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Autore: Cici_Ce    21/12/2015    3 recensioni
Stiles sta ultimando il master a Yale, dove si è trasferito e studia da anni. Non fa più parte del branco di BH, così come anche Lydia, da quando un brutto evento ha cambiato ogni cosa e niente è più stato come prima. Ma anche se i rancori sembravano dimenticati, ritornano a galla nel momento in cui è costretto a fare una scelta: ritornare a Beacon Hills.
Questa storia partecipa alla seconda edizione del Teen Wolf Big Bang Italia
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Vi chiedo scusa per l'assenza di questo capitolo, ieri. Purtroppo anche se me lo dava pubblicato, non si vedeva. Ringrazio molto Caro07 che mi ha avvisata con un messaggio veloce. Buona lettura e a più tardi con l'aggiornamento regolare del capitolo 7!



Capitolo 6

 

 

Ecco, Stiles lo sapeva che sarebbe successo. Gliel’aveva detto, a Lydia. Maledizione!

Era stato un periodo quasi perfetto, quello appena trascorso, il che era a dir poco inaspettato, a dirla tutta. Nelle settimane passate da quando Derek aveva messo piede a casa Stilinski per la prima volta dal ritorno di Stiles a Beacon Hills, Cora era uscita ogni giorno, o quasi, ed era sempre rientrata con il sorriso stampato in faccia, un sorriso talmente luminoso da essere quasi inquietante, al punto che, se non avesse conosciuto i retroscena, Stiles si sarebbe preoccupato per lei. E il merito era tutto di Derek, di come l’aveva accolta e di come l’aveva fatta sentire di nuovo a casa. Di come le aveva restituito una famiglia.

A Stiles andava più che bene così. Ogni sera Cora gli raccontava tutte le cose che aveva fatto assieme al fratello, felice ed entusiasta come una scolaretta alle prime armi di poter condividere con lui quelle esperienze, di poter condividere il suo passato e il suo futuro. Derek che la portava a correre nella Riserva, Derek che le chiedeva di esplorare insieme la cripta segreta di famiglia e aiutarlo a fare l’inventario, Derek di qua, Derek di là. A ogni uscita Cora sembrava diventare, se possibile, più felice e soprattutto più serena. Gli aveva persino confessato di aver chiamato Mike e di avergli raccontato come stavano andando le cose, per la bellezza di tre ore di telefonata.

Ah, l’amour.

Cora era talmente piena di gioia che quando gli aveva chiesto, quasi con timidezza, il permesso di invitare Derek lì a casa Stiles non aveva potuto dire di no. Non che l’avrebbe fatto, ovviamente – dopotutto aveva giurato a se stesso che non l’avrebbe ostacolata – ma era stato davvero impossibile anche solo ipotizzare di opporsi al paio d’occhi da cucciolo smarrito che Cora aveva sfoderato, pescandoli da chissà dove. 

Era successo così, un po’ in sordina. Derek era rientrato nella sua quotidianità in punta di piedi, silenzioso come un fantasma. L’aveva fatto in modo così poco intrusivo che Stiles non riusciva proprio a ricordare il momento in cui trovare Derek seduto sul divano o a tavola per cena era passato dall’essere fonte di profondo turbamento a essere qualcosi di abituale e quasi gradevole.

Stiles era certo che gran parte del lavoro sporco l’avessero fatto proprio i due Hale. Da un lato buona parte della colpa ce l’aveva Cora che, oltre a descrivergli nel dettaglio ogni emozionante interazione con il fratello – cosa che riportava alla sua mente ricordi piacevoli di un passato che lui stesso aveva vissuto, per quanto si sforzasse di nasconderlo – non perdeva occasione per perorare la sua causa. Stiles non contava più le volte in cui l’amica, con una dolcezza e delicatezza incredibili, gli aveva raccontato di come Derek non riuscisse a perdonarsi per gli errori del passato, di quanto ci stesse male, di quanto ancora soffrisse; tutte cose che Stiles aveva cercato di non ascoltare, ma che evidentemente avevano comunque fatto una piccola breccia nel suo cuore. Dall’altro lato c’era proprio Derek con tutta quella specie di… aura di profonda contrizione che sembrava circondarlo all’istante ogni volta che incrociava Stiles o anche solo varcava la soglia di casa sua, confermando senza volere le parole della sorella.

