Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    09/12/2015    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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HoE chap 4
Eccomi qui col quarto capitolo! Con un'oretta di ritardo, ma spero possiate perdonarmi: in questi giorni ho avuto degli impegni che non ero consapevole di avere, lol. Però ho cercato comunque di mantenere la promessa e mi sono messa davanti al computer non appena avevo un attimo libero! Vi lascio subito, perché sto morendo x' Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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Levi tornò una settimana dopo solo per trovare la sua casetta in via Ashbury esattamente così come l'aveva lasciata, coperta da uno strato di brina nel suo perfetto cerchio d'erba ormai secca. Nessun fuoco l'aveva rasa al suolo, come aveva sperato, quindi doveva aver spento la macchina del caffè prima di dirigersi verso la città. Non gli dispiacque così come invece aveva pensato, perché aveva preso una decisione.

Al momento, non c'erano appartamenti che rispettavano le sue richieste, ma il suo nome sedeva sulla scrivania del suo agente immobiliare. Nel momento in cui un'offerta sarebbe stata fatta, il suo numero sarebbe stato il primo ad essere composto. Nel frattempo, Levi avrebbe passato i week end in campagna e la settimana lavorativa nell'appartamento di Erwin.

Dopo aver spento il motore, l'uomo rimase al volante per svariati momenti.

Non c'era nulla ad aspettarlo dall'altra parte della porta. Non ci sarebbe stato nessuno: niente oltre al piccolo velo di polvere che avrebbe felicemente spolverato facendo le pulizie.

Lasciò la ventiquattrore sul sedile dell'accompagnatore e uscì dall'auto, raggiungendo velocemente il porticato per scappare al freddo vento autunnale.

Col respiro calmo e i nervi saldi, Levi girò la chiave ed aprì la porta, ripetendosi che non c'era nulla ad aspettarlo oltre di essa. Se avesse agito normalmente, se avesse finto che nulla avrebbe potuto spaventarlo, non sarebbe accaduto nulla. Perché era tutto nella sua mente: i fantasmi non avevano ragione d'esistere.

Cosa lo salutò fu una casa gelida ed una risata che proveniva dalla TV in salotto.

Immobile sull'uscio della porta, corrugò le sopracciglia guardando il giovane uomo che stava sedendo sul suo divano, coi piedi appoggiati al tavolino da caffè e le gambe incrociate alle caviglie. Le sue dita stavano giocherellando col bordo della felpa.

"Bentornato a casa." Gli disse Eren, allontanando lo sguardo dallo schermo per sorridergli.

"Che si fotta tutto."

Con le chiavi strette in mano, Levi voltò i tacchi e uscì di casa.

Avrebbe guidato fino alla città e avrebbe fatto visita al più vicino ospedale psichiatrico. Tutto questo era stupido, ridicolo, osceno ed impossibile. La gente non poteva tornare dall'aldilà. Non esistevano i fantasmi. E anche se esistevano, non passavano il tempo nel salotto di qualcuno a guardare la televisione.

Avrebbe chiamato Erwin e gli avrebbe raccontato la verità. Gli avrebbe detto che vedeva e sentiva cose, che il suo cervello pensava che Eren lo stesse tormentando. Conoscendo Erwin, tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato annuire, credergli e mettergli una camicia di forza.

"Hey, aspetta!" Lo chiamò Eren dalla porta e - fanculo a lui - poté sentire i suoi passi mentre scendeva di corsa gli scalini in legno. "Oh, ma dai!"

"Esci dalla mia cazzo di casa, ora, o giuro che la brucio fino alle fondamenta." Gli rispose Levi, con un tono di voce falsamente calmo. Non c'era bisogno che di arrabbiarsi: anche facendolo non avrebbe ottenuto nulla. L'uomo avrebbe affrontato la situazione con calma.

"Il tuo primo tentativo ha fallito," Gli rispose Eren, quasi petulante. "Hai lasciato la macchina del caffè accesa."

Levi si bloccò. "E scommetto che tu l'hai spenta."

"Beh, sì. Sarebbe stato brutto per te perdere tutti i tuoi averi."

