Anime & Manga > Tokyo Mew Mew
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Autore: Xion92    14/12/2015    5 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eeee, buongiorno! Si comincia quindi la terza, ultima, e più lunga, parte. Torna il cast al completo e incomincia la storia vera e propria! Buona lettura!

 

PARTE TERZA – LA SQUADRA MEW MEW

 

Capitolo 31 - Ricerca


“Angel, svegliati! È l’alba! Il the è pronto!” sentì risuonare nella mente la ragazza.
“Arrivo, nonna… un altro minuto solo…” mugugnò lei di risposta, ancora semi incosciente nel sonno. Ma, muovendo appena le mani sul terreno su cui era sdraiata, si rese conto che non stava tastando il telo della sua tenda, ma un manto erboso. Allora aprì gli occhi di scatto e si tirò su. Stava solo sognando. La nonna non era lì con lei. Era da sola, nel bel mezzo di una foresta. Immediatamente si ricordò tutto quello che era successo il giorno prima. Alzò lo sguardo in alto e strizzò gli occhi, per riuscire a rendersi conto della luce che filtrava. Quanto tempo aveva perso, stando lì a dormire? Era arrivata la mattina successiva, quindi doveva essere il 22 marzo, quello. Sentendo le viscere contorcersi, la mente della giovane iniziò a lavorare: aveva ancora solo un giorno scarso di tempo. Quello stesso giorno Quiche, Pie e Tart sarebbero atterrati sul loro pianeta, e il giorno immediatamente successivo Flan sarebbe partito. E per fare tutto il viaggio dalla foresta a Tokyo, lei ci avrebbe messo una giornata intera. Senza contare che poi avrebbe dovuto trovare le Mew Mew, parlare con loro, convincerle che quello che gli avrebbe raccontato era tutto vero, e mettersi in contatto con quei tre fratelli. Era in ritardo. Terribilmente in ritardo.
Doveva muoversi. Non poteva più stare lì. Per prima cosa doveva uscire da quella foresta. Si arrampicò su un albero lì vicino e, arrivata sopra la volta arborea, guardò bene la strada che doveva prendere per dirigersi verso Tokyo. Si impresse bene il percorso in mente e tornò giù. Doveva andare verso est, sempre dritto. Facendo così sarebbe stato impossibile perdersi.
Perciò cominciò a correre in direzione di Tokyo, saltando cespugli e fossi e dribblando gli alberi fitti, finché finalmente la vegetazione iniziò a diradarsi e la luce a filtrare sempre di più. Quando arrivò ai limiti della foresta, Angel scorse, non molto lontano, i primi campi coltivati della campagna, ma questi erano completamente diversi da quelli che aveva visto all’andata. Erano verdi e rigogliosi, perfettamente sani e ricchi di cereali, legumi, verdure e frutteti. Era evidente che nessun chimero era mai passato di là. Angel stava per gettarsi in mezzo alla campagna, quando qualcosa la fermò: si sentiva un vuoto in pancia terribile. Era un giorno intero che non mangiava nulla. Doveva decidere cosa fare: andare a rubare della frutta dagli alberi coltivati, o trasformarsi in un gatto e andare a caccia. Scelse subito la seconda opzione.
Una volta trasformata, Angel girò un po’ la testa per guardarsi meglio. Era da tanti anni che non si trasformava più, e nonostante la sua pelliccia fosse sempre la stessa, di corporatura era molto cambiata: si era lasciata alle spalle l’aspetto di cucciolo piccolo e che poteva ispirare tenerezza, per assumere quello adulto, proporzionato e muscoloso di un gatto selvatico e feroce. Le gambe le si erano allungate, così come la coda, il muso era più squadrato, i ciuffi ai lati del muso e sulla testa erano più folti, e la muscolatura sotto la pelliccia era evidente; i suoi artigli che non era in grado di ritirare erano affilati come cesoie. Si sentiva un po’ arrugginita, visto che era da anni ormai che non cacciava, ma si sarebbe presto ripresa. Intanto doveva tenere le orecchie dritte e il naso all’aria, sperando di percepire qualche preda.
Così uscì dagli ultimi residui di foresta e si mise a pattugliare il territorio intorno, sperando di trovare almeno un topolino. Dopotutto, quella era la campagna. Quale posto migliore per trovare delle prede?, pensava Angel. Però, cerca e cerca, non le riuscì di trovare nulla. La ragazza purtroppo non aveva mai sentito parlare di tutti quei prodotti che i contadini usano per disinfestare i campi, e quindi non riuscì a spiegarsi l’assenza di tutti quegli animaletti che avrebbero dovuto essere comunissimi in un ambiente come quello.
