Capitolo 2.
Cinque minuti a mezzogiorno. Law aveva
portato la piccola in un negozio di abbigliamento dove si era
asciugata alla belle e meglio e provato vestiti su vestiti; alla fine
le aveva rifatto il guardaroba con capi caldi e più pesanti.
Ora erano a casa, il moro cucinava mentre lei si faceva una doccia
calda e si vestiva.
Per lo più era stata silenziosa, aveva
parlato lo stretto indispensabile e beh, Law di certo non aveva
cercato argomenti per intavolare una conversazione.
Proprio mentre il moro girava il sugo
per la pasta, la bambina entrò in cucina con passo incerto e
con il labbo inferiore mordicchiato dai denti. Il suo non era
imbarazzo, semplicemente non sapeva bene cosa dire; non era avvezza a
quelle gentilezze, in orfanotrofio non c'erano di certo mamme
amorevoli e calorose pronte a tenderti la mano per ogni cosa. Non era
nemmeno abituata a dire grazie perché abituata a stare sola e
quindi a cavarsela come poteva.
Nonostante quell'incertezza, il
silenzio calato tra i due non era pesante o scomodo; era pacifico,
rilassante come se l'uomo dietro ai fornelli volesse dirgli “non
è obbligatorio parlare” e questo la rasserenava.
Sotto
lo sguardo vigile del moro, si sedette su una sedia strofinando le
mani piccole sui jeans chiari contrastanti il maglioncino blu scuro a
collo alto che la copriva e avvolgeva come una calda coperta.
-Grazie.-
Era poco più di un sussurro il
suo ma, tra il silenzio interrotto solo dal borbottare del sugo e
della pentola con la pasta, Law l'aveva sentita lo stesso e risposto
con una pacata scrollata di spalle.
Aveva apparecchiato per tre e
la cosa aveva incuriosito la bambina che cercava di capire chi
potesse essere il terzo ospite guardandosi attorno.
-Come ti chiami?-
-Karen.-
-Law. Vieni da uno orfanotrofio, vero?-
-Si, ma non voglio tornarci là.-
Prevedibile, Law se lo era immaginato.
Minuto dopo minuto, si convinceva sempre più che la
somiglianza della piccola con Kidd fosse molta; entrambi orfani,
entrambi svegli e astuti quel che serve per fuggire dall'orfanotrofio
senza più farsi trovare. Entrambi testardi, al punto da
decidere di vivere per strada e cavarsela da soli piuttosto che
tornare tra quelle mura fredde in attesa dei genitori che non
arriveranno mai.
Law sapeva bene cosa aveva provato Kidd
nell'orfanotrofio, lui stesso glielo aveva detto: c'era tutto, acqua
calda dalla mattina alla sera, cibo fresco e buono, insegnanti bravi
e capaci. Non mancava nulla, ma fra suore pronte a bacchettare le
mani se facevi o dicevi qualcosa di sbagliato, la mensa grande e
spoglia e gli altri bambini era un inferno.
Kidd vedeva arrivare coppie di
genitori e lui sapeva che non erano i suoi perché loro erano
morti. All'inizio si illudeva fossero li per loro, ma che fosse per
la chioma rossa, che fosse per gli occhi da lupo selvaggio come li
definivano le suore o che fosse per il suo atteggiamento ribelle e
diffidente, nessun genitore lo voleva.
Vedeva bambini ridere
felici a coppie che avevano scelto loro e non lui. Ma che colpa ne
aveva lui se i suoi capelli erano fulvi piuttosto che mori? Che colpa
ne aveva lui se le sue iridi erano ambrate e non castane? Cosa si
aspettavano da lui?
Law, a dirla tutta, amava quei capelli
rossi. Erano morbidi al tatto e di un colore straordinario che non
tutti potevano vantare; amava anche quegli occhi che si, ricordavano
un lupo selvaggio per davvero anche grazie all'aspetto imponente e
burbero di Eustass. Era per il colore, era perché erano
piccoli ma incredibilmente profondi, era mille cose inspiegabili che
il moro amava così tanto anche quegli occhi. Si perdeva dentro
essi ogni giorno e guardarli mentre le sue dita si immergevano nella
folta zazzera rossa era indescrivibile.
Eustass Kidd era
interessante sotto ogni punto di vista, in barba a chi pensava il
contrario. E quella bambina gli dava la stessa impressione.
Spaccando il minuto, alle dodici
precise Kidd rientrò proprio mentre il moro impiattava la
pasta. Di sabato il rosso doveva giusto ultimare ciò che in
tutta la settimana non era riuscito a fare e grazie alla sua bravura
e alla sua velocità, riusciva sempre a staccare 5/10 minuti
prima permettendogli di arrivare a casa proprio all'ora di pranzo.