Levi combatté l'istinto di portarsi una mano al viso, così come l'istinto di urlare. Scelse di rimanere immobile, lasciando che il freddo gli gelasse anche l'umore. Poteva sentire il rumore di foglie secche provenire da dietro di sé, ma si rifiutò di muoversi. Non sapeva cos'avrebbe fatto se Eren avesse cercato di toccarlo nuovamente.

"Entri?" Lo pregò jl giovane e le sue parole strinsero il cuore di Levi. "Sta diventando freddo fuori. Non voglio che ti venga l'influenza."

Nonostante la rabbia e l'incredulità, gli occhi dell'uomo presero a bruciargli.

La forza che aveva di mantenere le proprie decisioni era sempre stato il tratto di cui era maggiormente orgoglioso, in quanto mai aveva ceduto in qualsiasi sorta di pressione, sia quando era giovane sia da adulto. Una volta che prendeva una decisione, nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea. Ma il problema era che Eren una volta era stato qualcuno a cui aveva tenuto più della sua stessa vita, quindi gli ci voleva poco per farlo cedere.

Spaventosa realtà o meno, gli era mancato e alla fine era pur sempre umano. Un debole e codardo umano.

"Per favore? Non ti farò del male, se è quello a preoccuparti." Continuò Eren e il vento trasportò la sua voce, facendola apparire affettuosa e calda. "Me ne andrò, ok? Per... Vieni dentro. Fammi vedere che stai bene."

"Perché non dovrei star bene?" Sbottò l'uomo, voltandosi verso il viso nascosto e inghiottendo un conato di vomito nel notare che l'entità poteva uscire di casa come se niente fosse.

"Sei corso via."

"Sì e questo ha a che fare col fatto che sto conversando col mio marito morto da un po'."

Eren sobbalzò, come se la menzione della sua morte lo avesse scioccato. Portò una mano al petto e il dolore che ormai stava diventando familiare fece bruciare il petto di Levi. Quello era un gesto che il ragazzo aveva fatto sin da bambino.

"Mi sei mancato."

Quella poca voglia di dargli contro che gli era rimasta svanì.





"Prometto di andarmene, ok? Per davvero. Lascia solo che ti faccia del tè, almeno."

Levi lo fissò, studiando ogni movimento e tremito della sorprendentemente fragile immagine che c'era davanti a lui. Eren si stava grattando la mano che aveva portato al petto, con lo sguardo rivolto di lato verso la foresta come un bambino che si aspettava che gli venisse urlato contro.

Faceva male, perché nulla era cambiato. Eren era ancora lo stesso, faceva gli stessi gesti che faceva da vivo e che non sarebbero stati notati da nessuno, se non da Levi.

"Ti ricordi almeno come farlo?" Soffiò. Accettare la sconfitta non significava che lo avrebbe fatto con maturità.

"Ovviamente!" Gli disse Eren, comportandosi come un cucciolo a cui era stato appena dato un osso. "Ricordo anche quanto miele ti piace. E' come andare in bicicletta: è impossibile dimenticarsene."

Senza aspettare un'altra parola, Eren girò sui tacchi e trotterellò felice in cucina.

Chi avrebbe pensato che la sua vita avrebbe preso una piega del genere?

Mettendo da parte la sua esitazione e aggrappandosi al suo coraggio, Levi tornò in casa e si chiuse la porta dietro le spalle. Lasciò che il ragazzo si muovesse in cucina da solo, tirando fuori un bollitore e il contenitore di foglie di tè che teneva lì per le emergenze, poi si spostò verso il retro della casa per accendere il riscaldamento.

Quando tornò trovò il bollitore sulla cucina ed Eren intento a sciacquare una tazza canticchiando un motivetto sconosciuto.

Se non fosse stato per le bende sulla sua testa, Levi avrebbe potuto scommettere di essere tornato indietro nel tempo, nei giorni dove tutto era bello.

"Il tempo passa diversamente, quando sei morto," Gli disse Eren, serenamente. "Sinceramente ti ho aspettato." Ridacchiò, asciugando la tazza con l'asciugamano appeso al refrigeratore. "Pensavo che qualsiasi cosa mi avesse ucciso sarebbe tornata anche per te."

I capelli sulla nuca di Levi si rizzarono.