Stiles lo aveva studiato a lungo, soprattutto le prime volte, convinto di poterlo cogliere in flagrante e poter dire che no, non era vero niente. All’inizio quell’aria da cane bastonato che Derek sembrava portarsi sempre addosso, oltre che non risultare ai suoi occhi per niente credibile, gli aveva dato un fastidio enorme: come si permetteva, proprio lui, di aggirarsi per casa come se Stiles gli avesse appena ucciso il micio? Solo che poi pian piano, anche se meno piano di quanto si sarebbe aspettato, la rabbia, il rancore e lo scetticismo erano svaniti, lasciandosi dietro una specie di malinconia e sì, anche di tenerezza a cui Stiles si era inizialmente opposto, solo per poi capitolare e arrendersi. Perché Derek pareva sentirsi, a tutti gli effetti, tremendamente colpevole e dispiaciuto, e non solo, quasi logorato. Da cosa lo sapevano bene entrambi. E questo l’aveva colpito così tanto e in maniera così inaspettata che Stiles non era stato preparato.

Da lì all’accoglierlo davvero nella sua routine, il passo era stato abbastanza breve. Stiles aveva lentamente smesso di mostrare astio quando si incrociavano e Derek, con sommo stupore di entrambi, aveva fatto qualche microscopico tentativo di approccio, cosa che prima non aveva mai osato fare. Anche se non c’erano ancora grandi interazioni tra loro – Derek che gli riempiva la tazza di caffè e gliela lasciava sul tavolo se e quando passava di casa al mattino non si poteva certo annoverare come un’interazione vera e propria – Stiles lo considerava pur sempre un passo avanti, verso dove non avrebbe saputo dirlo.

Il fatto era uno e uno soltanto: il pentimento e il senso di colpa, o qualsiasi cosa fosse a pesare così tanto sulle spalle del licantropo, erano veri, e Stiles non era riuscito a ignorarlo.

Un brivido lungo la schiena riportò Stiles al presente e gli ricordò a cosa doveva il nervosismo crescente. Fuori in cortile, sotto l’albero e vicino alla sua moto, Scott stava spostando il peso del corpo da un piede a un altro. Stiles strinse i pugni, ma riuscì a controllarsi e a non sbatterli contro il vetro della finestra.

Era ritornato a casa da appena qualche minuto; poche ore prima si era messo d’impegno per finire un compito che Tara gli aveva assegnato e si era accorto di non avere le piante giuste per farlo, perciò aveva fatto una veloce capatina alla Riserva per procurarsele. Quando era rientrato per un momento era sembrato tutto a posto, Cora  lo aveva salutato con un grido dalla cucina, dove stava infilando qualcosa di non meglio identificato nel forno, e lui e Derek si erano scambiati un veloce cenno del capo, con conseguente e ormai abitudinaria abbassata d’occhi da parte del licantropo. Tutto regolare, finché Stiles non si era girato per appendere la giacca all’ingresso e dalla finestra aveva visto lui.

«No. No, no e poi no,» sibilò tra i denti, attirando l’attenzione di entrambi i fratelli. Derek si alzò dal divano e gli si avvicinò, incerto, seguito da Cora.

«Questo è stalking. Lo voglio via dal mio giardino.»

«Stiles…»

«No! È la millesima volta che arriva qui, si piazza sotto quel dannato albero e resta fermo lì. Una persona normale sarebbe già stata arrestata, ma lui no, lui può. Giuro che quell’albero lo faccio tagliare.»

Stiles si girò, certo di trovare l’amica, e invece il più vicino a lui era Derek, che teneva una mano sospesa nell’aria, come se avesse avuto in mente di posargliela sulla spalla ma si fosse fermato prima di farlo davvero. Stiles lo squadrò, un’occhiata a metà tra il curioso e l’accusatore, sfidandolo a parlare.

Derek sembrò ponderare con cura se farlo o meno, ma alla fine corrugò le sopracciglia e aprì la bocca.

«Stiles… non lo fa per innervosirti, o per darti fastidio.»

Stiles sgranò gli occhi al suono di quelle parole. Non riusciva a crederci, stava davvero parlando con lui, per la prima volta o quasi, e lo faceva prendendo le parti di Scott?

