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Autore: Roxar    16/12/2015    3 recensioni
«Nim si affaccia appena in tempo per vedere Prim annuire e Akee toccarle piano la sommità della testa. Dura un attimo, ma racconta una storia che non ha mai neanche pensato di scrivere.»
[Mr. Mellark/Mrs. Everdeen]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mr. Mellark, Mrs. Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Crew&Ship: Mr. Mellark (Akee), Mrs. Everdeen (Nim) | Akee/Nim

Warnings: Angst, Romantico, Missing Moment

Dove la Rana dice cose: niente di che, veramente. Ma sto rileggendo la saga e desideravo scrivere di questo momento, sulla base dell'affermazione del papà di Peeta "Mi assicurerò che la ragazzina mangi". Collocatelo pure immediatamente dopo il ritrovamento di Peeta da parte di Katniss. E niente, ho questo headcanon dove lui ha a cuore Prim perché lei è identica a sua madre a quell'età, tempi in cui ovviamente il signor Mellark era innamorato di lei (e se è come Peeta, lo è stato fino alla morte).
Buona lettura!

 

 

___

 

 

 

Credendo di non essere vista, la piccola Primrose si ferma davanti alla vetrina, fissa le torte esposte e gli occhi azzurri, quegli occhi azzurri che ancora ossessionano i suoi sogni, si riempiono lentamente di lacrime. Non perché desidera uno dei dolci, ma perché se la ricorda bene quando trascinava la sorella a contemplare le torte riccamente decorate da suo figlio. Katniss. Katniss che ha trovato suo figlio e se sta prendendo cura, impedendogli ad ogni costo di morire. Quando riemerge dalla piccola distrazione, la ragazzina sta già andando via.

Fa male come ogni volta, perché se si sforza di estraniarsi dal suo presente e fare finta di avere ancora dodici anni, se si sforza di dimenticare chi è adesso e chi era un tempo, allora quella che va via non è Primrose, ma è sua madre Nim. La somiglianza clamorosa tra le due è un ferro rovente che, ogni volta, cala su una ferita mai rimarginata e risveglia le voci sussurranti dei suoi rimpianti. Se solo avesse avuto più coraggio, quella avrebbe potuto essere sua figlia. Porterebbe il suo sangue e il suo cognome e non patirebbe la fame, ma avrebbe sempre il piatto pieno. Avrebbe un padre ad attenderla ogni volta che torna a casa e non il ricordo perenne di un uomo fatto a pezzi da un'esplosione.

Di colpo, sente il bisogno di fare qualcosa per lei.

 

Non si è mai spinto così dentro il Giacimento.

Non da quando Nim se ne andò laggiù con suo marito e il ventre già arrotondato dalla gravidanza, comunque. Gli riusciva difficile incrociarla in piazza e far finta di non conoscerla, figurarsi andarla a cercare direttamente in quella che era sua nuova parte di distretto.

Non sapeva cosa aspettarsi; sa che la gente che vive lì è povera, molto povera, ma questo va oltre ogni previsione. La casa dà l'impressione di essere sfinita, incapace di reggere il peso di un tetto le cui tegole sono incrinate e rischiano di precipitare in ogni momento. Per questo, quando bussa alla porta lo fa pianissimo, quasi temendo di scardinare il battente. Ma quello resiste, anche quando gira sui cardini e il vano si riempie della figura adulta e avvilita di Nim. È una tale sorpresa che quasi lascia cadere il piattino che regge tra le mani. Si aspettava di trovare la ragazzina, perché molta gente è malata di influenza e sa che Nim porta più aiuto che può. Trovarla in casa, a quest'ora giovane del pomeriggio, lo destabilizza e per un attimo torna ad essere il ventenne infuriato ma silenzioso che la vide andare via con quel minatore, per sempre bandita dalla sua vita.

«Akee» esala, senza fiato, chiaramente sconvolta di vedere il fornaio del paese sulla soglia di casa sua, dopo più di trent'anni.

Mentirebbe se dicesse di non aver vissuto gli ultimi decenni in funzione di questo momento, di non averlo mai immaginato in mille modi diversi. Pensava di essere pronto, ma chiaramente non è così. È senza pensieri, senza parole. Può solo guardarla, impotente come il ventenne che fu.

Fortunatamente per entrambi, Nim cerca di accantonare l'imbarazzo e, con un sorriso incerto, lo invita ad entrare. A dispetto dell'esterno, la casa non è così moribonda come pensava. In realtà, cura e pulizia sono evidenti. La segue fino in cucina, pregandolo di accomodarsi al tavolo. Akee posa il piattino e, senza farsi vedere, si sfrega le mani sudate sui pantaloni macchiati di farina.

