Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Mai Valentine    29/11/2015    2 recensioni
Se Merida principessa ed erede di DunBronch si inoltrasse nella fitta foresta e seguendo il suo istinto trovasse un anello di ghiaccio? E se Elsa regina di Arendelle sognasse la coraggiosa e ribelle Merida e un regno devastato dalla guerra? Un viaggio oltre il tempo, un legame oltre ogni confine, una regina e una principessa così diverse unite da uno strano scherzo del destino.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio, Olaf
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Arendelle
 
         Il mio nome è Ingrid di Arendelle sovrana di un piccolo regno a stento disegnato sulla cartina geografica, dimenticato da tutti, dimenticato da Dio. Arendelle si trova in Norvegia e la Norvegia si trova nell'Europa Settentrionale, siamo conosciuti per lo strano fenomeno della Notte Polare* , sei mesi di totale buio in inverno. I miei cittadini spesso soffrono per tale particolare clima, immaginatevi ogni giorno per sei mesi il sole calare a mezzodì, bello e  triste non trovate? E ho visto nella mia vita più uomini mangiare carote* che non donne incinte... Misteri che non troveranno mai risposta.
         Tornando a me, ho 72 anni, tre figli, molteplici nipoti e molti ricordi da condividere. Ho deciso di riportare le mie memorie su carta affinché la mia storia non si perda nel tempo, come spesso accade,  sopratutto non voglio dimenticarmi di lui, di Meraud, l'uomo che ha cambiato la mia vita.
         Sono nata in una fredda notte di Dicembre. Il vento ululava così forte da far tremare la luce delle candele e il grande lampadario della stanza da letto. I tuoni rombavano spaventosi, facendo sobbalzare le povere cameriere che correvano da un lato all'altro del castello, indaffarate. Fu un parto travagliato, sembrava che non si vedesse mai la fine e invece, finalmente decisi di nascere. Non piansi e il mio corpo era freddo, gelido come la neve, tutti pensarono che fossi morta, ma mia madre debilitata e stanca insistette per  tenermi tra le braccia.
         «Oh, come è bella e guardate ha un magnifico sorriso» disse accarezzandomi una guancia. I presenti pensarono che fosse impazzita, ma quando videro che sorridevo e stringevo il pollice di mia madre, beh furono costretti a ricredersi. Venni strappata dalle braccia della sovrana e data alla balia affinché si prendessero cura di me, purtroppo durante la notte mia madre morì e quella stessa notte il castello e Arendelle conobbe la gioia della vita e la tristezza della morte, mentre io ignara di tutto,  ancora in fasce mostrai straordinarie doti:  al mio primo vagito feci  calare dal soffitto soffice neve bianca. La cameriera spaventata corse da mio padre che distrutto per la morte della sua sposa credette pazza la serva e la fece rinchiudere nelle secrete del castello e affinché nessun imbecille inventasse cose strane decise lui stesso di prendersi cura di me, ma quando anche lui constatò le mie capacità rise e pianse al tempo stesso.
         Nei giorni che seguirono chiamò i miglior medici del regno, eppure nessuno gli seppe spiegare il perché del mio dono, finché un giorno una strana creatura non venne a corte, era un Troll. Gran Papà che predisse al re di Arendelle una profezia:      
         "Da lontano un giorno arriverà un uomo dalla chioma infuocata e dall'anello di ghiaccio. Sul braccio il tatuaggio dell'Orso, potere, forza e amore, Berserk di vostra figlia. Il pericolo incombe. Un altro uomo, dello stesso rango e nome tenterà di conquistare Arendelle e il suo cuore aiutato dalla regina delle Ombre. Solo il drago risvegliato potrà fermare la caduta" e indicò me. 
         E quando mio padre chiese chi fosse il guerriero e chi il nemico il Troll non seppe rispondere, le rune non  riuscivano a vedere così lontano.
         Il re crebbe con la paura di una guerra e che qualche strana creature mi portasse via, spaventato, furioso e colmo di dolore decise di limitare i miei contatti con il mondo. Crebbi nel Castello e ogni giorno vedevo le stesse facce e le stesse persone, leggevo molti libri e molte storie, io diventavo splendida e come il mio potere, mentre mio padre invecchiava giorno dopo giorno. Il re morì pochi mesi prima che io raggiungessi la maggiore età e da quel giorno iniziarono i miei guai.
 
