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Autore: supermafri    15/12/2015    3 recensioni
| Cross-over: Vocaloid, The Walking Dead | Pairings: Rin/Len – Miku/Kaito/Meiko – Gumi/Gumiya – Gakupo/Luka – Rin/Oliver | Avvertimenti: Kagaminecest! – Tematiche delicate |
"La morte
Si sconta
Vivendo."
Quando Ungaretti scrisse, sapeva d’aver ragione. Lo sapevano tutti in fondo, soprattutto chi portava invisibili, ma profonde cicatrici sulla pelle.
Quando la Terra è diventata fuoco, tenebra, inferno, loro c’erano. Tutti, dal primo all’ultimo.
Vi saranno raccontate le loro insidie, le loro morti, le loro tragedie.
Accomodatevi e
Lasciatevi condurre nella storia.
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Len Kagamine, Luka Megurine, Oliver, Rin Kagamine | Coppie: Kaito/Meiko, Kaito/Miku, Len/Rin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
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Legenda:
*** = Inizio/fine capitolo.
*** = Inizio/fine flashback.
*** = Cambio di personaggi e/o situazione.
*** = Pausa d’intermezzo tra una scena e l’altra.


Deathless
Atto I

***





“I tuoi occhi
saranno una vana
parola,
un grido taciuto, un
silenzio.”
 
 

 
***

 

Ora il sole scottava e la ghiaia bagnata prudeva fin sotto i vestiti. Sempre se di vesti si poteva parlare, perché oramai non erano niente più che pezze sporche e imbevute d’acqua, sciupate e sfilacciate. Il petto s'alzava e s'abbassava, il respiro si faceva prepotente e percorso da duri colpi di tosse, le mani cercavano di allargare il colletto e le braccia facevano leva per alzarsi. Rin e Miku erano a pochi metri da lui, distese e supine sull'orlo dell'argine. Miku era avvolta da costanti tremolii mentre il freddo le intorpidiva i sensi. Al contrario Rin era diafana, immobile, gelida.
 

Il biondo rimase paralizzato, percorso da una violenta scossa alla vista della sorella esanime. Si gettò su di lei fulmineo, appoggiando l'orecchio sul suo petto, sulla sua bocca, ma il filo che la teneva in vita era così sottile, così fragile. Non pensò nemmeno per un secondo, premendo le labbra sulle sue e soffiando forte. Una, due, tre volte. Rin tossì, lasciando che un rivolo d'acqua le sporcasse la guancia e che un tenue rosa confetto le colorasse finalmente le gote. Len, sfinito e senza fiato, aveva posato gli avambracci sul ghiaino ai lati del volto di Rin, stringendole il viso fra le mani: ammirò i grandi e meravigliati occhi celesti, qualche ciuffo spettinato che le copriva la fronte, le labbra che si riempivano lentamente d'un acceso rosso fragola.
 

«Grazie a Dio, Rin.» Sentì le lacrime pungere ed appannargli lo sguardo e d'istinto si nascose tra la sua spalla, il collo e i luminosi capelli dorati.
La bionda avrebbe voluto parlare, chiedere al fratello le risposte di tanti suoi perché, ma fu costretta al silenzio, la gola bruciava ancora tanto. Non voleva nemmeno si allontanasse da lei, quell'abbraccio caldo e carezzevole era tutto, tutto quello che desiderava e poteva ancora avere.
I lamenti e sospiri di Miku destarono i gemelli, che le si avvicinarono piano, chiudendola in un grande ed unico abbraccio, nella speranza di recuperare quel calore scemato nella fuga.
I tre piccoli angeli smarriti tornarono a sognare, ma ben presto i sogni si trasformarono in incubi sempre peggiori.


 
***
 



Il biondo si era svegliato per primo sotto i raggi di un sole quasi estivo, la pelle asciutta e i capelli ancora legati in un piccolo e stretto codino. Aveva lanciato una breve occhiata alle due ragazze fra le sue braccia, rilassandosi in un lungo e tirato sospiro. Cosa doveva fare adesso? L’immagine dei genitori non avrebbe abbandonato la mente di Rin tanto facilmente, Miku lo avrebbe di sicuro ritenuto responsabile di ogni disgrazia che l'aveva accompagnata finora. E lui? Semplicemente, avrebbe continuato a lottare. Per quanto avesse avuto bisogno di urlare, per quanto il suo cuore fosse stato incapace di sostenere la situazione, non avrebbe ceduto. Per loro. Per Rin. Non sarebbe mai caduto, mai.

