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Autore: WibblyVale    12/12/2015    4 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Shiori camminava da giorni ormai seguendo quel maledetto corvaccio. Non sapeva quanto tempo ancora mancava e se mai sarebbero arrivati. Quando era troppo stanca o affamata si fermava, il corvo si appollaiava sulla sua spalla oppure accanto a lei, e attendeva. Itachi l’aveva ammaestrato bene. Certo lei avrebbe preferito avere l’amico accanto a sé, ma lui era così testardo!
La kunoichi decise di fermarsi. Si sedette contro una roccia e si accarezzò il ventre. Il corvo cominciò a gracchiare. Non l’aveva mai fatto. Forse significava che si stavano avvicinando? Be’ per lei non cambiava molto. Aveva bisogno di riposo. Non avrebbe fatto correre dei rischi al suo piccino.
“Ehy tesoro! Presto arriveremo. Conoscerai Amaya, vedrai che ti piacerà. Scusa se ti faccio faticare così tanto, ma dobbiamo essere al sicuro.” Non sapeva come, o quando, ma aveva preso l’abitudine di parlare con il piccolo. Gli raccontava tutto, anche se non era sicura che potesse veramente sentirla. Sperava tanto che non potesse sentire quello che la sua mamma provasse. Aveva una paura folle che fosse come lei. Non voleva che patisse i suoi stessi problemi.
Il corvo gracchiò un’altra volta, e lei si rimise in piedi.
“D’accordo d’accordo! Ce ne andiamo! Potresti portare un po’ più di pazienza sai!”
Ripartirono lentamente. L’ultimo villaggio l’avevano superato due giorni prima e, da allora, camminavano su di un sentiero sterrato. Ad un tratto un’alta montagna si stagliò davanti a loro. Shiori strinse i pugni, cercando la determinazione che in quel momento le mancava. “Che seccatura!” commentò.
Fu una lunga camminata, attraverso pendii scoscesi e sentieri coperti da intricati grovigli di cespugli che, non essendo curati dall’uomo, si erano impadroniti di tutto. La discesa fu persino peggiore della risalita. Il terreno le franava sotto i piedi e lei non faceva altro che scivolare, maledicendo Itachi e il suo dannato corvo ogni volta. Quando stava per abbandonare le speranze, vide dall’alto una fattoria. Si trovava dopo un piccolo boschetto che, come il suo amico aveva sottolineato, era pieno di trappole.
“Ci siamo, vero?” chiese al corvo senza aspettarsi una risposta.
La casa era formata da uno stabile principale su tre piani, sul lato ovest vi era un grande capannone, che doveva avere la funzione di fienile. Nella parte anteriore vi era un giardino, mentre nella parte posteriore a qualche metro di distanza dalla casa vi era un orto. L’abitazione era circondata dalla catena di montagne, dove si trovava lei in quel momento. La parte posteriore, invece, dava su un burrone che portava al mare.
Proseguirono, superando le insidie poste lungo il cammino da Itachi e dal suo contatto. Quando finalmente raggiunsero il cortile, il sole stava calando nel cielo. Il corvo si staccò dalla spalla di Shiori e volò con molta grazia, svoltando l’angolo della casa, portandosi nella parte posteriore. La donna si tolse le scarpe, affondando i piedi nella fresca erba, e lo seguì. Arrivò sul retro giusto in tempo per vedere il corvo poggiarsi sulla spalla di una figura che volteggiava nell’ombra, colpendo un fantoccio da allenamento.
Quando l’animale si posò sulla sua spalla, la figura si fermo e lo accarezzò dolcemente. I lunghi capelli neri raccolti in una coda, oscillarono e poi si voltò verso la nuova arrivata. Fece qualche passo verso di lei, venendo sempre più illuminata dalla luce. Piano piano i suoi lineamenti si fecero sempre più chiari.
Le sue labbra si erano alzate in un sorriso. Mentre con una mano andava a sistemare gli occhiali scuri che portava sul naso, con l’altra continuava ad accarezzare il corvo che stava sulla sua spalla.
“Benvenuta.” Disse con tono gentile.
Shiori era a bocca aperta. Sapeva chi si sarebbe trovata davanti ma, per lei la cosa, aveva ancora dell’incredibile. Non che Itachi le avesse mai detto apertamente di chi si trattasse. Lei, però, ci era arrivata, da qualche indizio buttato qua e là.