Man mano che cercava, la gatta si sentiva sempre più inquieta: ci stava mettendo decisamente troppo tempo. Ormai il sole stava salendo nel cielo, e lei ancora doveva mangiare. In questo modo non avrebbe mai fatto in tempo. Avrebbe potuto fare molto prima a rubare della frutta dai contadini, ma era fuori discussione: anche nella fame, lei non avrebbe mai fatto una cosa simile. A furia di camminare, riuscì a scorgere in lontananza qualcosa di diverso dai campi: una strada. Doveva attraversarla per poter andare all’altro versante e continuare la sua ricerca. Quando ebbe poggiato le zampe sull’asfalto nero e caldo, Angel si sorprese alquanto: quella strada era molto diversa da quelle che si trovavano a casa sua. L’asfalto era liscio e senza increspature, con delle linee bianche ben dritte, nessuna buca e nessun’erbaccia che rovinava la sua perfezione.
‘Allora sono così le strade nel passato!’ si meravigliò ‘Come quelle del mio presente, però messe in ordine.’
Stava camminando sovrappensiero in mezzo alla strada per arrivare dall’altra parte, quando sentì la terra cominciarle a tremare sotto le zampe; sentì un rombo che si stava facendo sempre più vicino, e voltato il muso verso la fonte del rumore, rimase paralizzata dalla paura. Una macchina, nera e veloce, stava venendo verso di lei a una velocità pazzesca. Quello che la gatta vide era al di fuori della sua portata mentale: lei aveva visto molte macchine in vita sua, ma sempre ferme, rotte e abbandonate in qualche angolo di Tokyo. Non ne aveva mai vista neanche una funzionante, e non credeva che fossero capaci di muoversi. Lo shock fu talmente forte che non si mosse e rimase lì dov’era. Un momento prima che la macchina la investisse, Angel si sentì afferrare da dei denti per la coda e trascinare via, ai bordi della strada. Si voltò. A salvarla era stato un gatto nero con la pancia grigia e la coda folta.
“Ma che facevi lì in mezzo piantato?” le chiese brusco “non hai mai visto una macchina in vita tua? Sono pericolose, quelle. Sotto quelle robe d’uomo ci sono morti tutti i miei fratelli!”
Angel, scombussolata, si rimise in piedi. “Grazie mille per avermi salvata. Mi sono presa uno spavento e non sono riuscita a fuggire.”
“Nulla”, le rispose il gatto maschio, conciliante “sei nuovo di qui? Non ti ho mai visto.”
Angel era un po’ incerta. “Ehm… sì, esatto.”
“Allora ne approfitto subito per darti un’informazione: sei nel bel mezzo del mio territorio. Ti ho salvato perché mi sarebbe dispiaciuto vedere l’ennesimo mio simile spiaccicato sull’asfalto, ma adesso devi andartene” la ammonì il gatto.
“Ah, giusto… il tuo territorio. Per favore, lasciami cacciare qui, perché ho fame. Mi basta solo un topolino, poi me ne andrò e non mi rivedrai mai più” lo pregò lei.
Lui le lanciò uno sguardo diffidente. “Andartene in giro per il mio territorio? Non se ne parla! Mica avrai intenzione di rubarmi le mie femmine?”
Lei, capito l’equivoco, in cui erano caduti diversi animali con cui aveva interagito in passato, protestò: “le tue…? Ehi! Ma mi hai preso per un maschio?!”
Lui spalancò gli occhi gialli, meravigliato. “Cosa…? Sei… sei una femmina? Non me ne ero accorto mica.” Abbassò appena lo sguardo lievemente vergognoso e le guardò le zampe. “Perché stai tenendo gli artigli fuori? Guarda che così ti si consumano, sai?” disse, per trarsi d’impaccio.
“Ehm…” Angel si guardò le zampe nervosamente. Cercò di sforzarsi per ritirarli, ma essendo lei un gatto di Iriomote aveva i muscoli che servivano allo scopo atrofizzati, e non poteva. “Abitudine…”
Il gatto maschio la guardò in modo strano: “sei particolare, sai, hai una pelliccia molto strana. Non credevo che i gatti potessero avere gli occhi marroni come gli umani… Non ho mai visto un altro gatto come te. Ma non importa. Visto che sei una femmina, non ho problemi a lasciarti circolare per un po’. Anch’io ero in caccia, prima di salvarti. Quindi va bene, ti concedo di cacciare qui. A condizione che caccerai insieme a me e una volta che avremo ucciso, ci divideremo la preda. Che ne dici?”
Angel, ragionando, raspò appena con gli artigli tra le zolle. Evidentemente non aveva scelta. “Va bene, accetto.”

