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Autore: Inna    02/12/2015    1 recensioni
“Ti troverò dovessi smuovere l'universo intero” è il seguito di “Guarda solo me Ama solo me”.
Molte cose sono cambiate, la vita quotidiana, le persone, è mutata l’aria che si respira, il cielo e il canto degli uccelli…. Tutto…
Ryan e Strawberry sono stati divisi da un destino crudele, un destino che ha deciso di giocar con loro in modo sporco e cattivo fino a farli crollare ma…
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Ryo Shirogane/Ryan
Note: Otherverse | Avvertimenti: PWP
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Ti troverò dovessi smuovere l’universo intero 

 

Capitolo 1

 
 
 
Una luce calda e piacevole mi sta accogliendo con i suoi raggi.
Con una lentezza snervante alzo le palpebre, un movimento così semplice che a me richiede molto sforzo ed energie.
La testa fa così male che mi pare il cranio sia stato tagliato in due e lasciato così in modo che io ne possa soffrire ininterrottamente.
Guardo quello che mi circonda rimanendo un po’ interdetta.
È una stanza completamente estranea, non mi pare di esserci mai stata qui, non riconosco niente di tutto ciò che ne contiene.
La finestra è ornata da questa tenda color panna dalla quale i raggi solari filtrano illuminando la stanza.
Vicino al letto di una piazza nel quale sono sdraiata, c’è un comodino in fibra color panna e i cassetti azzurri, una scrivania elaborato con la stessa tecnica del comodino e dell’armadio a quattro ante.
I muri sono dipinti di un’altra tonalità di azzurro molto più scuro.
Mi guardo attorno domandandomi come io abbia fatto ad arrivare fino a qui.
Faccio per alzarmi aiutandomi con il gomito ma ogni minimo movimento è una fitta da tutte le parti al mio povero corpo mezzo scassato.
Decido che forse è meglio che stia ferma, aspetterò che qualcuno passi a trovarmi.
Continuo a guardare la stanza.
Non ha l’aria di una camera d’ospedale.
Allora dove sono finita?
Possibile che il paradiso sia fatto così?
Non è come me lo aspettavo e nemmeno com’è sempre stato descritto. Io non vedo soffici nuvole bianche e non vedo nemmeno nessun angelo, e il mio caro nonno dov’è?
Allora dev’essere il purgatorio. Ma… il purgatorio lo raggiungono i raggi solari?
Grazie al cavolo, chi ha detto che dopo la morte ci si riposa e che non si sente nessun dolore, sto male da cani. Non c’è centimetro del corpo che non mi faccia male.
Il piede mi prude ed io non posso grattarlo. Ripeto alla faccia della pace dopo la morte, non posso nemmeno grattarmi.
Dov’è il grande creatore, ho un paio di cosette da dirli.
Insomma, si è proprio divertito a rendermi la vita impossibile, si vede che non aveva proprio nulla da fare. Dopo che ha creato l’universo, la vita e tutto quello che li passava per la mente non c’era più nulla da creare così ha pensato bene di rendermi la vita impossibile. Come?
Beh per cominciare ha deciso che non andava bene che io rimanessi una normale studentessa come tutte le mie amiche e coetanee, mi ha fata mutare in una specie di supereroina, nascondendosi dietro l’aspetto del fascinoso Shirogane, facendomi combattere contro gli alieni. Va bene può anche starci, gliela passo anche, ma credo che abbia iniziato a esagerare facendomi conoscere il mio grande amore…
Mi ha fatto incontrare il ragazzo più bello del mondo, mi ha fatto innamorare di lui ma purtroppo ero già impegnata con Mark, quindi non lo potevo avere e quando sembrava che tutto poteva essere possibile siamo divisi. Davvero tante grazie…
Chiamerò il mio avvocato per questo.
Aaah!
Ma che stai pensando Strawberry Momomiya, sei forse impazzita? Stai dichiarando guerra al grande creatore?