“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” chiese, chinando leggermente la testa di lato, come ad osservarla meglio. Una vecchia abitudine, pensò la kunoichi dentro di sé. “Non dirmi che Itachi non ti ha detto che ero io?” fece con tono esasperato.
“No… Avevo capito che eri tu. È che… è comunque sorprendente vederti davanti a me.”
“Si, immagino che faccia questo effetto trovarsi davanti qualcuno che dovrebbe appartenere al regno dei morti.” Constatò, forse con una certa amarezza.
Lei si fece avanti e gli posò una mano sulla spalla libera dal corvo.
“È bello rivederti, Shisui.”

 
Shisui Uchiha era rimasto presto orfano di genitori. Suo padre era morto prima che lui potesse farsi qualche memoria di lui, mentre sua madre morì di una malattia incurabile quando lui aveva sei anni. Essendo il figlio di due eminenti membri del clan, fu trattato con i massimi onori e rispetti, gli fu data una governante che si occupasse di lui e ebbe la possibilità di entrare in Accademia. Era circondato da tante persone, ma si sentiva solo. Per questo, già prima che sua madre morisse, si era guadagnato la nomea di combina guai e teppistello. I suoi precettori non sapevano cosa fare con lui. Era il più abile studente che avessero mai avuto, ma allo stesso tempo li faceva dannare. Era sicuro che erano stati più che felici di liberarsi di lui il giorno in cui, finalmente, entrò in Accademia.
Lì conobbe Itachi Uchiha. Non che non l’avesse mai visto, in fondo il quartiere degli Uchiha non era poi così grande, ma lui era il figlio del capo clan e lui aveva deciso di stargli alla larga. Era stata la vicinanza a quella famiglia a far ammazzare suo padre. Si, perché nonostante la sua giovane età, Shisui sapeva benissimo cos’era accaduto. Kagami aveva tentato tutta la vita di conciliare il clan con il villaggio a cui apparteneva ed era morto nel tentativo, mentre il capo clan non aveva fatto nulla per impedire quella tragedia.
Itachi era un ragazzino solitario non legava molto con gli altri bambini. Questo non fece altro che confermare l’opinione di Shisui sul fatto che fosse un idiota con la puzza sotto il naso, superbo e pieno di sé come il padre. Al contrario, lui si fece degli amici, o meglio degli adepti, che lo seguivano ovunque. Un branco di idioti che più che provare del vero affetto per lui lo veneravano per la sua forza e il suo carisma, ma in fondo era meglio che essere soli, no?
Il giorno in cui lui e Itachi divennero amici, si comportò da vero stupido, solo come può esserlo un bambino di sei anni in cerca di attenzioni. Il giovane Uchiha era seduto su di un’altalena e leggeva un libro sul genjutsu, dondolandosi lentamente avanti e indietro.
“Ehi principino! Quello è il mio posto!” esclamò.
Itachi alzò lo sguardo su di lui, studiandolo con attenzione, e sbuffò, per poi tornare alla sua lettura. Shisui strinse i pugni, i suoi accoliti dietro di lui sghignazzavano, gliel’avrebbe fatta pagare.
“Hai sentito? Sto parlando con te, principino.”
“Smettila di chiamarmi così.” Minacciò lui, senza distogliere lo sguardo dal suo libro.
“Sennò? Vai a chiamare il tuo paparino, principino?” Sapeva di essere andato oltre. Sapeva benissimo che il suo compagno era in grado di difendersi da solo, ma non poteva tirarsi indietro, ne andava della sua reputazione.
L’altalena smise di dondolare e il moro saltò giù, posò delicatamente il suo libro sulla seduta e, finalmente alzò gli occhi per fissarli in quelli del suo sfidante.
“Quindi sei tu quello che ha messo in giro quel fastidioso soprannome.” Constatò, portando le mani in posizione di difesa.
“E se anche fosse?” ribatté Shisui con tono strafottente.
“Niente…” alzò le spalle l’avversario. “Sarà solo più divertente prenderti a calci.” Lo punzecchiò con un mezzo sorriso.