E
Kidd amava entrare in casa e sentire il profumo del pranzo
diffondersi fra le quattro mura.
Senza una parola, chiuse rumorosamente
la porta e calciò via giubbotto e scarpe per poi addentrarsi
in cucina; già si immaginava a sondare con lo sguardo il suo
pranzo, ad afferrare Law per un braccio e impossessarsi della sua
bocca impertinente. Non che lui fosse un romantico o balle simili, ma
aveva bramato quelle labbra dannate per tutto il giorno.
Fece per
fare ciò che si era immaginato, quando i suoi occhi
incrociarono uno sguardo incredibilmente grande, ambrato e curioso.
-Eustass-ya, abbiamo un'ospite.-
-Lo vedo. Chi è?-
Il suo era stato quanto di più
simile a un grugnito e questo meravigliò ancora di più
Karen che osservò curiosa e spaesata l'uomo alto e grosso che
era entrato in cucina. Aveva dei capelli rossi sostenuti da una
fascia nera, un maglione nero dal delicato scollo a v e jeans
azzurri; la sua pelle era diafana, vantava molti muscoli che uniti
allo sguardo duro e assottigliato incutevano timore. Eppure Karen non
riusciva a non guardare quegli occhi.
Erano ambrati come i suoi.
Erano solo più piccoli, più severi e più
vissuti; era assurdo, spiazzante... non credeva di trovare un'altra
persona con gli occhi di quel colore. Lei era stata isolata da tutti
i bambini all'orfanotrofio proprio per questo.
-Mi chiamo Karen.-
Con quella che sembrava curiosità
nello sguardo, Kidd si sedette. Aveva notato qualche graffio sul
volto, le braccia troppo magre e l'aria diffidente celata sotto chili
di stupore dovuta alla sua stazza, ai capelli rossi e anche dal
rossetto. Era pronto a scommettere che quella bambina vivesse per
strada e quando una bambina vive per strada i casi sono due: o è
fuggita di casa oppure è orfana.
Orfana è uguale a
orfanotrofio per Kidd, conscio dei rigidi controlli stradali che la
polizia fa a Sabaody per evitare orfanelli e barboni tra i vicoli.
Ancora ricordava la fatica fatta per sfuggire ad assistenti
sociali e sbirri che gli davano la caccia da quando era fuggito
dall'orfanotrofio. Poi era diventato maggiorenne e lì i suoi
problemi erano finiti dato che a sedici anni aveva adocchiato
un'officina in cui lavorare, la stessa in cui lavorava tutt'ora;
all'ora si era ripromesso di aspettare i 18 anni, nel frattempo
Franky gli faceva fare pratica e gli insegnava il mestiere.
Alla
maggiore età aveva avuto il suo contratto di lavoro e visse in
strada finché non racimolò quanto bastava per affittare
un appartamento.
Quella bambina veniva dalla strada e
l'istinto gli urlava a gran voce orfanotrofio. E in fondo, una mezza
idea del perché Law l'avesse accolta a casa se l'era fatta; in
un certo senso poteva capirlo.
Senza dire una parola, si sedette
al suo posto che era proprio di fronte a quello della bambina mentre
accanto a lui Law sedeva a capotavola.
Il pranzo, in poche parole, volò.
Karen aveva osservato con gioia e meraviglia quel piatto abbondante
di pasta e cielo se era buona! Se l'era spazzolata in pochi minuti,
esattamente come Kidd. Law, l'unico accortosi del comportamento
pressoché identico, ridacchiò nascosto o dal bicchiere
d'acqua o dalle forchettate di maccheroni.
Karen, faceva scorrere
i suoi occhi su tutto: dalla pasta, ai due uomini che discutevano tra
loro fino all'arredo della casa. Voleva imprimersi tutto di quelle
mura perché erano accoglienti e sapevano di famiglia e chissà
quando le sarebbe ricapitato di poter mangiare un piatto caldo, in
abiti comodi e in una vera casa.
A dire il vero, vedere Law che le
comprava ciabatte, pigiami e vestiti l'aveva sorpresa: era come se
dovesse riempire il suo armadio, ma lei non ne aveva uno. Non viveva
lì in quella casa, per quanto essa fosse bella e calorosa.
Già, non viveva lì ed era un peccato; avrebbe venduto
l'anima per vivere sotto un tetto simile.