Te sei rimbambita dal midollo proprio.
Dei passi fuori dalla porta mi risollevano dal percorso alquanto strano dei miei pensieri.
La maniglia della porta si abbassa facendomi battere il cuore all’impazzata.
Stupido organo smettila di battere così, non ha senso.
Ti prego dimmi che è…
-oh, buongiorno Momomiya Strawberry- si apre in un sorriso dopo avermi vista, mentre io sono alquanto perplessa.
Tra tutte le persone che popolano il globo e le persone che speravo di vedere, mi appare questo? No sul serio?
Ora sono sicura che il grande creatore se l’ha sta ridendo sotto i suoi folti e bianchi baffi, non è giusto. Potevi farmi apparire il biondino dallo sguardo magnetico..
No, non è giusto.
-ciao Takumi- lo saluto a mia volta scoprendo che anche parlare è una faticaccia.
-finalmente sei tornata dal mondo dei morti- urla dalla gioia sfasciandomi i timpani –sei sempre bellissima, nonostante tu non abbia avuto il tempo di curarti- aggiunge abbracciandomi.
-mm- mugolo lagnosa –sto impazzendo, non è che potresti grattarmi il piede?- dico con voce flebile, molto debole.
Il ragazzo scioglie l’abbraccio per sollevarsi, rimane interdetto in piedi a guardarmi come si può guardare solo un pazzo.
Scoppia a ridere piegandosi in due, questa volta a guardarlo come se fosse un pazzo sono io.
-tu…- dice fra le risatine –tu non puoi immaginare…- cerca di trattenere le risate - … quanto tempo ho sognato il tuo risveglio, a cosa mi avresti detto, ovviamente io mi sono sempre immaginato qualcosa di estremamente romantico che si sigillava con un passionale bacio- dice mettendo una mano al lato della mia testa.
Lo guardo inarcando le sopracciglia verso l’alto.
Si abbassa mentre sul volto sfoggia un brillante sorriso.
-il solito pervertito- dico fra le labbra.
La sua bocca si appoggia sulla mia fronte in un movimento dolce e caldo, dopo poco si solleva di pochissimo, giusto lo spazio in modo da riuscir parlare.
-e tu la solita ammazza romanticismo- dice scherzoso.
-io non ammazzo il romanticismo- mi lamento gonfiando una guancia in segno di offesa.
-si certo- dice risollevandosi.
Lo guardo lì in piedi di fronte a me mentre continua a sfoggiare quello stupido sorrisino da schiaffi.
-allora dove volevi che ti grattassi?- domanda destandomi dai pensieri.
-em… il piede- dico mentre con un lieve sforzo muovo il diretto interessato.
Il ragazzo senza battere ciglio scosta di poco il lenzuolo bianco e con un sorriso che non promette nulla di buono mi guarda dritto negli occhi.
Deducendo quello che vuole fare –ti prego non mi fare il solletico, ridere è l’ultima cosa che il mio corpo desidera in questo momento, sai mi fa male ovunque- dico con voce supplichevole. Spero mi dia retta.
-scusa e chi ti vuole fare il solletico, o ma dai è questa tutta la fiducia che mi poni?- domanda con voce delusa.
-no, ti stavo solo informando- dico cercando di giustificarmi.
Ride –era vero, volevo farti il solletico- confessa infine ridendo di più.
 
Dopo aver dato la caccia all’esatto angolo del piede che pretendeva di essere grattato, Takumi mi ha portato una specie di zuppa calda con delle erbe medicinali che devo ingoiare se voglio riuscir a riprendermi.
Non faccio domande, né perché né chi gli ha detto che le devo mangiare, per ora voglio solo poter continuare a sorridere un altro po’.
Devo dire che è davvero disgustosa.
Ogni ingurgito è una sofferenza.
-sai- dice Takumi seduto sulla sedia con il mento appoggiato sullo schienale –in questi mesi non facevi altro che chiamare Ryan.-
Sputo fuori quella schifosa zuppa colta di sorpresa.