 
Elsa lesse in fretta le pagine che riguardavano le trattazioni commerciali, il periodo degli impegni e l'alleanza con il regno delle Isole del Sud e di Waselton, fino a quando non giunse a ciò che più le premeva: l'avverarsi della profezia.
 
         Era una calda mattina estiva, il sole splendeva su Arendelle e l'inverno rigido e freddo era solo un brutto ricordo e fu proprio quel giorno che la mia vita si intrecciò con quella di Meraud.
         I bambini si riversavano nelle strade a rincorrersi tra di loro, mentre uomini e donne lavoravano con più gioia e felicità. Osservavo tutto questo in groppa al mio destriero, Umber, spesso uscivo di nascosto senza farmi notare da nessuno, per osservare e conoscere il mio popolo senza essere mai riconosciuta, era davvero bello. Allegra tornavo dalla mia passeggiata mattutina, era appena entrata nelle scuderie e stavo guidando Umber nel suo boxer quando vidi uscire da un cumulo di paglia un ragazzo dalla chioma rossa e riccia come il fuoco, dalla barba folta e dalle braccia possenti, sputare fieno. Io mi ritrassi in fretta, per lo spavento. Lo straniero rendendosi conto di non trovarsi più nella sua dimora e credendo che io volessi urlare mi afferrò per le braccia spingendomi contro la parete di legno e mi tappò la bocca.
         «Ti prego non urlare, la mia storia ha dell'assurdo, ma se mi ascolterai non te ne pentirai, quindi per favore non urlare, né strepitare o altro» era disperato. Io avevo udito i passi del guardiano dei cavalli, per liberarmi dalla sua presa molesta lo morsi sulla mano. Il mastro con i garzoni entrò in quel momento e nel vedere il giovane dalle spalle larghe a pochi passi da me afferrò il forcone e lo puntò alla gola dello straniero. Il pomo d'Adamo del  ragazzo si alzò e abbassò con un singulto al tocco freddo della punta del forcone.
         «Fermo!» tuonai. Il mastro e il guerriero mi guardarono. «Lui è il nuovo stalliere di Umber» e indicai lo straniero. Il buon allevatore di cavalli mi fissò come se fossi impazzita.
         «Maestà, io non credo sia il caso di...»
         «Io sono la regina, io decido. Tu, ragazzo, prendi Umber è ora di fargli fare la sua passeggiata mattutina». Il giovane dai capelli rossi annuì e in fretta, più in fretta che poté afferrò le redini del mio destriero uscendo dalla stalla. E quando fummo abbastanza lontani mi fermai.
         «La prossima volta che mi tocchi con quelle tue manacce luride te le stacco e non solo quelle e ho il potere di farlo, sono la regina di questo regno... Tu piuttosto chi sei?»
         Il ragazzo mi fissò, poi mi porse un rozzo inchino. «Io sono Meraud, il Berserk e sono qui per aiutarti, una strega mi ha mandato» disse come se fosse la cosa più normale del mondo.  Gli sorrisi.
         «Staremo a vedere, tra poco scopriremo chi sei tu e chi è lui». Dal ponte di pietra sul quale ci eravamo fermati potevamo vedere il fiordo e da lontano vele rosse con le stemma dell'Uomo Bruciato avanzavano verso Arendelle, verso me. Sul ponte della nave una donna eterea, vestita di nero ci fissava.
 