Ma tutte quelle
compere... aveva persino le sue ciabatte personali. Non voleva
illudersi di essere adottata e accolta, per quanto le sarebbe
piaciuta l'idea, di illusioni ne aveva avute abbastanza.
Decisa a ignorare quel pensiero dolce
e velenoso al tempo stesso, Karen sondò con lo sguardo per
l'ennesima volta Kidd e Law, notando come i loro occhi cambiavano.
Si, cambiavano, sembravano più luminosi, vivi, l'uno cercava
l'altro. Poi capì: lo sguardo ambrato scivolò sulle
mani olivastre del moro e sull'anulare sinistro c'era un anello in
oro. Non sapeva questo granché di anelli, anzi, ma ricordava
un uomo e una donna entrati più volte
all'orfanotrofio.
Entrambi avevano sull'anulare sinistro degli
anelli d'oro e sentì la loro conversazione con una suora che
chiese loro da quanto erano sposati. Sposati.
Stupita dalla sua
intuizione, spostò lo sguardo sulla mano sinistra del rosso e
lo vide; allo stesso dito, lo stesso anello. La deduzione era ovvia,
erano sposati, ma erano due uomini. Possibile? Due uomini sposati?
Era confusa e meravigliata al tempo stesso.
-Siamo sposati da cinque anni.-
-Eh?-
-Guardavi le fedi.-
-Ah, si. Ma siete due maschi... si può?-
Karen ora era davvero imbarazzata. Non voleva apparire scortese, solo che era confusa: non vedeva tutti i giorni due uomini con la fede al dito e che vivevano come ogni coppia sposata. Per lei era una novità. -Certo che si può. E poi, se non lo sposavo io questo qui non se lo pigliava nessuno.-
-Ah, ma sentilo il medicastro! Con quel tuo faccino è già un miracolo se hai me! Dovrebbero farmi una statua per come ti sopporto!-
-Al massimo sono io che sopporto te e poi ti sei visto allo specchio?-
Una piccola risata sfuggì a
Karen che ora era più tranquilla. Temeva di aver fatto una
figuraccia e invece i due battibeccavano come se niente fosse. In
ogni caso, litigi o meno, si era accorta che entrambi mentivano: solo
con lo sguardo, lasciavano intendere una gelosia reciproca
significativa che si ostinavano a camuffare.
Aveva notato anche
quanto fossero diversi: aveva appreso che Law era un medico mentre
Kidd un meccanico. Avevano gusti diversi ed erano simili in poche
cose ovvero orgoglio, determinazione e testardaggine.
Stava bene lì. Con le ciabattine ai piedi, dondolò le gambe e sorridendo poco, timorosa a mostrarsi così felice; temeva che quella serenità svanisse come una bolla di sapone per poi ributtarle in faccia la realtà di un vicolo stretto e gelido come casa, per cui faceva tutto in punta di piedi, anche sorridere.
-Finiscila di lamentarti, Eustass-ya e vai a preparare il letto.-
-Ma perché devo farlo io?!-
-Perché io ho pulito tutta la dannata casa da solo, mentre tu giocavi con le tue macchine.-
-Io non gioco, lavoro!-
-Comunque sia, ora vai di là e prepari il letto per Karen, così ti renderai utile per una volta.-
-Un letto... per me?-
Quelle poche parole attirarono
l'attenzione di Law. Non sorridevano né lui né Kidd ma
erano tranquilli nel loro battibeccare, come se per loro fosse un
semplice parlare. Il moro aveva un sorrisino di sfida, gli occhi
puntati su di lei mentre con la mano tatuata fino alle dita sosteneva
il volto; prima o poi avrebbe chiesto di quei tatuaggi, soprattutto
della macabra scritta sulla dita death.
Law
arcuò il sopracciglio destro, il sorriso immutato.
-Preferisci il vicolo?-
-Certo che no! È che...-
Ecco, era
di nuovo in difficoltà. Sgonfiò le guance, gonfiate in
un broncio nel sentire quella che pareva una provocazione da parte
del moro; francamente restare lì non le sarebbe dispiaciuto,
affatto, ma non voleva apparire come un peso o disturbo e non voleva
nemmeno essere accolta per pena. Per tanto così se ne sarebbe
davvero tornata al vicolo.
Non aveva idea di come spiegarsi, non
era abituata a stare con altre persone; anche in orfanotrofio stava
da sola, si poneva mille domande e dubbi se rivolgere la parola a
qualcuno o meno quindi non parlava con nessuno.
