Credits:
i personaggi appartengono a Hajime
Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace.
Mia è solo la traduzione
:3
Levi
tornò una settimana dopo solo per trovare la sua casetta in via
Ashbury esattamente così come l'aveva lasciata, coperta da uno strato di brina nel suo
perfetto cerchio d'erba ormai secca. Nessun fuoco l'aveva rasa al suolo,
come aveva sperato, quindi doveva aver spento la macchina del caffè
prima di dirigersi verso la città. Non gli dispiacque così come invece aveva
pensato, perché aveva preso una decisione.
Al momento, non
c'erano appartamenti che rispettavano le sue richieste, ma il suo nome
sedeva sulla scrivania del suo agente immobiliare. Nel momento
in cui un'offerta sarebbe stata fatta, il suo numero sarebbe stato il
primo ad essere composto. Nel frattempo, Levi avrebbe passato i week
end in campagna e la settimana lavorativa nell'appartamento di
Erwin.
Dopo aver spento il motore, l'uomo rimase al volante
per svariati momenti.
Non c'era nulla ad aspettarlo dall'altra
parte della porta. Non ci sarebbe stato nessuno: niente oltre al
piccolo velo di polvere che avrebbe felicemente spolverato facendo le pulizie.
Lasciò la ventiquattrore sul sedile
dell'accompagnatore e uscì dall'auto, raggiungendo velocemente il
porticato per scappare al freddo vento autunnale.
Col respiro
calmo e i nervi saldi, Levi girò la chiave ed aprì la porta,
ripetendosi che non c'era nulla ad aspettarlo oltre di essa. Se
avesse agito normalmente, se avesse finto che nulla avrebbe potuto
spaventarlo, non sarebbe accaduto nulla. Perché era tutto nella sua mente: i fantasmi non avevano ragione d'esistere.
Cosa lo salutò fu una casa gelida ed una risata
che proveniva dalla TV in salotto.
Immobile sull'uscio della
porta, corrugò le sopracciglia guardando il giovane uomo che stava
sedendo sul suo divano, coi piedi appoggiati al tavolino da caffè e
le gambe incrociate alle caviglie. Le sue dita stavano giocherellando
col bordo della felpa.
"Bentornato a casa." Gli
disse Eren, allontanando lo sguardo dallo schermo per
sorridergli.
"Che si fotta tutto."
Con le
chiavi strette in mano, Levi voltò i tacchi e uscì di
casa.
Avrebbe guidato fino alla città e avrebbe fatto visita
al più vicino ospedale psichiatrico. Tutto questo era stupido,
ridicolo, osceno ed impossibile. La gente non poteva tornare
dall'aldilà. Non esistevano i fantasmi. E anche se esistevano, non
passavano il tempo nel salotto di qualcuno a guardare la
televisione.
Avrebbe chiamato Erwin e gli avrebbe raccontato
la verità. Gli avrebbe detto che vedeva e sentiva cose, che il suo
cervello pensava che Eren lo stesse tormentando. Conoscendo Erwin,
tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato annuire, credergli e
mettergli una camicia di forza.
"Hey, aspetta!" Lo
chiamò Eren dalla porta e - fanculo a lui - poté sentire i suoi
passi mentre scendeva di corsa gli scalini in legno. "Oh, ma
dai!"
"Esci dalla mia cazzo di casa, ora, o giuro
che la brucio fino alle fondamenta." Gli rispose Levi, con un
tono di voce falsamente calmo. Non c'era bisogno che di arrabbiarsi:
anche facendolo non avrebbe ottenuto nulla. L'uomo avrebbe affrontato
la
situazione con calma.
"Il tuo primo tentativo ha
fallito," Gli rispose Eren, quasi petulante. "Hai lasciato
la macchina del caffè accesa."
Levi si bloccò. "E
scommetto che tu l'hai spenta."
"Beh, sì. Sarebbe
stato brutto per te perdere tutti i tuoi averi."
Levi
combatté l'istinto di portarsi una mano al viso, così come
l'istinto di urlare. Scelse di rimanere immobile, lasciando che il
freddo gli gelasse anche l'umore. Poteva sentire il rumore di foglie
secche provenire da dietro di sé, ma si rifiutò di muoversi. Non
sapeva cos'avrebbe fatto se Eren avesse cercato di toccarlo
nuovamente.