         Bussarono alla porta con veemenza. Elsa alzò lo sguardo dal libro chiudendolo in fretta, nascondendolo in uno dei cassetti.
         «Avanti» disse con un filo di voce stendendo la schiena sulla poltrona. La porta si aprì piano, la luce flebile delle candele illuminò il volto e la figura della principessa Anna che entrava nello studio della regina in punta di piedi. Metà del pavimento era stato coperto da una fitta neve bianca. Elsa nel vedere sua sorella rilassò i muscoli e un lieve sorriso apparve sulle labbra.
         «Cosa posso fare per te, cara sorella?» domandò andandole in contro. Anna sollevò gli occhi fino al soffitto e notò che il lampadario era coperto da una patina di ghiaccio lucido, strinse le braccia intorno al corpo cercando calore.
         «Scusami» bisbigliò la sovrana arrestandosi a pochi passi dalla principessa.
         «Oh non importa sono io che ho sempre freddo...» disse cercando di sorridere. Elsa apprezzò la bugia.
         «Allora, posso fare qualcosa per te, Anna?»
         «Elsa sono ore che sai chiusa in questo ufficio, è da questa mattina che ti sei rintanata, si può sapere cosa accade? Hai passato un'intera notte fuori da qui, con una ragazza di cui non sappiamo nulla!»
         «E tu da sola con Kristoff!» ribatté Elsa risentita.
         «Non è la stessa cosa... É diverso» arrossì Anna.
         «É severamente vietato avere relazioni sessuali prima del matrimonio, è una delle leggi del regno».
         «Così come è severamente vietato provare attrazione verso il proprio sesso» puntò le braccia al petto, furente. La sovrana si irrigidì e del ghiaccio si espanse intorno ai piedi della monarca. Anna pentita si lanciò tra le braccia della sorella, baciandola sulla fronte.
         «Sono solo molto preoccupata per te,  ti stai chiudendo di nuovo in te stessa, ti prego non escludermi più dalla tua vita» l'abbracciò con forza sentendo le lacrime rigarle il volto; non voleva perdere un'altra volta sua sorella. La regina si morse le labbra, sentendosi in colpa per aver fatto versare altre lacrime alla piccola Anna.
         «Va bene, non voglio farti piangere ancora. C'è qualcosa che vuoi fare?» domandò asciugando con il pollice le lacrime sulle guancie. Il viso della principessa si illuminò tutto a un tratto.
         «Restare sveglie tutta la notte trasformando la sala da ballo in una pista di pattinaggio!» disse saltando sulla punta dei piedi contenta. Elsa roteò gli occhi al cielo, ma fu costretta ad accettare la proposta, folle, della sua adorata sorella. Anna saltò ancora una volta tra le braccia della regina; Elsa poggiò un piede in fallo e scivolarono in terra nell'attimo in cui la porta venne aperta da Kai accompagnato dal Laird Ramsay Sutherland. Il consigliere tossì richiamando l'attenzione su di se.
         «Maestà il principe chiede udienza».
         Ramsay con passi veloci si avvicinò alle due donne porgendo le mani ad entrambe, sorrideva affabile, nella sua più perfetta cortesia.
         «Maestà, principessa permettetemi di porgere il mio aiuto». Anna afferrò la mano dell'uomo, mentre Elsa percepì il suo potere aumentare. Celarlo, domarlo, mai mostrarlo ripeté come una nenia e con altrettanta cortesia accettando l'aiuto. Un'aria gelida e tesa circondava la stanza, gli occhi di Anna vagavano sul principe  e sulla regina, decise di allontanarsi in punta di piedi molto velocemente, non avrebbe voluto lasciare sola Elsa con quell'uomo, eppure sapeva che doveva farlo, qualunque cosa fosse accaduta era sicura che sua sorella ne avrebbe parlato con lei. Uscì chiudendo la porta.
         Elsa osservava il Laird, era sicuro di sè, come sempre, eppure c'era qualcosa nelle rughe del volto che le davano impressione che fosse preoccupato, turbato, quasi dispiaciuto.
         «Cosa posso fare per lei, mio Lord?» domandò mantenendo una posizione d'attacco e scrutatrice.
         «Una seconda possibilità».
        