Fu Shisui a fare la prima mossa, che fu prontamente parata. Si sfidarono per qualche minuto, i loro colpi erano ancora lontani dalle mosse letali e precise che di lì a poco avrebbero imparato ad usare, ma già mostravano la grande abilità e predisposizione dei due ragazzini. La sfida finì in parità quando i due ragazzini furono bloccati dal loro maestro, presi per la collottola e messi in punizione.
“Mi aspettavo una cosa del genere da lui…”, il maestro indico l’orfano, “… ma tu Itachi… Dovrò informare tuo padre!”
“In realtà signore….” cominciò Shisui.
“È tutta colpa mia.” Rivelò il figlio del capo clan. “Shisui si è solo difeso. Sono io che l’ho attaccato, perché volevo dimostrare di essere più forte.”
Il maestro sbatté le palpebre più volte. “Sono molto deluso, Itachi.” Affermò uscendo e lasciandoli soli in punizione.
Dopo qualche minuto di silenzio fu Shisui a parlare: “Perché l’hai fatto?”
“Perché per te è difficile la vita al quartiere, non è giusto farla ancora più complicata per una stupida scaramuccia. Poi, tu stavi cercando di fare la stessa cosa, giusto? Sono solo stato più veloce.”
Il ragazzo rimase colpito da quelle parole. Nonostante lui l’avesse trattato male, Itachi aveva cercato di proteggerlo.
“Mi dispiace per il soprannome.”
“Non importa.” Sorrise. “So di non aver un bel carattere, ma… Voglio diventare uno shinobi forte per proteggere il clan…” Shisui scosse la testa, era un Uchiha come tutti gli altri. “… e il Villaggio.”
“Ti importa di Konoha?”
“Certo, ci viviamo, giusto? Non sarai mica come quel branco di uomini arrabiati…”
“No. Certo che no!” esclamò arrossendo, sentendo il bisogno di scusarsi. “Forse potremmo lavorare insieme…”
“Come la prenderanno i tuoi amici nel vederti parlare con il principino?” commentò acido l’altro.
“Non mi importa.”
“A me sembrava che ti importasse eccome! Sennò perché litigare con me?”
Shisui sbuffò. Certo che era difficile sopportarlo.
“Diciamo allora... che non m’importa più.” Affermò con un sorriso.
 
Fu così che diventarono amici e inseparabili. Quell’amicizia crebbe negli anni. Si allenavano insieme, si confidavano l’un l’atro. A Shisui era chiaro che questo rapporto non faceva piacere al capo clan, ma finché non importava ad Itachi, nemmeno lui ci avrebbe fatto caso.
Usciti dall’Accademia furono separati, ma non per questo si allontanarono. Presto furono ammessi alle riunioni del consiglio degli Uchiha e capirono ancora di più quanto fosse profondo il risentimento del loro clan. Divennero ben presto due ninja potenti e il consiglio decise di usarli per infiltrarsi e fare il doppio gioco tra le fila di Konoha.
Shisui riuscì ad entrare nelle forze ordinarie, mentre Itachi ci mise meno di un secondo a farsi strada tra le fila delle forze speciali. Avevano un piano e lo avrebbero portato fino in fondo. Avrebbero riconciliato il clan e il villaggio, costi quel che costi.
“… Una casa sul confine est di Konoha, quello che da sul fiume. Sarà lì che andrò a vivere quando le cose cambieranno.” Raccontò Itachi all’amico, rispondendo alla sua domanda.
I due erano seduti fianco a fianco con le schiene appoggiate contro il ramo di un albero nel giardino della casa di Shisui.
“Non credo che il futuro capoclan possa allontanarsi dal quartiere.” Gli fece notare.
“Magari lascerò l’incombenza a qualcun altro, a mio fratello forse. Dopo tutto questo forse potrebbe venire il momento per me di riposarmi un po’.”
“Non credevo che Itachi Uchiha fosse capace di atti così egoistici.” Lo prese in giro il compagno.
Il ragazzo si limitò ad alzare le spalle.
“Fa di me una persona terribile?”
“No, ti rende umano.” Rispose l’altro.
L’Anbu posò la testa contro la corteccia. “Perché non credevi che lo fossi?”
Shisui sbuffò.
“Ti conosco troppo bene per credere che tu non sia umano...” commentò. “Ce la faremo, vero?” aggiunse poi.
“Certo che ce la faremo.” Rispose Itachi con un sorriso rassicurante.
