?” gemette Rikarathör, senza ricevere risposta.

La Morte aveva guardato quella ragazza, che ora non si sarebbe più rialzata.

“L’hai uccisa? L’hai uccisa per davvero?” protestò il figlio del Sole.

Voleva continuare il suo discorso, ma cominciò ad avvertire uno strano formicolio lungo tutto il corpo. La magia, elettrica e calda, lo stava solleticando senza controllo e la cosa lo allarmò non poco. Dietro di lui, Nesidey, grande stella azzurra al centro del sistema dei Pianeti rimasti in vita, cominciò a pulsare ed ingrandirsi. Stessa cosa stava succedendo al nuovo Sole, il cui colore di pelle mutò divenendo rosso acceso. Si ingrandì a dismisura, un gigante rosso nel cielo, e fu avvolto da enormi fiamme di color rubino.

“Così non vale!” protestò Mihael, sentendosi di colpo piccino, piccino.

“Com’è possibile?” esclamò Kavahel, alzando gli occhi “Non esiste nemmeno la Dea della Guerra, non capisco perché stiamo qui a litigare! Non dovrebbe essere possibile!”.

Poi si voltò verso il Principe dei Demoni e vide che un simbolo gli era apparso sulla fronte. Lo guardò con più attenzione e spalancò gli occhi: Mihael era divenuto Dio della Guerra! Ed ora questa sensazione che provava, che da tanto non percepiva, che cos’era? Paura! Notò di non essere l’unico ad avvertire un sentimento simile dentro di sé…la Dea della Paura era fra loro, ad occhi spalancati e braccia incrociate.

“Hei, tu! Torna a diventare piccolo! Come posso sconfiggerti se sei così grosso?” urlò Mihael.

“Non è colpa mia!” rispose Rikarathör “Non ho proprio idea di come ridimensionarmi!”.

Approfittando della confusione generale, la Dea del Kaos scattò, afferrando fra le mani uno di quei fiori dal lunghissimo gambo che crescevano ai piedi dell’essenza di Kasday. Lo strinse fra le mani, stando attenta alle spine e, senza pensarci troppo, lo lanciò verso il fratello. Ajedrez, colpito al petto ed inaspettatamente trapassato, rimase immobile mentre la sua veste candida si tingeva di rosso.

“Ma che razza di fiori sono?” sbottò Luciherus.

“Sono i fiori dei morti” spiegò Kasday “All’opposto degli alberi della Vita, questi portano la morte di chi ne sfiora le spine o ne viene colpito”.

“E perché hai creato fiori del genere?”.

“Non sono stata io. È stato il Pianeta stesso a volermeli donare. Il Pianeta stesso vuole che tutto questo accada e che tutto questo finisca”.

Il Dio del Destino tentò di togliere quella pianta dal suo corpo ma questa iniziò a creare radici, filamenti, che si districarono lungo tutto il suo petto e la sua pelle. Si inginocchiò, mentre i suoi occhi d’oro iniziavano a divenire vitrei e senza vita.

“Che hai fatto, Niebla?!” urlò Kavahel, correndo verso il fratello minore.

La Dea del Kaos rise, guardando Kuetzalikay con soddisfazione.

“È stato lui a chiedermelo. È stato lui a provocarmi. Mi impediva di vivere come desideravo con i suoi stupidi fiorellini scarabocchiati” si giustificò.

“Lui non ha mai avuto colpa di ciò che stava scritto su quelle rose. Semmai era colpa di uno di quei due…” rispose Kavahel, indicando i due Alti e chiudendo delicatamente le palpebre al fratellino.