O cavolo, che figura di merda, non posso credere di averlo fatto, eppure non mi ricordo di aver fatto alcun sogno.
-non è vero, mi stai prendendo in giro- dico guardando la zuppa mentre con il cucchiaio giocherello.
-no, non sto mentendo.- asserisce facendomi alzare lo sguardo su di lui, i suoi occhi sono fissi su me, sono così seri e fermi – dimmi, perché ogni volta piangevi?- chiede tenendo in ostaggio i miei occhi.
Piangevo?
Forse lo facevo per l’angoscia.
Insomma, lui era ferito ma non so quanto quelle ferite fossero profonde, non so se è sopravvissuto, non so nulla e ho paura di chiedere a Takumi. Che poi lui cosa sa, non è a conoscenza degli alieni e nemmeno della guerra.
Come sono finita sotto le sue cure?
-mi sai dire quanto tempo è passato?- domando spostando l’argomento da Ryan.
-tesoro mio, hai dormito per ben quattro mesi e mezzo- m’informa cambiando il tono di voce, lasciandomi a bocca aperta –attenta, la tua mascella a momenti cade dentro la tazza della zuppa- mi sfotte divertito.
-o mamma mia, ma è tantissimo tempo- asserisco ignorando la battutina scema di Takumi.
 -a chi lo dici- asserisce lui sospirando.
Lo guardo abbassando le sopracciglia.
-ho dovuto sopportare tutte le tue scorge per tutto il tempo senza avere qualcuno con cui lamentarmi- dice facendomi imbarazzare.
-non è vero- dico nascondendomi dai capelli.
-oh, invece sì, e ne facevi parecchie- mi sta chiaramente prendendo in giro, ma è comunque imbarazzante.
Forse è anche vero, in fondo non è impossibile, ma lui non è delicato, anzi più chiaro di così non può essere.
-e come se non bastasse, ogni volta che mi avvicinavo per lasciarti un bacio, il tuo alito pesante non me lo permetteva- lo dice con tono lagnoso.
-cosaaa?- chiedo sconvolta –hai provato a baciarmi?- chiedo fulminandolo con gli occhi.
-certo che ci ho provato, e ci mancherebbe. Un’occasione simile non mi sarebbe presentata un’altra volta dovevo approfittarne- dice tranquillamente –ma il tuo alito era talmente pesante che ci ho rinunciato- continua sospirando.
-il mio alito non è cattivo, e poi che colpa ne ho, non sono capace di lavarmi i denti nel sonno, soprattutto quando sono costretta a letto e ogni minima parte del corpo fa male- li faccio notare.
-ma si, non ti preoccupare avevo molto altro spazio dove posare le mie ardenti labbra- dice ghignando.
-cosa vuoi dire?- mi volto verso di lui guardandolo in cagnesco.
-che mi sono potuto divertire baciandoti altrove, come le mani, la fronte, il collo- lo dice con troppa enfasi –l’addome, il pancino, il seno-.
Lo interrompo perché ho appena “strillato”, oddio più che strillo sembrava un povero animale che si sta strozzando.
-tu, pervertito, giuro che non appena mi alzerò da questo cavolo di letto ti strozzo con le mie stesse mani- cerco di essere il più minacciosa possibile.
-o mamma che paura- dice derisorio alzando le mani.
-devi averne perché se è vero quello che mi hai appena detto, ti uccido senza pensarci troppo- i miei occhi vanno a fuoco, vorrei poter avere il potere di dare fuoco alla sua testa.
Stupido che non è altro.
Spero sinceramente che non abbia fatto nulla di tutto quello che ha detto.
-hahahahaaha- ride asciugandosi l’angolo dell’occhio.
-che hai da ridere?- chiedo sbuffando.
-essere minacciati da qualcuno costretto a letto è comico, tu non lo trovi comico?- chiede guardandomi con quello stupido sorriso, ma che mi sta facendo piacere vedere, perché non mi lascia pensare molto ad altre cose che mi tormentano.