"Entri?" Lo pregò jl giovane e le sue parole
strinsero il cuore di Levi. "Sta diventando freddo fuori. Non
voglio che ti venga l'influenza."
Nonostante la rabbia e
l'incredulità, gli occhi dell'uomo presero a bruciargli.
La
forza che aveva di mantenere le proprie decisioni era sempre stato il
tratto di cui era maggiormente orgoglioso, in quanto mai aveva ceduto
in qualsiasi sorta di pressione, sia quando era giovane sia da
adulto. Una volta che prendeva una decisione, nulla avrebbe potuto
fargli cambiare idea. Ma il problema era che Eren una volta era stato
qualcuno a cui aveva tenuto più della sua stessa vita, quindi gli ci
voleva poco per farlo cedere.
Spaventosa realtà o meno, gli
era mancato e alla fine era pur sempre umano. Un debole e codardo
umano.
"Per favore? Non ti farò del male, se è quello a
preoccuparti." Continuò Eren e il vento trasportò la sua voce,
facendola apparire affettuosa e calda. "Me ne andrò, ok? Per...
Vieni dentro. Fammi vedere che stai bene."
"Perché
non dovrei star bene?" Sbottò l'uomo, voltandosi verso il viso
nascosto e inghiottendo un conato di vomito nel notare che l'entità
poteva uscire di casa come se niente fosse.
"Sei corso
via."
"Sì e questo ha a che fare col fatto che sto
conversando col mio marito morto da un po'."
Eren
sobbalzò, come se la menzione della sua morte lo avesse scioccato.
Portò una mano al petto e il dolore che ormai stava diventando
familiare fece bruciare il petto di Levi. Quello era un gesto che il
ragazzo aveva fatto sin da bambino.
"Mi sei mancato."
Quella poca voglia di dargli contro che gli era rimasta svanì.
"Prometto di
andarmene, ok? Per davvero. Lascia solo che ti faccia del tè,
almeno."
Levi lo fissò, studiando ogni movimento e
tremito della sorprendentemente fragile immagine che c'era davanti a
lui. Eren si stava grattando la mano che aveva portato al petto, con
lo sguardo rivolto di lato verso la foresta come un bambino che si
aspettava che gli venisse urlato contro.
Faceva male, perché
nulla era cambiato. Eren era ancora lo stesso, faceva gli stessi
gesti che faceva da vivo e che non sarebbero stati notati da nessuno,
se non da Levi.
"Ti ricordi almeno come farlo?"
Soffiò. Accettare la sconfitta non significava che lo avrebbe fatto
con maturità.
"Ovviamente!" Gli disse Eren,
comportandosi come un cucciolo a cui era stato appena dato un osso.
"Ricordo anche quanto miele ti piace. E' come andare in
bicicletta: è impossibile dimenticarsene."
Senza
aspettare un'altra parola, Eren girò sui tacchi e trotterellò
felice in cucina.
Chi avrebbe pensato che la sua vita avrebbe
preso una piega del genere?
Mettendo da parte la sua
esitazione e aggrappandosi al suo coraggio, Levi tornò in casa e si
chiuse la porta dietro le spalle. Lasciò che il ragazzo si muovesse
in cucina da solo, tirando fuori un bollitore e il contenitore di
foglie di tè che teneva lì per le emergenze, poi si spostò verso
il retro della casa per accendere il riscaldamento.
Quando
tornò trovò il bollitore sulla cucina ed Eren intento a sciacquare una tazza
canticchiando un motivetto sconosciuto.
Se non fosse stato per
le bende sulla sua testa, Levi avrebbe potuto scommettere di essere
tornato indietro nel tempo, nei giorni dove tutto era bello.
"Il
tempo passa diversamente, quando sei morto," Gli disse Eren,
serenamente. "Sinceramente ti ho aspettato." Ridacchiò,
asciugando la tazza con l'asciugamano appeso al refrigeratore.
"Pensavo che qualsiasi cosa mi avesse ucciso sarebbe tornata
anche per te."
I capelli sulla nuca di Levi si
rizzarono.
Pretese di non essere disturbato dall'ammissione,
concentrandosi nel tirarsi vicino uno sgabello e sedersi sopra di esso,
appoggiando un gomito sull'isola prima di tornare a dare la sua
attenzione ad Eren.
