Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: martyki    18/12/2015    7 recensioni
«Beh, una volta sterminati tutti i giganti non sarebbe affatto giusto se lei rimanesse da solo, Capitano», sussurrai. «Quindi quando arriverà quel momento… mi sposi!».
L’uomo alzò la testa e mi fissò con aria sorpresa ed incredula.
Arrossii fino alla punta dei piedi. Oh, bene. La mia lingua aveva deciso di staccarsi definitivamente dal cervello e fare di testa sua. Tanto valeva essere ancora più diretta e dire: «Capitano, sono innamorata di lei fin dal primo istante in cui l’ho vista!». Stupida, Petra! Stupida, stupida, stupida…!
«Cioè, quello che volevo dire è…», farfugliai grattandomi la testa nel tentativo di riparare il mio errore.
«Va bene», disse lui alzandosi in piedi.
“Eh?”.
«Quando arriverà quel momento sarò pronto a dirti di sì, ma solo ad una condizione». Si piegò in ginocchio di fronte a me e mi prese delicatamente la mano destra portandosela alle labbra.
«C-cioè?».
«Solo se tu non dimenticherai questa notte».

Piccola Rivetra ispirata ad una doushinji trovata online in questi giorni. E' la prima volta che mi cimento con questa coppia. Spero vi piaccia ^__^
Genere: Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Petra, Ral
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Only_if_you_don't_forget_tonight

Capitolo 2

Ero di fronte alla porta della stanza del caporal maggiore Levi ormai da più di cinque minuti. Il mio pugno era chiuso e alzato, pronto a bussare.

“Che ti prende? Vuoi tirarti indietro? Non è che per caso hai paura?”, domandò la mia vocina interiore in tono beffardo.

Certo che avevo paura. Avevo paura di farmi coinvolgere dai miei sentimenti più di quanto non lo fossi già sapendo che a lui non interessava altro che passare una notte di sesso. E quel pensiero mi uccideva.

“Non puoi essere così sicura che per lui sia solo sesso”, mi consolò un’altra voce nella mia testa, più dolce e comprensiva. “Magari anche il Capitano prova i tuoi stessi sentimenti e questo è il suo modo per dirtelo”.

Lo speravo veramente, ma ero certa che nel migliore dei casi quell’ipotesi fosse altamente improbabile.

Basta. Ero lì, avevo fatto la mia scelta e l’avrei portata avanti fino alla fine. Andando lì mi ero detta che andava bene così, che l’avrei amato abbastanza per entrambi, anche se fosse stato solamente per quella notte. Meglio quel poco piuttosto che niente.

Nessuna illusione.

Trassi un ultimo profondo respiro e battei il pugno sulla grande porta di mogano massiccio. Come se fosse stato lì dietro ad aspettare il mio richiamo, il caporal maggiore Levi aprì immediatamente la porta. Ci fissammo per alcuni lunghissimi istanti. Teneva la camicia un po’ aperta lasciando intravedere parte del suo torace e i suoi occhi, in quel momento di un colore più tendente all’azzurro che non al grigio, erano così intensi da somigliare un mare in tempesta. Era bello tagliere il fiato.

Nel vedermi, solo per una frazione di secondo, mi sembrò di scorgere sul suo viso l’ombra di un sorriso.

Probabilmente era solo un altro scherzo della mia immaginazione.

«Prego, accomodati», disse mettendosi di lato per lasciarmi entrare.

«Grazie», mormorai.

Conoscevo bene quella stanza grandissima e quasi completamente vuota, eccezion fatta per un letto, un antico divanetto di pelle rossa e una piccola scrivania sotto la finestra. Spesso mi capitava di portargli il tè prima che andasse a dormire o il caffè quando non riusciva a venire nella sala da pranzo a fare colazione con il resto della squadra.

Il caporale mi fece strada e si lasciò cadere pesantemente sul divano. Rimasi a guardarlo, in piedi, fin quando non mi fece segno di sedermi accanto a lui. Nessuno dei due proferì parola per diversi minuti. Che cosa imbarazzante! Sembravamo due ragazzini al primo appuntamento piuttosto che due adulti!

Cominciai a torcermi le mani nella speranza che il mio cervello trovasse qualcosa di sensato e non troppo stupido da dire, perché dovevo dire qualcosa.