 
Si alzò e fece quattro passi nel boschetto adiacente, cogliendo qualche fiore di tanto in tanto. Doveva schiarirsi le idee, fare mente locale della situazione: cosa avrebbero fatto ora? Il pericolo sembrava avere fortunatamente voltato loro le spalle. Certo era che nessuno avrebbe potuto predire quando si sarebbe nuovamente girato a guardarli. In fin dei conti, erano sempre sotto il suo controllo, lui e Rin.
 


Ammirò il sole di mezzodì fra le fronde di verdi latifoglie. Dove sarebbero andati ora? Cercava sicurezza, ma più credeva di averla trovata, più nascevano contraddizioni su contraddizioni. Continueremo a spostarci, s’accese come un barlume di speranza. Probabilmente, avrebbe raggiunto la meta che tanto desiderava trovare con la via che meno rischio comportava. Ma allo stesso tempo, questa scelta poteva considerarsi una delle più sbagliate. Dipendeva solo dai punti di vista.
 


Calciava un piccolo sassolino lungo il sentiero, stringendo i denti e aggrottando la fronte. I piedi diventavano sempre più pesanti, le mani più sudate e la camminata instabile: si fermò dopo pochi minuti, raggomitolando le ginocchia fra le braccia e guardando il terreno impassibile. La solitudine iniziava ad intimorirlo. Si sentiva distante, abbandonato da chi più amava ancora una volta. Aveva paura di perdere anche l'ultima cosa importante, che i suoi lineamenti si dissolvessero improvvisamente dai pensieri, dal cuore. Rin era tutto, forse anche troppo. Ma quand’è che il troppo è troppo? Quand’è che si può dire che è abbastanza, che non hai bisogno di più? Non aver più bisogno di Rin?! Era un pensiero troppo pazzo e inconcepibile! Len non sarebbe mai stato capace di lasciarla andare, l'avrebbe seguita di nascosto se necessario. Era giusto pensarla così? Era giusto volerla così tanto?
 



***



 
«Non mi toccare, Rin! Ti ho già detto che non so dov’è Len, quindi lasciami stare!» L'aggressiva voce dell'azzurra invase il boschetto in un lampo. Len si alzò in uno scatto ansioso e frustato, si era preso fin troppo tempo, doveva affrontare la situazione reale.
Risalì velocemente la stradina in cui s’affacciavano grandi felci selvatiche. Quando le vide, una con le mani ai fianchi, su di giri come non mai, e l'altra sconvolta, impaurita, quasi assente, che si fronteggiavano, o meglio, Miku aggrediva Rin, rimase basito, impietrito mentre il fiume di parole che si era preparato fluiva senza remore, come un castello di carte al vento. La reazione di Miku non tardò nemmeno di un secondo.
 


«Oh, eccolo il tuo Len! E guarda ti ha addirittura portato dei fiori, è di una dolcezza unica, non trovi? Anche in una simile situazione riesce a reagire come se niente fosse accaduto. Beh, ma in fin dei conti, cos’è successo? Siamo da soli, nel bel mezzo di una foresta, e allora? Siamo stati inseguiti da strane e immonde creature mentre la casa andava a fuoco, e allora?» Il discorso andava aumentando di tono e Len non poteva far altro che sudare freddo, sensazione che non gli piaceva, ma proprio per niente. «Sono tutti morti, e allora?!» Il volto di Miku era tetro, saturo di rabbia, di disperata ira nei suoi confronti. «Già, ormai chi sarà ancora vivo, eh Len?! Se fossimo tornati indietro li avrei potuti salvare tutti, dal primo all’ultimo. Ma no, tu, tu, tu li hai abbandonati, ci hai abbandonati tutti! Hai tradito noi, la tua famiglia. È per questo che quella volta siete venuti a vivere nella nostra casa?! Avete tradito anche i vostri genitori, dico bene?!» Si era avvicinata tanto da afferrargli il colletto della camicia a cui ormai mancavano un paio di bottoni, gli occhi vermigli e celesti, vermigli di furia, celesti di pianto. A Len mancava il fiato, come avrebbe potuto parlare del suo passato? «Non ti permettere di dire una cosa simile, Miku-sama. Se sei qui, sana e salva, significa che non ho mai smesso di pensare a quello che i tuoi genitori avrebbero voluto. Se avessimo tradito la nostra famiglia, noi, adesso..-» Non voleva continuare, Rin non sarebbe riuscita a sopportare di più.
 


