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Autore: Cici_Ce    19/12/2015    5 recensioni
Stiles sta ultimando il master a Yale, dove si è trasferito e studia da anni. Non fa più parte del branco di BH, così come anche Lydia, da quando un brutto evento ha cambiato ogni cosa e niente è più stato come prima. Ma anche se i rancori sembravano dimenticati, ritornano a galla nel momento in cui è costretto a fare una scelta: ritornare a Beacon Hills.
Questa storia partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 5

 

Non era il suo telefono, quello che stava suonando con insistenza sotto al suo cuscino. Non poteva esserlo. Stiles grugnì e cercò, senza trovarlo, l’oggetto incriminato per lanciarlo il più lontano possibile.

«Mioddiooooo!» mugolò.

Ostinato a non aprire gli occhi, a fingere di non essersi svegliato, Stiles tastò alla ricerca delle coperte per premersele sulle orecchie, ma non ce n’era traccia. Perché? Perché? Erano anni che non dormiva così bene; complice la stanchezza dovuta al viaggio e alle emozioni della giornata precedente, non appena aveva toccato il materasso era crollato in un sonno profondo. Doveva ringraziare il suo angelo custode se dopo tutto quel trambusto interiore non aveva avuto incubi o attacchi di panico inaspettati, anche se poteva essere tutto merito del letto. Il suo letto, suo suo, quello che aveva assistito a pianti, ricerche infinite, esultanze, momenti di crisi e anche qualcosa di più intimo di cui suo padre, invece, non avrebbe mai voluto sapere. Il suo amatissimo letto, comodo e caldo.

Oh beh, comodo ancora lo era, caldo… non proprio.

Stiles si arrese all’evidenza di essere ormai più che lontano dal regno di Morfeo e aprì svogliatamente gli occhi. Gli bastò un’occhiata verso il pavimento per capire che fine avevano fatto le coperte, e si chiese perché anche durante il sonno più profondo non fosse in grado di stare fermo o di dormire in una posizione consona.

«Sul serio? A quest’ora??» gracchiò con disperazione di fronte al continuo squillo del cellulare, che in tutto quel tempo non aveva smesso di suonare. Lanciò il cuscino in mezzo alla stanza, preso dal nervosismo, e afferrò il telefono indeciso se lanciare anche quello o rispondere. Optò per la seconda quando vide il nome sul display.

«Giuro che ti uccido,» ringhiò nella cornetta.

«Alla buonora! Lo sai da quant’è che ti sto chiamando? Pensi che non abbia niente di meglio da fare che stare appresso a te? No, davvero, perché vorrei che ti mettessi nei miei panni.»

«Lydia, sul serio, è troppo presto per questi discorsi. Se avevi molto di meglio da fare che svegliarmi all’alba, perché non l’hai fatto? Con tutto il bene che ti voglio, e il rispetto che ho per la tua splendida testolina biondo fragola, sono molto tentato di mandarti a quel paese. Con affetto.»

«Taci. Anzi no, rispondi, che non ho tempo da perdere. Com’è andata? Siete arrivati sani e salvi? Siete ancora tutti interi? Cora come se l’è cavata? Avete già rivisto i ragazzi? E tu? Come stai?»

Stiles le chiuse, senza convenevoli, il telefono in faccia.

Sgranò gli occhi quando, con un’occhiata alla sveglia sul comodino, vide davvero che ora era. Le sette del mattino.

«Altro che alba, è notte fonda! Io la uccido,» grugnì, lasciandosi cadere di faccia sul letto.

Quando il cellulare cominciò, pochi istanti dopo, a suonare a ripetizione l’avviso dei messaggi in arrivo, Stiles prese in seria considerazione l’idea di lanciarsi dalla finestra. Una gamba rotta avrebbe fatto meno male di quella tortura mattutina: cinque messaggi da Lydia, uno da Morris e due da Mike. Perfetto.

 

Stiles decise che l’unico che si meritasse una risposta degna di questo nome era Mike, a cui inviò un semplice ma contemporaneamente pregno di significato “ok”, perché, insomma, nemmeno lui era così disgraziato da non rassicurare un giovane innamorato, giusto? Gli altri, vista l’ora, potevano cuocere ancora per un po’ nel loro brodo, perché alle sette del mattino l’unica cosa che meritava attenzione era una generosa quanto poco sana dose di caffè.