«Cerca di capire,» continuò Derek, facendo tentativamente un passo avanti. «In quei giorni, Scott era… non sai cos’ha passato, Allison–»

«Io non so cos’ha passato?» gracchiò Stiles. Fu un’interruzione che lui stesso non si era aspettato, la sua bocca aveva parlato prima ancora che il cervello riuscisse a uscire dalla doccia gelata nella quale era finito. Aveva sbagliato a lasciarsi andare, ad allentare la presa sulla corazza che da anni lo proteggeva.

«Stiles, io–»

«No. No, no, no!»

Stiles si voltò verso Cora e la guardò, allontanando lo sguardo dalla serpe in seno che ora aveva finalmente abbassato la mano, ma che restava in piedi davanti a lui, come se ne avesse il diritto. Stiles cominciò a sentire il cuore battergli talmente forte nel petto da rischiare di scoppiare, mentre i polmoni  si riempivano troppo velocemente.

L’espressione di Cora era… dispiaciuta? Stiles non ne era certo, non riusciva a esserlo. Il suo istinto gli diceva di sì mentre la guardava avvicinarsi, incerta. Doveva essere dispiaciuta, eppure Stiles non riusciva a crederlo perché aveva riconosciuto in lei la stessa curvatura delle labbra e la stessa piega delle sopracciglia che Derek aveva avuto l’ultima volta che si erano visti, anni prima. E quella volta Derek non era stato dispiaciuto, tutt’altro: aveva appena finito di gettarlo via come uno straccio usato.

«No, è troppo. È tutto troppo. Non ce la faccio a stare qui, non così. Non posso. Pensavo che sarei riuscito a gestire la cosa, ma non posso. Io…» Stiles sentì la rabbia montargli dentro, tentare di prendere il sopravvento per nascondere il dolore, finendo solo per acuire tutto quello che provava e che già da solo gli faceva vorticare la stanza tutto attorno.

«Nnon ci posso credere! Insomma, uno dovrebbe imparare dai propri errori, giusto? E invece...» Stiles stava iperventilando e alzando la voce sempre di più, se ne rendeva conto, eppure non riusciva a fermarsi. Era come un fiume in piena, senza argini. In effetti era proprio così che si sentiva. Si voltò di nuovo verso Derek, il petto che si alzava e si abbassava a una velocità preoccupante, e puntò lo sguardo dritto nel suo.

«Io non so cos’ha passato? Io? Lo stai dicendo a me, davvero?» Non riusciva a credere di esserci cascato di nuovo. Aveva lasciato che Derek rientrasse nella sua vita, e lui lo aveva tradito di nuovo. Come osava difendere Scott, lì davanti a lui, e usare Allison per farlo? «Sei tu a non sapere cos’ho passato io!»

Smise di parlare, anche solo per qualche istante, e istintivamente il suo corpo cercò un punto di appoggio che gli permettesse di riprendere un po’ di fiato. Il punto di appoggiò si rivelò essere un muro dietro di lui a cui Stiles non sapeva bene come era arrivato e contro cui cedette tutto il proprio peso. Le mani gli tremavano, il cuore sembrava volergli esplodere nel petto e non riusciva, non riusciva proprio a incontrare gli occhi dei suoi interlocutori mentre riversava su di loro tutto il veleno che aveva accumulato in anni.

Quando un’ombra fece per avvicinarsi a lui, Stiles seppe chi era senza nemmeno doverlo guardare.

«Tu! Non osare fare un passo in più. Lo sai cosa vuol dire sentirsi inutili, portarsi il peso di una morte sulle spalle. Lo sapevi – lo sai! – e avresti potuto usare qualsiasi scusa per togliermi dai piedi. E invece cosa mi hai fatto? Cos’è, sono stato un bel passatempo per un po’ e poi ti sei annoiato? Se è così che ripaghi qualche bella pomiciata spinta non oso immaginare quando vai a letto con qualcuno per davvero.»

Stiles prese fiato prima di continuare e Derek non aspettò un altro altolà, si fece avanti e lo afferrò per le spalle. Quel contatto improvviso, così doloroso e allo stesso tempo così desiderato, ruppe gli ultimi argini che erano rimasti in lui e Stiles non ce la fece più. Cominciò a urlare e a prenderlo a pugni dove riusciva, sul petto o in viso, ovunque arrivasse a colpire, senza badare minimamente al fatto che si stava comportando come una ragazzina isterica.