-Ho capito, vado a fare il letto. Se aspetto che tu ti scolli dalla sedia, sono fritto.-
-Se non la pianti di brontolare, Eustass-ya, considerati fritto e mangiato.-
Borbottando chissà cosa, Kidd andò nella stanza degli ospiti. In casa Eustass c'era sempre stata una camera degli ospiti, solo che veniva usata più come ripostiglio che come stanza vera e propria; i pochi ospiti che aveva in genere non si fermavano da lui a eccezione di Law che comunque dormiva nel suo letto dopo qualche round di sesso e Killer che dormiva sul tappeto in quanto “dormire nel letto in cui il suo migliore amico ha fatto sesso è disgustoso”. Parole sue.
Il
rosso, con calma, sgombrò la stanza da scopa, paletta,
aspirapolvere e scatoloni di dubbia provenienza; il letto era già
provvisto di cuscino e materasso, entrambi un'idea di Law la cui
filosofia era “non si sa mai”. Kidd non l'avrebbe mai
ammesso, avrebbe significato bruciarsi tutto l'orgoglio e la dignità,
ma ringraziò mentalmente il moro perché aveva
avuto ragione. Odiava ammetterlo
e ancor di più odiava il fatto che, probabilmente, Law sapeva
di avere avuto ragione già quando aveva comprato cuscino e
materasso.
E fastidio dei fastidi, Trafalgar aveva comprato anche
lenzuola, federa, plaid e piumone. Fottuto
medicastro.
L'unica ragione
per cui li aveva comprati, questo Kidd lo sapeva perfettamente, era
perché federe e lenzuola erano scontate all'inverosimile e
avevano le tinte del manto di un panda. Il plaid invece era in regalo
al piumone, entrambi con la stampa di un lupo al chiaro di luna.
Law
amava gli animali.
Recuperò
il corredo letto dall'armadio, usato come ripostiglio per le coperte
e fece il letto.
Mentre sistemava il letto e apriva la finestra
per cambiare aria, Kidd ripensò a quella bambina di cui
sentiva la voce delicata e incerta provenire dalla cucina.
Non
aveva dubbi, se lo sentiva nelle vene: Karen veniva
dall'orfanotrofio. Gli leggeva in quegli occhi grandi il timore di
esserci riportata e per lui che aveva vissuto sulla pelle la fuga e
gli anni di sopravvivenza alla strada era facile identificare
un'orfana.
Di
orfanotrofi a Sabaody ce n'è uno solo ed è immenso. È
una via di mezzo tra la casa famiglia e il classico orfanotrofio
freddo il cui unico scopo è far vivere i bambini e istruirli;
c'erano così tanti bambini sotto quel tetto che dare amore a
tutti, alla stessa misura e preoccuparsi di ciascun problema o
pensiero era impossibile.
In sostanza, i bambini ritardati, con
malattie o disturbi di ogni sorta avevano la precedenza. Logico,
avevano delle difficoltà enormi, peccato che avevano così
tanta precedenza che gli altri dovevano arrangiarsi su tutto, anche
sull'affrontare i bulletti che spintonavano i più deboli.
Dovevano
arrangiarsi così tanto che alla fine vivevano si sotto un
caldo tetto, ma da soli. Da soli e spesso con neonati da accudire per
dare un aiuto. Poi ogni bimbo voleva essere scelto dalle coppie di
genitori: tutti che facevano gli occhioni e che guardavano con
aspettativa le coppie che entravano all'orfanotrofio.
Alla fine
Kidd era fuggito da quel gelo schifoso di casa e non aveva dubbi
adesso che dopo tutti quegli anni fosse rimasto identico. Chiunque
con un po' di fegato e sale in zucca sarebbe scappato.
Il problema
era il dopo.
Dopo che fuggi da quelle mura, oltre a esse, c'è
la strada. La strada, la vita, il mondo. E lì non trovi mai
una mano fredda o calda tesa per te, trovi vicoli come rifugi, avanzi
di cibo nei bidoni come pasti oppure devi mandare giù il
groppo in gola, rubare da una banchetto di cibo e correre via il più
veloce possibile.
Kidd ce
l'aveva fatta, lo aveva trovato persino divertente fregare da sotto
il naso quegli adulti ma non era stata una vita comoda, né
l'augurava a qualcuno. Lui voleva essere libero, ma a che prezzo.
Niente genitori, punto di riferimento per crescere e imparare a
conoscere e a trattare col mondo, niente pasti degni di tale nome o
coperte calde in cui dormire la notte. Tutte cose che a ogni bambino
mancherebbero.