Così i due gatti, affiancati, pattugliarono una buona porzione di campagna lì attorno, senza scambiarsi nemmeno una parola e con tutti i sensi all’erta, finché all’improvviso, mentre erano in mezzo a un campo di mais, Angel si bloccò. Si buttò ventre a terra insieme al suo compagno di caccia.
“C’è un uccello laggiù”, gli sussurrò.
“Tu l’hai visto. A te l’onore” le concesse il maschio.
Angel allora si appiattì completamente a terra, abbassando le orecchie, e raccolse le zampe sotto il corpo. Rimase così alcuni secondi, caricando i muscoli di tensione, e spiccò un salto verso la preda, un passero che stava spigolando dei chicchi di mais lì vicino. L’uccellino, appena la vide, fece per volare via, ma quando fu arrivato a due metri di altezza Angel, che non voleva farsi scappare la preda, spiccò un altro balzo con tutta la potenza che aveva nelle gambe e riuscì ad afferrarlo al volo con le fauci, affondandogli i denti nella carne. Sentì in bocca il sapore del sangue fresco, e ne ebbe piacere. Da umana avrebbe trovato ripugnante una cosa simile, ma quando era trasformata in gatta i suoi istinti di predatore si risvegliavano, e il gusto del sangue la eccitava.
“L’ho preso!” annunciò al gatto “vieni a mangiare.”
“Molto bene, sei stata brava”, approvò il maschio, e si avvicinò per consumare la sua parte.
Mentre ciascuno dei due mangiava in silenzio la sua parte di preda, il gatto maschio le gettò degli sguardi furtivi: quella gatta era alquanto strana, ma in compenso aveva una bella pelliccia lucida, segno di un’ottima salute, non aveva odore di malattie, aveva artigli e zanne affilati, un’ottima muscolatura e una buona capacità di salto.
“Bene!” esclamò Angel quando ebbe finito, leccandosi i baffi “ora sono di nuovo in forze, e posso proseguire. Grazie mille per la compagnia. Mi piacerebbe fare qualcosa per ripagarti, ma purtroppo devo ripartire subito.”
“Veramente puoi fare qualcosa” le rispose lui.
“E sarebbe?” chiese lei, curiosa.
“Si vede che sei una femmina adulta e sana. Che ne dici di una cucciolata?” le propose lui, spiccio.
Lei per la sorpresa fece un passo indietro. “Una cucciolata? Guarda, proprio non posso, in questo periodo…”
Lui si meravigliò, e cercò di convincerla: “come mai? Sono solo due mesi di gestazione e due di cura dei cuccioli. Non ti porterebbe via molto tempo.”
Angel cercò freneticamente nella sua mente una risposta: “ecco, perché… perché…”. Cosa poteva dirgli? Non poteva certo rispondergli: “perché non mi piaci”. Se gli avesse detto così, la sua reazione più probabile sarebbe stata uno sguardo interrogativo, o al massimo le avrebbe risposto: “neanche tu”.
Lei era perfettamente consapevoleri/537.36 Content-Type: multipaumani, e che non era in alcun modo attratto da lei. Semplicemente, aveva dedotto che avrebbe potuto partorire dei cuccioli forti. E l’unica cosa che voleva era accoppiarsi con lei e poi andarsene, non certo costruire qualcosa insieme. L’unica cosa che poteva fare era dargli una risposta di rifiuto su quella linea.
“Perché… perché ti stai sbagliando: non è questo il tempo mio. Mi dispiace, ma accoppiarmi adesso non mi è possibile.”
“Oh… capisco. Beh, non fa niente. Buon proseguimento, allora”, rispose lui, con un’aria per niente delusa.
Angel allora si voltò e riprese a correre verso Tokyo. Quanto era semplice fra gli animali! Era un mondo crudele, il loro, ma risolvevano le questioni senza tutte le complicazioni umane e senza tanti giri di parole. Lui le aveva chiesto di accoppiarsi, lei l’aveva rifiutato, e lui ora semplicemente si sarebbe cercato un’altra femmina, senza rancori o delusioni di alcun tipo.