Stiles non si stupì del tutto quando, sceso in cucina dopo essersi quasi rotto una caviglia sull’ultimo gradino, trovò Cora già in piedi e con una tazza fumante tra le mani.

«Tempra d’acciaio, la tua, uhm?» borbottò, accasciandosi a peso morto sul tavolo semi-apparecchiato per la colazione.

«Ho fatto un po’ come se fossi a casa mia, sono certa che non ti dispiacerà. Il caffè è pronto. E non è colpa di nessuno se ti piace fare la parte della bella addormentata.»

Stiles poteva sentire quel ghignetto irriverente come se fosse qualcosa di corporeo. Maledetti licantropi e la loro energia sempiterna.

«Dormire è bello. Dormire è miracoloso. Dovreste provare qualche volta, davvero.»

No, non c’era niente che potesse fare, non riusciva a trovare le forze per raggiungere il caffè. Che le avesse consumate tutte per scendere le scale ed evitare di trocarsi il collo? Possibile che Cora non fosse nemmeno un filo colpita da quanto era andato vicino alla morte?

«Forse sto per morire. Non mi sento più le gambe, morirò, ne sono certo,» biascicò, e allungò una mano sulla superficie di legno in un disperato tentativo di impietosire il cuore di ghiaccio della sua amica.

«Patetico. Sei un pessimo attore, Stilinski.»

Patetico, ma era servito a qualcosa! Stiles sollevò la testa, un sorriso smagliante in faccia quando sentì qualcosa di caldo tra le mani e, aperti gli occhi, vide la sua tazza preferita colma di caffè bollente.

«Come lo sapevi che era la mia?» domandò entusiasta, mentre ci versava una dose generosa di zucchero.

«Cosa, la tazza?» Cora alzò un sopracciglio, ma Stiles non ci badò, preso com’era a sorseggiare la sua droga mattutina. «Come se fosse difficile, tra tutte le tazze monocromo, l’unica a forma di Morte Nera doveva per forza essere tua.»

«Non parlarle con quel tono, ci resterà male,» mugugnò. Quella tazza era una delle cose che gli erano mancate di più, che gli era dispiaciuto di più lasciare a casa; insomma, chi poteva vantarsi di avere una tazza a forma di Morte Nera? Era più che certo di essere uno dei pochi al mondo, ma siccome era stata un regalo di Derek – inaspettato quanto apprezzato – era stata lasciata indietro. Ora che la rivedeva, però, Stiles non poteva fare a meno di covarsela con lo sguardo.

«Sì, certo.»

Stiles si riscosse e strabuzzò gli occhi. Quella risposta non era da Cora, decisamente; non era da lei essere così fredda di fronte alle sue battute, o di fronte alle sue passioni, non quando le dimostrava in quel modo sia infantile che pieno di emozione, come nel caso di quella tazza.

«Ehi,» mormorò. Vederla così seria, con lo sguardo fisso fuori dalla finestra, lo preoccupò. «Cosa c’è che non va? Hai dormito male?»

Stupido, pensò. Era ovvio che avesse dormito male, chi non lo avrebbe fatto dopo una giornata come quella precedente? Lui fungeva da eccezione, ovviamente.

Non gli fu di alcuna fatica alzarsi, non con Cora così visibilmente turbata; tazza di caffè alla mano, la raggiunse.

«Cora?»

Lei si limitò a indicare, con il mento, i vetri. Stiles seguì quell’indicazione e per poco non fece cadere a terra la sua amata tazza: appoggiati a un’auto di grandi dimensioni parcheggiata sulla strada, un’auto che non riconosceva, c’erano Derek e Scott. Guardavano entrambi nella loro direzione, e Stiles non aveva il minimo dubbio che avessero ascoltato tutto quello che lui e Cora si erano detti fino a quel momento. Eppure non fu quella la prima cosa che Stiles pensò.

