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Autore: EvgeniaPsyche Rox    04/12/2015    4 recensioni
“ Come un sussurro o come l'onda di un sussurro che si placa piano piano... ”
-
Trasferitosi a Cork per fuggire dai demoni del suo passato, Thomas si ritrova circondato da ragazzi e ragazze che, a loro volta, incassano colpi, sotterrano segreti ed affrontano situazioni più grandi di loro.
Vi è Minho ed il suo immancabile sarcasmo; Teresa con le sue amate sigarette; l'imponente villa di Sonya; Aris, Harriet, Brenda, Mr. Jorge, il rigore di Janson, i modi bruschi di Gally...
... E Newt.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Newt/Thomas, Thomas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quella mattina non trovò Minho ad aspettarlo in cortile.
Lo cercò a lungo e, pochi minuti prima del suono della campanella, notò la sua figura dietro l'edificio scolastico, in un angolino poco visibile.
L'aria era particolarmente gelida ed il cielo più grigio che mai, forse addirittura più lugubre del giorno in cui sua madre aveva deciso di trascinarlo lì a Cork, strappandolo dalla sua cara Dublino.
Thomas si sentì inspiegabilmente agitato, mentre si avvicinava al compagno, il quale pareva intento a discutere animatamente con qualcuno.
Uno, due, tre, quattro passi.
Dieci, quindici.
Diciassette.
Il rintocco della campanella rimbombò per tutto il cortile; Thomas sussultò appena, ma ancora non si decise a tornare indietro. L'asiatico a malapena si era accorto della sua presenza; gli dedicò una glaciale occhiata, aveva un'espressione che non gli apparteneva proprio per niente, scura, frustrata, Thomas non gliel'aveva mai vista addosso, stonava terribilmente con il suo tipico ghigno divertito.
Accanto a lui c'era un ragazzo poco più basso, dai capelli dorati e la pelle diafana. 
Aveva gli occhi – due pozzi oscuri, distese di sabbia nera – puntati su di lui, ma solo dopo qualche secondo Thomas osservò che non lo stava guardando per davvero. Aveva l'aria stanca, lo guardava per finta, con la mente altrove, in un'altra Galassia.
«E' ora di entrare, forza», disse Minho con un tono così cupo da far rabbrividire Thomas; non capì se stesse parlando al biondo, a lui, a se stesso, al vento o a nessuno in particolare.
In ogni caso, lo seguì. E, con la coda dell'occhio, spiò il ragazzo misterioso, rimasto più indietro, con il suo andamento zoppo.



 

 

Dopo l'arrivo di Newt, la scuola parve mutare, seppur in maniera impercettibile.
Quando attraversava i corridoi, mantenendo rigorosamente il capo chino o lo sguardo puntato dritto davanti a sé, smarrito nel baratro del nulla, le bidelle si scostavano, quasi si sentissero in imbarazzo. Gli studenti bisbigliavano parole incomprensibili tra di loro, e lo guardavano, Dio, non smettevano di guardarlo nemmeno per un attimo solo. 
Minho aveva abbracciato la crisi più totale quando, durante la ricreazione, aveva scoperto che il biondo si trovava ai servizi. 
«Dov'è Newt?»
«In bagno», aveva detto tranquillamente Thomas, sistemando i propri libri nell'armadietto. «l'ho visto andare in bagno.»
«Cazzo!», aveva imprecato Minho, e poi altre parolacce ancora, si era passato ripetutamente la mano tra i capelli, agitato, battendo i denti con violenza. 
Thomas lo aveva guardato con fare stralunato; non aveva avuto il tempo di chiedere perché e per cosa, che Newt era uscito dal bagno, facendo sospirare di sollievo l'asiatico.