E
mentre passava la scopa, Kidd rifletteva. Non si aspettava
quell'invasione in casa sua, di certo non ama i bambini né ha
mai avuto il desiderio di averne uno ed è sempre stato
convinto che se si era arrangiato lui potevano benissimo farlo anche
gli altri. Insomma, scegli di fuggire dall'orfanotrofio? D'accordo,
ma poi arrangiati. Dopotutto, scappare da lì significava
essere disposti a cavarsela da soli e avere abbastanza coraggio per
farlo.
Ma in realtà erano tutte bugie e per quanto Kidd lo
sapesse le preferiva alla verità.
Quando lui aveva cercato
la libertà, aveva tanto decantato frasi come “posso
farcela benissimo da solo” e “non ho bisogno di nessuno
di loro”; oltre quelle mura però era tutto diverso. Si
era sentito spaesato, non sapeva come orientarsi e come fare.
Col
tempo ci aveva preso la mano, alla fine. Ma c'era sempre quel ma
maledetto.
Kidd odiava
la pena, odiava riceverne e ancor di più darne. Riceverla per
lui significava che le persone lo vedevano come un debole e darla
significava essere dei sentimentali, avere il cuore tenero e cazzo,
lui non era così!
Ma quello sguardo così grande,
determinato a sopravvivere e spaventato al tempo stesso gli era
rimasto incastrato nel cervello e non se ne voleva andare. Doveva
davvero lasciare che Karen tornasse a vivere in un vicolo?
°°°
-Quindi... mi riporterai all'orfanotrofio?-
-Se avessi voluto riportarti lì non ti avrei comprato pigiama e ciabatte.-
-Giusto...-
Stringendo
il tessuto dei jeans fra le mani, Karen si perse nelle sue
riflessioni. Ormai per lei era chiaro che Law non parlava
direttamente ma in modo velato, come a istigare e divertendosi nel
farlo; doveva leggere lei fra le righe ed era semplice tutto sommato.
Il moro non era cattivo, solo molto particolare.
Aveva capito che
lui non faceva niente senza un motivo, per cui nel momento in cui le
aveva comprato tutte quelle cose l'aveva accolta in casa, ma perché?
Era per pena? E Kidd era d'accordo?
Avrebbe tanto voluto saperlo,
però non riusciva ad esporre i suoi dubbi.
-Non mi fai pena.-
-Allora perché?-
-Perché non dovrei?-
Almeno ora sapeva che non era per pena. Karen sorrise furba; Law sapeva come evitare le domande che non gli andavano a genio e aveva sempre la giusta risposta sulla punta della lingua. Dacché lo aveva conosciuto, ovvero qualche ora fa, non lo aveva ancora visto perdere la sua compostezza né il sorrisetto.
-Non hai riposto alla mia domanda.-
-E tu non risponderai alla mia. Siamo pari.-
-Vero.-
-E non angosciarti per Eustass-ya. So che anche lui è del mio stesso parere, lo conosco bene.-
-Quindi non è un problema se sto qui?-
-Sarà più problematico per lui abituarsi, ma non sei un peso. Se lo fossi, lo avrebbe già detto.-
Karen
alzò di poco le spalle accennando un sorriso; era grata e
impacciata al tempo stesso. Per fortuna Law non era un tipo
logorroico o ficcanaso: rispettava i suoi silenzi, non la tempestava
di domande e con suo sommo sollievo era in grado di capire le sue
paure e i suoi dubbi senza che lei avesse bisogno di esprimerli a
parole. Sommo sollievo, si, ma aveva anche un che di inquietante quel
suo lato.
Sembrava che per il moro fossero tutti dei libri
aperti.
Allo stesso modo parlava con Kidd, solo che con lui aveva
molta più scioltezza e dimestichezza, complici gli anni di
conoscenza.
Comunque
anche Karen aveva capito un paio di cose, senza che Law o Kidd
parlassero. Non era nemmeno certa che il rosso si fosse accorto delle
sue intuizioni, lo stesso non poteva dirlo di Law che l'aveva subito
beccata a fissare e domandarsi delle fedi.
In ogni caso, aveva
capito che Law era un tipo tranquillo, riservato ma molto
intelligente: osservava ogni cosa che lo circondava e forse erano più
i pensieri che le parole. Quante cose aveva pensato di lei? Quante
teorie e supposizioni si era fatto? A rifletterci, le aveva detto
solo frasi di circostanza e l'aveva rassicurata sui suoi dubbi che
aveva capito con troppa facilità per i suoi gusti.
Anche
su Kidd aveva capito qualcosa: oltre ad apparire duro, lo era anche
dentro e per davvero. Scostante e diffidente, aveva guardato Karen
come se si aspettasse qualche mossa falsa; l'aveva sondata da capo a
piedi e per un attimo la mora aveva creduto che l'uomo fosse in grado
di leggerle l'anima, tanto quegli occhi erano intensi. Anche lui si
era fatto delle teorie su di lei?