Aveva già avuto modo di vedere Derek il giorno prima, e vederlo di nuovo, a poche ore di distanza, non fu un colpo così duro. Rivedere Scott, al contrario… Stiles non credeva fosse possibile essere capaci di sentire tanto dolore e tanta rabbia, non ne credeva capace se stesso. Ciò che provò alla vista di Scott fu così forte che persino Cora, accanto a lui, sussultò. Stiles se ne rese conto a malapena, concentrato com’era a tentare di controllarsi. Peccato che Tara non gli avesse permesso di esercitarsi su incantesimi che potessero ferire. Non che Stiles non fosse in grado di difendersi con altri mezzi.

«Mi spiace.»

Stiles si voltò di scatto verso l’amica, confuso. Per cosa si stava scusando?

«Sono lì già da un pezzo, avevo pensato di mandarli via, ma…»

Stiles scosse la testa. «No.»

Decise in quell'istante che avrebbe cominciato a mettere in pratica quello che aveva predicato, tutto ciò di cui aveva cercato di convincersi. Date le spalle a Cora, posò la sua amata tazza sulla prima superficie piana a disposizione e si diresse verso la porta. A ogni passo che compiva, a ogni passo che lo avvicinava di più al suo passato, la rabbia dentro di lui si trasformava in una salda e gelida fermezza; dopotutto non era anche per quel motivo che si era addestrato così a lungo e con così tanto impegno? Gestire situazioni critiche con la freddezza che altri non avevano era uno dei compiti di un buon Emissario, e quale momento migliore di quello per metterlo in pratica?

Derek aveva avuto ragione, in fondo: la rabbia poteva essere un'ancora, e Stiles dovette ammettere, quando raggiunse l'ingresso, che non aveva mai davvero capito come fosse possibile. Mai prima d’ora.

Non si stupì quando, aperta la porta, trovò i due licantropi già ai piedi del portico. Dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per rimanere calmo e immobile, per non sfogarsi come avrebbe voluto; prendere a pugni l'Aplha di un altro territorio li avrebbe messi nei guai, per non parlare di come lo avrebbe conciato Tara quando lo sarebbe venuta a sapere.

Scott. Scott lo stava guardando come si guarda un miraggio, con quei suoi maledetti occhi da cerbiatto accecato dai fari. Stiles strinse più forte la maniglia, che stava ancora subendo la presa del suo pugno serrato. Scott non aveva il diritto di guardarlo così, Scott non doveva nemmeno permettersi di guardarlo, figurarsi in quel modo, ma ehi, lui era l'Alpha ora, tutto gli era dovuto. Col cavolo.

«Tu puoi entrare,» disse deciso, puntando prima Derek con il dito e subito dopo la porta con il pollice, «L'Alpha resta fuori.»

Stiles dovette ammettere che provò una certa soddisfazione quando una sfumatura addolorata velò lo sguardo di Scott.

Oh sì, fa male, vero?

«Stiles, forse–»

«Ti consiglio di entrare prima che cambi idea. Se ci tieni a tua sorella.»

Scott fece un passo avanti, tese persino una mano prima di cercare di dire qualcosa. «Stiles io–»

«Su di te sta’ certo che non cambierò idea, invece. Non me ne frega niente se ora sei il Grande e Potente Alpha della città e se sto distruggendo tutti i possibili rapporti con i nostri branchi. Ti consiglio di non provare neanche a mettere piede sul primo gradino, o te ne pentirai amaramente. E credimi, adesso ho i mezzi per farlo,» gli sibilò contro.

Non aspettò che Scott tentasse di nuovo di parlargli, né rimase a controllare che se ne stesse davvero andando; era meglio per lui se lo faceva perché, sul serio, magari Stiles non conosceva incantesimi che potessero ferire, ma aveva con sé tutto il suo armamentario da Emissario e non aveva la minima remora a usarlo. Si fermò solo un istante per far passare Derek che, prima di entrare in casa, mormorò delle scuse al suo Alpha, poi chiuse la porta dietro di lui. Non la sigillò con della cenere, non ne aveva bisogno e soprattutto doveva permettere a Derek di andarsene, quando lui e Cora avessero finito.