Pretese di non essere disturbato dall'ammissione, concentrandosi nel tirarsi vicino uno sgabello e sedersi sopra di esso, appoggiando un gomito sull'isola prima di tornare a dare la sua attenzione ad Eren.

"Alla fine ho scoperto che se sei una brava persona, hai la possibilità di poter vagare e spiare la gente, prima di essere strattonato via. Un po' come il paga-per-vedere."

Non parlò per un po' e neanche Levi lo fece.

Il bollitore iniziò a fischiare, ma Eren rimase aggrappato al bordo del lavandino, la testa calata.

"Non ho mai pensato fossi capace di piangere," Gli disse, sussurrando. "Sorridevi raramente, posso contare con le dita di una mano quante volte lo hai fatto. La prima volta che abbiamo fatto sesso, al nostro matrimonio, quando ho finto di aver vinto alla lotteria quella volta... Eri sempre così forte e io... E' stato come sentire il mio cuore venire strappato a metà, quando ti ho visto sul nostro letto con le guance bagnate di lacrime."

Levi strinse i pugni tanto forte da lasciarsi i segni delle unghie sui palmi. "Il tè." Disse, perché non sapeva cos'altro dire. Quel momento di disperazione doveva essere stato privato.

Senza un'altra parola, Eren prese il bollitore. Versò l'acqua bollente dentro la tazza, poi riempì un filtro a forma di pallina con le foglie di tè e ce lo mise dentro. Dopo trenta secondi lo tirò fuori, versando un cucchiaino di tè nella tazza. Poi aggiunse un cubetto di zucchero e mischiò cinque volte.

La scena scaldò il petto di Levi, perché solitamente a tutto quello seguiva un bacio. Ma non questa volta. Eren appoggiò la tazza di fronte a lui e fece qualche passo indietro, rivolgendogli un mezzo sorriso. "Spero di averlo fatto esattamente come piace a te."

Un fantasma che faceva il tè, un buon tè, oltretutto. Quello sì che gli era nuovo.

Levi fece un verso d'approvazione, godendosi il calore che gli accarezzava il viso e l'aroma che gli stuzzicava il naso. Non troppo amaro, non troppo dolce, con la giusta concentrazione di tè.

Prima che potesse fermarsi, sorrise contro la tazza.

Eren gli sorrise di rimando. "Ebbene?"

"E' buono." Gli rispose l'uomo, sorseggiando attentamente la sua bevanda in modo da non bruciarsi la lingua.

"Scelgono sempre le brave persone," Gli disse Eren, confondendolo momentaneamente. "Mi è stata offerta la possibilità di rimanere qua e l'ho presa."

Il sorriso svanì dal volto di Levi, che appoggiò la tazza. "Eren-"

"Sei troppo testardo per chiedere aiuto," Continuò il fantasma, probabilmente perché era già morto e sapeva che Levi non avrebbe potuto ucciderlo di nuovo. "Preferisci soffrire da solo, piuttosto che disturbare gli altri con i tuoi pensieri."

"Smettila."

"Non mi hai mai fatto vedere niente di tutto questo," Sembrava arrabbiato, quasi tradito. "Vederti piangere mi ha fatto capire che non sei invincibile, Levi, che senti la tristezza tanto quanto gli altri e mi ha fatto incazzare il fatto che ci fossimo conosciuti fa anni, eppure non ti fossi mai aperto con me."

"Parli troppo."

"Non sono stupido. Egoista, magari sì, perché so che l'hai fatto per proteggermi o qualcosa del genere, ma ho sempre voluto che ti fidassi di me. Tutto quello che volevo fare era darti conforto."

Levi lo fissò con occhi duri e gelidi. Questa non era una conversazione che voleva avere, neanche con un fantasma. "L'hai fatto." Ammise. In più di un'occasione. "E' stata praticamente la ragione della nostra relazione."

"Non conta di quando ti sei lasciato con Erwin."

"Perché no?"

"Perché vai ancora da lui, quando ti succede qualcosa."

Levi alzò un sopracciglio e combatté l'istinto di mettersi a ridere. "Non hai mai avuto problemi con lui, quando ti scopava."

Quel poco di pelle che si poteva vedere tra le bende del giovane divenne rosa acceso. "Non è quello che intendevo e lo sai."

"Io ed Erwin siamo cresciuti assieme."