«Prima che tu possa fare una cosa di cui potresti pentirti, voglio essere sincero con te», esordì lui. La sua voce era bassa e più roca del normale. «Io non posso diventare il tuo innamorato, è bene che tu lo sappia».

Diretto, chiaro, conciso e onesto. Tipico di lui.

Sorrisi appena, tenendo lo sguardo basso, ben attenta a non incrociare il suo. «Sì, lo so, Capitano e la capisco», ribattei in un sussurro. «Lei non prova quel genere di sentimenti per me e io…». Strinsi le mani sul grembo per impedirmi di tremare, «non ci ho mai pensato nemmeno per una volta».

Bugiarda.

Ma era meglio che non lo sapesse e che rimanesse tutto così com’era.

Mi guardò con la coda dell’occhio per poi tornare a fissare come me il pavimento di fronte a sé. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia reggendosi il volto con le mani. «Essere l’innamorato di qualcuno significa promettere all’altro di vivere una relazione che possa durare nel tempo; significa mettere le basi per un futuro e io non posso farlo perché potrei morire anche domani». La sua voce era calma e ferma, il tono basso tradiva dell’amarezza. «Ovviamente non ho alcuna intenzione di morire, ma nessuno sa cosa potrebbe accadere nelle prossime missioni. Una cosa è certa: io sono colui che deve sterminare tutti i giganti; l’unico che ha le carte in regola per farlo», proseguì a voce leggermente più alta. Ridacchiò. «Mi sento un po’ un idiota: sono pronto ed epurare il mondo da quei dannati mostri per la salvezza del genere umano, ma non riesco ad aprirmi più di così e mostrare la parte più profonda di me stesso. Sono solamente un vigliacco».

Mi voltai e l’osservai: la sua fronte era attraversata da una ruga e i suoi occhi ardenti che tanto amavo erano spenti e tristi come non li avevo mai visti.

«Capitano, non deve…».

«Tutto quello che ho detto non significa che io non provi nulla per te», continuò senza badare a me. «Penso che tu sia davvero una persona speciale. Se non fosse così non ti avrei mai chiesto di venire qui questa sera. Non sono il genere di uomo che fa certe proposte tanto per fare».

Il mio cuore perse un battito per poi cominciare a martellare talmente forte da far male. Sembrava una dichiarazione d’amore. In chiave levesca, certo, ma pur sempre una dichiarazione.

“Quindi anche lui prova dei sentimenti per me? Mi sta aprendo il suo cuore?”.

Mi torsi nuovamente le mani tornando a guardare il pavimento lucido e perfettamente pulito. «Beh, una volta sterminati tutti i giganti non sarebbe affatto giusto se lei rimanesse da solo, Capitano», sussurrai. «Quindi quando arriverà quel momento… mi sposi!».

L’uomo alzò la testa e mi fissò con aria sorpresa ed incredula.

Arrossii fino alla punta dei piedi. Oh, bene. La mia lingua aveva deciso di staccarsi definitivamente dal cervello e fare di testa sua. Tanto valeva essere ancora più diretta e dire: «Capitano, sono innamorata di lei fin dal primo istante in cui l’ho vista!». Stupida, Petra! Stupida, stupida, stupida…!

«Cioè, quello che volevo dire è…», farfugliai grattandomi la testa nel tentativo di riparare il mio errore.

«Va bene», disse lui alzandosi in piedi.

Eh?”.

«Quando arriverà quel momento sarò pronto a dirti di sì, ma solo ad una condizione». Si piegò in ginocchio di fronte a me e mi prese delicatamente la mano destra portandosela alle labbra.

«C-cioè?».

«Solo se tu non dimenticherai questa notte». I suoi occhi erano dolcissimi così come quel piccolo sorriso che si stava aprendo sul suo viso. Il primo che gli avessi mai visto rivolgere a qualcuno. E quel qualcuno ero io.

Non riuscivo a crederci. Non era possibile. Se fossimo riusciti a sopravvivere a quell’inferno, lui mi avrebbe…

«Io… io non dimenticherò questa notte», barbugliai. Sentivo le lacrime di commozione salirmi agli occhi, pronte ad appannarmi la vista. «Finché avrò vita, io non la dimenticherò. Mai». Senza volerlo le lacrime presero il sopravvento sfociando in un vero e proprio pianto. Era così assurdo che lui mi ricambiasse, anche solo un po’.