Ora doveva sbrigarsi a percorrere all’inverso la strada verso Tokyo. Ragionando velocemente, decise di rimanere trasformata in gatto. L’altra opzione sarebbe stata il trasformarsi in Mew Mew, ma aveva notato che quella campagna non era abbandonata come quella di casa sua. I contadini in giro erano parecchi, e le macchine che correvano sulle strade erano frequenti. Non che le importasse di sconcertare qualcuno, passandogli davanti trasformata, ma aveva paura che la fermassero, facendole perdere ancora più tempo. Almeno un gatto non dava nell’occhio. Nella sua linea temporale, quando era piccola, non si trasformava in gatto se non quando era strettamente necessario, perché c’era pericolo che delle persone affamate la catturassero per mangiarla, ma qui nessuno avrebbe mangiato un gatto, quindi era al sicuro.
Continuò a correre senza fermarsi per tutto il giorno, ignorando la stanchezza. Per fortuna era l’inizio della primavera, quindi le temperature non erano alte e non c’era il problema del caldo. Corri e corri, riuscì ad arrivare alle prime case di periferia quando il sole ormai era completamente calato. E qui incominciarono le stranezze: per le strade, Angel cominciò a vedere gente. Tantissima gente. Non credeva che al mondo ci potessero essere così tante persone raggruppate in un unico posto. Le luci accese per le strade la sconcertavano. La folla la terrorizzava. Inoltre non aveva la minima idea di dove andare: Tokyo era enorme. Sua nonna le aveva descritto a grandi linee il luogo dove si trovava la base delle Tokyo Mew Mew, ma per trovarla ci avrebbe messo un sacco di tempo. Intanto decise che non poteva continuare ad andarsene a zonzo per le strade, in mezzo ai pericoli. Dall’alto sarebbe stato molto più semplice, e avrebbe avuto una visuale migliore. Quindi si addentrò ancora un po’, arrivò al punto in cui finivano le villette monofamiliari ed iniziavano i primi palazzi, e si infilò in un vicolo. Lì ritornò umana, e subito si trasformò in Mew Mew. Si aggiustò la sciarpa attorno al collo e con pochi salti arrivò sui tetti. Da lì si apriva la parte alta di Tokyo: i palazzi e i grattacieli dei quartieri centrali, illuminati a giorno. Cominciò quindi a correre e a saltare da un tetto all’altro, sperando di beccare, quanto prima, il parco con quell’edificio che aveva scoperto con Rau quand’era piccola. Ma quella Tokyo era troppo diversa dalla sua: non c’era nulla di uguale, nelle due città, non c’era nessun punto di riferimento che potesse guidare la ragazza verso la sua meta o almeno darle un indizio della sua posizione. A furia di correre, arrivò a uno dei fiumi che attraversavano la città e si gettavano nella baia. Lo doveva attraversare per arrivare dall’altra parte. Senza esitare scese dal palazzo su cui stava e si gettò, agitando le braccia e le gambe per arrivare a nuoto dall’altra parte. La gente che camminava sul bordo del fiume la vide e ne rimase stupita. Mew Angel riuscì a sentire quello che mormoravano:
“una Mew Mew… è una Mew Mew quella?”, “sì, sembra proprio una di loro”, “ma no, ci dev’essere uno sbaglio, nessuna di loro ha il vestito nero”.
Non li stette ad ascoltare. Appena fu arrivata dall’altra parte, appoggiò le mani al bordo e si tirò su, uscendo dall’acqua.
“Via, statemi lontani!” gridò alle persone che le si stava affollando intorno, e senza girare la testa riprese a correre, appena arrivata al palazzo più vicino vi saltò di nuovo sopra, scomparendo alla vista della gente.