"Ma io sono la persona che hai sposato," Sbottò il ragazzo. "Pensavo che avresti potuto parlare dei tuoi problemi con me, piuttosto che con lui."

"Lo abbiamo fatto."

"No, non è vero. Tu parlavi sempre dei miei problemi, ma mai dei tuoi, come se fossi quasi un peso per me."

"Vuoi che ti chieda scusa?" Chiese Levi, scrollando le spalle e prendendosi un sorso di tè

"Sì." Rispose inaspettatamente Eren.

"Lo farei, ma sei morto e non c'è nulla che io possa fare."

Eren apparve indeciso se pensare o meno se Levi fosse serio. "Sono proprio qua."

Levi scrollò la testa. "Tu sei la mia coscienza, che sta cercando di farmi impazzire per tutto quello che ti ho fatto mentre eri in vita." Aveva senso, davvero. "Se può aiutarti, domani mi recherò alla tua tomba e ti chiederò scusa." Prese un altro sorso di tè, ma quando abbassò la tazza notò l'espressione rassegnata sul volto del ragazzo.

"Sei un grande stronzo, lo sai?"

Allontanando la tazza ormai vuota, Levi rispose: "Fin troppo bene. Ma mi amavi lo stesso."

Levi sobbalzò quando Eren si trovò di colpo davanti a lui, il suo viso a pochi centimetri di distanza dal proprio. Fece una smorfia nel trovarsi così vicino alle bende sporche e notò che la seconda gli copriva le orecchie, non il naso. Per ultima cosa, notò Eren abbassarsi con esitazione la benda che gli copriva la bocca.

Non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo non pelle intoccata. Le labbra erano sottili come lo erano sempre state, sembravano morbide esattamente come lo erano state e l'uomo sentì un tremito di bramosia scuotergli lo stomaco.

"Ti amo ancora." Sussurrò il ragazzo e fu bellissimo vedere nuovamente le sue labbra muoversi.

Levi non si mosse, quando Eren eliminò lo spazio fra di loro, premendo le loro labbra assieme in un bacio leggero. Il ragazzo era freddo come la morte, ma il calore del viso di Levi gli scaldò il proprio. Non era diverso da quelli che gli dava due anni fa. Era dolce uguale.

"Vai a riposare," Fu quello che disse l'uomo quando si allontanarono, sopprimendo il bisogno di toccare il viso del giovane. "Non hai più nulla da fare, qui. Ti meriti un lungo riposo, di goderti le nuvole e di bere tutto il latte al cacao che vuoi, moccioso. Smettila di star dietro ad un vecchio incattivito."

Eren gli sorrise ancora e questa volta Levi non riuscì a non baciarlo. "Pensavo di essere solo la tua coscienza."

"A nessuno piacciono i so-tutto-io."

"Va bene," Sbuffò il ragazzo. "Me ne andrò. Basta che non ti dimentichi di me."

"Non riuscirei neanche se ci provassi."

Con un ultimo bacio, Eren sparì dalla sua vista.

•••


Levi scoprì che c'erano piccoli villaggi al di fuori della sua via.

Una minuscola cittadina rurale era posta tra gli alberi appena venti minuti di distanza da casa sua, con le sue architetture antiquate e una farmacia che aveva l'insegna recitante 'drogheria'. C'era un negozietto, un ufficio postale, un dipartimento di polizia più piccolo del suo ex appartamento e... Basta.

Altri cinque minuti di guida lo avrebbero portato ad una fila di case che avrebbero potuto appartenere ad una favola dei fratelli Grimm. Levi vide per lo più vecchi, qualche adulto e pochissimi adolescenti e bambini. Nessun giovane uomo avrebbe voluto sprecare la propria vita in un paese del genere, nascosto in una foresta dove probabilmente non c'era neanche la linea telefonica.

Levi si chiuse il cappotto e si portò la sciarpa fin sopra il naso, quando starnutì. Fece una smorfia e si appuntò mentalmente di buttare tutto a lavare, quando sarebbe tornato a casa.

Era raro che si ammalasse, ma quando gli capitava si ammalava per bene.