Il silenzio che segue è così insopportabile che cerca di mettere insieme qualcosa da dire.

«Quello che tua figlia ha fatto per Peeta è...» ci prova, ma gli manca la parola. Cos'è, in realtà? Un favore? Una condanna posticipata? Forse avrebbe fatto meglio a lasciarlo morire, che ritrovarsi poi ad ucciderlo. Sa che se la figlia di Everdeen ucciderà il suo ragazzo, qualcosa si guasterà per sempre, dentro di lui. Sarà come vedere di nuovo uno del Giacimento che gli strappa una persona che ama. Perfino loro non possono aver creduto al cambio di regole. Akee ha abbastanza esperienza, in fatto di Hunger Games, da sapere che quella è solo un'abile strategia per dare un colpo di coda alla monotonia, che durerà finché il pubblico non inizierà a mostrare un calo di interesse.

Nonostante non l'abbia detto, Nim sembra trovarlo proprio lì, sulle labbra, nel modo in cui esse si sono improvvisamente cucite. O negli occhi che rifiutano i suoi.

«Non lo ucciderà. Katniss troverà una soluzione, lo so».

E sembra così sicura che Akee, per un momento le crede ciecamente. Poi però ripensa a quando, a dodici anni, gli teneva la mano, immediatamente prima della Mietitura, e gli faceva promettere di restare sempre con lei, perché lei sarebbe restata sempre con lui. Ci aveva creduto con la stessa disperazione di adesso e non troppi anni dopo, lei lo aveva lasciato indietro, preferendo quel minatore.

La verità è che una parte di lui è ancora in collera. Una parte di lui non può perdonarla, non riesce a trovare un modo di farlo.

«Sono venuto per la ragazzina» si costringe a dire, scoperchiando il piattino e rivelando un'ampia fetta di torta farcita con crema e gelatina di fragole, decorata da ciuffi di panna e fragoline selvatiche. Non è bella come quelle che confeziona Peeta, ma è buona allo stesso modo. Non è sicuro di aver fatto bene, ma ha sempre avuto l'impressione che la ragazzina fissasse quella con maggior bramosia. Nim sorride e lo ringrazia, raccogliendo poi sulla punta dell'indice un po' di gelatina. Chiude gli occhi, annuisce e quando li riapre sono più lucidi.

«È proprio come quella che ogni tanto tua madre ci dava per merenda».

«Sì» conferma lui, e probabilmente entrambi stanno ricordando quel terribile giorno della seconda Edizione della Memoria, quando Maysilee Donner fu strappata da loro. Anche quel giorno mangiarono un pezzo di questa torta, in silenzio, evitando di guardarsi. Poi, di punto in bianco, Nim aveva allontanato il piatto, lo aveva preso sottobraccio e aveva premuto il viso contro la sua spalla. Era immobile, ma Akee aveva sentito il tessuto della camicia inudimidirsi.

Senza dire una parola, si alza e fa quello che non hai mai, neppure una volta nella vita, avuto il coraggio di fare: chiude le braccia intorno alla sua figura fragile e sottile, e poggia la bocca sulla sua, stringendola con quelle braccia forti e solide che Nim non ha mai voluto intorno a sé. E forse è ingiusto imporgliele adesso, è ingiusto giocare ai ragazzini quando molti inverni sono trascorsi e tutto è cambiato, è ingiusto desiderare un bacio che possa seguire a questo.

Ma tutto quello che Akee riesce a dire, scostandosi da lei, è: «Dovevo farlo. Almeno una volta nella vita».

Va via, arrestandosi bruscamente quando spalanca la porta e la figuretta di Prim fa un salto indietro, spaventata. Akee la guarda, la guarda a lungo. Sì, c'è persino quel piccolo neo sul collo, proprio sotto l'orecchio, che nei tempi dell'adolescenza sognava ad occhi aperti. Le infila una ciocca dietro l'orecchio, sfiorando col dorso delle dita quel punto. Infine, le dice di averle portato qualcosa e di passare da lui, all'ora di chiusura, perché è avanzato del pane e non vuole gettarlo via.

Nim si affaccia appena in tempo per vedere Prim annuire e Akee toccarle piano la sommità della testa. Dura un attimo, ma racconta una storia che non ha mai neanche pensato di scrivere.

Un pezzo di torta alle fragole ancora intatto resta sul tavolo, testimone, ancora una volta dopo venticinque anni, di qualcosa che è andato irrimediabilmente perduto.

   
 
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