L’Equilibrio restava in ginocchio, sentendo un fortissimo dolore al torace. Il Destino era morto, il Kaos aveva prevalso, lui era venuto meno al suo compito ed ora non sapeva cosa fare. Chiuse gli occhi, abbracciando Ajedrez in una sorta di ultimo saluto, mentre la Dea del Kaos si soffermò sul combattimento dei due Alti. Krì era appoggiato contro una grossa roccia sollevata da Marinditi-ya e si stringeva il braccio, gravemente ferito. Avendo legato la sua essenza a quella delle creature a lui sottoposte, avvertiva ogni loro morte e diveniva sempre più debole. Kuetzalikay non aveva creato un legame del genere e quindi combatteva con tutte le sue forze. Notando le difficoltà che provava Ansuz, Krì, Rikarathör si intromise fra i due e tentò di fermare il più giovane fra i due con tutte le energie che aveva ancora in corpo. L’Alto non gradì per niente quel tentativo di impiccio nei suoi affari e sibilò al Sole, mostrando la sua lunga lingua biforcuta.

“Credi di farmi paura solo perché sei più grosso? Sei sempre e solo un Dio, apprendista fra l’altro!”.

Detto questo aumentò le sue dimensioni, fino a divenire pari al nuovo Sole. Mihael si offese per quel gesto. Non trovava carino da parte del Sole abbandonare così un combattimento per dedicarsi ad un altro avversario!

Fece per farglielo notare, quando una voce alle sue spalle lo fermò:“Non ti diverti se non rompi le palle, vero Mikino?”.

“Lucy! Sei tu?”.

“Sono io, ma non chiamarmi Lucy!”.

“Lo sapevo che eri vivo!”.

“Non sono vivo, Mihael. Sono solo una semplice essenza”.

Detto questo, Luciherus allungò la mano verso il gemello e lo trapassò, mostrandogli di non possedere un corpo solido. Mihael rabbrividì a quel tocco e scosse la testa.

“Non è vero” mormorò “Tu non sei morto. Tu sei il mio fratellone Luciherus, colui che mi ha sempre fatto pesare quei pochi minuti di differenza che abbiamo nella nascita noi due, colui con cui ho condiviso l’infanzia, colui che è stato il mio unico e solo grande avversario…non puoi essere morto per davvero! Mi prendi in giro…”.

“Mihael…” iniziò Luciherus ma si fermò subito, notando che quel demone non era più in sé.

Il Principe e nuovo Dio della Guerra, impugnò la sua enorme spada e, dopo aver lanciato un grido agghiacciante, fece per colpire il fratello. Ovviamente la lama passò attraverso all’essenza di Luciherus. Mihael ripeté quel gesto diverse volte, prima di arrendersi all’evidenza. Sconvolto, ed incapace di controllarsi, si scagliò contro tutti coloro che gli capitarono a tiro.

 

Kuetzalikay ed il nuovo Sole combattevano, anche se era evidente la loro differenza di potere. Kevihang, nel frattempo, tentava di portare a termine gli intenti del giovane Alto, attaccando Krì. Rikarathör bruciava molto intensamente ed era furioso, anche se non sapeva bene verso chi rivolgere la sua rabbia. Certo era, però, che non poteva permettere a quel serpente piumato di continuare a far danni. Ad ogni loro passo facevano tremare ed arroventare il terreno.

“Non puoi uccidermi. Sei solo un Dio”.

“E tu sei solo un serpente. Sai cosa succede ai serpenti gettati fra le fiamme?”.