«Mi hai usato, come si fa con una… con una puttana! Sono stato utile quando non riuscivi a uscire dal tuo baratro di depressione del cavolo o quando eri nervoso o mille altre stronzate inutili, e quando hai avuto il tuo bel branco lo stupido umano non ti è servito più. E fanculo se lo stupido umano intanto era stato tanto coglione da innamorarsi! Ti odio. Ti odio perché più ci provo e meno riesco a dimenticarti. Ti odio, ti odio, ti odio.»

Stiles non si rese conto di essere accasciato a terra, né di esserlo tra le braccia di qualcuno, finché non smise di tremare e il suo respiro iniziò a regolarizzarsi. Per lunghi minuti tutto il mondo scomparve e rimase solo un lieve rumore di fondo inaspettatamente rassicurante, su cui Stiles si concentrò con tutto se stesso. Quando alla fine riaprì gli occhi, confuso, scoprì che Derek lo aveva seguito sul pavimento freddo e lo stava stringendo tra le braccia, e quella cantilena su cui non si era troppo interrogato era sempre Derek, che mormorava il cielo solo sapeva cosa dritto nel suo orecchio destro. Stiles deglutì, nervoso, indeciso sul da farsi. Poi il suo cervello riprese a funzionare e Stiles si ricordò di ciò che aveva detto prima di crollare tra le braccia di Derek come una vergine vittoriana.

No. Nonononononono, non l’aveva detto davvero. Cercò di uscire da quel groviglio di arti, si dibatté disperatamente, ma non ci fu verso.

«Aspetta.»

«Lasciami,» sibilò lui in risposta, tentando ancora di liberarsi. Derek non cedette.

«Lasciami parlare, e se poi vorrai ancora andartene non te lo impedirò.»

«Non ti devo niente.»

«Lo so. Io invece ti devo almeno una spiegazione. Mi dispiace,» mormorò Derek, a voce così bassa da risultare quasi inudibile.

Stiles serrò le labbra così strette che scomparirono in una linea dritta e dura. Non avrebbe ceduto, no, non se ne parlava, categoricamente no. Non importava che rifiutare quelle scuse fosse doloroso quanto tagliarsi una mano, non ci sarebbe cascato di nuovo.

«Mi dispiace, ti chiedo scusa.»

«Mi chiedi scusa?» gracchiò Stiles, eppure, pur sputando parole al vetriolo, non poté impedirsi di accoccolarsi tra quelle braccia forti e calde. «Credi che non sappia che avrei dovuto fare di più?» sussurrò, boccheggiando appena. Se solo si lasciava andare ai ricordi gli mancava l’aria. «Pensi che non sappia che avrei dovuto fermarla? Allison era… aveva… avrei dovuto provare. Avrei dovuto fare in modo che restasse a casa, avrei dovuto fare in modo che non mettesse piede nella Riserva, avrei dovuto…»

«Non è colpa tua, se Allison è morta.»

Stiles sgranò gli occhi e trattenne il fiato, tremante. Oh sì che lo era, invece.

«È successo tutto molto in fretta, forse troppo,» cominciò Derek. «Quella notte… la notte in cui è morta Allison e i giorni che sono seguiti.»

Derek si fermò, forse per dargli modo di ribattere. Non che Stiles non ne sarebbe stato assolutamente in grado, se anche avesse voluto. Lasciò che Derek riprendesse a parlare, considerato che quella poteva annoverarsi come la conversazione più lunga che gli aveva mai sentito fare.

«È vero che eravamo abituati a dover affrontare un disastro dopo l’altro, che capitavano sempre tutte in una volta. Prima Peter, poi Kate, poi quei wendigo impazziti e tutto il resto. Eravamo sicuri di quello che stavamo per fare e delle nostre capacità, per quello vi avevamo detto di restare a casa. Avevamo un piano–»

«Che non comprendeva gli umani inutili, ovviamente,» sibilò piano Stiles.