«Cosa, Len? Voi adesso, cosa? L'ho sentita Rin prima: sono tornati per voi, cercavano voi, volevano uccidere voi, no?! E invece ci sono andati in mezzo tutti innocenti! La colpa è solo vostra, vostra e di nessun altro! Tua, Len, tua. Se mi avessi lasciata andare ora sarebbe diverso, non ci sarebbero vittime! È colpa tua, è colpa tua!» Batteva i pugni sul suo petto senza tregua, mentre liquorose lacrime graffiavano le sue guance. «Non si poteva fare altro, non c'era più nessuno già allora. Là esisteva solo la morte.» Rispondeva atono il biondo.
«Ridammi. Ridammi tutto quello che ho perso. Ridammi la mia casa, i miei vestiti, i miei gioielli. Ridammi mamma e papà!» Esordì un’ultima volta prima di accasciarsi al suolo, coprendo gli occhi con le mani e lasciandosi andare in un pianto infantile. Len chiamò piano il suo nome, sfiorando appena la sua spalla con la mano. Miku però, ancora turbata dai singhiozzi, si alzò senza guardarlo e si nascose dietro uno dei tronchi sulla soglia che segnava l’inizio del bosco.

 
Guardò Rin seduta su di un masso che non mostrava un minimo di attenzione, nemmeno un tenue luccichio nell’azzurro dei suoi occhi.

 
Aveva combinato un casino.
 

Forse era proprio questo il giusto momento in cui avrebbe dovuto chiedersi cosa fare. Miku aveva bisogno di sbollire la rabbia e lo stress nel pianto, a Rin serviva qualcosa che la riportasse al mondo.
Strinse forte i gambi spezzati e sospirò. A volte sopravvivere era peggio della morte. Ma non per questo bisognava rinunciare alla vita. Come quando un insetto è attratto verso la luce, non smette di cercare di raggiungerla, nonostante sappia che prima o poi si spegnerà, perché una lampadina non ha la stessa potenza del sole; allo stesso modo le persone cercano un posto sicuro, nonostante sappiano che prima o poi diventerà incapace di difenderli, perché nessun nascondiglio dà la stessa protezione che offre la propria casa. È quel prima o poi a fregarli. Ogni volta.



 
***



 
Le mani che lo sorreggevano premevano sul tappeto erboso, i fiori erano ammucchiati fra le gambe. Si era ritrovato così al fianco della gemella. Eppure Rin sembrava non averlo nemmeno notato, lo sguardo era fisso sull'acqua che scorreva limpida nel fiume a pochi metri da lei. Avvicinò le dita per destarla dal mondo dei sogni, ma si bloccò ancor prima di sfiorare la gota color pesca. Ammirava quelle ciglia lunghe, i ciuffi mielati che le coprivano la fronte e si raccoglievano in una codina che accarezzava la nuca, il solito fiocco bianco svolazzava al vento. Il turchese delle iridi ipnotizzate, vuote, rifletteva lo scroscio del torrente, come fossero specchi. Erano così chiare e immacolate che si stava chiedendo quale riflesso di sé avrebbe potuto scorgervi attraverso. Provava un così grande desiderio si voltasse a guardarlo, per vedere solo lo sguardo con cui si sarebbe rivolta a lui.
 

Si rabbuiò un attimo. Con che occhi avrebbe dovuto guardarlo? Cosa avrebbe dovuto pensare di lui, il suo specchio, la sua stessa ombra?
 