Il capitano Levi rimase fermo in ginocchio a guardarmi piangere per diversi minuti. Mi prese il volto con le mani asciugandomi una lacrima con il pollice. «Penso che tu abbia pianto abbastanza per oggi», soffiò ad una spanna dal mio viso. Il suo respiro sapeva di menta, ma era incredibilmente caldo e rassicurante.

“Piango perché sono felice, Capitano”.

Mi mise una mano dietro la nuca e mi attirò a sé per baciarmi. Fu un bacio lento. Un bacio dolce. Casto.

Adesso volevo che sentisse quello che provavo per lui. Volevo che avvertisse la mia gioia e la paura di quei sentimenti che avevo cercato inutilmente di soffocare.

Allacciai le mie braccia dietro il suo collo per stringermi di più a lui e godere del sapore delle sue labbra.

Mai come in quel momento lo desiderai. Mai come in quel momento pregai di sentire la sua bocca sul mio corpo.

Mi fece stendere sul divano senza smettere per un solo istante di baciarmi sulle labbra, sul collo, sugli occhi e sul viso. Le sue dite scorrevano tra i miei capelli lisci mentre la mano destra era scesa lentamente all’altezza del seno sbottonando i primi bottoni della camicia lasciando intravedere il mio bustino come quando ci trovavamo nella stanza biblioteca. Mi contemplò per qualche secondo lasciando scorrere un dito dal collo all’ombelico per farlo poi nuovamente risalire fin sulla guancia baciandomi di nuovo sulle bocca, questa volta con più ardore, come se avesse voluto mangiarmi. Mi aggrappai alla sua camicia emettendo qualche mugolio.

«Cap-capitano Levi?».

«Cosa c’è?».

«Le sue labbra hanno un buon sapore. Davvero buono», risposi. «Non immaginavo che oltre ad essere l’uomo più forte del mondo fosse anche il miglior baciatore del mondo».

Per un attimo lo vidi irrigidirsi. Forse non avrei dovuto dire una cosa del genere, avevo osato troppo. Qualche istante dopo, però, mi prese in braccio, costringendomi ad aggrapparmi al suo collo, e mi portò sul suo letto. Mi spostò la frangetta dagli occhi e sorrise.

Avrebbe dovuto sorridere sempre. Il suo volto s’illuminava.

Ero contenta che avesse deciso di mostrare soltanto a me quel suo lato nascosto. Mi faceva sentire importante.

Avvicinai il mio viso al suo, sfiorandogli la punta del naso con il mio, in attesa di un altro bacio che non tardò ad arrivare. Nel frattempo con una mano sbottonò la mia camicia e spostò verso il basso la coppa sinistra del bustino, scoprendomi il seno. La sua mano era fredda a contatto con la mia pelle. Rabbrividii. Reclinai la schiena indietro e gemetti quando le sue dita cominciarono a giocare con uno dei capezzoli, inarcandosi di più quando la sua bocca cominciò a dedicarsi all’altro seno.

Era una sensazione strana, bellissima, ma che per un attimo mi terrorizzò. «Fermo, aspetti…», farfugliai a mezza voce sentendo la sua mano scendere verso il mio io più intimo e nascosto.

«Cosa c’è?», chiese guardandomi confuso.

«Ecco, io…». Non completai la frase. Girai il volto di lato incapace di sostenere la forza dei suoi occhi.

«Oh», fece lui mettendosi seduto. «Non hai mai avuto rapporti sessuali, vero?».

Colpita e quasi affondata.

Continuai a guardare altrove, sempre più imbarazzata. «Durante il mio primo anno d’arruolamento, un cadetto del terzo anno…».

«Hai ancora una storia con questa persona?», mi bloccò lui allontanandosi un po’ da me.

«No». Sorrisi mesta. «È morto per difendere la sua squadra durante un allenamento un mese dopo esserci messi insieme».

«Capisco», disse il Caporal Maggiore. «Mi dispiace. Non volevo rievocarti certi ricordi. Se solo avessi saputo una cosa del genere…».

«Quindi non ho avuto il tempo di imparare come si fanno certe cose», lo interruppi io questa volta mantenendo inalterato il mio sorriso. «Mi dispiace solamente che non rimarrà soddisfatto da me come poteva immaginar…».

