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Autore: Rallienbow_    14/12/2015    2 recensioni
{ Storia partecipante al contest Fairy Tail Contest - ...Da un'immagine a molto di più di Eireen23 sul Forum di EFP. Sesta classificata. }
“La fortuna sembra girare dalla vostra parte, oggi! Con questa lettera, sei stato ufficialmente invitato alla festa di Natale organizzata dal Segreto Corpo Studentesco. Si terrà la sera del 23 dicembre qui ad Hogwarts. Dove? Beh, questo vi verrà svelato più tardi. Per chiunque abbia intenzione di partecipare, ecco le regole:
- Alla festa non sono ammessi i colori delle casate. Potete usarne l’uno o l’altro, mischiarli fra di loro, ma non insieme. La divisa è bandita!
- Presentatevi con un partner. Non deve fare parte della vostra casa e deve essere stato invitato anche lui/lei. La coppia non deve essere per forza formata da due sessi diversi.
- Dal giorno in cui ricevete questa lettera, indossate la spilla bianca presente nella busta. In questo modo, saprete chi potrete invitare.
- Non parlate ad alta voce della festa. Ricordate: è segreta!
- Divertitevi.
Questa lettera si distruggerà una volta finita di leggere. Vi ricorderete tutto? Noi speriamo di sì! Chi non rispetta le regole verrà punito, fate attenzione!
Il Consiglio Studentesco (segreto).”
Genere: Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Lluvia
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Il suo sguardo vagava annoiato lungo il grande prato verde che costeggiava il Lago Nero. Il sole, stanco, si stava nascondendo secondo dopo secondo, sempre di più, dietro le montagne già innevate. Era l’inizio di dicembre, qualche fiocco era caduto dal cielo, tingendo di bianco le pareti marroni delle alture, ma non era di certo una notizia da prima pagina: il clima freddo di Hogwarts era abbastanza noto a chiunque. La superficie del Lago era perfettamente immobile, ingannevole, come se fosse una semplice pozza d’acqua inabitata; le creature che conosceva non erano solite mostrarsi, non amavano la compagnia degli esseri umani, e lo sapeva bene.
Camminava senza una vera meta, la cravatta smeraldo-argento appena allentata, le mani infilate dentro le tasche dei pantaloni. Era stata una giornata pesante, aveva voglia di sgranchirsi le gambe, e le idee. Aveva voglia di starsene per i fatti suoi, senza dover sentire le urla di quel Grifondiota dai capelli rosa o le moine di altre ragazzine; alcune di loro le aveva beccate con la coda dell’occhio, aveva notato come lo seguissero nei corridoi, nascondendosi dietro colonne o rientranze dei muri, ridendo come delle oche al suo passaggio. Lui alzava gli occhi e andava avanti. Non gli piacevano. Erano irritanti. Aveva voglia di respirare l’aria inglese e lasciarsi alle spalle l’odore del fumo della sua città. Un tempo aveva anche creduto che fosse una bella città, ma per fortuna qualcuno gli aveva aperto gli occhi e, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, gliene era riconoscente.
Una risata, poi, attirò la sua attenzione.