La drogheria era piccola come il resto del paese, rustica e accogliente. Il suono di una campanella annunciò la sua entrata, ma non ci prestò attenzione, guardandosi attorno mentre si puliva le scarpe sul tappetino. Sospirò e iniziò ad aggirarsi tra gli scaffali, alla ricerca di qualcosa che potesse alleviare i suoi sintomi.

Passò uno scomparto che vendeva giocattoli, un altro dedicato all'igiene femminile, un altro ancora con delle forniture da campeggio, poi finalmente arrivò ai medicinali.

Guardò ogni etichetta, comparando i dosaggi e ciò che il farmaco avrebbe alleviato. Starnuti e naso colante, mal di gola, tosse e febbre. Andava bene, ma non era abbastanza. Voleva trovare qualcosa che lo avesse fatto dormire per almeno otto ore.

"Posso consigliarti... Questo qua?" Gli disse una donna dai capelli biondi che le toccavano le spalle in morbide onde. "Agisce velocemente e offre sollievo per dodici ore." Gli rivolse un sorriso gentile, quando l'uomo prese la bottiglia che gli era stata offerta. "O questo, sei vuoi qualcosa di forte."

Levi si voltò per starnutire nuovamente, prima di prendere la seconda bottiglia. "Posso prenderli entrambi?"

La donna ridacchiò e tornò alla cassa. "Puoi, ma questo non significa che dovresti." Si avvicinò alla cassa e ne tirò fuori un libretto da ricevuta. "Mi chiamo Nana, se te lo stavi chiedendo."

Non ci aveva neanche pensato, ad essere sincero, ma probabilmente in un posto così piccolo e lontano dal resto della civiltà era normale rivolgersi per nome già dopo il primo incontro. "Levi." Le disse, appoggiando entrambi i contenitori sul bancone.

"Sei qui per una visita o...?"

"Mi sono trasferito un paio di settimane fa." Cercò il portafogli, mentre cercava di trattenere l'ennesimo starnuto.

"Huh," Disse la donna. "Non ho visto un viso nuovo da queste parti da quando Pixis ha affittato la sua casa. E' tutto?" Al cenno dell'uomo, gli fece lo scontrino. Levi le porse una banconota da venti. "Ti sei trasferito vicino ai Winchester?"

Levi non aveva voglia di parlare, la gola gli faceva un male terribile. "Ashbury." Fu l'unica cosa che disse, intascando il resto.

Nana fece un suono simile ad una risata soffocata. "Le Casa degli Echi, eh? Scommetto che ne stai passando un bel po'."

Improvvisamente interessato, Levi si guardò attorno e, una volta certo che fossero soli, tornò a prestare la propria attenzione alla donna, alzando un sopracciglio. "In che senso?"

Nana si allontanò dalla cassa e iniziò ad organizzare il portariviste con un sorrisetto criptico. "Ogni paese ha le sue leggende metropolitane. Si dice che quella casa sia infestata."

Quasi rise, involontariamente, ma col naso chiuso finì col sembrare un toro asfissiato.

Oh, la casa era decisamente infestata ed era stato proprio grazie al fantasma che la abitava che aveva finito col prendersi l'influenza. Nonostante l'aver concordato nell'andarsene, Eren aveva continuato a vagare per la casa, seppur invisibile. Più di una volta si era svegliato con la schiena gelata, quando il cosiddetto caro fantasma decideva si appiccicarglisi durante la notte.

"Mi ricorderò di appendere l'aglio alle porte." Disse e Nana apparve vagamente confusa nel vederlo così serio.

"Il sale tiene fuori le presenza cattive," Gli disse dopo un momento. Puntò verso il retro del negozietto. "Ma non quella robaccia iodizzata."

Levi scosse la testa e prese la borsa di carta. "Non credo ai fantasmi," Quanto era bugiardo... "Grazie per il tuo aiuto."

"Figurati, Levi. Spero ti riprenda presto."

L'uomo le rivolse un cenno della testa, poi si premette la sciarpa contro la bocca, temendo un altro starnuto.

Sentendosi miserabile, uscì dal negozio e corse verso l'auto, dove accese al massimo il riscaldamento e si scaldò le mani. Non aveva ancora nevicato per la prima volta, eppure già odiava l'inverno. Non per la prima volta considerò di traslocare più a sud, dove era sempre caldo e soleggiato.