 
Ovviamente si sbagliava. Le cose precipitarono in fretta. Shisui fu minacciato da Fugaku stesso, che aveva scoperto le sue intenzioni nei confronti di Konoha. Non lo denunciò di fronte al clan per rispetto a suo padre, che era stato un suo grande amico, però a lui e Itachi fu vietato di incontrarsi da soli. In caso contrario, ci sarebbero state conseguenze per entrambi.
Questo di certo non li tenne lontani. Riuscirono comunque a lavorare insieme, ad avere un briciolo di speranza, almeno finché non si mise in mezzo Danzo. Lui affrontò Shisui e il ragazzo perse l’occhio. Quell’uomo aveva usato poteri che non gli appartenevano per batterlo e, nonostante lo smacco all’orgoglio, il moro era intenzionato a non mollare la presa e a combattere fino alla fine. Danzo, però, fu più abile di lui. Con i suo poteri gli ferì il braccio destro e il ragazzo non fu più in grado di combattere oltre.
Shisui capì che i suoi occhi erano uno strumento potente. Erano un arma che nelle mani sbagliate avrebbe portato alla rovina, e ora uno di quelli era in mano a un uomo che lo avrebbe usato per le ragioni sbagliate. Quindi, anche senza braccio, non si sarebbe arreso. Fu in quel momento che il giovane shinobi scoprì di non essere abbastanza forte per proteggere ciò che era veramente importante.
Danzo sapeva come giocare le sue carte e lo minacciò. Shisui non aveva molto con cui essere minacciato. Nella sua vita aveva avuto la possibilità di affezionarsi a ben poche persone: sua madre, la sua governante, che l’aveva cresciuto, e Itachi. Dato che le due donne erano già morte, rimaneva solo l’altro Uchiha da minacciare. Lui sapeva difendersi, certo, ma a differenza sua aveva molte più cose da perdere e lui non l’avrebbe permesso.
Così fuggì e organizzò un incontro con l’amico. Era intenzionato a suicidarsi per eliminare il problema alla fonte. Suo padre aveva sacrificato sé stesso per il clan, forse era ora che lui agisse allo stesso modo. Forse la sua morte avrebbe unito il clan e il villaggio.
Non era stata una decisione facile, anche per questo aveva bisogno che il suo migliore amico gli fosse vicino in quel momento. Anche dopo essersi tolto l’occhio poteva percepire la tristezza del compagno, ma doveva farlo. Con una risolutezza che non pensava di avere si gettò nel vuoto. Il vento gli soffiava nelle orecchie rendendolo totalmente sordo a qualsiasi altro rumore se non a quello. Poi, a un tratto, i rumori cessarono. Pensava di aver raggiunto il suolo, ma non aveva sentito alcun dolore. Era così la morte? Percepì un paio di mani strette intorno ai suoi fianchi che lo poggiavano su un terreno sabbioso.
“I… Itachi.” Balbettò, costringendosi prima a liberare il fiato, che non si era accorto di trattenere.
 
Itachi Uchiha aveva seguito ogni movimento dell’amico, sapendo di poter fare poco o niente per fermarlo. Era sempre stato così, Shisui era quello determinato, lui era quello che sapeva sempre cos’era meglio fare. Le altre volte però non faceva così male. Voleva piangere, ma doveva restare forte per lui, che invece in quel momento cercava di restare coraggioso.
Alla fine lo vide gettarsi nel vuoto. In quel momento capì che non era uno scherzo di cattivo gusto, ma che stava accadendo sul serio. Non sarebbe stato in grado di spiegare cosa accadde, perché avvenne tutto molto in fretta.
Quando realizzò che il suo compagno stava morendo, provò un dolore mai sperimentato prima e qualcosa in lui si riscosse. Sentì un forte bruciore agli occhi e il suo Sharingan si attivò da solo. Era diverso dalle altre volte. Il mondo attorno a lui era molto più chiaro, vedeva molto più lontano.
Il suo corpo si mosse da solo, esaudendo un suo desiderio inespresso. Saltò tra le rocce del burrone e senza nemmeno accorgersene, si librò nell’aria, afferrando Shisui tra le sue braccia. Con un altro paio di salti, si ritrovò sulla riva del fiume inginocchiato accanto all’amico, sospirando di sollievo.
