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Autore: Eustass_Sara    10/12/2015    2 recensioni
Buuuuuuon salve! :D Yeah, bimbi, sono tornata!
Seguito di Quella strana cosa chiamata matrimonio: cinque anni dopo il matrimonio di Kidd e Law, i due sposini di ritrovano alle prese con un piccolo uragano che sconvolgerà la loro vita.
Questo piccolo uragano è sicuro di sé e composto, il riflesso di Law, ma è anche determinato e testardo, il riflesso di Kidd.
Un piccolo uragano che ha tanto da imparare, tanto da insegnare e tante sorprese in serbo.
Un piccolo uragano tutto al femminile.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto lo stesso tetto.'
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Capitolo 2.



Cinque minuti a mezzogiorno. Law aveva portato la piccola in un negozio di abbigliamento dove si era asciugata alla belle e meglio e provato vestiti su vestiti; alla fine le aveva rifatto il guardaroba con capi caldi e più pesanti. Ora erano a casa, il moro cucinava mentre lei si faceva una doccia calda e si vestiva.
Per lo più era stata silenziosa, aveva parlato lo stretto indispensabile e beh, Law di certo non aveva cercato argomenti per intavolare una conversazione.

Proprio mentre il moro girava il sugo per la pasta, la bambina entrò in cucina con passo incerto e con il labbo inferiore mordicchiato dai denti. Il suo non era imbarazzo, semplicemente non sapeva bene cosa dire; non era avvezza a quelle gentilezze, in orfanotrofio non c'erano di certo mamme amorevoli e calorose pronte a tenderti la mano per ogni cosa. Non era nemmeno abituata a dire grazie perché abituata a stare sola e quindi a cavarsela come poteva.
Nonostante quell'incertezza, il silenzio calato tra i due non era pesante o scomodo; era pacifico, rilassante come se l'uomo dietro ai fornelli volesse dirgli “non è obbligatorio parlare” e questo la rasserenava.
Sotto lo sguardo vigile del moro, si sedette su una sedia strofinando le mani piccole sui jeans chiari contrastanti il maglioncino blu scuro a collo alto che la copriva e avvolgeva come una calda coperta.

-Grazie.-

Era poco più di un sussurro il suo ma, tra il silenzio interrotto solo dal borbottare del sugo e della pentola con la pasta, Law l'aveva sentita lo stesso e risposto con una pacata scrollata di spalle.
Aveva apparecchiato per tre e la cosa aveva incuriosito la bambina che cercava di capire chi potesse essere il terzo ospite guardandosi attorno.

-Come ti chiami?-

-Karen.-

-Law. Vieni da uno orfanotrofio, vero?-

-Si, ma non voglio tornarci là.-

Prevedibile, Law se lo era immaginato. Minuto dopo minuto, si convinceva sempre più che la somiglianza della piccola con Kidd fosse molta; entrambi orfani, entrambi svegli e astuti quel che serve per fuggire dall'orfanotrofio senza più farsi trovare. Entrambi testardi, al punto da decidere di vivere per strada e cavarsela da soli piuttosto che tornare tra quelle mura fredde in attesa dei genitori che non arriveranno mai.
Law sapeva bene cosa aveva provato Kidd nell'orfanotrofio, lui stesso glielo aveva detto: c'era tutto, acqua calda dalla mattina alla sera, cibo fresco e buono, insegnanti bravi e capaci. Non mancava nulla, ma fra suore pronte a bacchettare le mani se facevi o dicevi qualcosa di sbagliato, la mensa grande e spoglia e gli altri bambini era un inferno.

Kidd vedeva arrivare coppie di genitori e lui sapeva che non erano i suoi perché loro erano morti. All'inizio si illudeva fossero li per loro, ma che fosse per la chioma rossa, che fosse per gli occhi da lupo selvaggio come li definivano le suore o che fosse per il suo atteggiamento ribelle e diffidente, nessun genitore lo voleva.
Vedeva bambini ridere felici a coppie che avevano scelto loro e non lui. Ma che colpa ne aveva lui se i suoi capelli erano fulvi piuttosto che mori? Che colpa ne aveva lui se le sue iridi erano ambrate e non castane? Cosa si aspettavano da lui?