***
 
         Anna camminava tra i corridoi del castello, silenziosa. Aveva sul viso un espressione corrucciata e tanto era presa dai suoi pensieri che non vide Kristoff giungere verso di lei a braccia spalancante. L'Ice Master non appena vide la sua donna con il capo chino, borbottare a bassa voce frasi sconnesse tra loro comprese nell'immediato che qualcosa turbava l'animo della principessa. Piano, piano l'avvolse per i fianchi, stingendola in un abbraccio.
         «Cosa preoccupa la mia distratta principessa?»
         «Non sono distratta!» sbottò Anna riconoscendo la voce del ragazzo.
         «Una monete per i tuoi pensieri».
         La principessa sospirò e prendendo la mano dell'Ice Master lo condusse fino ai giardini reali, lasciando per quel giorno che le cameriere e le servitù si occupassero dei preparati per la festa. Il vento soffiava tra le fronde degli alberi emettendo lunghi sibili. Animali notturni erano usciti dalle loro tane e dalla Foresta si poteva udire l'ululato dei lupi affamati, lontani e temibili allo stesso tempo; non era raro che i cacciatori spinti dalla fame fosse giunti nelle città vicine, anche ad Arendelle. Sulla cima di un albero vicino si era posato una civetta dal bianco piumaggio, bella ed elegante, nel becco stringeva la carne di uno sprovveduto scoiattolo. Un brivido freddo le percorse lungo la schiena, in fretta trascinò Kristoff nelle scuderie, dove riposava Sven. Anna si tolse gli stivali gettandosi con la schiena sul cumulo di paglia, colpendo in pieno il povero Olaf.
         «Ahi, ahi, il mio nasino!» si lamentò il pupazzo.
         «Oh, scusami! Spero di non averti fatto male» si alzò in fretta la principessa. Il pupazzo di neve si aggiustò il naso riportandolo sulla faccia e non oltre la testa. Kristoff era raccapricciato e divertito da quella scenetta.
         «Visto già fatto, nah io non sento dolore, non ho le ossa e forse neanche il cervello, come Kristoff» rise la buffa creatura, Sven emise un  lungo bramito appoggiando Olaf. L'Ice Master minacciò il suo amico animale con il pugno alzato, la renna gli girò il muso tornando a dormire.
         «Mi ha girato la faccia» disse incredulo il ragazzo.
         «Te lo sei meritato» ribatté Anna.
         «Già, ha ragione la bellissima principessa, puzzolente re delle renne» rispose Olaf saltandogli intorno. Kristoff stava per perdere la pazienza, tra renne, pupazzi di neve e magia di ogni giorno, era esausto, aveva bisogno di più carote. Anna comprese i desideri del giovane uomo e gattonando fino a Olaf lo fermò poggiando le mani sulle minute spalle del pupazzo.
         «Senti Elsa mi ha detto che devi aiutare i piccoli fratelli di Merida per tenerli compagnia, è una missione di massima urgenza» disse seria. Olaf stupito e felice corse al di fuori delle scuderie urlando: «Ho una missione per conto di Elsa! Il prepara feste è qui!»
         Quando Olaf fu abbastanza lontano Kristoff prese posto accanto alla principessa e cingendogli  le spalle con un braccio l'attirò a se.
         «Gli hai mentito»
         «Volevo stare un po' sola con te» disse aggiustando le pieghe della gonna.
         «Giusto, volevi parlarmi di cose importanti» disse accarezzandosi il mento, attento a non volersi perdere una parola. Anna gli sorrise, dolcemente scostò il braccio e si alzò sedendosi a cavalcioni sul basso ventre del ragazzo. Kristoff rosso in volto aprì e chiuse la bocca,  smise perfino di respirare quando vide Anna spogliarsi del mantello, slacciando il corpetto.
         «Non volevi parlarmi di cose urgenti?» domandò l'Ice Master sempre più nervoso.
         «Parleremo dopo, mio caro puzzolente re delle renne, ora voglio un po' d'amore»  disse tuffandosi tra le forti braccia di Kristoff.
         La vecchia strega spiò i due giovani e scuotendo il capo s'incamminò verso i giardini reali, doveva pensare a qualcosa di più efficace che limitarsi a chiedere aiuto alla principessa e al suo amante, era tempo di smuovere gli eventi. Avvolta da una  fitta nube procedeva sui suoi passi, nessuno  poteva vederla.
***
 