"Alla fine ho scoperto che se sei una
brava persona, hai la possibilità di poter vagare e spiare la gente,
prima di essere strattonato via. Un po' come il
paga-per-vedere."
Non parlò per un po' e neanche Levi lo
fece.
Il bollitore iniziò a fischiare, ma Eren rimase aggrappato
al bordo del lavandino, la testa calata.
"Non ho mai
pensato fossi capace di piangere," Gli disse, sussurrando.
"Sorridevi raramente, posso contare con le dita di una mano quante volte lo hai fatto. La
prima volta che abbiamo fatto sesso, al nostro matrimonio, quando ho
finto di aver vinto alla lotteria quella volta... Eri sempre così
forte e io... E' stato come sentire il mio cuore venire strappato a
metà, quando ti ho visto sul nostro letto con le guance bagnate di
lacrime."
Levi strinse i pugni tanto forte da lasciarsi i
segni delle unghie sui palmi. "Il tè." Disse, perché non
sapeva cos'altro dire. Quel momento di disperazione doveva essere stato
privato.
Senza un'altra parola, Eren prese il bollitore. Versò l'acqua
bollente dentro la tazza, poi riempì un filtro a forma di pallina
con le foglie di tè e ce lo mise dentro. Dopo trenta secondi lo tirò
fuori, versando un cucchiaino di tè nella tazza. Poi aggiunse un
cubetto di zucchero e mischiò cinque volte.
La scena scaldò il petto di Levi, perché solitamente a tutto quello seguiva un bacio.
Ma non questa volta. Eren appoggiò la tazza di fronte a lui e fece
qualche passo indietro, rivolgendogli un mezzo sorriso. "Spero
di averlo fatto esattamente come piace a te."
Un fantasma che faceva
il tè, un buon tè, oltretutto. Quello sì che gli era nuovo.
Levi fece un verso
d'approvazione, godendosi il calore che gli accarezzava il viso e
l'aroma che gli stuzzicava il naso. Non troppo amaro, non troppo
dolce, con la giusta concentrazione di tè.
Prima che potesse
fermarsi, sorrise contro la tazza.
Eren gli sorrise di
rimando. "Ebbene?"
"E' buono." Gli rispose
l'uomo, sorseggiando attentamente la sua bevanda in modo da non
bruciarsi la lingua.
"Scelgono sempre le brave persone,"
Gli disse Eren, confondendolo momentaneamente. "Mi è stata
offerta la possibilità di rimanere qua e l'ho presa."
Il
sorriso svanì dal volto di Levi, che appoggiò la tazza.
"Eren-"
"Sei troppo testardo per chiedere
aiuto," Continuò il fantasma, probabilmente perché era già morto e sapeva
che Levi non avrebbe potuto ucciderlo di nuovo. "Preferisci soffrire
da solo, piuttosto che disturbare gli altri con i tuoi
pensieri."
"Smettila."
"Non mi hai
mai fatto vedere niente di tutto questo," Sembrava arrabbiato,
quasi tradito. "Vederti piangere mi ha fatto capire che non sei
invincibile, Levi, che senti la tristezza tanto quanto gli altri e mi
ha fatto incazzare il fatto che ci fossimo conosciuti fa anni, eppure
non ti fossi mai aperto con me."
"Parli troppo."
"Non
sono stupido. Egoista, magari sì, perché so che l'hai fatto per
proteggermi o qualcosa del genere, ma ho sempre voluto che ti fidassi
di me. Tutto quello che volevo fare era darti conforto."
Levi
lo fissò con occhi duri e gelidi. Questa non era una conversazione
che voleva avere, neanche con un fantasma. "L'hai fatto."
Ammise. In più di un'occasione. "E' stata praticamente la
ragione della nostra relazione."
"Non conta di
quando ti sei lasciato con Erwin."
"Perché
no?"
"Perché vai ancora da lui, quando ti succede
qualcosa."
Levi alzò un sopracciglio e combatté
l'istinto di mettersi a ridere. "Non hai mai avuto problemi con
lui, quando ti scopava."
Quel poco di pelle che si poteva
vedere tra le bende del giovane divenne rosa acceso. "Non è
quello che intendevo e lo sai."
"Io ed Erwin siamo
cresciuti assieme."
"Ma io sono la persona che hai
sposato," Sbottò il ragazzo. "Pensavo che avresti potuto
parlare dei tuoi problemi con me, piuttosto che con lui."