Law, a dirla tutta, amava quei capelli rossi. Erano morbidi al tatto e di un colore straordinario che non tutti potevano vantare; amava anche quegli occhi che si, ricordavano un lupo selvaggio per davvero anche grazie all'aspetto imponente e burbero di Eustass. Era per il colore, era perché erano piccoli ma incredibilmente profondi, era mille cose inspiegabili che il moro amava così tanto anche quegli occhi. Si perdeva dentro essi ogni giorno e guardarli mentre le sue dita si immergevano nella folta zazzera rossa era indescrivibile.
Eustass Kidd era interessante sotto ogni punto di vista, in barba a chi pensava il contrario. E quella bambina gli dava la stessa impressione.

Spaccando il minuto, alle dodici precise Kidd rientrò proprio mentre il moro impiattava la pasta. Di sabato il rosso doveva giusto ultimare ciò che in tutta la settimana non era riuscito a fare e grazie alla sua bravura e alla sua velocità, riusciva sempre a staccare 5/10 minuti prima permettendogli di arrivare a casa proprio all'ora di pranzo.
E Kidd amava entrare in casa e sentire il profumo del pranzo diffondersi fra le quattro mura.

Senza una parola, chiuse rumorosamente la porta e calciò via giubbotto e scarpe per poi addentrarsi in cucina; già si immaginava a sondare con lo sguardo il suo pranzo, ad afferrare Law per un braccio e impossessarsi della sua bocca impertinente. Non che lui fosse un romantico o balle simili, ma aveva bramato quelle labbra dannate per tutto il giorno.
Fece per fare ciò che si era immaginato, quando i suoi occhi incrociarono uno sguardo incredibilmente grande, ambrato e curioso.

-Eustass-ya, abbiamo un'ospite.-

-Lo vedo. Chi è?-

Il suo era stato quanto di più simile a un grugnito e questo meravigliò ancora di più Karen che osservò curiosa e spaesata l'uomo alto e grosso che era entrato in cucina. Aveva dei capelli rossi sostenuti da una fascia nera, un maglione nero dal delicato scollo a v e jeans azzurri; la sua pelle era diafana, vantava molti muscoli che uniti allo sguardo duro e assottigliato incutevano timore. Eppure Karen non riusciva a non guardare quegli occhi.
Erano ambrati come i suoi. Erano solo più piccoli, più severi e più vissuti; era assurdo, spiazzante... non credeva di trovare un'altra persona con gli occhi di quel colore. Lei era stata isolata da tutti i bambini all'orfanotrofio proprio per questo.

-Mi chiamo Karen.-

Con quella che sembrava curiosità nello sguardo, Kidd si sedette. Aveva notato qualche graffio sul volto, le braccia troppo magre e l'aria diffidente celata sotto chili di stupore dovuta alla sua stazza, ai capelli rossi e anche dal rossetto. Era pronto a scommettere che quella bambina vivesse per strada e quando una bambina vive per strada i casi sono due: o è fuggita di casa oppure è orfana.
Orfana è uguale a orfanotrofio per Kidd, conscio dei rigidi controlli stradali che la polizia fa a Sabaody per evitare orfanelli e barboni tra i vicoli.
Ancora ricordava la fatica fatta per sfuggire ad assistenti sociali e sbirri che gli davano la caccia da quando era fuggito dall'orfanotrofio. Poi era diventato maggiorenne e lì i suoi problemi erano finiti dato che a sedici anni aveva adocchiato un'officina in cui lavorare, la stessa in cui lavorava tutt'ora; all'ora si era ripromesso di aspettare i 18 anni, nel frattempo Franky gli faceva fare pratica e gli insegnava il mestiere.
Alla maggiore età aveva avuto il suo contratto di lavoro e visse in strada finché non racimolò quanto bastava per affittare un appartamento.

Quella bambina veniva dalla strada e l'istinto gli urlava a gran voce orfanotrofio. E in fondo, una mezza idea del perché Law l'avesse accolta a casa se l'era fatta; in un certo senso poteva capirlo.
Senza dire una parola, si sedette al suo posto che era proprio di fronte a quello della bambina mentre accanto a lui Law sedeva a capotavola.

Il pranzo, in poche parole, volò. Karen aveva osservato con gioia e meraviglia quel piatto abbondante di pasta e cielo se era buona! Se l'era spazzolata in pochi minuti, esattamente come Kidd. Law, l'unico accortosi del comportamento pressoché identico, ridacchiò nascosto o dal bicchiere d'acqua o dalle forchettate di maccheroni.
Karen, faceva scorrere i suoi occhi su tutto: dalla pasta, ai due uomini che discutevano tra loro fino all'arredo della casa. Voleva imprimersi tutto di quelle mura perché erano accoglienti e sapevano di famiglia e chissà quando le sarebbe ricapitato di poter mangiare un piatto caldo, in abiti comodi e in una vera casa.