«Petra». Mi accarezzò il viso con la punta delle dita. «Non essere così dura con te stessa. Non ce n’è bisogno». Si sedette sulle ginocchia e mi abbracciò facendomi poggiare la testa sul suo torace. «Non importa quello che fai. Io ti apprezzerò sempre. Da questo momento cercherò di alleviare questi tuoi pensieri dolorosi provando a non provocartene altri. Combatterò per sempre al tuo fianco in modo da poterti difendere quando ce ne sarà bisogno. È l’unica soluzione». Mi strinse maggiormente a sé accarezzandomi la testa. «Purtroppo non posso prometterti più di questo. Perdonami».

«Capitano, non deve fare tutto questo per me. Non lo merito».

«Sì, invece», ribatté poggiando delicatamente indice e medio sotto al mio mento alzandolo in modo che in nostri sguardi s’incontrassero. «Tu meriteresti molto più di questo».

«Capitano…». Mi buttai tra le sua braccia affondando il viso nel suo petto aggrappandomi alla sua camicia.

«Questa sera non darmi del lei. Chiamami solamente Levi». Non era un comando e nemmeno una richiesta. Sembrava più che altro una preghiera.

«Ai tuoi ordini, Levi», soffiai nel suo orecchio.

Non so se fu colpa del mio tono di voce o il fatto di chiamarlo per nome, fatto sta che mi stese sul letto e cominciò a ricoprimi di baci con una foga che non mi aveva ancora mostrato. Sfilò con calma i lembi della camicia che erano rimasti nei pantaloni facendo per spogliarmi e lasciarmi solo con il corpetto.

«No! Si fermi! Non mi tolga la camicia!», esclamai bloccandogli il polso.

«Perché non dovrei?», chiese con fare neutro e serio.

«Il mio corpo è coperto da numerose contusioni e non sono belle da vedere, perciò non ho alcuna intenzione di togliermi i vestiti», replicai sulla difensiva stringendo le braccia al petto, cercando di coprirmi il più possibile.

«Nonostante sia un maniaco della pulizia, non penso affatto che le ferite di guerra sia sporche».

«Non è questo il punto!», scattai stringendomi ancora di più nella camicia aperta. «Il fatto è…», cominciai incerta. «Il fatto è che a causa di tutte queste cicatrici il mio corpo è brutto. Inguardabile».

Mi fissò per alcuni secondi rimanendo in silenzio. «Petra, voglio vederlo», disse dopo un po’ posandomi un dito sulle labbra. «Permettimi di guardarti. Ti prego».

Non era leale tutta quella dolcezza.

Disobbedire ad un suo comando sarebbe stato difficile, ma ad una richiesta posta con quel tono dolce e roco allo stesso tempo era del tutto impossibile.

Restai per qualche altro istante con le braccia chiuse al petto, poi le abbassai posandole sul grembo. «Va bene», mormorai alla fine. «Se vuole p-può toccarmi».

Il caporale annuì. Si avvicinò e molto lentamente mi sfilò la camicia passando successivamente al bustino. Quando fui completamente nuda, si allontanò per osservarmi da lontano. Sentivo i suoi occhi su ogni centimetro di pelle martoriata. Il suo sguardo bruciava.

«Capitano…».

In una frazione di secondo, mi ritrovai distesa sotto di lui.

«Come puoi pensare che il tuo corpo sia inguardabile?», domandò bloccandomi le braccia con forza, impedendomi qualsiasi movimento. «Tu sei bellissima, Petra». Scese lungo l’addome ricoprendomi completamente di baci e carezze, specialmente sulle cicatrici.

«Capitano, la prego, lasci andare le mie braccia. Mi sento così in imbarazzo e…».

«Ma cosa stai dicendo? Non stiamo per fare cose ben più imbarazzanti?», sbottò portandomi le braccia sopra la testa tenendole ben ferme con una mano. «E poi ti avevo chiesto di non darmi del lei e chiamarmi solo per nome. Questa sera non siamo il capitano con la sua sottoposta, ma soltanto Levi e Petra». Intrappolò le mie labbra in un bacio facendosi subito spazio nella mia bocca con la lingua alla ricerca della mia che lo cercò con lo stesso desiderio.