"Lo
abbiamo fatto."
"No, non è vero. Tu parlavi sempre
dei miei problemi, ma mai dei tuoi, come se fossi quasi un
peso per me."
"Vuoi che ti chieda scusa?"
Chiese Levi, scrollando le spalle e prendendosi un sorso di tè
"Sì."
Rispose inaspettatamente Eren.
"Lo farei, ma sei morto e
non c'è nulla che io possa fare."
Eren apparve indeciso
se pensare o meno se Levi fosse serio. "Sono proprio qua."
Levi
scrollò la testa. "Tu sei la mia coscienza, che sta cercando di
farmi impazzire per tutto quello che ti ho fatto mentre eri in vita."
Aveva senso, davvero. "Se può aiutarti, domani mi recherò alla
tua tomba e ti chiederò scusa." Prese un altro sorso di tè, ma
quando abbassò la tazza notò l'espressione rassegnata sul volto del
ragazzo.
"Sei un grande stronzo, lo sai?"
Allontanando
la tazza ormai vuota, Levi rispose: "Fin troppo bene. Ma mi
amavi lo stesso."
Levi sobbalzò quando Eren si trovò di
colpo davanti a lui, il suo viso a pochi centimetri di distanza dal
proprio. Fece una smorfia nel trovarsi così vicino alle bende
sporche e notò che la seconda gli copriva le orecchie, non il naso.
Per ultima cosa, notò Eren abbassarsi con esitazione la benda che
gli copriva la bocca.
Non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo
non pelle intoccata. Le labbra erano sottili come lo erano sempre
state, sembravano morbide esattamente come lo erano state e l'uomo
sentì un tremito di bramosia scuotergli lo stomaco.
"Ti
amo ancora." Sussurrò il ragazzo e fu bellissimo vedere
nuovamente le sue labbra muoversi.
Levi non si mosse, quando
Eren eliminò lo spazio fra di loro, premendo le loro labbra assieme
in un bacio leggero. Il ragazzo era freddo come la morte, ma il calore del viso
di Levi gli scaldò il proprio. Non era diverso da quelli
che gli dava due anni fa. Era dolce uguale.
"Vai a
riposare," Fu quello che disse l'uomo quando si allontanarono,
sopprimendo il bisogno di toccare il viso del giovane. "Non hai
più nulla da fare, qui. Ti meriti un lungo riposo, di goderti le
nuvole e di bere tutto il latte al cacao che vuoi, moccioso. Smettila di
star dietro ad un vecchio incattivito."
Eren gli sorrise
ancora e questa volta Levi non riuscì a non baciarlo. "Pensavo
di essere solo la tua coscienza."
"A nessuno
piacciono i so-tutto-io."
"Va bene," Sbuffò il
ragazzo. "Me ne andrò. Basta che non ti dimentichi di
me."
"Non riuscirei neanche se ci provassi."
Con
un ultimo bacio, Eren sparì dalla sua vista.
Levi
scoprì che c'erano piccoli villaggi al di fuori della sua via.
Una
minuscola cittadina rurale era posta tra gli alberi
appena venti minuti di distanza da casa sua, con le sue architetture
antiquate e una farmacia che aveva l'insegna recitante 'drogheria'.
C'era un negozietto, un ufficio postale, un dipartimento di polizia
più piccolo del suo ex appartamento e... Basta.
Altri cinque
minuti di guida lo avrebbero portato ad una fila di case che
avrebbero potuto appartenere ad una favola dei fratelli Grimm. Levi vide per lo più vecchi, qualche adulto e pochissimi
adolescenti e bambini. Nessun giovane uomo avrebbe voluto sprecare la
propria vita in un paese del genere, nascosto in una foresta dove
probabilmente non c'era neanche la linea telefonica.
Levi si
chiuse il cappotto e si portò la sciarpa fin sopra il naso, quando
starnutì. Fece una smorfia e si appuntò mentalmente di buttare
tutto a lavare, quando sarebbe tornato a casa.
Era raro che si
ammalasse, ma quando gli capitava si ammalava per bene.
La
drogheria era piccola come il resto del paese, rustica e accogliente.
Il suono di una campanella annunciò la sua entrata, ma non ci prestò
attenzione, guardandosi attorno mentre si puliva le scarpe sul
tappetino. Sospirò e iniziò ad aggirarsi tra gli scaffali, alla
ricerca di qualcosa che potesse alleviare i suoi sintomi.