Percorse il nasino all’insù, puntellato da qualche lentiggine che spariva sugli zigomi. Len adorava le sue lentiggini, la dipingevano come la bambina ancora bisognosa del suo aiuto. A quel pensiero si era leggermente soffermato sulle labbra d'un tenue color lampone. Guardò i fiori fra le sue gambe d'improvviso, mentre uno strano porpora iniziava ad accaldarlo. Si sentiva uno stupido, quel bacio indiretto di poche ore prima era stato un dovere dettato dalle necessità. Eppure il rossore non voleva lasciarlo respirare. Stupido, stupido, stupido. Si batté forte le mani sulle guance che, se possibile, diventarono ancora più cremisi. Guardarla non gli faceva bene, non avrebbe più dovuto farlo. O almeno, non così spesso.
 


Eppure il guardarla così costantemente aveva aperto la porta ad un nuovo obiettivo: dovevano andare avanti e per ciò tutti loro avrebbero dovuto dimostrarsi in grado di oscurare il passato, far fronte al presente e sperare nel futuro.
 

Len doveva ritrovare il loro sorriso. Perché, in fin dei conti, chi altro avrebbe potuto farlo in posto desolato come quello?
 



***
 



Il biondo raccolse un rigoglioso e gonfio soffione, lo rigirò tra le dita e con la coda dell'occhio seguì il percorso dei suoi pollini mentre soffiava lievemente. Il loro profumo solleticò il nasino di Rin, che sembrò risvegliarsi fra mille starnuti. Erano così femminili, avevano quella “i” finale così accentata, che non poté trattenere un risolino sotto i baffi.
 

«L-Len!» Uno starnuto. «Perché rid-» E un altro. Len adorava quel suo essere innocente, impacciata e talvolta un po’ maldestra. Le risa s'illuminarono ancor di più.
«Oh, niente niente. Solo…» La provocò divertito, rendendole altri pollini e altri starnuti. Il naso non faceva che pruderle, ma più lo strofinava, più diventava color ciliegia e il gemello non le lasciava tregua, come se tormentarla fosse diventato un divertimento. Rin, d'altro canto, voleva mettere fine a questa messinscena, si vergognava veramente tanto.
«S-Smettila Len!! Se ti prendo, io..» Lasciò a metà la frase, inspirando e passando la manica dell'abito sul volto, strofinando frettolosamente.
«Certo, certo, pomodorino. Vedi di prendermi intanto!» Balzò in piedi e uno sfrenato inseguimento ebbe inizio tra le selve.

 
Il biondo strappò qualche foglia che tremolava al vento, scagliandola lontano, in direzione della gemella. Rin sapeva che voleva ulteriormente rallentarla nonostante il vantaggio, così decise di ricorrere all'astuzia, nonché magico potere della “sorellina minore”: Len sarebbe stato attratto nella ragnatela dal ragno stesso; un ragno dall’inconfondibile fiocco bianco, dalla pelliccia brillante come il Sole e due grandi occhi chiari come il cielo.
 

Si era completamente ritrovata coperta dalle verdi foglioline che il biondo le aveva soffiato contro e si era immobilizzata, portando i pugni agli angoli della bocca e strizzando le ciglia in attesa. In attesa di cosa? In attesa che una certa persona le venisse incontro, avvicinandosi al punto da poter attivare la trappola.

 
Len si fermò dopo mezzo istante, la guardò con il fiato che cominciava a mancare e fece un paio di passi indietro, confinando la sfida in secondo piano. Quando le fu ad un palmo dal naso, le sfiorò i capelli scacciando i rimasugli verdi, mentre il cuore batteva ancora per la corsa.

 
Era arrivato il momento. Rin spalancò gli occhi e sotto lo sguardo sorpreso del gemello, gli saltò sopra, causando una tragica caduta a terra.
 

«Rin, ma cosa-?!» Azzardò il biondo, massaggiandosi la testa divertito.
«Ha-ah, ti ho preso! E adesso mi prendo la ricompensa!» Esordì la ragazza mostrando il segno di vittoria e tirando fuori la lingua. Gli si avvicinò e gli scoccò un bel bacio sulla guancia, sciogliendo il laccetto del suo codino.
«Riiin, ridammelo!!» Piagnucolò il biondo, mentre tendeva le mani con fare impacciato. Ma Rin lo bloccava per i fianchi e spingeva la sua fronte con la mano sinistra, la destra stringeva il nastrino dalla parte opposta.