Un mano continuava a tenere immobilizzate le mie braccia sopra la testa, mentre l’altra era tornata a stuzzicare il seno come quando eravamo ancora sul divano.

Mi sentivo accaldata e se una parte di me si sentiva molto imbarazzata ad ogni suo tocco, l’altra pregava che non smettesse mai. Inoltre ci sapeva dannatamente fare, molto più di quanto mi aspettassi.

Mi baciava, mi leccava, mi accarezzava, mi mordeva, mi abbracciava. A tratti con irruenza, rozzamente quasi, in altri con una calma esasperante permettendo al piacere di propagarsi in ogni cellula del mio corpo. Era come arrivare alle porte del paradiso per essere subito dopo avvolti nelle fiamme dell’inferno.

Io lo spogliai piano, timorosa di vedere cosa si nascondesse sotto gli indumenti dell’uomo più forte della terra. Non sapevo da dove cominciare. Avevo paura di non fargli sentire tutto l’amore che provavo per lui, di non essere all'altezza.

«Non avere paura. Non trattenerti», m’incoraggiò mentre con mani tremanti gli toglievo la camicia. «Segui il tuo istinto come in battaglia».

E lo feci, imitando le premure e le attenzioni che lui aveva usato con me valutando quale gli piacesse di più. In alcuni momenti fu lui stesso a guidarmi.

Quando ci ritrovammo entrambi completamente nudi, l’una sotto l’altro sapevo che era arrivato quel momento tanto atteso. Però, avevo paura. Che ironia; non mi spaventava un gigante alto dieci o quindici metri, ma il solo pensiero di perdere la verginità sì.

«Petra… posso?», chiese aprendomi delicatamente le gambe.

Per un secondo esitai e in quel preciso istante la mia femminilità gridò il bisogno di sentirlo dentro di me, subito.

«Sì», risposi alla fine.

Mi baciò sul collo accarezzandomi dolcemente la coscia. «Se ti faccio male, dimmelo», sussurrò al mio orecchio.

Annuii e mi aggrappai alle sue spalle. Non entrò subito. Mi massaggiò e baciò sul mio io più sensibile per un po’ in modo da essere sufficientemente pronta ad accoglierlo evitandomi il più possibile di sentire dolore. Quando iniziò ad entrare lo strinsi più forte di quanto non stessi già facendo. Lo sentivo battere con delicatezza e forza allo stesso tempo.

«Lev…». Le mie unghie gli graffiarono la schiena trattenendo a stento un urlo quando riuscì a rompere il mio muro interno.

Mi tenne stretta, sorreggendomi la nuca e rimanendo fermo il tempo necessario per farmi abituare ad averlo dentro di me. «Tutto bene?», domandò premuroso posandomi un bacio sulla tempia.

Feci segno di sì con la testa rimanendo avvinghiata a lui.

Una volta scomparse le smorfie di dolore dal mio viso cominciò a muoversi. Piano. Pianissimo, senza mai smettere di accarezzarmi e sussurrarmi frasi dolcissime che non avrei mai pensato potessero uscire dalle sue labbra.

Passato il male iniziale un fiume di sensazioni presero a correre per tutto il mio corpo. Non riuscivo a credere che quello che stava succedendo fosse reale. Non riuscivo a credere che fossi un tutt’uno con l’uomo che amavo. In quel momento realizzai quanto fosse importante per me, che lui era la mia vita e il motivo per il quale vivevo.

«Dì… dì il mio nome», ansimò quando era ormai arrivato quasi al limite.

«Levi».

«Dillo ancora».

«Le-Levi», ripetei a voce più alta. Anche io ero al limite.

«Il mio nome non mi è mai sembrato così bello. Potrei anche sentirlo all’infinito, se a pronuncialo sei tu».

«Per me è lo stesso, Levi».

Mi fissò negli occhi per un istante e nel momento in cui mi riempì di sé unì le sue labbra alle mie, come a voler rendere quelle parole ancora più vere e dense di significato. Venni anch’io fondendomi completamente con lui.

Ero consapevole che il giorno successivo sarebbe tornato il solito, freddo e distaccato caporal maggiore di sempre, ma era indiscutibile che quella notte fosse stato incredibilmente dolce e che mi avesse fatta sentire amata, bella e preziosa come non era mai successo in tutta la mia vita mia.