La sua bocca aveva parlato di nuovo prima che il suo cervello ne fosse consapevole. Era il suo istinto di sopravvivenza che cercava di risparmiargli un’ulteriore ferita, non poteva essere altrimenti. Una voce da qualche parte sopra di loro si schiarì in un gesto carico di impazienza e Stiles si ricordò della presenza di Cora. Non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa: le cose stavano andando così bene negli ultimi tempi, e per colpa sua quella serata era rovinata.

Derek riprese a parlare come se Stiles non avesse detto nulla.

«Avevamo un piano ed eravamo sicuri che avrebbe funzionato. E all’improvviso, invece, non funzionava più. Il branco perdeva terreno, eravamo feriti e stanchi. Quella sera prima dell’attacco io e Scott avevamo deciso che ci saremmo mossi meglio se tu e Allison non ci foste stati, perché non avremmo avuto la preoccupazione che ci fosse la vostra vita in gioco, così siamo venuti da voi e vi abbiamo chiesto di restare a casa.»

Derek aspettò qualche istante prima di continuare, e Stiles si chiese se per caso non gli servisse un po’ di incoraggiamento. A lui di certo serviva eccome. Sì, perché per quanta rabbia e rancore potesse portarsi dentro sapeva bene che quella notte era stata dura per tutti loro.

Derek lo strinse brevemente tra le braccia e Stiles si concesse di scivolare nel ricordo del momento in cui Derek gli aveva fatto quella richiesta: era entrato dalla finestra della sua camera e l’aveva afferrato per poi regalargli il bacio più eccitante della sua vita, così, senza dire una parola. Stiles ricordava la sensazione di avere le gambe di gelatina e Derek che lo sorreggeva per impedirgli di cadere a terra. Nessuno lo aveva mai baciato in quel modo, né prima, né dopo.

Solo dopo quel bacio, durato decisamente a lungo, Derek gli aveva spiegato la situazione e gli aveva chiesto di starsene in disparte, per quella volta, e lasciar fare a loro. Era stato bello, e strano, e inquietante al tempo stesso, perchè l’ansia di Derek era stata talmente evidente che Stiles avrebbe potuto definire quella richiesta una supplica, e non si sarebbe stupito se di punto in bianco Derek si fosse gettato in ginocchio a implorarlo. Proprio per il modo in cui gliel'aveva chiesto, perchè capiva il senso di quella richiesta e perchè sapeva che Scott stava facendo lo stesso con Allison – e lei non avrebbe mai acconsentito se non l’avesse fatto anche lui – Stiles aveva accettato. Non era stata una cosa facile, eppure Stiles aveva cercato di sdrammatizzare: aveva promesso al suo ragazzo che non si sarebbe presentato ma che, anzi, avrebbe passato la serata ad architettare piani malvagi per intrappolare Derek in quella stanza e non lasciarlo uscire finché non lo avesse fatto svenire a colpi di baci identici a quello. Derek era andato via ridacchiando.

Stiles si era sforzato con tutto se stesso di tenere l'ansia crescente al minimo, almeno finché sapeva che Derek avrebbe potuto percepirla. Poi però non ce l'aveva fatta più: si era seduto sul letto, le mani strette l'una nell'altra fino a far diventare bianche le nocche, e aveva cominciato la lunga attesa. Era stato difficile, durissimo non afferrare la mazza da baseball e correre nella Riserva; a un certo punto si era alzato in piedi e aveva cominciato a percorrere chilometri facendo avanti e indietro nella sua stanza, si era seduto al computer, si era alzato di nuovo, si era messo a fare il bucato – poi abbandonato in mucchi semi-viventi sul pavimento – e aveva persino cercato di fare esercizi fisici, di quelli che Scott amava tanto. Eppure, per quanto ci avesse provato, niente era riuscito a distoglierlo dal pensiero delle persone che amava. Cristo! C'era il suo ragazzo, il suo uomo che rischiava la pelliccia tra gli alberi, e il suo migliore amico, quello che era più che un fratello, e lui se ne stava lì con le mani in mano! Ogni volta, però, che i suoi occhi scivolavano traditori verso la porta, Stiles ricordava il modo in cui Derek lo aveva supplicato. Per una volta, una sola, maledettissima volta, era stato intenzionato a ubbidire.