Ormai era tardi. Mew Angel ne era sicura, anche se non riusciva a scorgere le costellazioni in cielo. E lei era ancora in alto mare, vagando in giro a caso, sperduta, senza riuscire ad immaginarsi dove potessero essere queste Mew Mew. Certamente sarebbe rimasta delusa, se avesse saputo che le altre Mew Mew possedevano un ciondolo attaccato al collarino che gli permetteva di chiamarsi a vicenda in caso di bisogno. Ma purtroppo lei non ce l’aveva. Non l’aveva mai avuto. Certo, così poteva trasformarsi in tutta libertà senza dipendere da un oggetto, ma in compenso era completamente isolata.
Ormai aveva scacciato dalla testa ogni emozione dovuta al suo futuro incontro con i guerrieri, e ora pensava solo al portare a compimento la sua missione. Non c’era più tempo ormai. I tre fratelli alieni ormai dovevano essere arrivati a casa, e nel giro di un giorno al massimo il Flan di quel tempo sarebbe partito.
Semidisperata, Mew Angel prese a chiedersi freneticamente: ‘cosa devo fare? Come faccio a trovarli? Mi sono persa... non conosco questa Tokyo’.
A un certo punto, dopo aver attraversato l’ennesimo tetto, vide un grosso corvo appollaiato su un’antenna. Non riuscendo quasi più a ragionare dalla disperazione, provò a rivolgerglisi:
“signore, per favore, mi sapresti dire dove trovo la base delle Tokyo Mew Mew? Dovrebbe essere un edificio dentro un parco, e…”
Il corvo la guardò per un attimo con la testa reclinata, poi si staccò dal suo trespolo e volò via gracchiando. Mew Angel digrignò i denti. Giusto, nella foga si era completamente dimenticata che non era in grado di parlare con gli uccelli. Doveva trovare un mammifero lì attorno. Ma dove? Da quello che sapeva, i topi non arrivavano sopra i grattacieli, e neppure i pipistrelli volavano tanto in alto. A chi avrebbe potuto chiedere?
Mentre correva alla cieca, saltando su uno dei tanti grattacieli del centro, passò di fianco a una piccola depressione fra i mattoni. Non si accorse di un piccolo alieno parassita infrattato all’interno. Quell’alieno era un rimasuglio di quelli che erano stati sparsi in giro da Pie, Quiche e Tart, e certamente sarebbe rimasto dormiente là dentro, se Mew Angel non gli fosse passato vicino, risvegliandolo. Così, fluttuando, uscì dalla fessura in cui si trovava e dopo poco, penetrò in un topolino che stava zompettando lì appresso, probabilmente l’unico del circondario.
Mew Angel, mentre ancora stava correndo, udì un ruggito dietro di sé e si voltò, stupita. Un chimero? E da dove era spuntato? Era uno di quelli ordinari e abbastanza deboli, non sarebbe stato difficile ucciderlo. Stava per scagliarsi contro di lui, quando le venne un’idea e si fermò: avrebbe sfruttato quel chimero per incontrare le altre Mew Mew. Sicuramente ora sarebbero arrivati tutti insieme per sconfiggerlo, e così lei avrebbe potuto incontrarli. Aveva percorso a vuoto mezza Tokyo per riuscire a trovarli senza riuscirci, ma adesso sarebbero stati loro a venire da lei. Quindi non attaccò, ma si allontanò di un po’ e si acquattò dietro l’angolo di una cabina del gas, aspettando.
Il mostro però non rimase semplicemente su quel tetto a fare casino, ma aguzzando gli occhi rossi vide, sul tetto di un palazzo lì di fianco, un giardino pensile su cui c’era un bambino che giocava allegro con la sua mamma, che ancora non si erano accorti del pericolo. Il chimero squadrò i due per qualche istante, poi si diresse pesantemente verso il bordo del palazzo, per saltare il baratro e andare verso di loro. Mew Angel vide tutto questo: era evidente che non poteva più starsene lì nascosta. Le Mew Mew ancora dovevano arrivare, ma intanto quelle due persone rischiavano di essere uccise. Perciò uscì dal suo nascondiglio e si mise a correre verso il mostro. Il chimero, intanto, spiccò un balzò per piombare sulle sue due prede che, appena si accorsero del loro aggressore, si misero a urlare di paura, e la madre prese in braccio il bambino come per cercare di difenderlo. Il grosso topo stava per acchiapparli, quando venne scaraventato via da una spallata. Mew Angel, atterrata nel giardino pensile dopo aver fermato l’attacco del chimero, si voltò per controllare se quel bambino e sua madre fossero ancora lì, e notò con sollievo che erano fuggiti. Bene, era rimasta da sola con il mostro. Evocò la sua Angel Whistle e si mise con i muscoli tesi di fronte a quel bestione, che nel frattempo si era ripreso, con le orecchie appiattite sulla testa e lo sguardo di sfida.