Derek. Stiles si voltò e, solo per un attimo, tutta quell’espolosione vulcanica di rabbia, dolore e delusione passò in secondo piano. Cora era ferma sulla soglia della cucina e sembrava quasi brillare, tanta era l'emozione che le traspariva dagli occhi. Stiles non prese nemmeno lontanamente per incertezza l'occhiata che Derek gli lanciò, e si gustò il momento – perché sì, se lo gustò eccome, quel momento, e si commosse, anche se si guardò bene dal farlo trapelare troppo – in cui entrambi i fratelli scattarono in contemporanea e si lanciarono l'uno nelle braccia dell'altra. Stiles sorrise, perfino, di fronte alle lacrime mal trattenute di Cora. Cara, dolce Cora, così abituata a fare la dura, e poi eccola lì, un pezzo di pane. Cora, che gli sorrise di rimando, prima di affondare il viso contro il collo di Derek per fare, finalmente, quello che desiderava sin dal giorno prima, e nascondere anche quelle lacrime traditrici.

Fu solo questione di qualche istante, e Stiles si ritrovò catapultato nel mondo dei ricordi.

C'era stato un giorno, in passato, in cui anche lui si era avvinghiato in quel modo a Derek, con la stessa paura di lasciarlo andare, con lo stesso timore che se l'avesse fatto lo avrebbe perso per sempre. Se lo ricordava come fosse ieri: Stiles si era aggrappato a lui come a un'ancora e all’inizio aveva avuto l’impressione che Derek lo stringesse a sua volta, anche se, con il senno di poi, era durato troppo poco per essere accaduto davvero. Quando Stiles si era allontanato, confuso perché non lo sentiva ricambiare il gesto, era stato l'inizio della fine. E dire che, lontano nella memoria, Stiles ricordava bene altre volte in cui aveva avuto l'occasione di abbracciare Derek, stringersi a lui tra le lenzuola in quello che era il preludio, aveva sperato, di qualcosa di più... era in grado di ricordare, se si obbligava a farlo, persino l'odore della sua pelle, o la sensazione della sua barba durante un bacio. Tutti ricordi offuscati da quell'ultimo abbraccio mai completato.

Stiles si riscosse da quel turbinio di pensieri quando un formicolio lungo la spina dorsale gli suggerì – beato istinto di autoconservazione – che qualcuno lo stava osservando. Quando rimise a fuoco il mondo che lo circondava si accorse di essere nel mirino di due paia d’occhi che erano puntati fissi su di lui.

Per Cora, fallo per Cora, si ripeté come un mantra.

E ci provò, davvero, l'intenzione c'era tutta. Cercò di sciogliere un po' i muscoli, rilassare il corpo, si schiarì anche la gola e prese fiato... poi però con la coda dell'occhio sbirciò oltre la finestra e tutte le sue buone intenzioni andarono a farsi benedire: Scott era ancora là, con la sua aria da cane bastonato mista a ostinazione. Era come se gli si potesse leggere dritto in faccia «Sto facendo la cosa giusta, non me ne andrò e bla bla bla» e Stiles provò il forte istinto di uccidere qualcuno.

«Papà non c'è,» si decise a dire, anche se per Derek non doveva essere una notizia inaspettata, se la divisa che aveva indossato il giorno prima valeva come indizio. «Quindi non fatevi problemi. Io sarò di sopra a farmi gli affari miei, se vi serve qualcosa ululate.» Fece per andarsene, ma poi ci ripensò. «Se sarà ancora lì, quando te ne andrai, vedi di portartelo via,» dichiarò guardando Derek dritto negli occhi.

Solo allora cominciò a salire le scale, scusandosi con Cora con lo sguardo. Era ancora troppo presto per fare di nuovo le persone civili. Troppo presto.

 

***

 

«Ti piace ancora la nostra salsa segreta?» le chiese Derek.

Cora annuì, entusiasta e decisamente divertita mentre il fratello, che quando gli era venuta in mente quella domanda si era scosso come se avesse avuto un’illuminazione geniale, scattava in piedi e si dirigeva verso il bancone. La loro “salsa segreta” era un orripilante – almeno agli occhi del resto degli esseri viventi del pianeta, e forse anche dell’intero universo – miscuglio di maionese e salsa verde. Non era, però, solo un intruglio improponibile, era anche qualcosa di completamente loro, così loro che aveva fatto sgranare gli occhi e arricciare il naso persino a Stiles, che in quanto a gusti culinari faceva impallidire chiunque; così loro che anche in famiglia nessuno l’aveva condivisa, era stata la loro piccola cosa speciale. Sua e di Derek.