Passò
uno scomparto che vendeva giocattoli, un altro dedicato all'igiene
femminile, un altro ancora con delle forniture da campeggio, poi finalmente
arrivò ai medicinali.
Guardò ogni etichetta, comparando i
dosaggi e ciò che il farmaco avrebbe alleviato. Starnuti e naso
colante, mal di gola, tosse e febbre. Andava bene, ma non era
abbastanza. Voleva trovare qualcosa che lo avesse fatto dormire per
almeno otto ore.
"Posso consigliarti... Questo qua?"
Gli disse una donna dai capelli biondi che le toccavano le spalle in
morbide onde. "Agisce velocemente e offre sollievo per dodici
ore." Gli rivolse un sorriso gentile, quando l'uomo prese la
bottiglia che gli era stata offerta. "O questo, sei vuoi
qualcosa di forte."
Levi si voltò per starnutire nuovamente,
prima di prendere la seconda bottiglia. "Posso prenderli
entrambi?"
La donna ridacchiò e tornò alla cassa.
"Puoi, ma questo non significa che dovresti." Si avvicinò
alla cassa e ne tirò fuori un libretto da ricevuta. "Mi chiamo
Nana, se te lo stavi chiedendo."
Non ci aveva neanche
pensato, ad essere sincero, ma probabilmente in un posto così
piccolo e lontano dal resto della civiltà era normale rivolgersi per nome già dopo il primo
incontro. "Levi." Le disse, appoggiando entrambi i
contenitori sul bancone.
"Sei qui per una visita
o...?"
"Mi sono trasferito un paio di settimane fa."
Cercò il portafogli, mentre cercava di trattenere l'ennesimo
starnuto.
"Huh," Disse la donna. "Non ho visto
un viso nuovo da queste parti da quando Pixis ha affittato la sua
casa. E' tutto?" Al cenno dell'uomo, gli fece lo scontrino. Levi
le porse una banconota da venti. "Ti sei trasferito vicino ai
Winchester?"
Levi non aveva voglia di parlare, la gola
gli faceva un male terribile. "Ashbury." Fu l'unica cosa
che disse, intascando il resto.
Nana fece un suono simile ad
una risata soffocata. "Le Casa degli Echi, eh? Scommetto che ne
stai passando un bel po'."
Improvvisamente interessato,
Levi si guardò attorno e, una volta certo che fossero soli, tornò a
prestare la propria attenzione alla donna, alzando un sopracciglio.
"In che senso?"
Nana si allontanò dalla cassa e
iniziò ad organizzare il portariviste con un sorrisetto criptico.
"Ogni paese ha le sue leggende metropolitane. Si dice che quella
casa sia infestata."
Quasi rise, involontariamente, ma
col naso chiuso finì col sembrare un toro asfissiato.
Oh, la
casa era decisamente infestata ed era stato proprio grazie al
fantasma che la abitava che aveva finito col prendersi l'influenza. Nonostante l'aver
concordato nell'andarsene, Eren aveva continuato a vagare per la casa,
seppur invisibile. Più di una volta si era svegliato con la schiena
gelata, quando il cosiddetto caro fantasma decideva si
appiccicarglisi durante la notte.
"Mi ricorderò di
appendere l'aglio alle porte." Disse e Nana apparve vagamente
confusa nel vederlo così serio.
"Il sale tiene fuori le
presenza cattive," Gli disse dopo un momento. Puntò verso il
retro del negozietto. "Ma non quella robaccia iodizzata."
Levi
scosse la testa e prese la borsa di carta. "Non credo ai
fantasmi," Quanto era bugiardo... "Grazie per il tuo
aiuto."
"Figurati, Levi. Spero ti riprenda
presto."
L'uomo le rivolse un cenno della testa, poi si premette
la sciarpa contro la bocca, temendo un altro starnuto.
Sentendosi
miserabile, uscì dal negozio e corse verso l'auto, dove accese al
massimo il riscaldamento e si scaldò le mani. Non aveva ancora
nevicato per la prima volta, eppure già odiava l'inverno. Non per la
prima volta considerò di traslocare più a sud, dove era sempre
caldo e soleggiato.
Starnutendo e mormorando qualche
parolaccia, uscì dal parcheggio e si diresse a casa.