In quello stesso momento, al Caffè Mew Mew, Ryou Shirogane uscì pigramente dal bagno, scrocchiandosi le dita delle mani. Erano passate esattamente due settimane da quando Profondo Blu era stato sconfitto e il Mew Project si era concluso, e, anche se non avrebbe mai voluto ammetterlo, si annoiava. Non aveva più visto nessuna delle ragazze da quella volta, visto che ovviamente non lavoravano più là, e gli mancava tutta la confusione che c’era sempre stata nel bar, con i clienti che andavano e venivano, il chiacchiericcio di Ichigo, Aoyama che la teneva calma, Minto che prendeva il the ogni giorno alla stessa ora, Retasu – soprattutto Retasu – che ogni tanto ne combinava una delle sue, Bu-ling che intratteneva i clienti, Zakuro che ogni tanto ne terrorizzava uno… beh, ormai era inutile starci a pensare: ognuno di loro aveva ripreso la sua vita normale, la vita che avrebbero sempre avuto se lui non li avesse coinvolti tutti quanti nella lotta contro gli alieni. Ma ora sembrava che nella sua vita mancasse qualcosa… Keiichiro, il suo fedele amico e mentore, si era accorto da giorni di questa sua noia, e così, un po’ per tirarlo su, un po’ come premio per essere riusciti a vincere, aveva deciso di prenotare una vacanza per loro due alle isole di Okinawa per una settimana. Nonostante a Tokyo ancora facesse freddino, il clima subtropicale delle isole era ottimo in quel periodo. Gli ci voleva proprio.
Ryou aveva voglia di un po’ di gradita compagnia quella sera, perciò si mise a cercare il suo amico per tutte le stanze, senza riuscire a trovarlo. Non era né in camera sua, né nella sala, né in cucina. Infine si decise a guardare nello studio, e lo trovò lì, al computer, che sorseggiava un the fumante.
“Keiichiro, che stai facendo a quest’ora al computer?” gli chiese, sorpreso.
“Niente, stavo solo controllando alcune cose” gli rispose l’uomo più grande distrattamente.
Ryou fece un sorrisino. “Deformazione professionale?”
“Ma no, non è niente di che… ma che succede?!” esclamò, lasciando cadere a terra la tazza di the che stava bevendo, che si ruppe con gran fracasso. “Un chimero!”
Ryou si sentì impallidire. “No… com’è possibile?... Gli alieni non ci sono più!”
“Non c’è tempo per stare a cercare di capire il motivo. Dobbiamo chiamare subito le Mew Mew, prima che quel mostro combini qualche guaio” gli rispose Keiichiro, agitato.
“Ma i loro poteri… loro sono ragazze normali, ora” obietto Ryou.
“Con un pericolo del genere, di sicuro i loro poteri si saranno riattivati. Hanno ancora il loro ciondolo, vero?”
Ryou afferrò le cuffie col microfono annesso. “Spero che non l’abbiano buttato via…”

Ichigo era insieme a sua madre Sakura nella cucina di casa sua. Avevano appena finito di cenare, e lei stava aiutando la mamma a lavare i piatti. Era felicissima di aver potuto riprendere la sua vita normale, di poter stare tutti i giorni con Aoyama-kun senza il pericolo di trasformarsi in gatto, di poter fare una vita comune, insomma, tra scuola e amici, col pensiero della bella stagione che si stava avvicinando. Era così bello non dover combattere più gli alieni… però le sue vecchie compagne di battaglia le mancavano, così come il posto in cui avevano lavorato. Sicuramente, quando avrebbe avuto un po’ più di tempo, ci sarebbe tornata per vedere se Shirogane e Akasaka-san erano ancora là. Casualmente, quel giorno per un fattore nostalgico, si era messa il suo ciondolo in tasca. E mentre stava asciugando una pentola, lo sentì vibrare: qualcuno la stava chiamando. Con una scusa, uscì dalla stanza e rispose chiedendo chi fosse.
“Ichigo!” sentì una forte voce uscire dal ciondolo.
“Shirogane! Sei tu? Da quanto tempo…” incominciò lei, ma lui la interruppe.
“Ascolta, non c’è tempo. È apparso un chimero sopra un grattacielo nelle zone centrali di Tokyo. Io ti fornirò le coordinate che io e Keiichiro abbiamo al computer, tu chiama subito le altre Mew Mew e Aoyama, prima che succeda qualche guaio! Comunque sembra un chimero non tanto forte, ce la dovreste fare senza problemi.”
Ichigo rimase senza parole. “Ma che dici? Noi non possiamo più…”
“Sì che potete. Se ricompaiono i chimeri, ricompaiono anche i vostri poteri” la interruppe di nuovo, spiccio.
“Ma cos… Shirogane! Mi avevi fregata, allora! Non era vero che i miei poteri mi sarebbero andati via dopo la sconfitta di Profondo Blu” lo riprese lei, scocciata.
“Io ti ho detto che vi sarebbero andati via, non ho mica detto che non vi sarebbero ritornati. Ma ora muoviti!” e riattaccò.
“Ma guarda te se è possibile…” mugugnò Ichigo, mentre componeva il numero dei suoi compagni.
Incredibilmente riuscì a trovarli tutti. Minto stava provando dei numeri di danza a casa sua, Retasu era in camera a ripassare per il compito del giorno dopo, Bu-ling era in casa a preparare i fratellini per la notte, Zakuro nel suo camerino a darsi una rinfrescata dopo un provino, e Masaya era in giardino a giocare col suo cane Rau.
Tutti quanti accolsero la notizia con molta meraviglia e un certo disappunto, ma ormai erano abituati ad episodi simili, perciò abbandonarono le loro occupazioni e si incontrarono sopra un grattacielo non molto lontano dal luogo in cui era apparso il chimero. Tutti quanti furono lieti e felici di rivedere i propri compagni, ma non c’era tempo da perdere.
Mew Ichigo, che era la leader, partì in testa al gruppo e iniziò a guidare i suoi compagni attraverso la città, saltando tra i vari grattacieli. Dopo un po’, sentirono la voce di Keiichiro provenire dai loro ciondoli.
“Ragazzi, mi sentite? Sta succedendo qualcosa di strano.”
“Cosa c’è?” chiese Mew Zakuro.
“Il chimero è sempre fermo nello stesso punto. Non si è mai mosso da lì dal momento in cui l’abbiamo rilevato. Evidentemente qualcuno o qualcosa lo sta trattenendo.”
Mew Pudding esclamò, col suo solito brio: “allora si ricomincia, ragazzi! Bu-ling non vedeva l’ora di riprendere a combattere!”
Mew Mint le rispose, un po’ seccata: “parla per te! Guarda che questa è una cosa seria. Dobbiamo restare concentrati! Chissà che non ce ne capiti uno pure più forte di Profondo Blu…”
“Ma no”, intervenne Mew Lettuce “questo qui è un chimero solo, non c’è mica nessuno, a guidarlo. E poi dai, più forte di Profondo Blu è impossibile. Lui era un dio, ci potrebbe mai essere nessuno più pericoloso di lui?”
“Risparmiate il fiato!” intervenne il Cavaliere Blu “e tenete le energie per quando dovremo combattere!”