         Nei giardini reali  dove la neve copriva ogni cosa addensandosi strato su strato, dove l'ululato di lupi famelici rimbombava nelle orecchie  Merida tirò la corda dell'arco, inspirò a fondo,  la piuma della freccia le graffiò la guancia destra, e quando fu un tutt'uno con il luogo circostante: scoccò. Un breve sibilo e poi la freccia andò a conficcarsi nel cuore dell'albero sul quale era stato disegnato un cerchio rosso. Fece un mezzo sorriso, 12 frecce su 12 avevano tutte centrato il bersaglio, eppure non si sentiva ancora pienamente soddisfatta. Non le importava del freddo, dei fiocchi di neve che si incastravano tra i suoi spessi ricci, non le importava delle dita diventate violacee o del vento che soffiava tra gli alberi sferzando violento sul corpo, o delle fasce che coprivano le sue vistose ferite curate poche ore prima.  Tese l'arco, ancora una volta, inspirò nuovamente, pronta a scoccare per la tredicesima volta, sicura che nulla potesse distrarla; neanche le grida di gioia dei suoi fratelli e di Olaf, nulla tranne Elsa. E nell'attimo in cui stava per  scagliare la freccia vide la regina, bella ed elegante nel suo abito color blu artico che si confondeva tra la neve pallida, eterea e magica come una fata, scoccò troppo in fretta e la punta si andò a conficcare  poco distante dalla punta degli stivali neri e lucidi del Laird Ramsay. L'uomo abbassò e alzò lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte; non poteva credere che l'erede di DunBroch, sua antenata, fosse lì innanzi ai suoi occhi da chissà quanto tempo.    Il sangue nelle vene di Merida le si gelò all'istante. Il freddo sembrò penetrarle nelle ossa. Aveva già visto quell'uomo la notte in cui DunBroch veniva divorata dalle fiamme e quelle stesse fiamme adesso ardevano dentro di lei.  Una voce le sussurrò all'orecchio, sensuale e pericolosa. "Lui è tuo nemico, lui è Ramsay Sutherland coloro che hanno messo in ginocchio la tua famiglia, ucciso tuo padre e tua madre, ora è qui per Elsa farà lo stesso anche a lei se non lo fermerai". Merida rimase immobile, pietrificata.
         «Murtair*» sibilò a denti stretti nella sua lingua.
         Elsa volse lo sguardo sulla ragazza e sul Lord, confusa. L'aria che si respirava era tesa, più gelida del vento pungente. La regina di Arendelle rimase in silenzio. Ramsay  fece un respiro profondo, tornando in sé, mostrò il suo solito sferzante sorriso.
         «Credo che  lei abbia sbagliato persona, buona serata» disse prendendo il braccio della sovrana voltando le spalle all'arciera. Doveva contenere il suo entusiasmo e comportarsi come se nulla fosse accaduto, doveva solo attendere l'arrivo di Shane. L'anello di ghiaccio luccicava stretto intorno all'anulare. Merida non poteva lasciare andare quell'uomo impunemente. Ramsay Sutherland, nel ricordare quel nome  il dolore alla testa tornò più forte e più penetrante dei giorni precedenti. decise di fare la sua mossa.
         «Tu parli la mia lingua o altrimenti non mi avresti capita» ribatté facendo un passo avanti. Il Laird si fermò.
         «Urchaid*» pronunciò a denti stretti.
         «Non sono malvagio come dici, sono solo un principe e io non ti ho mai vista».
         «Invece si, tu e tua sorella avete distrutto il mio regno. Avete ucciso mio padre, mia madre e chissà quanti altri!» ringhiò con la rabbia che le esplodeva nel petto.
         «Da dove vieni?»
         «DunBroch».
         «Beh i fatti che tu narri sono accaduti molti, anzi secoli fa... Certo la mia famiglia ha conquistato DunBroch, ma non è morto nessuno perché la figlia maggiore ha sposato il mio antenato che portava il mio nome. Da quello che è riportato nei libri di storia, la principessa non era una donna facile, eppure anche lei venne domata e diede ai Sutherland tanti eredi» volle provocarla, sapeva che Merida avrebbe reagito, la principessa si era scoperta troppo, e se all'inizio aveva avuto un lieve dubbio, ora era sicuro che  la ragazza che aveva innanzi era la principessa Merida di DunBroch. Fu un attimo. Impetuosa come re Fergus Merida si scagliò contro Ramsay e lo colpì con un pugno in pieno viso. Il Lord cadde in terra sputando sangue. Pulendosi la bocca si alzò in piedi volgendosi verso Elsa le baciò la guancia sussurrandole all'orecchio.
         «Mi permetta di sistemare questa scocciatrice». La sovrana afferrò la manica di Ramsay ma l'uomo venne avvolto in una fitta nebbia nera e con lui Merida.
 