Cora si raddrizzò e accolse eccitata il ritorno del fratello e l’arrivo delle due salse. Non poteva farci niente, quel semplice gesto la rendeva più eccitata di un bimbo la mattina di Natale. E Derek le stava sorridendo così tanto che era sicura che presto gli avrebbero fatto male le guance.

«Attento, da come ti guardano le persone qui intorno sembra che stiano vedendo un fantasma,» ridacchiò, mentre versava con attenzione una generosa dose di maionese dritta sul cumulo di salsa verde che si era appena servita. Il loro hamburger sarebbe stato strepitoso, non appena ce l’avesse messa dentro.

Per tutta risposta Derek si voltò verso la cameriera e i pochi avventori e li fulminò con lo sguardo, facendoli trasalire. Cora fece tutto il possibile per non scoppiare a ridere di fronte a quella scena perché, davvero, il modo in cui Derek cercava di tenere a distanza la gente era a dir poco esilarante, se considerato quanto poco funzionava. Le persone che incontravano sembravano sì intimidite, ma allo stesso tempo era evidente che tutti lo consideravano una brava persona; per un uomo che in passato era stato persino accusato di omicidio – Cora ancora non si capacitava! – non era una cosa da poco. Cora non sapeva se Derek nel tempo si fosse guadagnato la loro fiducia e il loro rispetto, o se si trattasse solo di ciò che la sua divisa rappresentava, in fondo non era importante. Era comunque bello vedere che la popolazione di Beacon Hills aveva una buona opinione di suo fratello, e nessuno era poi così invadente come davano a intendere le occhiatacce di Derek. 

A panini pronti lei e Derek si scambiarono uno sguardo complice e li addentarono. Cora chiuse gli occhi quando il sapore e i ricordi la invasero, e sospirò serena.

Quei giorni erano stati… inaspettati. Un susseguirsi di eventi, echi di passato, momenti di tenerezza e anche alcuni di tensione, tutto così naturale da riuscire quasi a spaventarla, perlomeno all’inizio. Come quella prima mattina insieme da soli.

Quando Stiles era salito di sopra e li aveva lasciati in salotto, sulla stanza era calato un silenzio talmente denso che si sarebbe potuto tagliare con un coltello; un silenzio carico di attesa, aspettative, ostilità e anche emozione. Cora non sapeva che cosa si fosse aspettato Derek, da quell’incontro, e in effetti non aveva saputo nemmeno lei cosa aspettarsi.

Per assurdo che fosse, si era sentita come sul ring, ragion per cui si era presa qualche momento per studiare il suo avversario; Derek doveva aver fatto lo stesso, o forse aveva solo aspettato che lei fosse pronta. Sembrava che non avsse fatto altro che aspettarla, mentre lei era rimasta combattuta. In quel secondo confronto non aveva certo reso la vita facile al suo caro fratellino, lo ammetteva: era restata ostile, guardinga, spesso irriverentemente ironica, ogni qual volta che Derek aveva cercato un punto di contatto.

Cora affondò di nuovo i denti nel panino e sospirò, gli occhi puntati sulla farcitura e sulla loro salsa speciale che colava sul piatto, la mente che vagava ricordando ogni dettaglio di quel confronto.

Derek si era preso la giornata libera, sia quel giorno che quelli seguenti, solo per stare con lei, cosa che l’aveva emozionata nel profondo, eppure quando gliel’aveva detto Cora non aveva saputo fare altro che rispondergli con acidità. Il lampo di dolore che aveva attraversato gli occhi di suo fratello si era riflesso anche nel cuore di Cora. Poi Derek aveva tirato fuori dalla tasca una piccola polaroid e l’aveva lasciata senza parole. Cora l’aveva afferrata con mani tremanti, più che certa di aver smesso di respirare, ed era rimasta per quelle che erano sembrate ore con lo sguardo fisso su quel minuscolo ritratto di famiglia, rinvenuto chissà dove e chissà come, inestimabile come un gioiello raro.