Mew Angel era dritta davanti al chimero, sferzando l’aria nervosamente con la coda, e il mostro la fissava di rimando. Il bestione, aggressivo, si sollevò sulle gambe posteriori e cercò di darle una zampata, ma la ragazza, con un balzo verso di lui, arrivò oltre la sua testa e si lasciò scivolare lungo la schiena del bestione. Atterrò vicino alle sue zampe e diede un colpo di punta a una delle caviglie, dando poi uno strattone. Il mostro lanciò un ruggito di dolore e cadde a terra, sulla schiena. Mew Angel ne fu soddisfatta: quando era piccola una mossa di quel tipo avrebbe fatto solo il solletico a una creatura di quella stazza, ma ora che era grande e aveva i muscoli più forti, poteva contare molto di più sugli attacchi fisici. Senza dare tregua al suo avversario, fece un salto verso di lui per potergli lanciare un attacco energetico a distanza ravvicinata, ma il mostro si riprese subito e la allontanò con una zampata.
Il gruppo delle Mew Mew, che non era lontano, arrivò sul tetto di un grattacielo poco distante: subito Mew Ichigo si bloccò, e con lei tutti gli altri. Non potevano credere ai loro occhi: contro quel chimero stava combattendo… un’altra di loro! Ma no, non poteva essere… Shirogane e Akasaka-san non avevano mai trasferito dei geni modificati in una sesta ragazza, o almeno non gliel’avevano mai detto. Quella ragazza non era molto lontana, quindi riuscirono a distinguerla bene.
“Ehi, ma là c’è un’altra Mew Ichigo!” esclamò Mew Pudding.
E non si poteva negare che quella laggiù fosse vagamente somigliante alla leader del gruppo, in effetti: aveva sempre le orecchie e la coda da gatto, i capelli corti, e la parte superiore del vestito era simile. Ma le somiglianze sembravano finire lì: la sua pelliccia era marrone a macchie nere, il vestito e i capelli erano neri, e la divisa era molto più semplice e funzionale al combattimento rispetto a quella di Mew Ichigo.
“Ma chi è? Qualcuno di voi l’ha mai vista?” chiese Mew Mint, non riuscendo a capacitarsi.
Mew Lettuce si fece avanti: “ma ragazzi, vi sembra il momento di chiedervi chi è? Non vedete che è in difficoltà? Andiamo ad aiutarla…”
Ma Mew Zakuro la afferrò per una spalla: “no, aspetta. Meglio stare a guardare, almeno adesso. Osserviamo il suo modo di combattere.”
Mew Angel intanto non si era accorta di niente. Non aveva visto né sentito le Tokyo Mew Mew arrivare, ed era tutta concentrata sul suo nemico. Dopo essere stata spinta via, si rialzò, e cominciò a muoversi velocemente intorno al mostro, tra le sue zampe, saltandogli sulla schiena e poi a terra, un numero ripetuto di volte, allo scopo di confonderlo. Ben presto il chimero cominciò a barcollare e i suoi movimenti si fecero più lenti. Allora Mew Angel gli si mise di fronte e spiccò un salto verso il suo muso, evitò le sue zanne e, stretta la sua Angel Whistle in entrambe le mani, gliela conficcò in mezzo agli occhi. Il mostro lanciò un ruggito e cadde a terra di nuovo, stavolta sfinito per davvero. La Mew Mew si slanciò verso di lui con l’arma in mano, e gridò: “Ribbon Angel Bless!” Il raggio di luce azzurra che si sprigionò fece dissolvere il mostro in un baleno.
“Ragazzi” esclamò Mew Ichigo, vagamente ammirata “cosa ne pensate?”
“Beh…” cominciò Mew Mint “forse ho visto troppo poco. Ma mi sembra discretamente forte. Ha un modo di combattere un po’ grezzo, ma non è male.”
“Già” approvò Mew Lettuce “ha usato una buona strategia: ha stancato quel chimero e poi ha attaccato.”
“Quella Mew Mew nera è proprio forte, già!” esclamò eccitata Mew Pudding.
“Mmhh”, fece il Cavaliere Blu, pensieroso “tutto quello che dite è vero, però il suo mi è sembrato un modo molto imprudente di combattere.”
Mew Ichigo si voltò verso di lui. “Imprudente?”
“Sì: ha fatto un salto verso il muso di quel mostro per poterlo colpire in un punto debole, ma è stato molto rischioso. Ce l’ha fatta perché è riuscita ad evitare i suoi denti, ma se lui avesse girato la testa in tempo, sarebbe riuscito ad azzannarla e ad ucciderla” le spiegò il guerriero.
Mew Ichigo ci pensò. “Hai ragione, in effetti. Però dalla sua ha una grande agilità, questo glielo dobbiamo. Direi che più o meno è forte come noi.”