E poi quel “vado a fare il
letto”... lo aveva camuffato sotto una frecciatina rivolta a
Law, ma sembrava intento a togliere dall'impaccio Karen stessa,
rassicurandola che non c'erano problemi se restava.
Kidd gli
sembrava tanto un lupo: in allerta, cercando di fiutare eventuali
minacce, ma che si rilassava non appena capiva che era tutto a posto.
In casa sembrava il cosiddetto maschio Alfa, malgrado pareva che
a dettar legge fosse Law.
-La camera è un po' vuota, non abbiamo mai avuto ospiti anche di notte.-
-Non sarà peggio dei muri scrostati e del materasso duro dell'orfanotrofio.-
-Direi proprio di no.-
-Vado a vedere la mia stanza.-
Senza
aspettare una risposta che probabilmente non sarebbe arrivata, Karen
scese dalla sedia e corse a cercare la stanza. Uscita dalla cucina
c'era un corridoio corto che a destra portava al pianerottolo e
quindi all'uscita di casa, mentre a sinistra portava alle scale.
Di
fronte alla cucina c'era la sala, grande e luminosa provvista di tv
nera enorme sorretta da una cassettiera in legno scuro massiccio, un
pouf bianco a tono col divano a forma di elle e pieno di cuscini
variopinti, ai muri c'erano foto di animali tranne la più
grande che era la foto di Kidd e Law il giorno del loro matrimonio;
una foto fatta a tradimento, visto che i due si guardavano negli
occhi in attesa che quella specie di prete li sposasse.
Affianco
alla sala c'era il bagno, la cui porta bianca era chiusa; sapeva che
era il bagno perché affianco a quella porta aveva lasciato le
borse con gli acquisti su suggerimento di Law e poi era andata a
farsi la doccia calda.
Karen
salì ansiosa i gradini e si ritrovò a una sorta di
“bivio”: a sinistra c'era una porta chiusa, forse una
camera da letto. Affianco ad essa c'era un'altra porta anche questa
chiusa ma con sopra una targhetta gialla recante la scritta nera
“Law”, il che voleva dire che la stanza era uno studio
con ogni probabilità.
Infine, sul lato destro, c'era una
porta identica a quel del bagno di sotto quindi anche quello doveva
essere un bagno e subito affianco c'era un'altra porta, questa però
era aperta.
Curiosa corse verso quella porta, le ciabatte morbide
resero il suo passo felpato; a rigor di logica, quella era la sua
stanza.
Aggrappandosi
con le mani allo stipite, sporse il viso quanto bastava per vedere al
suo interno; era grande e spaziosa. Sulla sinistra c'era il letto
posto al centro e con la testiera contro il muro, c'era un comodino
in legno chiaro con sopra una lampada molto vecchia a cui era stata
da poco tolta la polvere, parquet color ciliegio e pareti color
panna. Poi c'era un armadio posto proprio alla parete di destra di
fronte al letto.
I colori della stanza bene o male erano circa
gli stessi del resto della casa, vuota proprio come Law l'aveva
definita, ma bella. Dalla finestra enorme sarebbe potuta entrare
tutta la luce del sole, ora inesistente a causa dei nuvoloni neri
gonfi di pioggia, ed era calda.
Calda sia in senso letterario
grazie al riscaldamento acceso, un termosifone stava proprio sotto il
davanzale della finestra, sia in senso impressivo. Così vuota
eppure così accogliente... per quanto la stanza che aveva
all'orfanotrofio fosse arredata, non gli dava quella sensazione di
casa che invece provava ora.
Poi
lo vide: Kidd, che spazzava il pavimento. Gli aveva fatto il letto,
spolverato i mobili e ora toglieva la polvere dallo stesso parquet;
era perso nei suoi pensieri che sembravano fitti e molto seri a
giudicare dall'espressione concentrata.
Era assorto e non sembrava
essersi accorto della sua presenza e lei non faceva nulla per farsi
notare; non aveva mai amato molto le attenzioni, le piaceva invece
restare a guardare le persone. Così facendo capiva molto di
loro e in fondo non voleva disturbare il rosso.
Ma alla fine si
fece comunque coraggio.
Se doveva vivere lì, anche solo
per pochi giorni, non voleva un assoluto silenzio tra lei e Kidd;
almeno poteva ringraziarlo e capire se davvero all'uomo andasse bene
la sua presenza.