***
 
         Nelle prigioni sotterrane del Castello gocce d'acqua battevano a ritmo costante. Un plock. Due plock. Tre plock. Il freddo e l'umidità filtravano attraverso le spesse pareti di pietra e da una stretta finestrella posta molto in alto si poteva ammirare la luna pallida. Scarafaggi, ragni e topi erano morti per assideramento e le ossa del precedente prigioniero giacevano in terra avvolto in abiti lerci e pezzi di carne cadenti. Quelle prigioni erano il lato oscuro di Arendelle. Merida guardò il suo compagno di prigione e sorrise. Poggiò la testa alla parete, rannicchiandosi su se stessa per cercare di sconfiggere il freddo. Quello che era accaduto dopo essere stata avvolta dall'oscurità le sembrava appartenere a un ricordo lontano, aveva combattuto contro Shane, non contro Ramsay eppure quando l'ombra si era dissolta  in terra ferito e sanguinante giaceva il corpo del principe. Aveva cercato di spiegare ciò che era accaduto, ma nessuno le aveva creduto neanche Elsa... E ora era destinata a marcire in prigione, come quel cadavere abbandonato senza possibilità di poter salvare la sua famiglia.
         «Al diavolo il Drago di Ghiaccio! Questo anello e anche la regina di questo infernale posto!» Gridò lanciando contro la porta della prigione una pietra che per magia si tramutò in ghiaccio.
         «Non dovresti lanciare oggetti pericolosi» disse Elsa avanzando fino alla prigioniera. Merida si alzò in piedi mettendosi in posizione di difesa. La regina mantenne le distanze.
         «Cosa vuoi da me? Non ti basta avermi fatto imprigionare? Quell'uomo ti farà del male! È pericoloso!»
         «Non più di quanto lo possa essere tu, ma deve controllare una cosa». Con estrema velocità Elsa fu di fronte alla principessa di DunBroch, le afferrò la mano sinistra e vide l'anello, lo riconobbe al tatto: era fatto della stessa sostanza del suo ghiaccio, del suo potere. Con inaspettata violenza abbassò la  spalla della tunica di lino bianco (simbolo dei prigionieri) e vide il tatuaggio, lo stesso identico tatuaggio disegnato sulla copertina del libro che GranPapà le aveva dato: l'orso nero ringhiante. Merida allontanò la regina spingendola lontano, un po' per l'imbarazzo, un po' per le dita gelide.
         «Scusami, ma era necessario per crederti». La ragazza dai capelli rossi la guardò stupita. «Ti spiegherò tutto più tardi, ora è necessario che tu indossi  dgeli abiti diversi, non devi essere per nulla riconoscibile, dobbiamo uscire da qui e in fretta. Sono sulle tue tracce».
         Merida annuì e sebbene fosse piena di dubbi  si fidò della sovrana. Elsa  era la sua unica possibilità di salvezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
DunBroch
 