A dire il vero, vedere Law che le comprava ciabatte, pigiami e vestiti l'aveva sorpresa: era come se dovesse riempire il suo armadio, ma lei non ne aveva uno. Non viveva lì in quella casa, per quanto essa fosse bella e calorosa. Già, non viveva lì ed era un peccato; avrebbe venduto l'anima per vivere sotto un tetto simile.
Ma tutte quelle compere... aveva persino le sue ciabatte personali. Non voleva illudersi di essere adottata e accolta, per quanto le sarebbe piaciuta l'idea, di illusioni ne aveva avute abbastanza.

Decisa a ignorare quel pensiero dolce e velenoso al tempo stesso, Karen sondò con lo sguardo per l'ennesima volta Kidd e Law, notando come i loro occhi cambiavano. Si, cambiavano, sembravano più luminosi, vivi, l'uno cercava l'altro. Poi capì: lo sguardo ambrato scivolò sulle mani olivastre del moro e sull'anulare sinistro c'era un anello in oro. Non sapeva questo granché di anelli, anzi, ma ricordava un uomo e una donna entrati più volte all'orfanotrofio.
Entrambi avevano sull'anulare sinistro degli anelli d'oro e sentì la loro conversazione con una suora che chiese loro da quanto erano sposati. Sposati.
Stupita dalla sua intuizione, spostò lo sguardo sulla mano sinistra del rosso e lo vide; allo stesso dito, lo stesso anello. La deduzione era ovvia, erano sposati, ma erano due uomini. Possibile? Due uomini sposati? Era confusa e meravigliata al tempo stesso.

-Siamo sposati da cinque anni.-

-Eh?-

-Guardavi le fedi.-

-Ah, si. Ma siete due maschi... si può?-

Karen ora era davvero imbarazzata. Non voleva apparire scortese, solo che era confusa: non vedeva tutti i giorni due uomini con la fede al dito e che vivevano come ogni coppia sposata. Per lei era una novità. -Certo che si può. E poi, se non lo sposavo io questo qui non se lo pigliava nessuno.-

-Ah, ma sentilo il medicastro! Con quel tuo faccino è già un miracolo se hai me! Dovrebbero farmi una statua per come ti sopporto!-

-Al massimo sono io che sopporto te e poi ti sei visto allo specchio?-

Una piccola risata sfuggì a Karen che ora era più tranquilla. Temeva di aver fatto una figuraccia e invece i due battibeccavano come se niente fosse. In ogni caso, litigi o meno, si era accorta che entrambi mentivano: solo con lo sguardo, lasciavano intendere una gelosia reciproca significativa che si ostinavano a camuffare.
Aveva notato anche quanto fossero diversi: aveva appreso che Law era un medico mentre Kidd un meccanico. Avevano gusti diversi ed erano simili in poche cose ovvero orgoglio, determinazione e testardaggine.

Stava bene lì. Con le ciabattine ai piedi, dondolò le gambe e sorridendo poco, timorosa a mostrarsi così felice; temeva che quella serenità svanisse come una bolla di sapone per poi ributtarle in faccia la realtà di un vicolo stretto e gelido come casa, per cui faceva tutto in punta di piedi, anche sorridere.

-Finiscila di lamentarti, Eustass-ya e vai a preparare il letto.-

-Ma perché devo farlo io?!-

-Perché io ho pulito tutta la dannata casa da solo, mentre tu giocavi con le tue macchine.-

-Io non gioco, lavoro!-

-Comunque sia, ora vai di là e prepari il letto per Karen, così ti renderai utile per una volta.-

-Un letto... per me?-

Quelle poche parole attirarono l'attenzione di Law. Non sorridevano né lui né Kidd ma erano tranquilli nel loro battibeccare, come se per loro fosse un semplice parlare. Il moro aveva un sorrisino di sfida, gli occhi puntati su di lei mentre con la mano tatuata fino alle dita sosteneva il volto; prima o poi avrebbe chiesto di quei tatuaggi, soprattutto della macabra scritta sulla dita death.
Law arcuò il sopracciglio destro, il sorriso immutato.

-Preferisci il vicolo?-

-Certo che no! È che...-

Ecco, era di nuovo in difficoltà. Sgonfiò le guance, gonfiate in un broncio nel sentire quella che pareva una provocazione da parte del moro; francamente restare lì non le sarebbe dispiaciuto, affatto, ma non voleva apparire come un peso o disturbo e non voleva nemmeno essere accolta per pena. Per tanto così se ne sarebbe davvero tornata al vicolo.
Non aveva idea di come spiegarsi, non era abituata a stare con altre persone; anche in orfanotrofio stava da sola, si poneva mille domande e dubbi se rivolgere la parola a qualcuno o meno quindi non parlava con nessuno.

