Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
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Autore: _paleface_    26/11/2015    2 recensioni
Era come se tutti volessero sbarazzarsi di me. Avevo nove anni.
Avevamo poco, ma io e lui ci bastavamo. Avevo diciassette anni.
Ero arrabbiata, avevamo litigato e lui era morto. Avevo ventitre anni.
Se per tutti la tristezza e la disperazione non possono altro che essere seguite da felicità e gioia, io non facevo parte del "tutti".
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Sheeran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Perché mi sento come se stesse per accadere qualcosa di terribile? Qualcosa che potrebbe distruggermi, e allo stesso tempo, aprirmi la strada per una nuova vita? 

Continuavo ad avere quella brutta sensazione che ti cresce nello stomaco e ti attraversa tutto il corpo, esternandoti dal mondo che ti circonda. 

Appena tornata a casa dal lavoro, Ed non era in casa e aveva lasciato un piccolo biglietto sul tavolo:

Sono fuori, non aspettarmi sveglia. 

Ed.

Perché avrei dovuto aspettarlo sveglio? Voglio dire, non stiamo insieme, può fare quello che vuole, eppure, mi sentivo come se avessi voglia di vomitare, e continuarlo a fare fino a  quando il mio stomaco non avesse più nulla al suo interno. Vuoto. Come quell'enorme spazio nel mio petto. Ma la verità, era che avevo scelto io tutta quella situazione. Avevo allontanato Ed, avevo fatto in modo che non pensasse a me in quel senso e che credesse di non essere quello giusto per me. Lui però, era perfetto per me: mi faceva ridere quando ne avevo bisogno, mi faceva dimenticare cose che non avevo né la forza, né la voglia di ricordare, trasformava i miei momenti di noia, in serata demenziali passate a tirarci addosso dolciumi provoca carie e cuscinate senza senso, per poi trasformare l'appartamento in un porcile fatto di piume. Lui mi faceva sentire così bene che, forse, non riuscivo ad accettare che fosse tutto vero, che un uomo, fosse realmente in grado di rendermi felice. Perché sì, Edward Christopher Sheeran, mi rendeva felice. E allora, qual era il problema? Non riuscivo a dare una figura concreta a quell'ostacolo mentale talmente alto e spinoso, che mi impediva di rendere Ed partecipe della gioia che provavo a stare insieme a lui. 

Non doveva specificare che non avrei dovuto aspettarlo sveglia, non ce n'era bisogno, non l'avrei fatto comunque. Già, non l'avrei fatto, ma erano le una di notte, e io ero seduta sul divano con una tazza di tè in mano, ad aspettare il suo ritorno. 

Sentii la serratura della porta d'ingresso scattare, e così feci io, alzandomi velocemente dal divano come una molla. Ed entrò nel salotto, ma non si accorse della mia presenza. Aveva i capelli più scompigliati del solito, il colletto della camicia era sbottonato fino a rivelare la pelle del suo petto, gli orli erano fuori dai pantaloni e in una mano teneva un paio di scarpe e la felpa. Quando alzò lo sguardo, finalmente notò la mia presenza. Spalancò gli occhi dalla sorpresa e si schiarì nervoso la gola. 

"Ti avevo detto di non aspettarmi sveglia." Disse, la voce senza nessuna emozione. 

"Non lo stavo facendo, infatti." Mentì. "Stavo bevendo una tazza di tè." Indicai la bevanda ormai fredda, poggiata sul tavolino. 

"Ok, beh... Buonanotte." Borbottò, voltandosi. 

"Aspetta."

"Mmh?" Si fermò sulla soglia del salotto, senza girarsi a guardarmi. 

"Dove sei stato?" Chiesi, cercando di mantenere un tono di voce indifferente. 

"Non sono affari tuoi." Rimasi a bocca aperta da tanta freddezza nei miei confronti. 

"Come scusa?" Boccheggiai.

"Hai sentito bene: non sono affari tuoi." Ripetè, più duramente. Cosa avrei potuto rispondere ad un'affermazione del genere? Non avevo mai avuto a che fare con un Edward scontroso, almeno, non così. Lui è il dolce irlandese dai capelli rossi che ama i gatti e canta come un angelo, lui non ferisce le persone. E allora, perché mi sentivo come se avesse appena ferito i miei sentimenti?

Perché lo ha appena fatto, tesoro.

"Finché viviamo sotto lo stesso tetto, lo sono." Cercai di arrampicarmi sugli specchi, non sapevo perché ero così bisognosa di capire dove fosse stato fino a quell'ora, ma non riuscii a chiudere la bocca e a tornare in camera. Sapevo che non erano affari miei, sapevo che continuare quella conversazione, non avrebbe portato a nulla di buono, ma io ero testarda, raramente lasciavo perdere."Sembri appena uscito da una scopata da una notte." Indicai il suo aspetto, tenendo una smorfia di disgusto sul volto. 

"Chi ti dice che sia solo una scopata da una notte? Cosa ti fa pensare che non me la scopi tutti i giorni quando non ti ho tra i piedi, eh?" Ghignò. Il mento cominciò a tremarmi, ma non ne avevo ragione. Lui poteva fare tutto quello che voleva, giusto? Giusto?

"Mi fai schifo." Sputai, cercando di trattenere le lacrime. 

"Oh, sì, è vero. Io ti faccio così schifo da non meritarmi neanche un'occasione per diventare più di un amico per te, non è così? Ma sì, sono sicuro che ti scopi tanti altri ragazzi e fai la finta santarellina del cazzo con me, solo perché non mi trovi alla tua altezza. Ci ho preso?" Un sorriso privo di divertimento, gli copriva il viso angelico. Questo ragazzo però, non era il mio angelo. Sentii come se qualcuno mi avesse trafitto il cuore con la lama affilata di un coltello. Tutte le convinzioni che pensavo di avere sul ragazzo che mi trovavo davanti, vennero spazzate via con una folata di vento. Mi ero fidata lui, gli stavo, pian piano, aprendo il mio cuore, ma a quanto pare, avrebbe preferito che gli aprissi le mie gambe. 

"Come puoi dirmi questo?" Singhiozzai. Un lampo di consapevolezza gli attraversò gli occhi e sembrò aver capito cosa aveva realmente appena detto. 

"Ania io..."

"Vaffanculo!" Gli urlai contro mentre scappavo da quell'appartamento, da quelle quattro mura che, per qualche mese, erano diventate la mia sicurezza. Uscii di corsa dall'edificio e corsi, corsi, corsi. Corsi senza avere una meta, senza soldi, senza una certezza. 

Punto e a capo, Ania: punto e a capo. 

   
 
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