Casa,
pensò corrucciato. Dormiva ancora nell'appartamento, per la precisione sul divano, di Erwin durante
la settimana, ma tornare nei week end non era più così pesante. Era
quasi confortevole. La cucina era sempre pulita, ma le coperte erano
sempre spiegazzate grazie alla presenza di un certo fantasma.
Non
si sentiva nulla alla radio, durante il viaggio di ritorno, così
Levi la spense e optò per pensare a qualsiasi cosa che non avesse a
che fare col lavoro e sposi morti. I week end ad Ashbury, seppur
rilassanti, finivano col diventare noiosi. Concentrarsi sui libri era
impossibile dentro casa, grazie alla strana aura presente che gli dava sempre
la sensazione di essere guardato. Levi aveva bisogno di poter fare
qualcosa fuori casa senza assiderare nei mesi più freddi.
L'uomo
pensò a cosa gli aveva detto Nana, le sue parole ben impresse nella
sua mente. Eren era stato a casa sua, assieme a lui, per tre
settimane. Chi, o cosa, aveva infestato la casa prima di lui?
Iniziò
a piovere.
Dopo aver acceso il tergicristalli girò a destra
alla biforcazione, diretto alla via Ashbury.
Ad entrambi i
lati della strada c'era selva impenetrabile, querce e pini
torreggiavano su tutto il resto. Occasionalmente qualche animale
usciva dalla foresta, lasciandosi dietro di sé le sue impronte. La
via era praticamente costituita da un tunnel di alberi che si apriva in uno spiazzo d'erba
perfettamente circolare, dove sedeva la sua casa.
Nessuno
poteva dire che fosse un brutto posto, ma non faceva proprio per
lui.
L'uomo parcheggiò l'auto più vicino possibile al
porticato, pronto a correre sotto la pioggia scrosciante. Non si era
neanche preoccupato di prendersi un ombrello, quando se n'era andato,
in quanto aveva pensato che il Sole avrebbe continuato a brillare
così come aveva fatto nelle tre settimane precedenti.
Considerò
di coprirsi la testa con la sciarpa, ma alla fine ci ripensò, quando
ricordò del moccio e germi che ci aveva starnutito contro.
Spense
l'auto e aspettò che la pioggia si calmasse.
Con la coda
dell'occhio notò una tenda in cucina muoversi.
Un fulmine lo
distrasse dal movimento e, una volta che la pioggia non fu altro che
una leggera pioggerella, afferrò la borsa di carta ed uscì
dall'auto. Si mosse velocemente, stando comunque attento a non
cadere. Il naso chiuso non faceva altro che irritarlo, obbligandolo a
respirare con la bocca.
La porta d'entrata si aprì mentre si
stava scrollando l'acqua di dosso ed Eren lo guardò da dietro di
essa, con una mano allungata pronto a prendergli il cappotto.
"Buongiorno." Gli disse timidamente. Era la prima volta che
si era mostrato, dopo avergli fatto la promessa di lasciarlo
solo.
Per sua fortuna, Levi era troppo stanco per arrabbiarsi.
Al posto di dargli il cappotto gli consegnò la borsa con le
medicine, in modo da togliersi di dosso i vestiti di troppo.
"'Giorno," Gli disse, con voce nasale. "Obbediente
come al solito."
Prima che Eren potesse ribattere, il
fischio di un bollitore lo interruppe. "Ti ho preparato del tè,
vecchio ingrato," Gli disse, dirigendosi verso la cucina col
sacchetto in mano. "Vai a cambiarti in qualcosa di
asciutto."
Ignorando il nomignolo, Levi fece come
gli era stato detto. Arrivato alla camera da letto si mise un
pigiama, ben deciso a non far nulla tutto il giorno. Il corpo gli
doleva al contatto, così si mise il pigiama più morbido che aveva.
Non stava facendo i capricci, sapeva di doversi riprendere. Anche
Erwin gli aveva ordinato di stare a letto tutta la giornata.
Si
diresse verso la cucina e trovò una tazza di tè appena fatto sul
ripiano. Eren gli stava preparando un panino. "Puoi prendere la
tua medicina dopo aver mangiato." Gli disse e Levi arricciò le
dita dei piedi.