Continuo a ingoiare questo schifo mandando giù i conati di vomito.
-dai mangia tutto- mi ordina lui incitandomi con un gesto della mano.
Lo fulmino con lo sguardo per poi ingoiare l’ennesima cucchiaiata.
Metto la ciottola sul comodino per poi appoggiare la testa alla testiera del letto, come sostengo ad aiutarmi a contenere il dolore che mi affligge.
Chiudo gli occhi cercando di reprimere il male che mi sta agonizzando, stare seduta a mangiare è stato molto faticoso, sono completamente sudata. È come se il corpo fosse in mezzo alle fiamme, subito dopo gettato in mezzo a un cumolo di filo spinato pungermi ogni dove, e poi lasciato nel freddo polare.
-ei, va tutto bene?- domanda Takumi allarmandosi dopo aver visto il mio viso soffrente.
-no..- sussurro fra le labbra stringendo i denti per reprimere le fitte di dolore che si stano scaricando su ogni centimetro del corpo.
-su sdraiati bene- dice aiutandomi a stendermi ancora come mi sono ritrovata dopo essermi svegliata, m’imbocca le coperte per poi posare la mano sulla fronte –la pianta sta combattendo contro il veleno che circola nel tuo corpo, hai un po’ di febbre ma non ti preoccupare, fra poco passerà tutto- dice per rassicurarmi.
Una serie di scariche s’impossessano del mio corpo agonizzante.
-su, ora cerca di riposarti- dice amorevolmente.
Sto lottando contro il mostro dentro il mio corpo, quel mostro che mi sta divorando organi e vita vitale.
 
Dopo un’ora di sofferenza, il corpo smette di fare male, o dio, male fa ancora ma non mi sta attaccando come se cento boscaioli mi stiano colpendo con le loro asce senza sosta.
-allora, mi spieghi come fai a sapere del veleno che circola nel corpo?- chiedo una volta che il ragazzo è rientrato in camera e si è accomodato sulla sedia.
-è una lunga storia- dice lui sorridendo mentre apre il pacchetto di patatine.
-o guarda, di tempo ne ho a volontà- dico ironica facendo cenno al letto, giusto per ricordarli che non posso andare da nessuna parte e non ho nient’altro da fare.
-beh, lo so- risponde semplicemente alludendo alla mia domanda portando infine alla bocca una patatina come nulla fosse.
-si ma come?- insisto.
-perché?- chiede lui.
-non rispondere a una domanda con una domando- lo riprendo.
-allora tu non farmi domande- dice tranquillo per poi ingoiare un’altra patatina.
-si ma…- mi zittisce lanciandomi una patatina e colpendomi la fronte.
-niente ma- dice lui.
Lo guardo per un po’, chiedendomi perché non mi vuole rispondere. È normale che io voglia sapere.
-almeno posso sapere dove siamo?- chiedo con tono sconfitto, afflitto.
-certo- dice sorridendo e portando finalmente il suo sguardo su di me –siamo a casa mia e questa è la mia camera da letto- dal suo tono di voce sembra quasi sodisfatto.
-cosaa?- dire che sono sorpresa è un eufemismo. Direi che sono scioccata e perplessa, molto perplessa. –cosa ci faccio qui, perché non sono in ospedale?- lo guardo cercando risposte nel suo mutismo.
 
 
Sono passati tre giorni dal mio risveglio.
I dolori sono sempre forti e quasi insopportabili, e ogni volta, dopo aver mangiato quella zuppa speciale, mi sento ancora peggio, ma a quanto pare è per il mio bene ingerirla almeno una volta al giorno.
Takumi mi è stato vicino tutti i giorni, pronto a fare qualunque cosa per me, anche grattarmi i piedi, eccetto rispondere alle mie domande.
Non c’è giorno che il mio pensiero non abbia volato fino al mio gruppo di amici, a cosa è successo quel giorno, a come io sia stata salvata, a come stano i miei genitori e se lui sta bene.