Len sembrò rabbuiarsi all'improvviso, bloccando ogni movimento. Rin se ne accorse e lo fissò curiosa. Ma poi vide formarsi quel sadico sorriso e dire che iniziò a preoccuparsi era dire poco.


«No, Len, no, aspetta un attimo, Len. No, ti prego, Len!!» Ma il biondo non ascoltò nessuna delle sue preghiere. Invertì la posizione con un semplice movimento del bacino e passò la lingua fra i denti. Oh, la sua piccola e fragile Rin. Si contorceva sotto di lui fra pianti e risate: soffriva il solletico fin da bambina, e oggi non avrebbe fatto eccezione.
 



***



 
Le lacrime uscivano senza ansimi, senza addolorate espressioni. L’indifferenza assoluta albergava il suo volto, mentre mordeva appena la punta morbida del pollice. I suoi occhi vagavano sulle due figure distese fra i cespugli, solo pochi passi più avanti. Se fuori era di pietra, non si poteva dire lo stesso del suo animo: vederli così spensierati e gioiosi la irritava a tal punto da provare quasi disgusto. Come potevano i gemelli brillare così tanto anche in una coltre di nera disperazione? Non provavano un minimo di dolore? Erano così bambini?
 

Come odiava quel loro carattere infantile, insensibile e distaccato. Come li odiava in quel preciso istante. Quei sorrisi non dovevano essere lacrime? Quelle risa non dovevano essere urla?
 

Girò lo sguardo e seguì lo zampettare lento di una coccinella sulla corteccia, la seguì anche quando prese il volo per luoghi lontani. Aveva ragione, anche la sua fortuna si era librata in alto scomparendo all'improvviso. Quale miracolo avrebbe potuto farla tornare?
 

Senza forze, senza pensieri, chiuse gli occhi, abbandonandosi al buio ancora una volta.
 



***
 



Rin stava raccogliendo i suoi ciuffi biondi, che ormai gli sfioravano le spalle, nel solito codino di sempre, mentre il gemello stringeva i lacci slacciati delle scarpe.
Entrambi potevano vedere una Miku sfinita, aggrappata al primo di una lunga serie di alberi. Ed entrambi, ancora, non sapevano cosa fare. Ricordavano di non aver parlato per più di due settimane da quell’incidente che aveva visto vittime i loro genitori, nonostante la vocetta sempre allegra e diligente dell’amica che dipingeva di colori i loro cuori in frantumi. Ora però non sarebbero mai stati capaci di ricambiare il favore. Come potevano dare tutto, quando, in realtà, non avevano niente?
 


Ma gli occhi del biondo s'illuminarono di speranza quando Rin gli rivolse un dolce sorriso. In fin dei conti, Miku una richiesta l'aveva fatta. Che fosse realizzabile solo per metà era un altro discorso. Ma quella metà era sempre meglio di niente, no?
 

Spiegò brevemente il piano alla sorella, che un po’ goffa e confusa, lo seguì nell'impresa.
 

«Tranquilla Rin, sarò il tuo maestro. Speriamo solo, non si svegli prima!» Disse il biondo, controllando l'azzurra di sfuggita. Sperava avrebbe capito. Lo sperava tanto.
 


***



 
Miku schiuse le ciglia solo un paio d'ore dopo e si bloccò, stralunata. Era completamente coperta di petali, bacche, rametti, fiori, gambi. E subito una feroce ira le bollì nel cuore: adesso la pensavano addirittura morta?! Credevano di essersi finalmente liberati di lei e di poterla facilmente abbandonare in un luogo deserto come quello?! Stava per strapparsi tutte quelle decorazioni di dosso, quando si fermò a riflettere lentamente. Bacche, fiori e rametti non erano stati semplicemente gettati sulla sua figura, sembravano quasi formare anelli, braccialetti, fermacapelli, spille di vario genere. Si soffermò un poco su Len che teneva sulle spalle la gemella e gridava.