Alla sua destra, più avanti, si presentava la classica scenetta pomeridiana, che lui tanto disprezzava: la quercia di turno, con una grande chioma (anche se, ormai, non era affatto rigogliosa), le radici affondate nel terreno che scivolavano dentro al Lago, con un gruppetto che parlottava e rideva. Di solito ci trovava quelli di Grifondoro, ma in quel momento gli stemmi che notava erano solo bronzo e blu, niente rosso e niente oro; quattro ragazze sedevano tranquille, ridevano e chiacchieravano fra di loro, i libri lasciati dentro le loro borse, chiuse. Da una di esse sbucava il tappo di una bottiglia di Burrobirra e una di Idromele. Quel ghigno che ormai gli apparteneva, che l’aveva reso famoso, gli comparve sul viso: non conosceva di persona la ragazza, ma aveva idea di chi fosse, e non aveva alcuna intenzione di rovinarle la giornata. Aveva sentito voci di corridoio dire che i professori cercavano di coglierla di sorpresa facendo delle ispezioni nei dormitori senza preavviso, ma lei in qualche modo era sempre riuscita a cavarsela e nessuno aveva mai trovato la sua scorta di liquori. Non c’era da stupirsi che fosse Corvonero. Anche le altre tre ragazze sapeva più o meno riconoscerle, perché facevano tutte parte della squadra di Quidditch: quella con i capelli verdi giocava nel ruolo di Cercatrice, non se la sarebbe dimenticata in fretta, soprattutto dopo l’ultima partita giocata l’anno precedente, in cui gli aveva soffiato il Boccino da sotto il naso con un trabocchetto affatto leale o carino – ma, beh, doveva dargliene atto: nemmeno lui, in fondo, era mai stato un tipo molto leale. A conti fatti, si sarebbe comportato nello stesso modo. Non vedeva l’ora che arrivasse la prossima partita, fra due settimane, era sicuro che avrebbero vinto loro. Di lei, però, non ricordava il nome.
La biondina, invece, la ricordava per due motivi: lei era una Battitrice, e aveva fatto cadere Juvia dalla scopa l’anno scorso, mandandola in Infermeria per due giorni, e questo non glielo aveva ancora perdonato. Il secondo, era che girava sempre insieme alla banda dei Grifondoro, insieme all’idiota dai capelli rosa. Secondo lui, fra i due c’era del tenero, o almeno così gli era sembrato, ma Juvia continuava a dire che fosse la sua “rivale in amore” e che anche lei avesse messo gli occhi sul suo “Gray-sama”. Non ne aveva mai capito molto di quelle robe lì, così aveva lasciato stare. Come si chiamava? Lucille? Lucinne? Lucy? Argh, in quel momento gli scappava.
E infine, ma non per importanza, c’era Levy. Faceva coppia con la biondina in squadra, era Battitrice anche lei, ed era dannatamente brava. Così brava che nemmeno lui, fra i migliori degli ultimi vent’anni, era riuscito a schivare uno dei Bolidi che la ragazza gli aveva lanciato contro. Aveva quasi rischiato di rompersi un braccio, ma non avrebbe mai fatto una piega, o una smorfia: era troppo duro per cedere a cose del genere. La fascia che quel giorno Levy indossava era di un bel giallo scintillante, con un paio di fiorellini rosa incastrati fra la stoffa e le ciocche azzurrine; inutile dire che le donavano davvero molto. Il ragazzo si prese un lungo momento per osservarla meglio, nonostante lo avesse già fatto in precedenza: adorava rimanere lì, imbambolato, a studiare i contorni delicati del suo viso, o contare le mille sfumature che la luce del sole creava nei suoi occhi castani, rendendoli quasi del colore del miele; adorava immaginare come avrebbe potuto essere sfiorare quelle labbra sottili, spesso colorate da del burro cacao rosa, e come sarebbe stato morderle, per assaggiarne il sapore.
Di certo, non avrebbe mai rivelato a nessuno di queste idee. Non si sarebbe sentito a suo agio a parlarne nemmeno con Juvia, che considerava una sorta di migliore amica.
Una grande folata di vento smosse tutto il parco, inclusi gli studenti e le loro divise, e portò con sé il suono dei rintocchi dell’orologio: li contò. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei. Sei rintocchi. Erano le sei, dunque, tempo di rientrare. Il sole era adesso tramontato, le uniche luci che illuminavano la radura provenivano dalle bacchette degli studenti, compresa quella di lui, non più dalla grande stella. Di lì a poco avrebbero servito la cena e, in effetti, lui stava morendo di fame. Diede un ultimo sguardo al gruppetto, poi si girò e cominciò ad incamminarsi verso la Sala Grande.
Quella sera avrebbe mangiato un budino, alla fine. Sì, gli sembrava un’ottima idea.