Kuetzalikay faceva attenzione a non farsi colpire o toccare, sicuro che il trucco fosse indebolire a tal punto il suo avversario da farlo desistere. Rikarathör, anche se non voleva mostrarlo, si sentiva sempre più stanco. Lanciando sfere infuocate, notò la punta delle sue mani: stavano diventando bianche, spente e fredde. Così come la punta dei suoi piedi e parte del viso. Il suo fuoco si faceva sempre meno intenso mentre le sue dimensioni stavano tornado lentamente a ridursi. Sicuro di essere ormai prossimo alla fine, fu aiutato dal provvidenziale intervento della Dea della Luna. Con il suo arco d’argento, scagliò una freccia all’occhio dell’Alto, che urlò e si distrasse. Il nuovo Sole approfittò di quella distrazione per sferrare l’attacco finale. Avvolse il suo avversario fra le fiamme e lasciò che queste lo consumassero, fra le grida atroci dell’attaccato. Rikarathör, poi, si concentrò su Mihael, che stava attaccando Loreatehenzi, che tentava di difendere Enrikiran, caduto a terra ed ormai debolissimo a causa dell’enorme quantità di calore emanato dal fratello maggiore e da Nesidey. Il demone, felice del ritorno del suo precedente avversario, ignorò i due Semidèi, che ormai erano senza forze, per dedicarsi di nuovo a Rikarathör. Non notò che questi era divenuto tutto bianco e continuava a stringersi. Anche Nesidey pareva stringersi ed il cielo iniziò a farsi sempre meno luminoso, l’aria più fredda. Rikarathör sapeva di essere debole, ma non si scansò quando il suo avversario partì alla carica verso di lui. Lo guardò negli occhi mentre, con furia omicida, Mihael volava deciso, puntando la propria spada verso il cuore del suo avversario. A pochi centimetri da lui, però, cambiò espressione. Rahahel, una volta sconfitto Asmodeo, era sceso in picchiata verso il demone ed ora lo aveva colpito, duramente, alla schiena.

Mihael virò e Rahahel lo spinse con il viso contro una roccia.

“Ora ho capito qual è il mio ruolo” sussurrò Rahahel, trapassando con la sua mano incorporea il petto del demone e stringendone il cuore “Ora ho capito…io sono ancora un guaritore. Posso guarire…posso guarirti, amico mio. Posso guarirti…da te stesso!”.

Strinse con forza il muscolo cardiaco del demone e boccheggiò qualche istante, prima di cadere in terra senza più vita. Rikarathör guardò quello strano vampiro dagli occhi rossi e gli sorrise, ansimando per la fatica.

“Niente di personale” affermò Rahahel “…non volevo che uccidesse il Sole. A quanto pare, ne resta uno solo…”.

“Non so ancora per quanto…” sospirò Rikarathör, guardandosi le mani che iniziavano a tingersi di nero, come nero stava divenendo il cielo e Nesidey.

 

Mihael, prima di morire, aveva lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue. Kavahel guardava incredulo il corpo della sorella Kaos, decapitata dal Principe. Aveva ucciso molte divinità presenti, angeli, mortali e demoni accorsi sul posto per vedere cosa stesse succedendo. Nessuno era riuscito a fermare la sua follia e molti erano caduti per sua mano.

“Che facciamo adesso?” si chiese Rikarathör, rivolgendosi a se stesso più che ad una persona specifica fra le poche rimaste.

“Innanzitutto ti proibisco di morire” gli ordinò Kevihang.

“Eh?!” si stupì il nuovo Sole.

 

Kevihang, non avendo mai dato ascolto ai consigli di nessuno, né tanto meno aver mai avuto paura di superare i suoi limiti, iniziava a pentirsi delle sue scelte. A causa dell’eccessiva quantità di magia che aveva usato, e della potenza dei suoi avversari, il suo corpo stava cedendo. Debole sempre di più, avvertì la magia lasciarlo, facendogli provare un fortissimo dolore. Ogni colpo subito dagli altri non si curò più grazie alla sua forza, e tutte le torture subite nella prigione del Kaos influirono pesantemente sulla sua salute fisica e mentale. Si strinse la testa, cercando di resistere a tutto quel dolore improvviso che lo stava avvolgendo in ogni sua cellula. Solo dopo parecchi minuti il suo corpo cedette definitivamente. Cadde in terra, senza far rumore, e anche lui chiuse gli occhi per sempre. Kavahel andò verso Krì, piuttosto preoccupato.

“Signor Ansuz…” lo chiamò.

L’Alto era steso anche lui a terra e guardava il cielo, sempre più nero.

“Signor Ansuz…state bene? Che sta succedendo? Che dobbiamo fare?”.

“Niente, ragazzo. Il tuo momento è vicino…”.

“Quale momento?”.