-Ho capito, vado a fare il letto. Se aspetto che tu ti scolli dalla sedia, sono fritto.-

-Se non la pianti di brontolare, Eustass-ya, considerati fritto e mangiato.-

Borbottando chissà cosa, Kidd andò nella stanza degli ospiti. In casa Eustass c'era sempre stata una camera degli ospiti, solo che veniva usata più come ripostiglio che come stanza vera e propria; i pochi ospiti che aveva in genere non si fermavano da lui a eccezione di Law che comunque dormiva nel suo letto dopo qualche round di sesso e Killer che dormiva sul tappeto in quanto “dormire nel letto in cui il suo migliore amico ha fatto sesso è disgustoso”. Parole sue.

Il rosso, con calma, sgombrò la stanza da scopa, paletta, aspirapolvere e scatoloni di dubbia provenienza; il letto era già provvisto di cuscino e materasso, entrambi un'idea di Law la cui filosofia era “non si sa mai”. Kidd non l'avrebbe mai ammesso, avrebbe significato bruciarsi tutto l'orgoglio e la dignità, ma ringraziò mentalmente il moro perché aveva avuto ragione. Odiava ammetterlo e ancor di più odiava il fatto che, probabilmente, Law sapeva di avere avuto ragione già quando aveva comprato cuscino e materasso.
E fastidio dei fastidi, Trafalgar aveva comprato anche lenzuola, federa, plaid e piumone.
Fottuto medicastro.
L'unica ragione per cui li aveva comprati, questo Kidd lo sapeva perfettamente, era perché federe e lenzuola erano scontate all'inverosimile e avevano le tinte del manto di un panda. Il plaid invece era in regalo al piumone, entrambi con la stampa di un lupo al chiaro di luna.
Law amava gli animali.

Recuperò il corredo letto dall'armadio, usato come ripostiglio per le coperte e fece il letto.
Mentre sistemava il letto e apriva la finestra per cambiare aria, Kidd ripensò a quella bambina di cui sentiva la voce delicata e incerta provenire dalla cucina.
Non aveva dubbi, se lo sentiva nelle vene: Karen veniva dall'orfanotrofio. Gli leggeva in quegli occhi grandi il timore di esserci riportata e per lui che aveva vissuto sulla pelle la fuga e gli anni di sopravvivenza alla strada era facile identificare un'orfana.

Di orfanotrofi a Sabaody ce n'è uno solo ed è immenso. È una via di mezzo tra la casa famiglia e il classico orfanotrofio freddo il cui unico scopo è far vivere i bambini e istruirli; c'erano così tanti bambini sotto quel tetto che dare amore a tutti, alla stessa misura e preoccuparsi di ciascun problema o pensiero era impossibile.
In sostanza, i bambini ritardati, con malattie o disturbi di ogni sorta avevano la precedenza. Logico, avevano delle difficoltà enormi, peccato che avevano così tanta precedenza che gli altri dovevano arrangiarsi su tutto, anche sull'affrontare i bulletti che spintonavano i più deboli.

Dovevano arrangiarsi così tanto che alla fine vivevano si sotto un caldo tetto, ma da soli. Da soli e spesso con neonati da accudire per dare un aiuto. Poi ogni bimbo voleva essere scelto dalle coppie di genitori: tutti che facevano gli occhioni e che guardavano con aspettativa le coppie che entravano all'orfanotrofio.
Alla fine Kidd era fuggito da quel gelo schifoso di casa e non aveva dubbi adesso che dopo tutti quegli anni fosse rimasto identico. Chiunque con un po' di fegato e sale in zucca sarebbe scappato.
Il problema era il dopo.
Dopo che fuggi da quelle mura, oltre a esse, c'è la strada. La strada, la vita, il mondo. E lì non trovi mai una mano fredda o calda tesa per te, trovi vicoli come rifugi, avanzi di cibo nei bidoni come pasti oppure devi mandare giù il groppo in gola, rubare da una banchetto di cibo e correre via il più veloce possibile.

Kidd ce l'aveva fatta, lo aveva trovato persino divertente fregare da sotto il naso quegli adulti ma non era stata una vita comoda, né l'augurava a qualcuno. Lui voleva essere libero, ma a che prezzo.
Niente genitori, punto di riferimento per crescere e imparare a conoscere e a trattare col mondo, niente pasti degni di tale nome o coperte calde in cui dormire la notte. Tutte cose che a ogni bambino mancherebbero.