“I… Itachi.” Mormorò.
Gli occhi dell’Anbu si riempirono di lacrime, che non si era accorto di voler piangere.
“Sei vivo.”
“Come hai fatto?” chiese sbalordito.
“Credo di aver attivato lo Sharingan Ipnotico.”
Shisui trattenne il respiro, sorpreso e preoccupato allo stesso tempo.
“Non devi dirlo a nessuno. Chiunque si vorrebbe approfittare di te…”
“Shisui, non sono il tipo di persona che si lascia sfruttare.” Affermò l’altro, controllando gli occhi dell’amico con il chakra.
“Potrebbero mina…”
“Ora smettila di preoccuparti. Quello che conta ora è che tu sia salvo.” La sua voce era tesa. “Ora, devo trovare il modo di rimetterti quest’occhio.”
“No! Non avresti dovuto salvarmi. Io non posso tornare indietro!”
Itachi smise di visitare le orbite vuote del compagno.
“Quindi avrei dovuto lasciarti morire? Credi davvero che avrei potuto farlo?” urlò frustrato.
Shisui si morse un labbro. “Non posso restare.”
“Affronteremo questo insieme.”
“No!” gridò, stringendo i pugni, Itachi non capiva se per rabbia o rassegnazione, forze entrambe.
“Io non lascerò che tu ti uccida.”
Fu così che rubarono un cadavere dalla stessa corporatura di Shisui, lo sfigurarono e lo gettarono nel fiume. A quel punto Itachi evocò un corvo e lasciò che indicasse a Shisui la strada per quella che sarebbe diventata la sua casa in quegli anni.
 
Mesi dopo il giovane Anbu raggiunse l’amico in quello stesso luogo. Shisui aveva recuperato l’uso del braccio destro e stava riguadagnando le forze. Ormai, aveva imparato ad usare gli altri sensi per compensare alla sua mancanza di vista. Percepì l’arrivo di qualcuno e si mise sull’attenti.
Itachi lo vide da lontano, in posizione di difesa pronto a qualunque attacco. Camminò più velocemente. “Sono io.” gridò. Shisui gli corse incontro e i due vecchi amici si abbracciarono.
Lo shinobi cieco sentì che l’amico tremava. Qualcosa non andava. Lo allontanò da se e con le mani ne percorse il volto. I suoi muscoli erano tesi e le guance bagnate da lacrime.
“Itachi, cosa sta succedendo?” L’amico tentò di allontanare il volto, abbassando lo sguardo, ma lui lo trattenne dritto. Le sue labbra si erano assottigliate in quella che doveva essere un’espressione dura. “Entriamo in casa. Ti faccio qualcosa di caldo.”
Si occupò di lui, in silenzio. Lo mandò a farsi una doccia, mentre lui gli preparava un tè. Lo sentì scendere lentamente e con passo pesante dalle scale e strisciare una sedia sul pavimento per cadervi sopra con un sospiro. Shisui gli posò davanti una tazza e gli sedette accanto.
“Sembra che tu veda ancora.” Commentò.
“Ho imparato a cavarmela. Questo posto è enorme. La degna casa per le vacanze del capoclan, suppongo.” Cercò di scherzare lui.
Itachi sospirò.
“Vuoi dirmi che succede?”
“Io… Ho fatto una cosa orribile…” Si sostò i capelli umidi all’indietro con le mani, chiudendo gli occhi.
Shisui avrebbe dovuto dire che niente poteva essere così orribile, che lo avrebbero risolto insieme, ma conosceva troppo bene l’amico. Sentiva la tensione e il senso di colpa nella sua voce. Qualunque cosa avesse fatto doveva essere terribile.
“Vuoi dirmelo?”
“Si, ma…” sospirò di nuovo. “Vorrei solo… per un secondo… lasciare le cose così come sono, perché dopo… tu mi od… tutto sarà diverso.”
“Vai a dormire. Domani parleremo.” Propose, vedendo l’amico troppo sconvolto per parlare.
Così Itachi andò a riposarsi, mentre Shisui rimase in salotto seduto su una poltrona. Sentiva l’amico agitarsi nel sonno e ogni secondo di più si chiedeva cosa fosse successo.