         I raggi del sole riverberavano nella stanza, sui vetri colorati delle finestre, creando ipnotici giochi di luce. La regina Elinor con lo sguardo volto alla foresta paziente lavorava a un razzo, cercava di cucire i volti dei suoi figli per non dimenticarli. Bussarono alla porta. L'ago oltrepassò la stoffa pungendole il pollice, a causa del dolore lasciò cadere ogni cosa in terra, gocce di sangue macchiarono il vestito.
         «Avanti» ordinò.
         La porta si aprì con un cigolio, poteva vedere l'ombra di due uomini armati tenerla sottosorveglianza. La cameriera porse un sorriso ai due giovani guerrieri ed entrò nella stanza. Elinor rigida sulla sedia ascoltava il rumore dei passi, tesa. La cameriera posò il vassoio  su un mobiletto di mogano scuro intarsiato. Con precisione versò il tè nella tazza dolcificandolo con un cucchiaio di miele, su un piattino più piccolo posò dei biscotti fragranti dal forte odore di cannella.   
         «Immagino siano opera di Maudie» disse tentando di spezzare quell'assurdo silenzio.
         «Questa volta no. È opera mia» rispose la serva appoggiandosi alla parete con disinvoltura. Elinor osservò con attenzione la ragazza, era bella e piacente: lunghi capelli mossi tra un biondo scuro e un rosso chiaro le scendevano sulle spalle, dagli occhi castani, grandi sorridenti.  Il corpetto che stringeva la camicia metteva in risalto i prosperosi seni, la gonna le copriva a stento le caviglie mostrando pallide e sbiadite cicatrici. "Una ladra, un'assassina o una prostituta? Chi è davvero questa donna?" Elinor posò sulle ginocchia il tè e i biscotti, prima di mangiare o bere qualsiasi cosa doveva essere prevenuta del veleno poteva esserci finito per sbaglio o peggio un filtro magico;  non avrebbe più ripetuto lo stesso errore due volte.
         «Non vuole provarli, maestà?» domandò con tono provocatorio la serva.
         «Prima voglio parlare, poi deciderò cosa farne» sollevò lo sguardo mantenendo il tono di sfida. Laire sospirò e allargando le braccia in segno di resa decise di raccontare alla sovrana la sua storia.
         «Va bene, non ho molto tempo per questo sarò breve. Sono stata già in questo castello, o meglio conosco molto bene le prigioni, ho passato alcuni giorni lì sotto... Il motivo? Ho rubato non pane, o cibo, ma oro a una stupido vecchio che sventolava le sue monete al vento. L'ho fatto perché avevo bisogno di soldi, mia madre vendeva il suo corpo a ore e io non volevo fare la sua stessa fine» prese una pausa toccandosi il marchio che portava sulla spalla. Elinor  aggrottò le sopracciglia, ricordava.
         «Quell'uomo voleva ucciderti, ma io intercessi per te, passasti dieci giorni in carcere, ma quell'uomo non soddisfatto volle marchiarti come ladra». Laire annuì. «E ora che cosa fai? E come conosci mia figlia, perché tu hai detto di conoscerla». La serva sorrise.
         «Vendo il mio corpo a ore poco lontano dal Castello in una taverna da quattro soldi, sono brava nel mio lavoro, così dicono» scherzò afferrando un biscotto e mordendolo. La sovrana sentì la gola stringersi in un nodo, come poteva quella ragazza essere così disinvolta a parlare di tali argomenti, quasi ridendo? Che si stesse prendendo gioco di lei? Cosa aveva a che fare sua figlia con una prostituta? Poi un cupo pensiero, un terribile pensiero le attraversò la mente...
         «Merida. Tu e Merida vi siete conosciute in questo modo? Mia figlia?» domandò nervosa, indecisa tra il voler sapere la verità oppure far finta.
         «No, non ci ho fatto sesso». Elinor trasse un respiro di sollievo, ma  prima che potesse chiedere perché Merida frequentasse un bordello Laire la precedette.    «Solo qualche bacio, toccate e fughe, ma viene soprtutto per bere birra e ubriacarsi con le guardie del Castello e a cantare a squarcia gola fino all'alba con me e con loro. Sa da quando Merida frequenta quel posto nessuno più osa mettermi le mani addosso senza il mio consenso e le  posso assicurare che prima accadeva spesso» disse abbassando lo sguardo.
         «E allora cosa desideri da me?»
         «Lei mi ha aiutato quando era piccola e sua figlia adesso e questo regno deve tanto alla famiglia del re Orso a partire dai ricchi, ai contadini, fino a noi prostitute. Non c'è troppa violenza, assassini o stupri, da quando i Sutherland hanno messo piede in questo posto invece tutto è diverso».
         «Arriva al dunque!» esclamò Elinor esasperata.
         «Stiamo organizzando la sua fuga e una rivolta, lo vuole il popolo, il suo popolo. Avrà mie notizie a breve» pronunciò quelle parole con tono solenne. Elinor chiuse gli occhi, il suo cuore batté più forte, una flebile luce di speranza brillava.  Una delle guardie bussò con forza. Era tempo per Laire di andare via. La serva porse un inchino e prendendo il vassoio uscì dalla stanza. E mentre la sovrana trovava conforto e consolazione in quelle parole, occhi scuri come la notte tramavano vendetta.
 
 
 
Angolo Autrice:
 
Salve a tutti, buona sera e buona domenica. Non ho scusanti per questo mese di ritardo, ma tra il Lucca Comics, lo studio e altre storie (originali) sono parecchio oberata di lavoro. Ringrazio sempre e chi ancora mi segue e mi legge. Spero che questo capitolo vi sia piaciuta e spero anche di aggiornare il prima possibile. Un abbraccio, Mai Valentine.
 
1*La notte polare è quel fenomeno che si presenta nelle nazioni nordiche dei sei mesi in Inverno di buio totale.
2*Wikipedia mi riporta che gli abitanti della Norvegia a causa sempre del fenomeno sopracitato mangiano molte carote a causa dei forti scompensi ormonali.
3*Murtair: in gaelico scozzese (secondo il vocabolario) dovrebbe significare Assassino.
4*Malvagio.
 
Ringrazio ancora tutti quanti voi per la pazienza!
   
 
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