E mentre passava la scopa, Kidd rifletteva. Non si aspettava quell'invasione in casa sua, di certo non ama i bambini né ha mai avuto il desiderio di averne uno ed è sempre stato convinto che se si era arrangiato lui potevano benissimo farlo anche gli altri. Insomma, scegli di fuggire dall'orfanotrofio? D'accordo, ma poi arrangiati. Dopotutto, scappare da lì significava essere disposti a cavarsela da soli e avere abbastanza coraggio per farlo.
Ma in realtà erano tutte bugie e per quanto Kidd lo sapesse le preferiva alla verità.
Quando lui aveva cercato la libertà, aveva tanto decantato frasi come “posso farcela benissimo da solo” e “non ho bisogno di nessuno di loro”; oltre quelle mura però era tutto diverso. Si era sentito spaesato, non sapeva come orientarsi e come fare.
Col tempo ci aveva preso la mano, alla fine. Ma c'era sempre quel
ma maledetto.

Kidd odiava la pena, odiava riceverne e ancor di più darne. Riceverla per lui significava che le persone lo vedevano come un debole e darla significava essere dei sentimentali, avere il cuore tenero e cazzo, lui non era così!
Ma quello sguardo così grande, determinato a sopravvivere e spaventato al tempo stesso gli era rimasto incastrato nel cervello e non se ne voleva andare. Doveva davvero lasciare che Karen tornasse a vivere in un vicolo?

°°°

-Quindi... mi riporterai all'orfanotrofio?-

-Se avessi voluto riportarti lì non ti avrei comprato pigiama e ciabatte.-

-Giusto...-

Stringendo il tessuto dei jeans fra le mani, Karen si perse nelle sue riflessioni. Ormai per lei era chiaro che Law non parlava direttamente ma in modo velato, come a istigare e divertendosi nel farlo; doveva leggere lei fra le righe ed era semplice tutto sommato. Il moro non era cattivo, solo molto particolare.
Aveva capito che lui non faceva niente senza un motivo, per cui nel momento in cui le aveva comprato tutte quelle cose l'aveva accolta in casa, ma perché? Era per pena? E Kidd era d'accordo?
Avrebbe tanto voluto saperlo, però non riusciva ad esporre i suoi dubbi.

-Non mi fai pena.-

-Allora perché?-

-Perché non dovrei?-

Almeno ora sapeva che non era per pena. Karen sorrise furba; Law sapeva come evitare le domande che non gli andavano a genio e aveva sempre la giusta risposta sulla punta della lingua. Dacché lo aveva conosciuto, ovvero qualche ora fa, non lo aveva ancora visto perdere la sua compostezza né il sorrisetto.

-Non hai riposto alla mia domanda.-

-E tu non risponderai alla mia. Siamo pari.-

-Vero.-

-E non angosciarti per Eustass-ya. So che anche lui è del mio stesso parere, lo conosco bene.-

-Quindi non è un problema se sto qui?-

-Sarà più problematico per lui abituarsi, ma non sei un peso. Se lo fossi, lo avrebbe già detto.-

Karen alzò di poco le spalle accennando un sorriso; era grata e impacciata al tempo stesso. Per fortuna Law non era un tipo logorroico o ficcanaso: rispettava i suoi silenzi, non la tempestava di domande e con suo sommo sollievo era in grado di capire le sue paure e i suoi dubbi senza che lei avesse bisogno di esprimerli a parole. Sommo sollievo, si, ma aveva anche un che di inquietante quel suo lato.
Sembrava che per il moro fossero tutti dei libri aperti.
Allo stesso modo parlava con Kidd, solo che con lui aveva molta più scioltezza e dimestichezza, complici gli anni di conoscenza.

Comunque anche Karen aveva capito un paio di cose, senza che Law o Kidd parlassero. Non era nemmeno certa che il rosso si fosse accorto delle sue intuizioni, lo stesso non poteva dirlo di Law che l'aveva subito beccata a fissare e domandarsi delle fedi.
In ogni caso, aveva capito che Law era un tipo tranquillo, riservato ma molto intelligente: osservava ogni cosa che lo circondava e forse erano più i pensieri che le parole. Quante cose aveva pensato di lei? Quante teorie e supposizioni si era fatto? A rifletterci, le aveva detto solo frasi di circostanza e l'aveva rassicurata sui suoi dubbi che aveva capito con troppa facilità per i suoi gusti.