                                               ***
– Gajeel! –
Le scarpe del ragazzo non erano più le sole a rimbombare nel corridoio della scuola. Si fermò, per poi voltarsi e posare gli occhi sulla figura della proprietaria di quella voce che l’aveva chiamato, anche se non ne avrebbe davvero avuto bisogno. Conosceva Juvia fin da quando erano piccini, le loro famiglie abitavano nella stessa via, le case l’una di fronte all’altra. Era uno dei quartieri magici della città, nessuno aveva mai fatto troppo caso ai Babbani, e spesso capitava che succedessero dei piccoli incidenti magici, come quella volta in cui fece scoppiare uno dei vetri del soggiorno. A sua difesa, sosteneva ancora la stessa teoria: se suo padre non l’avesse fatto arrabbiare, lui di certo non avrebbe reagito così male. Aveva solo chiesto una nuova scopa per il compleanno, in fondo...
– Juvia, proprio te avevo in mente. –  
Juvia non era una ragazza con molti amici. Veniva ignorata di frequente dagli altri studenti, sebbene, secondo il suo parere, fosse tranquilla e anche carina. Poi, ora che pure la pioggia era sparita, non si spiegava il motivo della sua solitudine. Aveva ancora  l’abitudine di parlare di se stessa e degli altri in terza persona, però non era una buona scusante. Lui aveva scelto di stare da solo, e gli andava bene così; lei no. Si vedeva quanto ne soffrisse. Non aveva nessuna idea su come aiutarla.
– Uh? Gajeel stava cercando Juvia? Per cosa? –  La ragazza sembrava piuttosto confusa.
– Eh, siamo sotto di un po’ di punti contro quei Corvacci. Dovremmo darci dentro ancora di più. Non ho nessuna intenzione di arrivare secondo alla Coppa delle Case il mio ultimo anno! – digrignò i denti, portandosi le mani nelle tasche della divisa.
– E Gajeel come pensa di ottenere più punti? –  Juvia se ne stava lì, ad ascoltarlo, senza mai interromperlo. Era una cosa che aveva sempre molto apprezzato di lei.
– Beh... –  le mise una mano attorno alle spalle, stringendola a sé. – I punti si ottengono a Quidditch e a lezione, quindi qualcuno dovrà studiare di più e passare meno tempo dietro al suo Gray-sama, ghihi. –  il tono del ragazzo non era minaccioso, ma intendeva ogni parola che aveva detto.
Juvia si scostò da lui sbuffando, per poi mettere le mani sui fianchi. – E perché Gajeel non si mette sui libri? Ha fra i voti più bassi del nostro anno. Dovrebbe impegnarsi di più e saltare di meno le lezioni. A proposito, cosa fa Gajeel quando non è a lezione? –  ecco, questo era un altro dei motivi per cui la adorava: gli sapeva tenere a testa. A modo suo, ma sapeva farlo, non scappava a gambe levate e non eseguiva ogni suo “ordine” – che poi, lui, di ordini non ne aveva mai dati a nessuno, se non qualche “Sparisci” o “Fatti gli affaracci tuoi” alle persone più fastidiose. In fondo, non era quel gran mostro che tutti temevano. Non più, almeno. All’ultima domanda della ragazza, un lieve rossore si fece strada sulle guance del ragazzo, colto alla sprovvista. – Che domande sono queste?! Vado ad allenarmi, che altro dovrei fare? – 
Juvia non era molto convinta della risposta. – Juvia lo sa che c’è qualcuno che piace a Gajeel, ma lui non lo ammette. Juvia ha anche delle idee a riguardo, ma non vuole ficcare il naso dove non deve. –  fece una piccola pausa, per avvicinarsi a lui. – Juvia però è preoccupata per Gajeel. Se non tira su i suoi voti, potrebbe non essere ammesso ai M.A.G.O., e Juvia ne sarebbe molto dispiaciuta. Juvia non vuole lasciare da solo il suo migliore amico. –  
Gajeel sospirò, posandole una mano sulla testa. – Va, va, che preoccuparsi! Siamo solo a dicembre, non c’è bisogno di agitarsi tanto. Prometto che recupererò. – Juvia non aveva smesso di avere quello sguardo pieno di angoscia, così aggiunse: – E salterò di meno le lezioni. Contenta? –  Subito, la ragazza si rallegrò, e annuì, tutta contenta.