Sono angosciata e tormentata da domande su domande, delle quali trovare risposta mi è impossibile.
Takumi non mi risponde, cambia sempre argomento o semplicemente risponde dicendomi “non te l’ho dico” o “smettila di assillarmi con le tue domande”.
Ma io voglio sapere, pretendo di sapere.
Il sole è calato, lasciando il cielo alla luna, la quale si erge in tutta la sua elegante lucentezza.
Non so perché ma mi ricorda Ryan… forse per il fatto che è così luminosa, fiera, sola ma bellissima.
O dio, quanto mi mancano i suoi occhi, la luce propria con la quale mi guarda quando si sta divertendo, il suo respiro lento e caldo spezzarsi contro la mia pelle, la sua voce mentre pronuncia il mio nome.
Mi manca da morire.
Voglio vederlo.
Una lacrima scende indomabile all’angolo dell’occhio per andare a finire sull’orecchio.
-ei, cosa c’è, dove ti fa male?- domanda Takumi lasciando la rivista di giochi sul comodino e alzandosi dalla sedia per asciugarmi il viso.
Tiro su con il naso mentre porto la mano da sopra il lenzuolo al cuore.
-ti fa male il petto?- chiede vedendomi posare la mano su di esso.
Muovo di poco la testa in segno di negazione mantenendo lo sguardo fisso sulla soffitta.
Forse capisce che non è qualcosa di fisico che in questo momento mi sta facendo male, rimane in silenzio.
Fra di noi cala un silenzio, un silenzio che sta completando i nostri pensieri così fragili e docili.
-sai è molto erotico, vedere quella mano posata sul tuo seno- dice infine interrompendo il silenzio –devi sapere però che la cosa non mi aiuta a trattenermi dal saltarti addosso.-
Inizialmente non bado alle sue parole. Ma nel silenzio che ne segue, il mio cervello le elabora dando loro l’esatto significato che lui ha voluto rendermi.
-tu- dico accigliata guardandolo in cagnesco.
Sul suo volto si fa largo un sorriso che la dice lunga.
-smettila di fare il pervertito. Non ti dona, hai il viso di un ragazzo intelligente, smettila di far emergere il tuo io pervertito- lo riprendo minacciosa.
-guarda che sei tu quella che si sta stringendo il seno nella mano sotto il mio sguardo, non è colpa MIA- si giustifica e questa mi pare sia la giustificazione più idiota che abbia mai potuto udire.
-non mi sto toccando il seno, io mi stavo…- perché mi sto giustificando con questo idiota.
-se io mi toccassi, tu penseresti subito male, allora io perché non dovrei?- pone la domanda sedendosi sulla sedia e accavallando le gambe in un gesto studiato.
-perché è un gesto disgustoso da fare e poi io NON mi stavo toccando, smettila di prendermi in giro, razza di stupido che non sei altro- rispondo offesa.
Metto il broncio girando il capo dall’altra parte.
-hahahahahahaha- lo sento ridere di me –sei proprio sexy quando ti arrabbi- dice tranquillamente. Mi dà fastidio sentirglielo pronunciare ma lo ignoro.
Quello stupido crede di potersi prendere gioco di me.
 
 
Apro gli occhi lentamente, come se un movimento brusco potesse strappare le palpebre in mille pezzettini. A pochi centimetri dal mio viso c’è quello di Takumi profondamente addormentato. Le sue labbra sono stirate in un sorriso e le sue folte ciglia nere si posano sulle candide guance le quali segnano i primi mutamenti che lo paragonano a un uomo.
Guardarlo così indifeso, mi fa tenerezza.
Certo, se non aprisse mai bocca, potrebbe essere anche tenero, un angelo. Sono proprio quelle stupide cose che dice e fa che spesso mi fanno arrabbiare.
Porto lo sguardo fuori dalla finestra. Ho chiesto a Takumi di tirare via la tenda, in modo che io possa vedere le soffici nuvole volare libere in cielo e lasciarmi cullare dai raggi solari.