Anche su Kidd aveva capito qualcosa: oltre ad apparire duro, lo era anche dentro e per davvero. Scostante e diffidente, aveva guardato Karen come se si aspettasse qualche mossa falsa; l'aveva sondata da capo a piedi e per un attimo la mora aveva creduto che l'uomo fosse in grado di leggerle l'anima, tanto quegli occhi erano intensi. Anche lui si era fatto delle teorie su di lei?
E poi quel “vado a fare il letto”... lo aveva camuffato sotto una frecciatina rivolta a Law, ma sembrava intento a togliere dall'impaccio Karen stessa, rassicurandola che non c'erano problemi se restava.
Kidd gli sembrava tanto un lupo: in allerta, cercando di fiutare eventuali minacce, ma che si rilassava non appena capiva che era tutto a posto.
In casa sembrava il cosiddetto maschio Alfa, malgrado pareva che a dettar legge fosse Law.

-La camera è un po' vuota, non abbiamo mai avuto ospiti anche di notte.-

-Non sarà peggio dei muri scrostati e del materasso duro dell'orfanotrofio.-

-Direi proprio di no.-

-Vado a vedere la mia stanza.-

Senza aspettare una risposta che probabilmente non sarebbe arrivata, Karen scese dalla sedia e corse a cercare la stanza. Uscita dalla cucina c'era un corridoio corto che a destra portava al pianerottolo e quindi all'uscita di casa, mentre a sinistra portava alle scale.
Di fronte alla cucina c'era la sala, grande e luminosa provvista di tv nera enorme sorretta da una cassettiera in legno scuro massiccio, un pouf bianco a tono col divano a forma di elle e pieno di cuscini variopinti, ai muri c'erano foto di animali tranne la più grande che era la foto di Kidd e Law il giorno del loro matrimonio; una foto fatta a tradimento, visto che i due si guardavano negli occhi in attesa che quella specie di prete li sposasse.
Affianco alla sala c'era il bagno, la cui porta bianca era chiusa; sapeva che era il bagno perché affianco a quella porta aveva lasciato le borse con gli acquisti su suggerimento di Law e poi era andata a farsi la doccia calda.

Karen salì ansiosa i gradini e si ritrovò a una sorta di “bivio”: a sinistra c'era una porta chiusa, forse una camera da letto. Affianco ad essa c'era un'altra porta anche questa chiusa ma con sopra una targhetta gialla recante la scritta nera “Law”, il che voleva dire che la stanza era uno studio con ogni probabilità.
Infine, sul lato destro, c'era una porta identica a quel del bagno di sotto quindi anche quello doveva essere un bagno e subito affianco c'era un'altra porta, questa però era aperta.
Curiosa corse verso quella porta, le ciabatte morbide resero il suo passo felpato; a rigor di logica, quella era la sua stanza.

Aggrappandosi con le mani allo stipite, sporse il viso quanto bastava per vedere al suo interno; era grande e spaziosa. Sulla sinistra c'era il letto posto al centro e con la testiera contro il muro, c'era un comodino in legno chiaro con sopra una lampada molto vecchia a cui era stata da poco tolta la polvere, parquet color ciliegio e pareti color panna. Poi c'era un armadio posto proprio alla parete di destra di fronte al letto.
I colori della stanza bene o male erano circa gli stessi del resto della casa, vuota proprio come Law l'aveva definita, ma bella. Dalla finestra enorme sarebbe potuta entrare tutta la luce del sole, ora inesistente a causa dei nuvoloni neri gonfi di pioggia, ed era calda.
Calda sia in senso letterario grazie al riscaldamento acceso, un termosifone stava proprio sotto il davanzale della finestra, sia in senso impressivo. Così vuota eppure così accogliente... per quanto la stanza che aveva all'orfanotrofio fosse arredata, non gli dava quella sensazione di casa che invece provava ora.

Poi lo vide: Kidd, che spazzava il pavimento. Gli aveva fatto il letto, spolverato i mobili e ora toglieva la polvere dallo stesso parquet; era perso nei suoi pensieri che sembravano fitti e molto seri a giudicare dall'espressione concentrata.
Era assorto e non sembrava essersi accorto della sua presenza e lei non faceva nulla per farsi notare; non aveva mai amato molto le attenzioni, le piaceva invece restare a guardare le persone. Così facendo capiva molto di loro e in fondo non voleva disturbare il rosso.
Ma alla fine si fece comunque coraggio.
Se doveva vivere lì, anche solo per pochi giorni, non voleva un assoluto silenzio tra lei e Kidd; almeno poteva ringraziarlo e capire se davvero all'uomo andasse bene la sua presenza.