– Ah, a proposito di Quidditch... Gray è entrato nella squadra, quest’anno, come Cacciatore. –  il ragazzo la scrutò, cercando di capire cosa passasse nella sua mente.
– Sì, Juvia lo sa, e non è per niente contenta. Dovrà battersi contro Gray-sama, ma Juvia non vuole fargli del male... – aveva lo sguardo fisso a terra, sembrava davvero disperata.
– Appunto. Quest’anno voglio vincere, e lo voglio fare a qualsiasi costo. Non ammetto errori. La prossima partita è contro di loro. Juvia, voglio che tu non abbia scrupoli. Non farti prendere dal panico, o peggio, dall’adorazione. Li dobbiamo battere. – lo sguardo del ragazzo non ammetteva repliche. Juvia sospirò, rassegnata all’idea.
– Juvia ce la metterà tutta per far vincere la sua squadra. – 
Gajeel sorrise, quel sorriso sbieco, ma sembrava soddisfatto. – Bene, era quello che volevo sentire. – 
Poi, come dal nulla, davanti ai loro nasi, apparvero due buste da lettere, sospese per aria. Entrambi le presero, e notarono che su ognuna di esse era segnato il loro nome e cognome. Si diedero un unico sguardo, complice, e aprirono l’involucro e la lettera, piegata con accuratezza.
– Sei stata ufficialmente invitata... – 
– So leggere da solo, Juvia. – 
La ragazza alzò gli occhi al cielo, e continuarono la lettura in silenzio.
“La fortuna sembra girare dalla vostra parte, oggi! Con questa lettera, sei stato ufficialmente invitato alla festa di Natale organizzata dal Segreto Corpo Studentesco. Si terrà la sera del 23 dicembre qui ad Hogwarts. Dove? Beh, questo vi verrà svelato più tardi. Per chiunque abbia intenzione di partecipare, ecco le regole:
- Alla festa non sono ammessi i colori delle casate. Potete usarne l’uno o l’altro, mischiarli fra di loro, ma non insieme. La divisa è bandita!
- Presentatevi con un partner. Non deve fare parte della vostra casa e deve essere stato invitato anche lui/lei. La coppia non deve essere per forza formata da due sessi diversi.
- Dal giorno in cui ricevete questa lettera, indossate la spilla bianca presente nella busta. In questo modo, saprete chi potrete invitare.
- Non parlate ad alta voce della festa. Ricordate: è segreta!
- Divertitevi.
Questa lettera si distruggerà una volta finita di leggere. Vi ricorderete tutto? Noi speriamo di sì! Chi non rispetta le regole verrà punito, fate attenzione!
Il Consiglio Studentesco (segreto).”

Nel momento in cui Gajeel alzò gli occhi dal foglio, quello prese fuoco. Ne rimasero solo le ceneri per terra, così come accadde a quello di Juvia. – Che fai, rimani qui per Natale? – 
Juvia annuì, stringendosi nelle spalle. –  Sarebbe stato più semplice se Gajeel avesse potuto invitare Juvia. Juvia vorrebbe andarci, ma nessuno la inviterà. – 
Gajeel scosse la testa e la prese per le spalle. – Tu indosserai quella spilla, e lo farò anche io. Andremo a quella festa, con due partner. Obbiettivi, Juvia, obbiettivi! Ce la possiamo fare. – 
Juvia abbozzò un sorriso. – Gajeel sembra sicuro. Ha un piano? – 
Gajeel sorrise. –  Ghihi. Tutto a tempo debito, Juvia, tutto a tempo debito. –
Aveva una strana sensazione addosso, come se qualcuno li stesse osservando. Quando si voltò, con la coda dell’occhio, scorse un mantello nero svolazzare via, insieme al suo proprietario. Non aveva visto abbastanza per sapere se fosse una ragazza o un ragazzo, ma la cosa lo intrigava da morire.
– Ci sarà da divertirsi, ghihi. –  
  
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