A tormentarmi c’è il pensiero di lui là fuori da qualche parte ferito e bisognoso di cure… e io ho tutte le intenzioni di andare a trovarlo.
Ho bisogno di averlo al mio fianco…
Quando stavo morendo ho capito che non dovevo perdere altro tempo, che lui è l’unica cosa al mondo che mi rende veramente felice.
I suoi tocchi così lambiti, caldi, sensuali valgono come mille emozioni vissuti in un’intera vita.
Per questo non ho intenzione di stare un altro secondo sdraiata in questo letto, mi è stata data una seconda occasione e non ho nessuna intenzione di sprecarla.
Con una fatica che mi costringe a raccogliere tutte le forze mi tiro su aiutandomi con i gomiti.
I miei movimenti svegliano Takumi il quale da prima mi guarda mezzo addormentato per poi allarmarsi e prestarmi il suo soccorso.
-ei, va tutto bene, cosa c’è?- chiede posando la sua mano sulla spalla.
-voglio alzarmi- dico scostando il lenzuolo con un movimento deciso.
Scopro la canottiera turchese e i pantaloncini rosa, dai quali sporge tranquillamente una fasciatura bianca.
Guardo la fasciatura bianca per qualche secondo facendomi tornare alla mente quando Aki mi colpi con la lama della sua spada.
-vuoi andare in bagno?- chiede Takumi sostenendomi.
-voglio andare da lui- dico fra i denti mentre faccio un altro sforzo.
Passo le gambe fuori dal letto per toccare terra.
Stare semplicemente seduta così, è uno sforzo inumano.
Perché?
Perché il corpo mi fa male come se fosse inflitto da mille lame?
-fermati, non ti sforzare inutilmente- il mio compagno di classe che ha passato l’intera notte sulla sedia con la testa sul cuscino accanto a me, poverino mi sta facendo da babysitter.
-voglio vederlo- sussurro.
Riesco ad alzarmi in piedi ma non posso fare nessun passo perché le mie gambe non mi obbediscono e poi la sinistra sta bruciando ardente.
Sento un capogiro per poi ritrovarmi a peso morto per terra nel freddo pavimento impolverato della stanza.
Takumi si piega per raccogliermi da terra, passa una mano sotto l’incavo delle ginocchia e l’altra dietro la schiena. Mi solleva con un minimo sforzo per risistemarmi sul letto.
Riprende il lenzuolo e mi copre facendo molta attenzione a non toccare le ferite fasciate, il tutto senza dire una parola.
I miei occhi sono colmi di lacrime amare e disprezzevoli.
Non voglio stare a letto. Ne ho abbastanza di questa stupida stanza.
Da cinque giorni i miei occhi non vedono altro.
Nessuno è passato a farmi visita e non ho ancora trovato risposte alle mie domande.
Takumi si rimette sulla sedia con la rivista chiusa sul grembo e gli occhi posati a terra.
I miei singhiozzi si spezzano fra le mura della stanza, rimbombando nelle nostre teste. Vorrei smettere di piangere ma non ci riesco.
 
Sono passati un paio di minuti quando inizio a sentirmi un po’ meglio, il pianto pian piano mi sta lasciando andare.
Porto lo sguardo su Takumi e noto la sua espressione ferita e immersa in un mondo tutto suo, dove io non posso mettere piede. I pensieri che lo assillano sicuramente sono dolorosi e lugubri.
-certo che..- dico fra i singhiozzi.
Il ragazzo alza lo sguardo su di me ma è ancora in stato di trans -.. ogni tanto potresti fare le pulizie- dico infine mostrando un sorriso sforzato.
Sta ridendo piegandosi in due sulla sedia –hahahahahahaha…. Aspettavo ….che me lo dicessi te- dice allegro, solare fra le risate.
Rivedo in lui la stessa allegria che l’ha sempre accompagnato ovunque andasse e questo mi rende serena.