-È una bella camera.-

Il viso sorpreso del rosso si voltò fulmineo verso di lei; quegli occhi la scrutarono per qualche istante per poi tornare fissi su ciò che Kidd faceva. Era stata così presa da quei piccoli occhi che non aveva notato subito un piccolo e buffo dettaglio: il rosso non aveva le sopracciglia.

-Volevo ringraziare anche te.-

-L'hai appena fatto.-

Con passo lento e sicuro, Karen andò a sedersi sul letto e nel muoversi gli occhi di Kidd non abbandonarono la sua figura nemmeno per un istante.
Il rosso non si aspettava che la bambina venisse subito a vedere la camera; francamente, il punto dei suoi pensieri non era certo quello. Il punto era che se davvero non l'avesse voluta in casa avrebbe già discusso con Law e di certo non si sarebbe messo a fare il letto e ripulire quella stanza.

Restava il fatto che sentiva di star facendo la figura del sentimentale. Insomma, puliva e ripuliva quasi con cura quella camera, aveva accettato senza dire ma una bambina in casa senza manco conoscerla e solo perché sapeva che veniva dalla strada. Solo perché sapeva che avrebbe fatto la sua stessa vita, lui inconsciamente aveva già deciso di impedirgli tale stile di vita; non aveva mai avuto a cuore nessuno e in fondo che gli importava se qualcuno viveva di furti, scarti e in vicoli gelidi? Vedeva barboni quasi tutti i giorni che vivevano in quel modo da dio solo sa quanto tempo e non provava la minima emozione.
Possibile che quella bambina fosse diversa?

Per poco Kidd non sorrise di puro sarcasmo. Che domanda retorica, certo che lei era diversa e non perché era una bambina. Era per quei dannati occhi e quei suoi sguardi, così coraggiosi ma anche spaesati e impauriti malgrado Karen cercasse di celare la paura a ogni costo.
Era perché guardandola gli sembrava di rivivere sulla sua pelle tutta la sua stessa vita prima di avere il lavoro, prima di conoscere Law, prima di conoscere Killer. I ricordi più brutti li sentiva come vivi, reali, al solo pensiero che lei stesse facendo quella vita e non c'era niente di più brutto nel rivivere tutto, nel ricordare così bene ogni sensazione ed esperienza provate e sapere che qualcun altro le stava vivendo o che le avrebbe vissute di lì a poco.

Si, era vero, vedeva barboni quasi ogni giorno ma oltre a sé stesso e Killer non conosceva nessun orfano che aveva avuto il fegato di andare oltre le mura dell'orfanotrofio, vivere il presente senza sapere il domani e cercando di costruirsi un futuro, qualunque esso fosse.
E quella bambina, Karen, sembrava uno scherzo del destino: piccola, orfana, con le stesse aspettative di vita che aveva avuto lui in passato e con la stessa ambra dannata negli occhi.
Era pronto a scommettere un braccio, Kidd, che anche la mora non era benvista per quegli occhi; in fondo, potevano passare tutti gli anni di questo mondo che quell'orfanotrofio non sarebbe mai cambiato.

-Da quanto tempo era che vivevi per strada?-

-Due anni.-

-Mica male.-

Un sorriso sghembo che pareva più un ghigno, deformò quella bocca coperta di rossetto. A Karen non faceva effetto, né importava a dirla tutta; al momento era presa molto di più da quel “da quanto tempo era che vivevi per strada”. Era che vivevi. Vuol dire che lei non vive più tra vicoli e spazzatura, voleva dire che non doveva più rubare e vivere di scarti. Voleva dire tanto.
Anche Kidd la voleva tra quelle mura.
Ora sentiva il cuore molto più leggero, si sentiva felice.

-Deve far schifo.-

-Eh?-

-L'orfanotrofio.-

Ma era davvero così ovvio che venisse dal maledetto orfanotrofio? Erano tutti geni in quella casa o era lei che aveva tutto scritto in faccia come il peggiore dei libri che appena leggi il prima capitolo sai già come finisce? Prima Law che chiedeva una conferma alla sua intuizione, ora Kidd che se ne usciva convinto! Non sapeva come sentirsi, nemmeno capiva bene come si sentiva ora.
Si guardò le ciabatte viola coi gatti neri disegnati sopra che lei stessa aveva scelto.