E poi era arrivata Allison che si era presentata a casa sua e non era certo vestita per un pigiama party. Aveva tutte le intenzioni di raggiungere il branco, era armata dalla testa ai piedi e aveva detto a Stiles, senza mezzi termini, che ci sarebbe andata comunque, con o senza di lui, e che la sua visita era di semplice cortesia, perchè si immaginava di sapere bene cosa Stiles stesse provando.

Stiles non si era mai sentito combattuto come lo era stato in quel momento. Quando Allison si era mossa per andarsene, senza di lui, alla fine aveva ceduto. Era consapevole che stava infrangendo la sua promessa a Derek, ma non poteva lasciar andare Allison da sola, non importava quanto fosse in grado di difendersi. Stiles non l’avrebbe mai fatto.

La voce di Derek lo riportò al presente.

«Quando siete arrivati,» riprese, molto più teso di prima, «quando ho sentito il tuo odore, è stato un pugno nello stomaco. Eravamo stanchi, scoraggiati, faticavamo a guardarci le spalle tra di noi e all’improvviso c’eravate anche voi da proteggere. E poi è cambiato tutto. Dalla paura per la vostra vita è scattato l’istinto di proteggervi e ci siamo battuti con forze che non credevamo di avere. Non ti ho perso di vista un secondo, quella notte. Ricordo il tuo odore ovunque, come se mi fossi istintivamente settato su quello, ed è stato quello che mi ha spinto a battermi come non avevo mai fatto prima. Ero furioso, ma anche fiero, e poi, quando era tutto praticamente finito, le cose si sono invertite di nuovo. Allison è stata attaccata e tu ti sei gettato in mezzo per salvarla e tutti e due siete caduti a terra, e poi tutto quello che ricordo è che sanguinavi così tanto da non sembrare possibile e non mi rispondevi, e più i secondi passavano più perdevi colore.»

Derek rabbrividì, sotto di lui, e Stiles fece lo stesso. Non aveva memoria di ciò di cui Derek stava parlando, ovviamente, aveva perso conoscenza quasi subito, ma ricordava alla perfezione l’istante in cui aveva capito cosa sarebbe successo e si era gettato davanti a Allison. La sensazione di quegli artigli che gli trapassavano lo stomaco tutt’ora gli regalava gli incubi.

«Allison è morta così. Vi abbiamo portati entrambi in ospedale, ma per lei era troppo tardi. Scott era distrutto in quei giorni,» continuò Derek, senza smettere di stringerlo, e Stiles glielo lasciò fare perché in quel momento voleva semplicemente essere tra le braccia di qualcuno, non essere solo. «Era distrutto, eppure era lì con noi ad aspettare e sperare che ti svegliassi, pensava al suo migliore amico oltre che alla sua ragazza. A un certo punto non ce l’ha fatta più e…» Derek si interruppe soltanto per un secondo, come se avesse voluto dire qualcos’altro, ma riprese a parlare quasi immediatamente, troppo perché Stiles potesse soffermarsi a pensarci. «Mi ha chiamato fuori dalla tua stanza. Per parlare solo con me. E mi ha detto che una cosa del genere non doveva più succedere. Allison era morta, io e Scott non potevamo sopportare l’idea che potesse succedere anche a te. La tua vita era appesa a un filo e pensare che l’avresti di nuovo messa a rischio non appena ti fossi rimesso in piedi era inaccettabile. È stato in quel momento che abbiamo deciso di allontanarti dal branco e da tutto quello che ti coinvolgeva così tanto da farti rischiare la vita,» mormorò Derek. «Non so se hai ricordi di quando ti sei svegliato.»

Stiles serrò gli occhi. Sì, sì che ne aveva; quella era forse la memoria più vivida di tutta quella faccenda. Ricordava il torpore che lo avvolgeva dissiparsi lentamente, la nebbia degli analgesici e comunque il dolore fisico di fondo, non del tutto pacato. Ricordava di aver aperto gli occhi, di aver messo a fuoco la stanza e aver visto suo padre seduto accanto a lui che gli stringeva la mano. Poi aveva voltato la testa a guardare dall’altro lato del letto e non c’era stato altro che il dolore inimmaginabile che aveva provato quando incrociare lo sguardo del suo migliore amico, fermo in piedi accanto a Derek, gli aveva ricordato Allison.