Starnutendo e mormorando qualche parolaccia, uscì dal parcheggio e si diresse a casa.

Casa, pensò corrucciato. Dormiva ancora nell'appartamento, per la precisione sul divano, di Erwin durante la settimana, ma tornare nei week end non era più così pesante. Era quasi confortevole. La cucina era sempre pulita, ma le coperte erano sempre spiegazzate grazie alla presenza di un certo fantasma.

Non si sentiva nulla alla radio, durante il viaggio di ritorno, così Levi la spense e optò per pensare a qualsiasi cosa che non avesse a che fare col lavoro e sposi morti. I week end ad Ashbury, seppur rilassanti, finivano col diventare noiosi. Concentrarsi sui libri era impossibile dentro casa, grazie alla strana aura presente che gli dava sempre la sensazione di essere guardato. Levi aveva bisogno di poter fare qualcosa fuori casa senza assiderare nei mesi più freddi.

L'uomo pensò a cosa gli aveva detto Nana, le sue parole ben impresse nella sua mente. Eren era stato a casa sua, assieme a lui, per tre settimane. Chi, o cosa, aveva infestato la casa prima di lui?

Iniziò a piovere.

Dopo aver acceso il tergicristalli girò a destra alla biforcazione, diretto alla via Ashbury.

Ad entrambi i lati della strada c'era selva impenetrabile, querce e pini torreggiavano su tutto il resto. Occasionalmente qualche animale usciva dalla foresta, lasciandosi dietro di sé le sue impronte. La via era praticamente costituita da un tunnel di alberi che si apriva in uno spiazzo d'erba perfettamente circolare, dove sedeva la sua casa.

Nessuno poteva dire che fosse un brutto posto, ma non faceva proprio per lui.

L'uomo parcheggiò l'auto più vicino possibile al porticato, pronto a correre sotto la pioggia scrosciante. Non si era neanche preoccupato di prendersi un ombrello, quando se n'era andato, in quanto aveva pensato che il Sole avrebbe continuato a brillare così come aveva fatto nelle tre settimane precedenti.

Considerò di coprirsi la testa con la sciarpa, ma alla fine ci ripensò, quando ricordò del moccio e germi che ci aveva starnutito contro.

Spense l'auto e aspettò che la pioggia si calmasse.

Con la coda dell'occhio notò una tenda in cucina muoversi.

Un fulmine lo distrasse dal movimento e, una volta che la pioggia non fu altro che una leggera pioggerella, afferrò la borsa di carta ed uscì dall'auto. Si mosse velocemente, stando comunque attento a non cadere. Il naso chiuso non faceva altro che irritarlo, obbligandolo a respirare con la bocca.

La porta d'entrata si aprì mentre si stava scrollando l'acqua di dosso ed Eren lo guardò da dietro di essa, con una mano allungata pronto a prendergli il cappotto. "Buongiorno." Gli disse timidamente. Era la prima volta che si era mostrato, dopo avergli fatto la promessa di lasciarlo solo.

Per sua fortuna, Levi era troppo stanco per arrabbiarsi. Al posto di dargli il cappotto gli consegnò la borsa con le medicine, in modo da togliersi di dosso i vestiti di troppo. "'Giorno," Gli disse, con voce nasale. "Obbediente come al solito."

Prima che Eren potesse ribattere, il fischio di un bollitore lo interruppe. "Ti ho preparato del tè, vecchio ingrato," Gli disse, dirigendosi verso la cucina col sacchetto in mano. "Vai a cambiarti in qualcosa di asciutto."

Ignorando il nomignolo, Levi fece come gli era stato detto. Arrivato alla camera da letto si mise un pigiama, ben deciso a non far nulla tutto il giorno. Il corpo gli doleva al contatto, così si mise il pigiama più morbido che aveva. Non stava facendo i capricci, sapeva di doversi riprendere. Anche Erwin gli aveva ordinato di stare a letto tutta la giornata.

Si diresse verso la cucina e trovò una tazza di tè appena fatto sul ripiano. Eren gli stava preparando un panino. "Puoi prendere la tua medicina dopo aver mangiato." Gli disse e Levi arricciò le dita dei piedi.