***

Mi svegliai avvolta dalle braccia di Levi qualche ora dopo. Fuori era ancora buio pesto. Doveva essere notte fonda. Il castello era silenzioso. Mi sciolsi dalla sua stretta gentile facendo attenzione a non svegliarlo. Raccolsi i miei vestiti sparsi qua e là sul pavimento e mi rivestii.

«Ehi, vai già via?». La sua mano strinse la mia costringendomi a voltarmi verso di lui. «Non pensavo che mi abbandonassi subito. Sei senza cuore».

Sentii il volto andarmi in fiamme. Con quei capelli scompigliati, lo sguardo un po’ intontito dal sonno, il corpo coperto solamente dal piumone, ben consapevole di cosa nascondesse, era se possibile ancora più bello di quando avevamo fatto l’amore. Sembrava anche più giovane dei suoi trent’anni.

«Oh… beh… ecco…», balbettai distogliendo lo sguardo. «Pensavo che preferissi riposarti un po’ da solo senza avermi tra i piedi».

«Non posso crederci», borbottò mettendosi seduto. «Nonostante quello che abbiamo fatto ti senti ancora in imbarazzo?».

«Beh, non è questo…».

“Sì, certo, Petra, come no!”, commentò divertita la mia coscienza.

«E allora qual è il problema? Guarda che non mi dà affatto fastidio se resti a dormire qui».

«E se domani mattina ci vedesse qualcuno?».

«Diremo che se venuta a portarmi il caffè». Mi prese la mano e facendomi stendere accanto a lui mi coprì con la coperta pesante. «Adesso dormi tranquilla».

Chiusi gli occhi sperando di riuscire a prendere sonno facilmente. Praticamente impossibile con lui così vicino.

«Ah, Petra», aggiunse. «Ho intenzione di mantenere fede alle parole che ci siamo detti prima, però se vuoi dimenticarti di me non te ne farò una colpa. So bene che puoi ambire a ragazzi migliori e più giovani di me».

Spalancai gli occhi, esterrefatta.

«Buonanotte», finì chiudendo gli occhi.

«Levi, ti stai sforzando di apparire indifferente, non è vero?».

«Ho detto buonanotte».

Il mio caporal maggiore riusciva ad essere una persona davvero austera e spaventosa, ma anche la più gentile e romantica del pianeta.

«E comunque sappi che non potrei mai ambire ad un uomo migliore di te», mormorai in maniera così flebile da farmi appena sentire. «Buonanotte».

Fine

Note dell’autrice

Ed eccoci arrivati alla fine di questa mini-fic.

Ho adorato scriverla e penso che sia una delle più belle nelle quali mi sia mai cimentata dal 2001 ad oggi. Il mio unico timore è che essendo una storia nata da un soft hentai possa aver deluso le aspettative di chi l’ha letta. Mi dispiace, ma io non ce la faccio proprio a scrivere cose erotiche con troppi dettagli sull’atto in sé per sé (alla Cinquanta Sfumature, giusto per rendere l’idea di quello che intendo). È più forte di me, veramente. Cerco sempre di lasciare più spazio al romanticismo e alle sensazioni dei protagonisti perché credo che sia la cosa più bella di cui parlare. Spero quindi di essere riuscita ad aggiungere qualcosa a questa storia già bellissima nella sua versione disegnata ed avervi emozionate/i tanto quanto mi sono emozionata io a scriverla.

Come per il capitolo precedente, non essendo una traduttrice, ho cercato di essere fedele alla doushinji di base prendendomi però qualche licenza e aggiungendo delle piccolissime parti che non c'erano e mi auguro che vi siano piaciute.

Detto questo, voglio mandare un mega bacio a Zunika, happily ever after e ladykaito96 che hanno recensito il primo capitolo (spero davvero di non avervi deluse con questo dove c'è la vera "ciccia") e anche a tutte quelle persone che l'hanno solamente letto. Grazie ^_^

Perdonatemi se dovessero esserci degli errori all'interno nel testo: si nascondo, sappiatelo. Per quante volte uno possa controllare, rileggere e correggere, almeno uno c'è sempre (maledetti infami! xD).

A questo punto vi mando un mega bacio e... tremate! Potrei tornare con qualche altra Levetra prima di quanto possiate pensare (paure, eh? xD)!

Alla prossima!

Martina

   
 
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