“Quello per il quale sei nato: far ripartire gli Universi, una volta che questi si saranno distrutti”.

“Siamo giunti davvero alla fine? Ma io non so cosa devo fare…”.

“Devi imparare a vedere”.

“Vedere cosa?”.

“Avvicinati…”.

Kavahel obbedì e Krì gli prese il volto fra le mani.

“Fidati di me, figlio della Letteratura e dell’Equilibrio. Chiudi gli occhi, rilassati…”.

L’Equilibrio, non vedendo alternative, chiuse gli occhi e li tenne chiusi, anche quando una fitta dolorosissima attraversò quello sinistro.

“Devi imparare a vedere” ripeté Krì.

Kavahel riaprì le palpebre. Ora solo il suo occhio destro vedeva come era abituato a vedere ma, in cambio della vista dell’occhio sinistro, ora possedeva un’assoluta consapevolezza di quale fosse il suo futuro ed inoltre riusciva a scorgere chiaramente Kasday e Luciherus, rimasti sospesi nell’aria, liberi da catene e controllati dalla Morte. L’Alto, soddisfatto nel constatare che l’Equilibrio aveva dissipato ogni suo timore nell’animo e nel cuore, sorrise e si rilassò. Kavahel lo guardò e rispose al suo sorriso, alzandosi in piedi. Con un battito delle sue ali blu, aiutò l’essenza di quella creatura a staccarsi dal suo involucro a cui era rimasta legata per Ere e l’Alto Ansuz si spense.

 Anche Nesidey era quasi del tutto spenta. Era nera e buia nell’immenso cielo dello stesso colore. La Luna tentava di riflettere quella scarsissima luce come poteva. Selene e Rikarathör erano stesi, l’uno accanto all’altro, abbracciati. Il figlio del Sole era quasi del tutto nero e respirava a fatica, con gli occhi ancora rossi come il fuoco, mentre la Dea della Luna non brillava più.

“Sapevi che sarebbe successo?” le domandò lui.

“Sapevo che, se tu ti fossi spento, io avrei fatto lo stesso”.

“Allora perché…”.

“Non volevo perderti. Non volevo condividerti. Nessuno di noi due voleva cambiare…”.

“E così moriremo assieme. Era questo ciò che desideravi?”.

“È questo ciò che desidero. Guardati attorno…ormai è tutto finito e non avrei desiderato nulla di più che vivere questo momento con te, se è proprio deciso che io lo viva”.

“Mi dispiace che tu abbia sofferto nell’avermi visto con la mia sorellina, mi dispiace davvero”.

“E a me dispiace aver reagito in quel modo così sconsiderato ed esagerato…”.

“Non pensiamo a questo…quanto è vuoto il cielo senza di te…”.

“Ma io sono qui, solo per te, e non più per il cielo, amore mio!”.

“È la prima volta che mi chiami così…”.

“Lo so. Perché io capisco quello che provo per qualcuno, o qualcosa, solo quando sono vicino a perderlo per sempre. Scusa…”.

Si abbracciarono e chiusero gli occhi, dopo un ultimo bacio, spegnendosi lentamente per sempre, mentre dai loro occhi scesero calde lacrime di fuoco ed argento.

Urihel, Dio del Cielo, appena avvenne questo, cadde. Svenne per non risvegliarsi più, mentre tutt’attorno a lui cadevano le sferette rappresentanti i Pianeti e le stelle. Il Dio del Tempo smise di rimanere avvolto nel suo torpore e cessò di respirare, sempre tenendo per mano l’adorata moglie.

Tutte le divinità, una dopo l’altra, si stavano accasciando al suolo. Solo Kavahel rimaneva immobile, in piedi in mezzo a loro, guardando Kasday.

Luciherus, ora che tutti gli spiriti dei morti iniziavano a comparire attorno a lui, cercava con insistenza la figura della madre Sophia per salutarla un’ultima volta. Rahahel, il Kaos, il Destino, Kevihang, gli Alti, la Morte stessa…stavano tutti sparendo in un mucchietto di lucette e niente più.