«Hai aperto gli occhi e ci hai guardati, e poi hai chiesto di lei,» stava ricordando anche Derek. «Eri lì, più morto che vivo, e hai chiesto di lei. Quando io e Scott ti abbiamo detto che non c'era stato niente da fare… dopo non è stato difficile farti credere a tutta quella rabbia, anche se fingerla è stato… non hai idea di quanto siamo stati sollevati quando hai aperto gli occhi. Non volevo altro che stare lì, stringerti, sentirti vivo. Il lupo dentro di me e anche l’umano, tutto il mio essere non desiderava altro, ma non potevamo. Il tuo senso di colpa era così forte che si poteva fiutare, quella sera, così lo abbiamo usato… io e Scott» sottolineò, «lo abbiamo usato per farti lasciare la città, ma non abbiamo mai pensato quello che ti abbiamo detto, Scott non l'ha mai pensato.»

Derek gli afferrò delicatamente il mento e lo alzò verso il suo viso. C'era così tanto dolore in quegli occhi verdi... da quanto non guardava Derek dritto negli occhi a quel modo?

«Mi dispiace. Mi dispiace di averti detto che eri un peso, mi dispiace di averti detto che eri una debolezza. Mi dispiace di averti detto che avrei preferito non rendere un “umano inutile” parte del branco. Mi dispiace averti detto che ti eri immaginato qualunque sentimento ci fosse tra di noi. Mi dispiace di aver lasciato che Scott ti desse la colpa della morte di Allison e di avergli dato manforte.»

Stiles tremava e non sapeva cosa pensare. Nel suo cervello c’erano troppe informazioni e tutto il resto di lui era un tumulto di emozioni, era semplicemente impossibile processare tutto. Derek gli stava dicendo che era stata tutta una messa in scena, che era stato tutto voluto? Che per tanto tempo era stato così male soltanto perché volevano salvargli la vita? Non riusciva a crederci, era un piano troppo… assurdo, e fallace, per essere la verità. Scosse la testa, o almeno tentò, considerato che Derek la teneva ancora tra le mani.

«Quando te ne sei andato senza dire una parola abbiamo capito di aver sbagliato, ma ormai era troppo tardi. Avevamo pensato che te ne andassi, sì, ma non ci è mai passato per la testa che potessi comunque restare invischiato nel soprannaturale. In quel primo momento allontanarti da noi era sembrata la cosa giusta da fare, l’unica soluzione possibile. Non pretendo di essere perdonato, lo spero, ma non lo pretendo. Voglio solo che tu sappia che non è vero che sei stato la causa della morte di Allison, noi non lo abbiamo mai creduto.»

Stiles riuscì a liberarsi con un movimento secco, e si fissò le mani. Nella sua testa rimbombava insistente una domanda, una che si portava nel cuore da tanto tempo, che aveva cercato di sopire in ogni modo e che invece era resistita contro tutti i suoi sforzi, per poi risorgere come la fenice dalle ceneri a causa delle parole di Derek.

«Tutto qui?» gli chiese, prima di riuscire a trattenersi. Derek lo guardò e alzò le sopracciglia, confuso. Stiles corrugò le proprie, e a Derek non rimase altra scelta se non quella di esprimersi a parole.

«Tutto qui cosa?»

«Abbiamo finito di percorrere il viale dei ricordi?» continuò, cercando di evitare che l’acidità prendesse il sopravvento per nascondere la sua vulnerabilità. Non voleva più continuare quella discussione, non voleva sentire quello che Derek gli stava dicendo. Derek poteva dire quello che voleva, Stiles sapeva di non aver fatto abbastanza per Allison, sapeva che se si fosse imposto di più, allora forse...

«No,» rispose Derek. «Volevo che sapessi...» trasse fiato e indurì il viso prima di continuare, come a sfidarlo a prenderlo in giro, o a ribattere in alcun modo, «…che sapessi che non ti sei immaginato nulla, tutto quello che provavo era vero. E che non ho mai smesso di provare qualcosa per te.»