Si ritrovò insieme a lui durante l'ora di ginnastica. 
Persino Mr. Jorge, che anche durante le giornate più uggiose e deprimenti era in grado di sollevare l'umore a tutti, parve malinconico in volto. «Bentornato, Newt. Ci sei mancato, hermano.»
Non rispose, Newt. Si limitò ad annuire in cenno di ringraziamento, o forse di saluto, e si sedette sulla piccola panchina di legno, collocata in un angolino della palestra.
Thomas continuò a guardarlo, per tutta l'ora. Durante la corsa, lo guardò. Durante il riscaldamento, pure. Durante la partita di pallacanestro così intensamente che si beccò una pallonata in fronte.
Aveva mille domande che gli opprimevano la scatola cranica. Chi fosse, da dove venisse, perché era tornato, quando s'è n'era andato. Perché non facesse ginnastica, perché zoppicasse.
Perché sembrasse così triste e abbattuto.
E Newt, seduto su quella misera panchina, talvolta aveva a sua volta ricambiato lo sguardo. Magari di riflesso si era sentito osservato, ma Thomas era lieto di quelle piccole attenzioni. Al suo terzo canestro, Newt gli sorrise un poco, e Thomas si sciolse come miele sotto il sole.
Erano tutti in pantaloncini, o perlomeno in t-shirt. Certo, stavano sudando, era l'ora di ginnastica, e poi c'era Newt, seduto dall'altra parte, con quel pesante cappotto scuro e la sciarpa.
Infreddolito, solo e triste. 
Bello.



 

 

Fu il giorno di Natale più angosciante della sua intera esistenza.
C'era l'orologio a pendolo che scandiva il tempo infinito nel corridoio grigio, Janson che sfogliava distrattamente il giornale, elegante e composto come sempre. Nessun augurio da parte sua, niente di niente.
Sua madre lavava gli stessi piatti da quasi venticinque minuti. Borbottava che dovevano prepararsi al cenone di quella sera, dovevano sistemare casa, sarebbero arrivati un'infinità di cugini, zii, fratelli e parenti.
Thomas la contemplava seduto sul divano, in preda alla desolazione più totale. Non la riconosceva più. Non riconosceva nulla, in quella maledetta città. 
Passò quella giornata infernale scarabocchiando i compiti per le vacanze. Uscì camminando in solitudine, alla sera consumò in religioso silenzio la sua minestra e, poco prima di addormentarsi, pensò casualmente a Newt.
Si domandò se anche lui fosse stato strappato bruscamente da qualcosa, perché aveva davvero l'aria afflitta.



 

 


Mentre Mr. Jorge era intento a sottoporre alcuni suoi compagni al test di resistenza, Thomas ne approfittò per riprendere fiato accanto a Newt.
«Faticoso, eh?»
Il moro sussultò e sentì il cuore salirgli in gola; aveva praticamente passato l'ora a trovare un modo per rivolgere la parola a Newt, e lui invece, per chissà quale grazia divina, aveva deciso finalmente di farsi sentire spontaneamente.
Il fatto era che risultava essere davvero l'unico studente della scuola a non aver ancora parlato con lui. O almeno, lo era fino a qualche attimo fa.
«Puoi dirlo forte», balbettò dopo poco, schiarendosi la gola. «e pensa che io sono pure più allenato. Per gli altri dev'essere una tortura.»
«Già, ti vedo correre con Minho, dopo scuola.»
Altre piccole attenzioni che fecero sorridere Thomas di tenerezza. «Esatto, hai notato?»
«Sì, Minho mi parla spesso di te.»
«Davvero? E che dice? Cose carine, spero.»
Newt accennò un flebile sorriso e prese a strofinarsi le mani per riscaldarsi. «Dice che sei uno forte, ed io mi fido di lui. Sei arrivato qui a Dicembre, giusto?»
Thomas lottò con tutto se stesso per non scoppiare a ridere forte, giusto per scaricare tensione e felicità. «Sì, proprio così. E tu, invece? Voglio dire, all'inizio pensavo ti fossi trasferito, ma ho sentito dire che sei tornato... Perché, dov'eri prima?»
La breve espressione luminosa di Newt svanì nell'aria; il biondo spostò la testa e guardò un punto indefinito di fronte a sé, proprio come faceva i primi giorni per i corridoi. 
Insieme alla sua spensieratezza, anche la voglia di ridere di Thomas venne totalmente annientata; era riuscito ad avvicinarsi a lui, e già lo aveva smarrito, a chilometri e chilometri di distanza.
«Su, tornate negli spogliatoi!». La tuonante voce di Mr. Jorge rimbombò nella palestra, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi. Thomas fece per rimediare, voleva assolutamente scusarsi della sua indiscrezione, ma Newt lo precedette e si alzò. «Devo andare in laboratorio, ho chimica. Tu invece penso debba cambiarti.»
E proprio quando Thomas pensò di essere ormai pronto a sprofondare, Newt aggiunse: «Alla prossima, Tommy.»

 

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