 
«Ecco, lo vedi quel bocciolo, lì in alto?! Prova a prenderlo. Penso che la coroncina sarà ancora più magnifica con quel diadema al centro! Spero che a Miku piacciano lo stesso i nuovi gioielli…»
 

I nuovi gioielli? Come un flash le tornò alla memoria la frase che aveva pronunciato in preda alla disperazione: “Ridammi. Ridammi tutto quello che ho perso. Ridammi la mia casa, i miei vestiti, i miei gioielli.”
 

E intanto iniziava a capire. Rin era riuscita a riempire il vuoto solo grazie all'intervento di Len ed ora i gemelli stavano cercando di eliminare il suo. Se Len non ci fosse stato cosa sarebbe successo a loro? Era quindi giusto scaricare tutta quella colpa sugli amici, diventati ormai suoi stessi fratelli?
 

Chissà quanti amari magoni aveva spinto giù per la gola per non liberare una singola lacrima. Perché sotto sotto, lo vedeva. Lo vedeva il velo che gli appannava quel blu, sempre più blu. Len era forte, brillava proprio come il Sole a mezzogiorno, ma a volte, una nebbiolina lo oscurava. Ma Miku aveva imparato a capire che l'avrebbe sempre scacciata per schiarire il suo cielo, la sua Rin. L'azzurra non era altro che la Luna vista al mattino: non sarebbe mai stata grande tanto quanto la dolce biondina dai capelli mielati. Eppure non avrebbe mai cambiato le cose, aveva imparato a capirli. Sì, aveva imparato.
 



***
 



Rin e Len stavano traballando avanti e indietro, instabili come non mai: una spingeva avanti sgridando il biondo quando non la seguiva nei movimenti, l'altro tirava indietro suggerendo come procedere senza evidenti risultati.
I gemelli la stavano facendo sorridere inconsciamente. La ragazza sfiorava il fiore con le dita, mentre con l'altra mano tirava i ciuffi della frangetta del fratello. Inutile dire che i lamenti di Len erano peggio dei miagolii di un gatto in calore. Oh, ma questi erano dettagli!
 

Dopo aver strappato un'altra piccola ciocca, il piede del ragazzo s'impigliò fra le radici dell’albero e i due fratelli finirono per terra con un bel capitombolo. Brillanti risate riempivano il piccolo anfratto di foresta e Miku si unì a loro, destabilizzandoli per un attimo.
 

I due gemelli si lanciarono un’occhiata d'intesa e corsero fra le braccia di Miku. Era tutto apposto ora, no? Era tutto finito adesso. Vero?
 


 
 
Fosse stato realmente così, questa storia non sarebbe mai iniziata.
 


 
 
Rin aveva cominciato a tossire forte e a colorarsi d'un rosso paonazzo, la testa le girava, le gambe le mancavano. Aveva una delle sue crisi, una di quelle crisi per cui finiva in quarantena per giorni e si svegliava con l'ago della flebo sottopelle.
 


I volti bianchi e preoccupati dei due compagni erano rivolti a lei, impauriti fino alla morte. Cosa, cosa, cosa. Era sempre quella la domanda. Cosa fare?
 
 


«Il medico di famiglia..» Mormorò l'azzurra ricordando improvvisamente qualcosa di molto importante.
«Cosa?» Si voltò il biondo con le pupille che tremavano. Il blu si stava appannando di nuovo.
«Il medico di famiglia vive in una baita fra i boschi, proprio in questa zona!» Si rimboccò le maniche la giovane Miku e accarezzò la guancia dell'amica ormai svenuta tra le braccia del fratello.

 
Lo guardò e fu un attimo: Len caricò la sorella sulle spalle, soffiandole lievemente sulla fronte. L'avrebbe salvata anche quella volta, ne era certo. Doveva esserne certo.
 



 
***





 



Angolo autrice:
Volevo solo ringraziare tanto chi ha letto, commentato, inserito tra seguite/preferite/ricordate la storia e continuerà a farlo. E' un grandissimo piacere vedere che interessa a qualcuno anche questo genere particolare. 
Vi pongo un piccolo quesito: secondo voi, chi sarà mai questo medico di cui si parla tanto? 
Spero di sentire presto vostri pareri!
Un grazie di cuore e un grande abbraccio!

Baci, Supermafri <3











 
  
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