Mew Angel, tornata coi piedi per terra, ansimò per un po’, asciugandosi il sudore col dorso della mano. Subito dopo, sentì come delle voci di persone che stanno parlando, e si girò in quella direzione. Vide sei figure scure, sul tetto di un palazzo poco distante, un po’ più in alto di dove stava lei. Erano loro… erano venuti, alla fine. Li aveva trovati. L’unica che riuscì ad identificare fu la ragazza con le orecchie come le sue. Tutte le proprie imposizioni di pensare a loro solo come compagni per la sua missione sembrarono svanire in quel momento, e guardò quella Mew Mew che doveva essere sua madre col cuore pieno di apprensione ed emozione. Sentì gli occhi appannarsi appena. Era sua madre, quella. Quell’uomo di fianco a lei doveva essere suo padre. E intorno a loro, le loro compagne di battaglia. Mew Angel chiuse appena gli occhi, sentendo una lacrima silenziosa scorrerle lungo una guancia. Eccoli lì, quelli che l’avrebbero aiutata a sconfiggere Flan.

 

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La parte col gatto all'inizio l'ho inserita per un motivo: non mi è mai piaciuto come in TMM i gatti fossero fortemente antropomorfizzati e fossero addirittura capaci di provare sentimenti prettamente umani come l'amore romantico (vedi Asano e Jacqueline), quindi ho deciso di inserire quella scenetta per mostrare un gatto come dovrebbe essere veramente: cioè che guarda la femmina solo dal punto di vista riproduttivo, e non da quello romantico (e forse nemmeno come ho fatto io è proprio corretto: non penso che un gatto sappia la relazione tra l'accoppiarsi ed avere cuccioli).

In più, ecco una cosa che su tvtropes chiamerebbero "fridge horror": quel momento in cui ti rendi conto che (nel contesto della mia storia, ovvio) l'ultima parte dell'ultimo episodio c'è solo nella linea temporale in cui muoiono tutti, e non c'è nella seconda linea temporale, perché Angel, risvegliando per sbaglio quel chimero, fa riattivare i poteri delle Mew Mew prima che quella scena finale accada, e in pratica la cancella. Non guarderò mai più l'ultimo episodio con la stessa innocenza e tranquillità D:

   
 
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