La lista dei perché Eren fosse stato sempre
speciale per lui non aveva fine, ma erano questi suoi gesti
affezionati ed innamorati che lo avevano fatto capitolare. Eren era
bel lontano dall'essere perfetto, avendo un carattere che tendeva a
farlo esplodere velocemente, ma Carla gli aveva instillato una specie
di istinto materno. Durante gli anni, Levi aveva guardato il suo
compagno prendersi cura di sua sorella e del suo migliore amico,
poi prendersi cura di lui.
Eren era fin troppo adorabile e lo
sapeva. Levi non aveva mai avuto il bisogno di dirglielo.
"Prima
o poi dovrai andare a fare della spesa," Gli disse il fantasma,
aggiungendo del prosciutto tra le fette di pane tostato. "Anche
se passi qui solo i week end, non puoi sopravvivere di pane, bibite
gassate e gelato per tre giorni di fila."
"Certamente,
madre." Levi prese un sorso del tè. Perfetto come sempre. "Cos'è
successo al tuo andare via?"
Un piatto venne posato di
fonte a lui ed Eren ci mise sopra il panino. "E' più facile
dirlo che farlo," Mormorò. "E' stato più difficile starti
lontano quando hai iniziato a starnutire."
"E' colpa
tua."
Eren annuì e fece un'adorabile smorfia, che però
espresse la vergogna che provava. "Mi dispiace."
L'uomo
scrollò le spalle, addentando il panino. Ogni boccone sembrava
mandargli in fiamme la gola. Non sussultò, perché già sapeva che
il suo disagio fosse più che visibile. Eren non fisse nulla,
decidendo invece di sistemare la cucina.
"Sono davvero
così pesante da sopportare?" Gli chiese, aprendo il freezer e
prendendo la confezione di gelato.
Alcune persone tenevano
degli oggetti che erano stati cari alle persone amate. Non Levi. Eren
non era mai stato il tipo di persona da affezionarsi ad oggetti
materiali. La giacca della divisa delle superiori l'aveva data ad
Armin, la vecchia chiave che si era sempre portato dietro l'aveva
lasciata a Mikasa.
Così Levi teneva sempre una confezione di
gelato alla vaniglia nel refrigeratore, perché era il preferito
del
ragazzo. Per fare pace dopo una litigata sedevano sempre in cucina
con una ciotola di gelato e panna montata, facendosi il piedino fino
a ritrovarsi sul divano a fare sesso. La morte di un familiare,
vecchie ferite, promozioni, compleanni, pigre domeniche mattine...
Tutto era accompagnato da una ciotola di gelato alla vaniglia.
"No," Gli
rispose. "Ovviamente no."
Eren non lo guardò,
mentre si prendeva una ciotola e si serviva. "C'è
della panna montata?" Sembrava sollevato.
"E' nella
dispensa."
Era ancora nuova, Levi lo guardò rompere il
sigillo e spruzzarne una montagna sopra il gelato. "Bene, perché
non vedo nessun altro qua a prendersi cura di te."
Per
'nessun altro' intendeva Erwin e questo quasi lo fece ridacchiare.
"Ha altro nella sua vita di cui preoccuparsi, sai." Guardò
il giovane sedersi di fronte a lui. "Lui e Mike hanno una
relazione seria, adesso."
"Non importa," Disse Eren,
portandosi un cucchiaino di panna montata alla bocca e mugolando
soddisfatto. "Mi ha detto che saresti sempre stato la sua
priorità."
Giusto Eren poteva sentirsi confuso sul come
sentirsi verso Erwin anche da morto.
"E' un'influenza,"
Sbuffò l'uomo, sorseggiando il suo tè. "Sopravviverò."
"Mike,
uh?" Sbuffò divertito Eren e Levi si chiese se se l'era solo
immaginato, perché la benda sopra il naso non accennò alcun
movimento. "Voi tre avete-"
"No," Lo
interruppe immediatamente l'altro. "Non con Mike."
"Ma
con Erwin."
"Una volta," Allontanò il panino,
stufo di soffrire nell'inghiottirlo. "Una settimana dopo il tuo
funerale."
"Sesso di consolazione?"
"Più
che altro sesso di sottomissione. Ho provato a dargli un pugno, mi ha
fermato, le cose sono precipitate."
Eren gli rivolse un
sorriso obliquo. "Tipico. Perché hai provato a dargli un
pugno?"
"Neanche me lo ricordo."