La lista dei perché Eren fosse stato sempre speciale per lui non aveva fine, ma erano questi suoi gesti affezionati ed innamorati che lo avevano fatto capitolare. Eren era bel lontano dall'essere perfetto, avendo un carattere che tendeva a farlo esplodere velocemente, ma Carla gli aveva instillato una specie di istinto materno. Durante gli anni, Levi aveva guardato il suo compagno prendersi cura di sua sorella e del suo migliore amico, poi prendersi cura di lui.

Eren era fin troppo adorabile e lo sapeva. Levi non aveva mai avuto il bisogno di dirglielo.

"Prima o poi dovrai andare a fare della spesa," Gli disse il fantasma, aggiungendo del prosciutto tra le fette di pane tostato. "Anche se passi qui solo i week end, non puoi sopravvivere di pane, bibite gassate e gelato per tre giorni di fila."

"Certamente, madre." Levi prese un sorso del tè. Perfetto come sempre. "Cos'è successo al tuo andare via?"

Un piatto venne posato di fonte a lui ed Eren ci mise sopra il panino. "E' più facile dirlo che farlo," Mormorò. "E' stato più difficile starti lontano quando hai iniziato a starnutire."

"E' colpa tua."

Eren annuì e fece un'adorabile smorfia, che però espresse la vergogna che provava. "Mi dispiace."

L'uomo scrollò le spalle, addentando il panino. Ogni boccone sembrava mandargli in fiamme la gola. Non sussultò, perché già sapeva che il suo disagio fosse più che visibile. Eren non fisse nulla, decidendo invece di sistemare la cucina.

"Sono davvero così pesante da sopportare?" Gli chiese, aprendo il freezer e prendendo la confezione di gelato.

Alcune persone tenevano degli oggetti che erano stati cari alle persone amate. Non Levi. Eren non era mai stato il tipo di persona da affezionarsi ad oggetti materiali. La giacca della divisa delle superiori l'aveva data ad Armin, la vecchia chiave che si era sempre portato dietro l'aveva lasciata a Mikasa.

Così Levi teneva sempre una confezione di gelato alla vaniglia nel refrigeratore, perché era il preferito del ragazzo. Per fare pace dopo una litigata sedevano sempre in cucina con una ciotola di gelato e panna montata, facendosi il piedino fino a ritrovarsi sul divano a fare sesso. La morte di un familiare, vecchie ferite, promozioni, compleanni, pigre domeniche mattine... Tutto era accompagnato da una ciotola di gelato alla vaniglia.

"No," Gli rispose. "Ovviamente no."

Eren non lo guardò, mentre si prendeva una ciotola e si serviva. "C'è della panna montata?" Sembrava sollevato.

"E' nella dispensa."

Era ancora nuova, Levi lo guardò rompere il sigillo e spruzzarne una montagna sopra il gelato. "Bene, perché non vedo nessun altro qua a prendersi cura di te."

Per 'nessun altro' intendeva Erwin e questo quasi lo fece ridacchiare. "Ha altro nella sua vita di cui preoccuparsi, sai." Guardò il giovane sedersi di fronte a lui. "Lui e Mike hanno una relazione seria, adesso."

"Non importa," Disse Eren, portandosi un cucchiaino di panna montata alla bocca e mugolando soddisfatto. "Mi ha detto che saresti sempre stato la sua priorità."

Giusto Eren poteva sentirsi confuso sul come sentirsi verso Erwin anche da morto.

"E' un'influenza," Sbuffò l'uomo, sorseggiando il suo tè. "Sopravviverò."

"Mike, uh?" Sbuffò divertito Eren e Levi si chiese se se l'era solo immaginato, perché la benda sopra il naso non accennò alcun movimento. "Voi tre avete-"

"No," Lo interruppe immediatamente l'altro. "Non con Mike."

"Ma con Erwin."

"Una volta," Allontanò il panino, stufo di soffrire nell'inghiottirlo. "Una settimana dopo il tuo funerale."

"Sesso di consolazione?"

"Più che altro sesso di sottomissione. Ho provato a dargli un pugno, mi ha fermato, le cose sono precipitate."

Eren gli rivolse un sorriso obliquo. "Tipico. Perché hai provato a dargli un pugno?"

"Neanche me lo ricordo."