-guarda che non sto scherzando. Ci saranno almeno venti centimetri di polvere sul pavimento. Purtroppo l’ho visto prima quando sono caduta. Povera me ora la mia faccia sembra il tuo pavimento- faccio la faccia disperata, tale e quale al “urlo di Munch”, con mano spolverandomi la guancia con la quale sono caduta a terra.
Il ragazzo è in lacrime, ogni tanto m’indica scuotendo la testa mentre con l’altra mano si tiene la pancia.
-non è divertente- dico guardandolo con la faccia offesa.
-o si che lo è. Dovresti vedere la tua faccia- risponde fra le risate.
-che cos’ha la mia faccia?- domando stando sdraiata con il volto rivolto verso di lui.
-è buffa - risponde mentre cerca di ricomporsi.
-ma ti sei visto allo specchio qualche volta o no?- domando assumendo uno sguardo cupo.
-perché?- domanda curioso.
-la tua faccia non è buffa è semplicemente stupida- dico seria.
-oi, questa mi è sembrata un po’ troppo offensiva- il suo tono di voce è consapevole.
-no tesoro, è la verità- replico sghignazzando.
-cosa c’è, vuoi per caso un attacco di solletico?- chiede minaccioso.
-o no no, per carità- rifiuto, alla sola idea mi vengono i brividi.
-ah ecco, mi sembrava- sorride spostando una ciocca di capelli dagli occhi.
Per il resto della giornata Takumi mi ha tenuta occupata con barzellette e indovinelli, non ho pensato molto al resto del mondo e alle persone che mi stano tormentando l’animo.
Mi ha fatta perfino quasi dimenticare il dolore fisico che mi affligge.
 
 
Sento dei bisbigli oltre la porta.
Apro gli occhi lentamente, prima di tutto devo capire dove mi trovo. Mi ricordo subito di essere in camera di Takumi costretta a letto.
Lo sguardo va a posarsi sulla porta socchiusa dalla quale proviene la luce giallastra illuminando di striscio la stanza nella quale mi trovo.
Abbastanza lontani e deboli sento la conversazione fra due persone.
Due persone…
Per quanto mi sforzo a captare quello che viene detto o semplicemente distinguere le voci, non riesco, non mi è possibile poiché stano parlando veramente con voce bassissima.
Chi è la terza persona che si trova fra le mura di questa casa?
Devo sapere, pretendo di saperlo.
Con un gesto che mi ci volle un sacco di sforzo, scosto il lenzuolo bianco e con una lentezza snervante, oltrepasso i piedi fuori dal letto, proprio come ho fato questo pomeriggio.
Aiutandomi scendo dal letto, rimango ferma immobile in piedi. Ho come l’impressione di non saper più come si fa a camminare. Esattamente come questo pomeriggio cado a terra rovinosamente di faccia impotente e priva di energie in corpo.
Chiudo gli occhi per trattenere quelle lacrime che vogliono fuoriuscire. Sono lacrime di rabbia…
-ma cosa?- chiede ad alta voce Takumi correndomi incontri e raccogliendomi da terra come uno straccio.
Mi rimette a letto ricoprendomi con il lenzuolo.
-chi c’è di là?- domando con voce sforzata, è come se in quel gesto avessi perso quelle poche energie che mi rimanevano in corpo.
-emm…- il ragazzo esita voltando la testa verso la porta.
Seguo la traiettoria del suo sguardo, noto che c’è qualcuno ma non riesco a vedere di chi si tratta.
La figura di Takumi mi occulta la vista, e la luce che lo avvolge dalle spalle non permette di vederlo chiaramente.
-ti prego..- sussurro sentendomi ad un tratto stanca, sfinita.
Sono bastati veramente pochissimi secondi per far passare il mondo su di un piano lontano, molto distante, lasciando spazio a un mondo dove il mio subconscio lavora fantasioso fino a quando il corpo non deciderà che dormire non è più necessario.
 
  
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