Lo
ricordava, invece. Si erano messi ad urlare l'uno contro l'altro
quando si erano messi a parlare del suo comportamento autodistruttivo.
Non stava superando l'avvenimento nel modo in cui aveva bisogno ed
Erwin aveva cercato di farlo ragionare. Non aveva funzionato. Levi era
troppo abituato ad ascoltare unicamente Eren, dare ascolto ad
un'altra persona gli riusciva impossibile.
Erwin ci aveva
provato ugualmente. Ci provava ancora, ma un'importante parte di Levi
era andata persa, quando aveva trovato Eren ormai dissanguato sul
pavimento della loro camera da letto. Si era perso irrimediabilmente
ed un amico come Erwin non poteva neanche sperare di riuscire a
sistemarlo.
"Fa ancora roba assieme ad altri, anche se
sta con Mike?"
"Con 'altri' intendi in generale o
con me?"
"Con te."
Levi scrollò le
spalle. "Mike è abbastanza all'antica. Non gli piace che le sue
cose vengano toccate." E avrebbe rispettato il suo volere.
Nonostante le nottate pazze in cui si era portato a letto sia Eren
che Erwin, un filo di gelosia lo aveva sempre sentito nel vedere
Erwin premere un bacio sulla spalla del suo compagno. Quindi trovava
giusto rispettare il volere di Mike.
La gelosia alla fine era
svanita. Lui ed Eren appartenevano l'uno all'altro, mentre Erwin era
una persona importante che faceva della sua vita, seppur senza avere
un ruolo preciso. La terza ruota che dava loro una maggiore stabilità, come l'uomo
aveva scherzato in più di un'occasione, per lo più mentre preparava
a tutti e tre la colazione completamente nudo. Un uomo coraggioso
che cuoceva la pancetta senza una maglietta addosso.
Eren
s'imbronciò. "Non dovrebbe lasciarti solo."
"Non
è quello che sta facendo." Gli rispose Levi, rubando il
cucchiaino dalle mani di Eren e prendendosi un po' del gelato nella
sua tazza. Il sapore contrastava orribilmente quello del tè e del
panino, ma lo aiutò a calmare il dolore che aveva alla gola. "Non
guardarmi così. Tanto non ti puoi ammalare."
Eren
scrollò le spalle e sorrise. "Prendo un altro cucchiaio."
Gli
occhi dell'uomo s'inumidirono e starnutì nuovamente, poi emise una
stringa di parolacce. "Odio questa merda."
"Magari
se ti prendi la medicina..." Mormorò il ragazzo, tornando con un
cucchiaio e la busta di carta che l'altro si era portato dietro. Ne
tirò fuori i due contenitori e li scosse. "Probabilmente fanno
schifo."
"Ne scaccerò il saporaccio col
gelato."
Eren gli passò un cucchiaio pieno della
robaccia, così Levi la bevve. Lo fece con entrambi i medicinali,
anche se non riuscì a trattenere le smorfie disgustate nel sentire
il sapore degli intrugli. Appena finì fu veloce a inghiottire diverse cucchiaiate
di gelato e, mentre inizialmente anche la vaniglia gli parve amara,
dopo un po' riuscì a levarsi il saporaccio di bocca.
"Se
pensi che queste siano le attenzioni che Erwin dovrebbe riservarmi,
puoi dimenticartelo."
Troppo pigro per alzarsi a
sciacquare il cucchiaino, Eren lo usò per mangiarsi la sua parte di
gelato, assieme ai residui di medicina. "Ed è per questo che
sono qui." Gli disse, portandosi il cucchiaio contro il
mento.
"Va bene," Sbuffò l'uomo, irritandosi nel
sentire il naso ancora chiuso. "Tanto ho bisogno di qualcuno che
mi controlli la casa, mentre sono via."
"Quindi...
Posso restare?"
Levi non lo guardò, consapevole di
starsi scavando la fossa da solo. Non avrebbe dovuto fare così, non
avrebbe dovuto aggrapparsi all'eco di un tesoro che aveva perso e per
il quale aveva già sofferto. La casa degli echi, l'aveva
chiamata Nana. Si chiese se fosse la casa il motivo
dell'apparizione.
"Sì," Gli rispose, perché era
debole. Lo era sempre stato. "Puoi restare."
L'enorme
sorriso pieno di gioia e adorazione che ricevette gli fece pensare di
aver fatto la scelta giusta.