-Non è esattamente la mia idea di casa.-

-Penso che nessuno trovi quella prigione una casa.-

-Prigione?-

-È la prima cosa che mi viene in mente pensando alla parola “orfanotrofio”.-

-Ah.-

Anche per Karen quel posto voleva dire prigione, ma lei lo conosceva, ci aveva vissuto per sei anni. Le suore glielo avevano detto: i suoi genitori l'avevano lasciata all'orfanotrofio appena lei era nata. Suo padre aveva appena fatto in tempo a vederla nascere che era morto circa un mese dopo di cancro mentre la madre... di lei non sapeva nulla solo che la suora più anziana, dall'occhio severo ed esperto, l'aveva osservata per bene e l'aveva creduta sin dall'inizio una tossico-dipendente.
L'aveva descritta come una donna dai capelli arruffati, le braccia rosse in più punti, segni di puntura appena fatti come se avesse ripreso dopo mesi.

Non sapeva se ora fosse ancora viva o se fosse morta, effettivamente, ma era come se non ci fosse mai stata. Anzi, non ci era mai stata e basta, l'aveva lasciata in quell'enorme gabbia e da cui a sei anni era riuscita a fuggire.
Come poteva ora Kidd definire prigione quel posto? Solo perché l'orfanotrofio gli suonava male? No, non ci credeva e non ci avrebbe creduto per niente al mondo.
Però... quella sua affermazione convinta e quegli occhi d'oro che sapevano di vissuto erano troppo autentici per pensare che il rosso stesse mentendo; neanche l'attore più premiato poteva eguagliare un simile sguardo.

C'era un qualcosa di Kidd che le sfuggiva. Non riusciva ad afferrare cosa, però; c'erano istanti in cui si sentiva incredibilmente vicina all'uomo e altri istanti in cui era profondamente distante. Sembrava capirla e al tempo stesso sembrava parlare di cose a lei ignote.
Tra Kidd e Law non sapeva dire chi era più misterioso.

Si girò quanto bastava col busto per poter vedere fuori dalla finestra; dalle nuvole cadeva molta più acqua, come se il cielo stesse piangendo. Le suore dicevano che quando piove è perché gli angeli cercavano di ripulire il mondo da tutto ciò che era malvagio, ma per lei erano assurdità: era pioggia, un fenomeno atmosferico frutto di Madre Natura, non un miracolo divino.
Continuando a guardare quelle gocce che con furia di abbattevano anche sui vetri della finestra, Karen inclinò il volto sulla spalla destra.
Per due anni, proprio fino a una o due ore fa, aveva vissuto per strada sfidando la natura e le sue intemperie; adesso si ritrovava un tetto caldo sopra la testa e che tetto. Chissà se senza tutta quella pioggia Law l'avrebbe notata comunque e accolta in casa sua.

Tornando a guardare Kidd che finiva si sistemare quel poco che c'era nella sua stanza, sorrise appena appena, attenta a non farsi vedere. Con un piccolo balzo scese dal letto e corse di sotto; senza guardare Law ora appoggiato allo stipite della cucina, corse verso la porta del bagno vicino cui aveva lasciato tutte le borse. Erano così tante che come minimo avrebbe dovuto fare quattro o forse cinque viaggi, ma ne valeva la pena. Afferrò le prime due borse e decisa a fare da sola non chiese il minimo aiuto, correndo di nuovo verso le scale.
Aveva un armadio da riempire, dopotutto.



Angolino Eustassiano_

Tadaaaaaaaan! Ecco il nuovo capitolo! L'ho riletto miliardi di volte quindi non credo ci siano errori, ma nel caso fatemi sapere che li correggo :3 E beh, sono o non stata veloce? Hm, forse troppo rispetto ai miei soliti ritardi... mi faccio paura xD
Ebbene, è arrivata Karen! La mia idea per Karen, come avrete già capito, è questa: mischiare alcuni aspetti del carattere di Kidd con alcuni aspetti del carattere di Law e mixare il tutto con un po' di femminilità. Perché dai, una bimba come Karen ci voleva ;)
E stranamente non ho molto da dire oggi. Stasera nevicherà.
Beh, che altro dire, approfitto per ringraziare di cuore cuorissimo chi ha messo la ff tra le seguite e ricordate! Un grazie immenso anche a chi mi ha lasciato recensioni (amorine!) e tanti mille grazie anche a chi legge silenziosamente <3
Bene, vi aspetto nell'angolo recensioni! Fatemi sapere che ne pensate, alla prossima!
Kiss and Bye

Eustass_Sara

   
 
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