Dalla foto squadrata e incorniciata di bianco la sua famiglia e una se stessa bambina le avevano sorriso con allegria, lo sguardo di tutti nascosto dietro le lenti nere di occhiali da sole di foggia uguale, come quelli nel film “The blues brothers”. Uno stratagemma stupido ma necessario per nascondere la loro natura di licantropi. Una cosa talmente tipica di un branco come lo era stato quello degli Hale da risultare inconfondibile. Anche per quello la fotografia le era sembrata tanto preziosa, perché raccontava di lei e della sua famiglia più di mille parole.

Era stata la molla che aveva permesso alla conversazione di partire. A dispetto di quanto entrambi erano ancora impacciati, e del fatto che non si erano abbracciati o anche solo avvicinati, avevano parlato. Tanto. Così tanto che quando Stiles era sceso a preparare la cena – sicuramente affamato perché a pranzo si era limitato a portare di sopra un sandwich arraffazonato in fretta e furia - e li aveva trovati ancora in sala aveva strabuzzato gli occhi, sorpreso.

Era cominciato tutto da lì: Cora aveva interrogato Derek su tutto; gli aveva domandato cosa aveva fatto negli anni dopo l’incendio, se aveva studiato, dove aveva viaggiato. Aveva accettato con incredibile facilità la notizia della morte di Laura, non avendo nemmeno ipotizzato che anche lei potesse essere viva – come le aveva spiegato in seguito, Stiles aveva preferito che fosse Derek a dargli di persona quelle notizie - e persino della sopravvivenza di zio Peter, benché ciò che ne era derivato non fosse il più bell’aneddoto di famiglia da raccontare. A quanto pareva, Derek e il branco non sapevano neppure dove fosse finito, in quegli ultimi tempi. Cora aveva trangugiato ogni notizia come un’assetata davanti a un’oasi nel deserto; aveva chiesto persino sciocchezze, e in cambio aveva cercato di rispondere quanto più possibile e con sincerità alle domande di Derek. Avevano parlato per ore e nemmeno un decimo delle loro vite era stato sviscerato.

Cora non sapeva come ci era riuscita, eppure in qualche modo aveva trovato un punto di contatto senza lasciare che il pensiero di Stiles si mettesse tra di loro. Perché Stiles meritava giustizia, se ne rendeva conto, ma si rendeva anche conto che il suo amico aveva ragione, e lei non poteva sminuire il sacrificio che aveva fatto accompagnandola a Beacon Hills solo per pura testardaggine. Nonostante tutto, però, c’erano delle cose che andavano oltre la sua capacità di accetazione; così quando Derek aveva cercato di convincerla a incontrare il suo branco, lei aveva rifiutato con decisione.

C’erano un sacco di altre cose che potevano fare insieme: Derek l’aveva portata a vedere la Riserva – e quello era stato un momento doloroso e pacificatorio al tempo stesso – e la cripta, di cui Cora aveva solamente sentito parlare, da bambina, mentre origliava le conversazioni dei grandi. A ben pensare, forse Derek aveva trovato lì la polaroid. E poi l’aveva accompagnata in giro per la città, al loro vecchio parco giochi e in mille altri posti, come il locale dove stavano mangiando quel giorno, quello in cui il papà li portava sempre a mangiare le patatine.

Ed era stato bello, così bello vedere quel Derek sereno, forte, che si era ricostruito una vita. Pian piano, un passo dopo l’altro, lei e Derek avevano riacquistato quella confidenza che avevano avuto da bambini, quella complicità che solo i fratelli hanno, fino al punto in cui Cora si era convinta, la sera precedente, a chiedergli spiegazioni su ciò che aveva fatto quattro anni prima.

Quelle domande la tormentavano da quando ancora non sapeva chi erano gli infami che erano riusciti a ferire così profondamente una persona speciale come Stiles, e non avevano fatto altro che diventare più pressanti man mano che tra lei e suo fratello cresceva prima la vicinanza e poi la sintonia. Alla fine Cora non era proprio riuscita a trattenersi.