La mattina dopo scoprì la verità. Itachi aveva sterminato il loro clan, per proteggere il villaggio e suo fratello. Shisui mollò un pugno contro il mobile della cucina, lasciando un enorme buco nell’anta. Le schegge del legno gli erano entrate nella mano, ma non gli importava del dolore.
“Questa ti è sembrata la soluzione più ragionevole?”
“Tu non c’eri, non puoi ca…” tentò di spiegare mesto.
“Cosa non posso capire? Che ti sei arreso? Che ti sei lasciato spaventare? Che hai distrutto tutto ciò per cui stavamo combattendo? Che hai preferito il genocidio?”
“Lui voleva fare del male a Sasuke. Danzo avrebbe fatto di peggio.”
“Peggio di questo? Ne sei sicuro? Cosa cazzo ti è successo?”
“Io non sto cercando di giustificarmi, ne voglio il tuo perdono, ma…”
“Itachi, perché? Io… Io… Erano la nostra famiglia.” Mormorò alla fine.
“La nostra famiglia?” urlò lui, come mai l’aveva sentito urlare. “Sul serio? Tu li hai abbandonati! Tu mi hai abbandonato! Sono rimasto lì, solo, a combattere contro tutto e tutti. Avevi detto che l’avremmo affrontata insieme, ma tu ti sei arreso. Non c’eri. Io ho fatto il meglio che potevo, ma…”
Shisui si era stretto nelle spalle, facendosi sempre più piccolo sotto le urla dell’altro Uchiha, che lontano dal voler incolpare veramente l’amico, stava sfogando la sua rabbia.
“Incolpi me per le tue scelte.” Affermò il cieco.
“No. Nessuno ne ha colpa se non io.” Voltò la schiena e uscì dalla stanza.
Non furono giorni facili, ma i due continuarono a vivere insieme. Itachi aveva bisogno di recuperare lucidità prima di fare ciò che ci si aspettava da lui. Erano due uomini distrutti, soli, costretti a fare fronte comune, in un momento in cui avrebbero preferito essere a chilometri di distanza l’uno dall’atro. Nonostante la rabbia, che provavano, il dolore e il rimorso, continuavano ad aiutarsi l’un l’altro e l’avrebbero sempre fatto.

 
“Io… Scusa… Intendevo dire…” balbettò Shiori.
“Anche per me è bello poterti rivedere, nel senso più astratto del termine.” Disse Shisui con un sorriso. “Immagino che ora tu voglia vedere Amaya. Credo che sia in casa. Vai pure, io… Ho una conversazione da fare.”
La kunoichi, nonostante fosse davvero sorpresa e felice di vedere l’Uchiha, in effetti era molto più ansiosa di rivedere la sua piccolina. Così corse all’interno della casa, percorse stanze che non conosceva, fino a raggiungere il salotto. Amaya stava seduta per terra e cercava di incastrare due mattoncini per fare quello che sembrava un castello.
“Amaya” la chiamò.
La bambina si girò, i suoi lunghi capelli viola oscillarono, le sue labbra erano rivolte all’insù in un bellissimo sorriso.
“Shiori!” esclamò, correndole incontro e facendo un piccolo balzo. Venne immediatamente afferrata dalla donna che la strinse a sé. I suoi occhi cominciarono ad appannarsi, e lacrime cominciarono a scendere lungo le sue guance.
Dopo qualche secondo, posò la bambina a terra e si inginocchiò, mettendosi alla sua altezza. La accarezzò dolcemente, sorridendole, mentre la bambina con un ditino raccoglieva una delle lacrime che erano scappate ai suoi occhi.
“Ma guarda come sei cresciuta! Mi sei mancata così tanto, Fiorellino.”
“Anche tu. Ora non te ne andrai però, vero?”
“No, certo che no.” Rispose abbracciandola di nuovo.
“È vero che c’è un bambino nella tua pancia?”
Shiori annuì. “Si, presto avrai qualcuno con cui giocare.”
La bambina allungò una mano verso il ventre della donna e ve l’appoggiò.
“Non si sente niente.”
“È presto, ma vedrai comincerà a farsi sentire.” La bambina si mordicchiò un labbro pensierosa. “Ehy, devi raccontarmi cosa hai fatto in questi mesi in cui non c’ero! Voglio sapere tutto!”
Amaya si riscosse dai suoi pensieri.