-È una bella camera.-
Il viso sorpreso del rosso si voltò fulmineo verso di lei; quegli occhi la scrutarono per qualche istante per poi tornare fissi su ciò che Kidd faceva. Era stata così presa da quei piccoli occhi che non aveva notato subito un piccolo e buffo dettaglio: il rosso non aveva le sopracciglia.
-Volevo ringraziare anche te.-
-L'hai appena fatto.-
Con
passo lento e sicuro, Karen andò a sedersi sul letto e nel
muoversi gli occhi di Kidd non abbandonarono la sua figura nemmeno
per un istante.
Il rosso non si aspettava che la bambina venisse
subito a vedere la camera; francamente, il punto dei suoi pensieri
non era certo quello. Il punto era che se davvero non l'avesse voluta
in casa avrebbe già discusso con Law e di certo non si sarebbe
messo a fare il letto e ripulire quella stanza.
Restava
il fatto che sentiva di star facendo la figura del sentimentale.
Insomma, puliva e ripuliva quasi con cura quella camera, aveva
accettato senza dire ma una bambina in casa senza manco conoscerla e
solo perché sapeva che veniva dalla strada. Solo perché
sapeva che avrebbe fatto la sua stessa vita, lui inconsciamente aveva
già deciso di impedirgli tale stile di vita; non aveva mai
avuto a cuore nessuno e in fondo che gli importava se qualcuno viveva
di furti, scarti e in vicoli gelidi? Vedeva barboni quasi tutti i
giorni che vivevano in quel modo da dio solo sa quanto tempo e non
provava la minima emozione.
Possibile che quella bambina fosse
diversa?
Per
poco Kidd non sorrise di puro sarcasmo. Che domanda retorica, certo
che lei era diversa e non perché era una bambina. Era per quei
dannati occhi e quei suoi sguardi, così coraggiosi ma anche
spaesati e impauriti malgrado Karen cercasse di celare la paura a
ogni costo.
Era perché guardandola gli sembrava di
rivivere sulla sua pelle tutta la sua stessa vita prima di avere il
lavoro, prima di conoscere Law, prima di conoscere Killer. I ricordi
più brutti li sentiva come vivi, reali, al solo
pensiero che lei stesse facendo quella vita e non c'era niente di più
brutto nel rivivere tutto, nel ricordare così bene ogni
sensazione ed esperienza provate e sapere che qualcun altro le stava
vivendo o che le avrebbe vissute di lì a poco.
Si,
era vero, vedeva barboni quasi ogni giorno ma oltre a sé
stesso e Killer non conosceva nessun orfano che aveva avuto il fegato
di andare oltre le mura dell'orfanotrofio, vivere il presente senza
sapere il domani e cercando di costruirsi un futuro, qualunque esso
fosse.
E quella bambina, Karen, sembrava uno scherzo del destino:
piccola, orfana, con le stesse aspettative di vita che aveva avuto
lui in passato e con la stessa ambra dannata negli occhi.
Era
pronto a scommettere un braccio, Kidd, che anche la mora non era
benvista per quegli occhi; in fondo, potevano passare tutti gli anni
di questo mondo che quell'orfanotrofio non sarebbe mai cambiato.
-Da quanto tempo era che vivevi per strada?-
-Due anni.-
-Mica male.-
Un
sorriso sghembo che pareva più un ghigno, deformò
quella bocca coperta di rossetto. A Karen non faceva effetto, né
importava a dirla tutta; al momento era presa molto di più da
quel “da quanto tempo era che vivevi per strada”. Era
che vivevi. Vuol dire che lei non vive più tra vicoli e
spazzatura, voleva dire che non doveva più rubare e vivere di
scarti. Voleva dire tanto.
Anche Kidd la voleva tra quelle
mura.
Ora sentiva il cuore molto più leggero, si
sentiva felice.
-Deve far schifo.-
-Eh?-
-L'orfanotrofio.-
Ma
era davvero così ovvio che venisse dal maledetto orfanotrofio?
Erano tutti geni in quella casa o era lei che aveva tutto scritto in
faccia come il peggiore dei libri che appena leggi il prima capitolo
sai già come finisce? Prima Law che chiedeva una conferma alla
sua intuizione, ora Kidd che se ne usciva convinto! Non sapeva come
sentirsi, nemmeno capiva bene come si sentiva ora.
Si guardò
le ciabatte viola coi gatti neri disegnati sopra che lei stessa aveva
scelto.