Davanti a quella richiesta diretta, Cora aveva visto ogni singolo frammento di maschera scomparire dal volto del fratello, e aveva capito di aver avuto la giusta intuizione: Derek soffriva come un cane, esattamente quanto Stiles. Cora ne aveva il sospetto sin da quel primo istante nel commissariato, le era bastato vedere e sentire la reazione di Derek al ritorno di Stiles. Derek soffriva eccome, e in qualche modo la sua sofferenza era autoinflitta, causata dalle sue stesse azioni del passato; era un dolore sempre presente, come un’ombra che non si cancellava mai del tutto, una patina anche in fondo ai sorrisi. Era la stessa ombra con cui conviveva Stiles.

Con quel dolore, mostrato apertamente con una sincerità tanto disarmante, forse solo perché la sua interlocutrice era lei, Derek aveva confermato ogni suo sospetto. E poi le aveva confessato tutto, e lei aveva creduto a ogni parola perché, andiamo, un piano del genere era talmente stupido che poteva solo essere vero, nessuno si sarebbe mai inventato una scusa così patetica e con più brecce del Titanic.

Oh, se soltanto Derek non fosse scappato subito dopo aver smesso di vuotare il sacco, Cora avrebbe volentieri cominciato a ficcargli un po’ di sale in zucca, probabilmente a suon di legnate. Non poteva credere che suo fratello fosse stato così stupido, o così cieco. Per tutta la notte Cora non aveva fatto altro che pensare a quanto spesse dovevano essere state le fette di prosciutto sugli occhi di Derek, anni prima, e a quanto sarebbero potute diventare spesse le sue, se non ci metteva una pezza finché era ancora in tempo. Il guizzo di scrivere a Mike le era balenato per la testa, ma si era fermata in tempo: meglio non mettere troppa carne al fuoco. Già adesso la sua mente era un tumulto di emozioni difficili da gestire, Mike poteva attendere per un po’. Non troppo, però; non se lo sarebbe mai aspettata, ma le mancava più del previsto. Presto, gli avrebbe scritto presto.

Invece aveva scritto un messaggio a Derek, in parte per non rischiare che la tensione del loro ultimo confronto degenerasse e in parte per provare a sondare il terreno, e lui le aveva dato appuntamento a pranzo nel locale dove si trovavano in quel momento.

Fu così che, dopo aver parlato per ore di altro, Cora si schiarì la voce e attirò lo sguardo di Derek su di sé.

«Sei un idiota.»

«Scusami?»

Derek la guardava con la faccia di chi sa di cosa stai parlando, ma finge comunque di non sapere.

«Non giriamoci intorno, io lo so, tu lo sai, possiamo concordare che sei e sei stato un idiota. Non credi che sia ora di cercare di mettere le cose a posto?»

«Ci ho provato.»

Cora alzò un sopracciglio, Derek rispose con due sopracciglia corrugate, e a lei venne da ridere quando la voce di Stiles risuonò nella sua testa e la rimproverò di non fare comunicazioni silenziose con il fratello.

«Non ci hai provato. Lo hai ringraziato per avermi riportata a casa, più o meno, e hai portato il vostro Alpha a casa sua. Oh sì, hai fatto anche un po’ lo stalker sotto la sua finestra, il che è leggermente inquietante.»

«Ero lì per te,» borbottò Derek, con lo sguardo fisso sul panino.

«Sì certo, come no.»

Derek ringhiò piano e Cora ridacchiò.

«Non mi fai paura, e non ti illudere di riuscire a distrarmi. Il locale, la nostra salsa… non ho più sei anni, so cosa stai facendo. Ho solo una domanda da farti: se ne avessi la possibilità, ne approfitteresti?»

Se ciò che vide negli occhi di Derek era vero, quella era la risposta che le serviva.

Decise di non insistere oltre, almeno non in quel frangente, e di mettersi invece in moto. Avrebbe fatto in modo che quei due si chiarissero, in una maniera o nell’altra. Qualsiasi cosa ne fosse derivata, sarebbe stata meglio della situazione attuale. Peggio di così non si poteva fare, giusto?

   
 
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