“Sogni mai realizzati o confessati, che restano come schizzi abbozzati fra le pagine della nostra anima” mormorò Kavahel, rivolto a Kasday che si stava avvicinando.

“Ti senti pronto?”.

“Se sono in grado di vedervi, voi tutti spiriti morti, vuol dire che siamo giunti per davvero alla fine, madre mia e Signora dell’Universo”.

“Non sono tua madre. Sono colui, colei, che ti ha creato, assieme a Vereheveil” rispose Kasday, prendendo l’aspetto con cui era abituato a vederlo Kavahel, con i lunghissimi capelli neri e gli occhi azzurri nel suo corpo androgino ed aggraziato.

“Sono felice che tu abbia avuto Luciherus accanto per tutto questo tempo…”.

“Lui ha imparato a vedere al di là delle cose, figlio mio. Essendo lui un dannato ed avendo un corpo molto diverso da quello degli altri, ha imparato a guardare altro, apprezzando anche il mio corpo da Alto, così inquietante e spaventoso”.

“Cosa che papà Vereheveil non è mai riuscito a fare…lo so…”.

“Non è colpa sua, in fondo…”.

“Credi che io sia in grado di fare ciò che è stato predetto?”.

“Certamente. Come erano state predette molte altre cose che poi, volenti o nolenti, sono avvenute”.

“Ma se io vedo te…vuol dire che parte di me è già nel regno dei morti?”.

“Certo. Perché tu sei tutto e niente. Un po’ vivo, un po’ morto, un po’ reale ed un po’ no. Sei un poco di tutto ed un insieme di niente…sei Kavahel, il Signore del Nuovo Inizio”.

Mentre parlavano, Luciherus era abbracciato a sua madre, che amava ancora e che non era riuscito a dimenticare, mentre questa cantava un’antica canzone della sua ormai lontanissima infanzia.

“Mi ami almeno un po’, Sophia?” le domandò Luciherus.

“Come una madre ama un figlio, piccolo mio, e sai bene che non c’è amore più grande. Ma c’è una persona che prova un amore diverso, non so se altrettanto grande, per te, ed è giusto che tu vada da lei adesso perché non manca molto tempo”.

Le essenze si stavano dissolvendo in migliaia di scintille di luce, spargendosi per il cielo. Luciherus si girò verso Kasday ed allungò le braccia verso di lei, chiamandola. La raggiunse, mentre tornava all’aspetto gradito all’antico Dio della Forza e del Coraggio, e la abbracciò.

“Cosa accadrà adesso, amore mio?” le disse, mentre lei si scioglieva da quell’abbraccio ed iniziava a danzare, invitando Kavahel a fare lo stesso.

Era una danza complessa ma che i due conoscevano molto bene. Era un ballo di distruzione, con movimenti contrari a quello di creazione. I Pianeti e gli Universi iniziarono a mutare seguendo i loro movimenti, mentre Luciherus provava un’impareggiabile invidia e gelosia. Afferrò saldamente Kasday fra le sua braccia, impedendole di continuare a ballare. Lei non oppose resistenza, ormai ciò che doveva fare l’aveva fatto, e si lasciò abbracciare.

“Cosa ne sarà di noi, adesso?” mormorò di nuovo lui.

“Quel che sarà, sarà…”.

“Promettimi che ci rivedremo…”.

“Questo è certo. Ci rivedremo ancora, nel nuovo Universo. Ed io ti amerò, come ti amo ora”.

“Anch’io…non potrò mai dimenticarti e appena ti rivedrò lo saprò”.

Si baciarono, mentre entrambi lentamente svanivano in mille scintille di luce. Kasday si girò verso Kavahel, alcuni attimi prima di dissolversi del tutto, e lo sfiorò con le mani. L’Equilibrio, piuttosto stanco e confuso, avvertì un brivido attraversargli la schiena e svenne, avvolto dal buio e dal nulla.

   
 
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