-Non è esattamente la mia idea di casa.-
-Penso che nessuno trovi quella prigione una casa.-
-Prigione?-
-È la prima cosa che mi viene in mente pensando alla parola “orfanotrofio”.-
-Ah.-
Anche
per Karen quel posto voleva dire prigione, ma lei lo conosceva, ci
aveva vissuto per sei anni. Le suore glielo avevano detto: i suoi
genitori l'avevano lasciata all'orfanotrofio appena lei era nata. Suo
padre aveva appena fatto in tempo a vederla nascere che era morto
circa un mese dopo di cancro mentre la madre... di lei non sapeva
nulla solo che la suora più anziana, dall'occhio severo ed
esperto, l'aveva osservata per bene e l'aveva creduta sin dall'inizio
una tossico-dipendente.
L'aveva descritta come una donna dai
capelli arruffati, le braccia rosse in più punti, segni di
puntura appena fatti come se avesse ripreso dopo mesi.
Non
sapeva se ora fosse ancora viva o se fosse morta, effettivamente, ma
era come se non ci fosse mai stata. Anzi, non ci era mai stata e
basta, l'aveva lasciata in quell'enorme gabbia e da cui a sei anni
era riuscita a fuggire.
Come poteva ora Kidd definire prigione
quel posto? Solo perché l'orfanotrofio gli suonava male? No,
non ci credeva e non ci avrebbe creduto per niente al mondo.
Però...
quella sua affermazione convinta e quegli occhi d'oro che sapevano di
vissuto erano troppo autentici per pensare che il rosso stesse
mentendo; neanche l'attore più premiato poteva eguagliare un
simile sguardo.
C'era
un qualcosa di Kidd che le sfuggiva. Non riusciva ad afferrare cosa,
però; c'erano istanti in cui si sentiva incredibilmente vicina
all'uomo e altri istanti in cui era profondamente distante. Sembrava
capirla e al tempo stesso sembrava parlare di cose a lei ignote.
Tra
Kidd e Law non sapeva dire chi era più misterioso.
Si
girò quanto bastava col busto per poter vedere fuori dalla
finestra; dalle nuvole cadeva molta più acqua, come se il
cielo stesse piangendo. Le suore dicevano che quando piove è
perché gli angeli cercavano di ripulire il mondo da tutto ciò
che era malvagio, ma per lei erano assurdità: era pioggia, un
fenomeno atmosferico frutto di Madre Natura, non un miracolo divino.
Continuando a guardare quelle gocce che con furia di abbattevano
anche sui vetri della finestra, Karen inclinò il volto sulla
spalla destra.
Per due anni, proprio fino a una o due ore fa,
aveva vissuto per strada sfidando la natura e le sue intemperie;
adesso si ritrovava un tetto caldo sopra la testa e che tetto. Chissà
se senza tutta quella pioggia Law l'avrebbe notata comunque e accolta
in casa sua.
Tornando
a guardare Kidd che finiva si sistemare quel poco che c'era nella sua
stanza, sorrise appena appena, attenta a non farsi vedere. Con un
piccolo balzo scese dal letto e corse di sotto; senza guardare Law
ora appoggiato allo stipite della cucina, corse verso la porta del
bagno vicino cui aveva lasciato tutte le borse. Erano così
tante che come minimo avrebbe dovuto fare quattro o forse cinque
viaggi, ma ne valeva la pena. Afferrò le prime due borse e
decisa a fare da sola non chiese il minimo aiuto, correndo di nuovo
verso le scale.
Aveva un armadio da riempire, dopotutto.
Angolino Eustassiano_
Tadaaaaaaaan!
Ecco il nuovo capitolo! L'ho riletto miliardi di volte quindi non
credo ci siano errori, ma nel caso fatemi sapere che li correggo :3 E
beh, sono o non stata veloce? Hm, forse troppo rispetto ai miei
soliti ritardi... mi faccio paura xD
Ebbene, è arrivata
Karen! La mia idea per Karen, come avrete già capito, è
questa: mischiare alcuni aspetti del carattere di Kidd con alcuni
aspetti del carattere di Law e mixare il tutto con un po' di
femminilità. Perché dai, una bimba come Karen ci voleva
;)
E stranamente non ho molto da dire oggi. Stasera
nevicherà.
Beh, che altro dire, approfitto per ringraziare
di cuore cuorissimo chi ha messo la ff tra le seguite e ricordate! Un
grazie immenso anche a chi mi ha lasciato recensioni (amorine!) e
tanti mille grazie anche a chi legge silenziosamente <3
Bene,
vi aspetto nell'angolo recensioni! Fatemi sapere che ne pensate, alla
prossima!
Kiss and Bye
Eustass_Sara