Lo ricordava, invece. Si erano messi ad urlare l'uno contro l'altro quando si erano messi a parlare del suo comportamento autodistruttivo. Non stava superando l'avvenimento nel modo in cui aveva bisogno ed Erwin aveva cercato di farlo ragionare. Non aveva funzionato. Levi era troppo abituato ad ascoltare unicamente Eren, dare ascolto ad un'altra persona gli riusciva impossibile.

Erwin ci aveva provato ugualmente. Ci provava ancora, ma un'importante parte di Levi era andata persa, quando aveva trovato Eren ormai dissanguato sul pavimento della loro camera da letto. Si era perso irrimediabilmente ed un amico come Erwin non poteva neanche sperare di riuscire a sistemarlo.

"Fa ancora roba assieme ad altri, anche se sta con Mike?"

"Con 'altri' intendi in generale o con me?"

"Con te."

Levi scrollò le spalle. "Mike è abbastanza all'antica. Non gli piace che le sue cose vengano toccate." E avrebbe rispettato il suo volere. Nonostante le nottate pazze in cui si era portato a letto sia Eren che Erwin, un filo di gelosia lo aveva sempre sentito nel vedere Erwin premere un bacio sulla spalla del suo compagno. Quindi trovava giusto rispettare il volere di Mike.

La gelosia alla fine era svanita. Lui ed Eren appartenevano l'uno all'altro, mentre Erwin era una persona importante che faceva della sua vita, seppur senza avere un ruolo preciso. La terza ruota che dava loro una maggiore stabilità, come l'uomo aveva scherzato in più di un'occasione, per lo più mentre preparava a tutti e tre la colazione completamente nudo. Un uomo coraggioso che cuoceva la pancetta senza una maglietta addosso.

Eren s'imbronciò. "Non dovrebbe lasciarti solo."

"Non è quello che sta facendo." Gli rispose Levi, rubando il cucchiaino dalle mani di Eren e prendendosi un po' del gelato nella sua tazza. Il sapore contrastava orribilmente quello del tè e del panino, ma lo aiutò a calmare il dolore che aveva alla gola. "Non guardarmi così. Tanto non ti puoi ammalare."

Eren scrollò le spalle e sorrise. "Prendo un altro cucchiaio."

Gli occhi dell'uomo s'inumidirono e starnutì nuovamente, poi emise una stringa di parolacce. "Odio questa merda."

"Magari se ti prendi la medicina..." Mormorò il ragazzo, tornando con un cucchiaio e la busta di carta che l'altro si era portato dietro. Ne tirò fuori i due contenitori e li scosse. "Probabilmente fanno schifo."

"Ne scaccerò il saporaccio col gelato."

Eren gli passò un cucchiaio pieno della robaccia, così Levi la bevve. Lo fece con entrambi i medicinali, anche se non riuscì a trattenere le smorfie disgustate nel sentire il sapore degli intrugli. Appena finì fu veloce a inghiottire diverse cucchiaiate di gelato e, mentre inizialmente anche la vaniglia gli parve amara, dopo un po' riuscì a levarsi il saporaccio di bocca.

"Se pensi che queste siano le attenzioni che Erwin dovrebbe riservarmi, puoi dimenticartelo."

Troppo pigro per alzarsi a sciacquare il cucchiaino, Eren lo usò per mangiarsi la sua parte di gelato, assieme ai residui di medicina. "Ed è per questo che sono qui." Gli disse, portandosi il cucchiaio contro il mento.

"Va bene," Sbuffò l'uomo, irritandosi nel sentire il naso ancora chiuso. "Tanto ho bisogno di qualcuno che mi controlli la casa, mentre sono via."

"Quindi... Posso restare?"

Levi non lo guardò, consapevole di starsi scavando la fossa da solo. Non avrebbe dovuto fare così, non avrebbe dovuto aggrapparsi all'eco di un tesoro che aveva perso e per il quale aveva già sofferto. La casa degli echi, l'aveva chiamata Nana. Si chiese se fosse la casa il motivo dell'apparizione.

"Sì," Gli rispose, perché era debole. Lo era sempre stato. "Puoi restare."

L'enorme sorriso pieno di gioia e adorazione che ricevette gli fece pensare di aver fatto la scelta giusta.

   
 
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