“Shisui è fantastico! Mi fa giocare, mi racconta le storie facendo le voci!”
“Fa le voci? Davvero? Ed è più bravo di me?”
“Lui non sa fare la voce della strega.” Spiegò la bambina, sussurrando cospiratrice.
“A mia discolpa, pare che tu invece sia bravissima a farla. Non potevo competere!” commentò lui, che stava appoggiato allo stipite della porta. “Che ne dite se preparo qualcosa da mangiare?”
“Non ti disturbare, faccio io.” Si propose Shiori.
“No, tu hai fatto un lungo viaggio, goditi un po’ di riposo.”
“Grazie.” Si arrese lei, in fondo era veramente stanca, poi voleva passare un po’ di tempo con Amaya.
 
Più tardi, dopo aver messo a letto la bambina, Shiori decise di fare visita a Zenko. Shisui le aveva detto che la donna era praticamente un vegetale. Mangiava, si muoveva, ma quel tanto che le era necessario. L’Uchiha pensava che una parte di lei fosse persa per sempre.
Entrò silenziosa nella stanza della donna, che stava seduta su una poltrona davanti alla finestra, e le si inginocchiò di fronte. I suoi capelli biondi ormai erano diventati bianchi e il suo sguardo una volta vivace era perso nel vuoto. La kunoichi non poteva fare altro che sentirsi in colpa per quello, ma non sarebbe tornata indietro sui suoi passi, nemmeno se ne avesse avuto la possibilità.
“Zenko-san. Sono io, Kasumi.” La donna non rispose. “Vivrò qui per un po’. So che probabilmente non ti farà piacere, ma staremo nella stessa casa.” Di nuovo, non ricevette alcuna risposta. La donna più anziana, manteneva il suo sguardo fisso nel vuoto. “Mi dispiace per quello che ti ho fatto. Io volevo solo arrestarlo, ma… Mi dispiace tanto.”
Si alzò in piedi e lasciò la stanza, per dirigersi al piano di sotto e raggiungere Shisui.
“Shiori!” la chiamò Amaya.
“Si, Fiorellino?”
“Puoi dormire con me stanotte?” chiese, i suoi occhioni dorati brillavano nel buio.
“Certo! Vieni andiamo a dormire.”
Mentre raccontava la storia della buonanotte ad Amaya, Shiori fu capace di rilassarsi come non faceva da tempo. Quando si addormentò si sentì quasi in pace.
 
Shisui era salito al piano di sopra per mettere a letto Zenko e nel passare davanti alla camera di Shiori sentì lei e la bambina chiacchierare. L’uomo sorrise, quella casa non era mai stata così piena di vita.
Raggiunse la stanza di Zenko e si avvicinò alla poltrona accanto alla finestra. La donna, però, non c’era. Girò a tentoni per la stanza, finché non la trovò in piedi con qualcosa tra le mani.
“Che cosa sono?” chiese prendendo dalle mani quegli oggetti che sembravano essere delle fotografie. “Sono tue?” la donna non rispose. “Forza vieni. È ora di dormire.” La accompagnò a letto e le rimboccò le coperte. “Buonanotte, Zenko.”
“Sono foto di mio figlio.” Spiegò la donna, con voce flebile.
Shisui non l’aveva mai sentita parlare. Aveva una voce delicata, quasi melodiosa.
“Davvero? E che tipo era?” Un po’ lo sapeva, Amaya e Itachi glielo avevano descritto, ma era raro sentirla parlare, e voleva che continuasse.
“Era il più bel ragazzo di tutti. Era così intelligente, determinato e forte. Gli volevo molto bene. E lui a me. Era un bravo figlio.”
“Avrei voluto conoscerlo.” Disse Shisui per educazione. In realtà, era più che felice di non averlo fatto, ma in fondo perché non dare un po’ di sollievo a quella povera donna.
“Lei l’ha ucciso.” Sentenziò con voce rabbiosa, sputando le parole come veleno. La schiena dell’Uchiha fu percorsa da un brivido gelido. Nonostante la strana sensazione che gli aveva preso la bocca dello stomaco, cercò di farla parlare ancora, ma lei non disse nient’altro. Nell’aria, però, continuavano ad aleggiare le sue ultime parole, quasi come una sentenza di morte.
  
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