Stiles sbattè le palpebre, confuso e anche leggermente incredulo: Derek Hale che faceva una confessione del genere non era certo cosa di tutti i giorni, anche se Stiles lo trovava parecchio ammorbidito nel carattere rispetto al passato. Sentire quelle parole lo destabilizzò ancora di più perché, se doveva essere onesto, non era certo di che cosa voleva da loro. E ora che Derek si era confessato? Cos’avrebbe dovuto fare lui, correre e gettarsi ai suoi piedi, e dimenticare anni di inferno? Capiva perché l’avevano fatto, in un certo senso. Quanti piani assurdi si era inventato lui stesso pur di tenere suo padre fuori da quell’inferno e al sicuro? Il solo fatto che anche lui fosse a conoscenza di quel piano, come gli aveva fatto capire Derek, era una testimonianza di buona fede già di suo, per quanto piccola. Ma l’ombra di Allison restava, e con essa il dolore che ne era derivato.

Annuì a Derek e si alzò in piedi – quand'è che si era calmato? – appena barcollante ma con un po’ più di chiarezza in testa, poi gli tese la mano. Non pensava certo che a Derek servisse un aiuto, ovvio che no, era più un gesto simbolico. Rimase piacevolmente colpito quando Derek la prese e si alzò anche lui, con la speranza che gli faceva brillavare lo sguado.

«Non posso tornare a essere subito quello che ero quattro anni fa,» cominciò guardandolo dritto negli occhi, e sperò vivamente di riuscire a dire con un po' di chiarezza almeno parte di quello che gli stava passando per la testa in quel momento. «Ma non voglio nemmeno che pensi che non lo sarò mai. Non so se capisci cosa intendo. Sono successe tante cose, tante cose che vanno chiarite e ci vuole del tempo. Però ho capito cosa cerchi di dirmi, credo. Io…»

Stiles dovette farsi forza e lottare contro l’istinto allenato che gli gridava, in un disperato bisogno di autopreservazione, di non lasciarsi avvicinare di nuovo e rischiare, così, di venire ferito ancora. Il desiderio di farsi stringere da quelle braccia però era sempre rimasto lì, obbligato a sopirsi ma sempre presente, così come la necessitò di essere rassicurato da qualcuno, e Stiles si riscoprì a chiedersi se il profumo di Derek era ancora come lo ricordava. Preso il coraggio a quattro mani, fece un passo in avanti e appoggiò la testa al suo petto. Non lo abbracciò e pregò che Derek facesse altrettanto, si limitò a quel contatto e chiuse gli occhi, respirando piano. Quasi rilassato.

«Grazie per avermi detto che non ero solo un passatempo,» mormorò. Sperò ardentemente che con quelle parole Derek potesse capire cosa intendeva davvero, quanto era grato di poter tornare a respirare, sperare, amare. Sì, perché nell’attimo stesso in cui aveva compiuto quel gesto si era sentito come liberato. Certo, rimaneva il senso di colpa per la morte di un’amica, la certezza interiore che, per quante volte potesse ripetere il contrario, la colpa in realtà fosse tutta sua. Avrebbe continuato a conviverci, ma forse sarebbe stato più facile con qualcuno vicino. Restava anche il timore di aver sbagliato, però era solo un piccolo dubbio, annebbiato dalla speranza che gli montava dentro a ondate sempre maggiori.

Forse, dopotutto, quel viaggio non era stato un’idea così assurda.

Quando rialzò le palpebre vide Cora seduta sui gradini, che li guardava sorridente con gli occhi lucidi e i guantoni da forno ancora sulle mani.

«Siete due idioti,» ridacchiò, per poi passarsi un guantone su uno zigomo.

Stiles sorrise, genuinamente divertito da quella commozione così dolce e spontanea, e Cora si alzò, fingendosi offesa.

«Non ridere di me, Stilinski, o tutti i tuoi studi da Emissario non ti serviranno per scampare alla mia ira.»

A quelle parole, Derek lo allontanò con delicatezza da sé e lo fissò, le sopracciglia parlanti e interrogative bene in mostra. Stiles non era certo di volersi aprire così tanto così presto, ma ci pensò Cora al posto suo.

«Stiles sta studiando per diventare Emissario. L’Emissario del branco di New Haven dice che è molto promettente.»

«Cora…» la ammonì Stiles, indurendo appena lo sguardo.

«Andiamo, credi davvero che riusciresti a tenerglielo nascosto? Proprio ora che avete fatto pace? È un lupo, ricordi? Non è proprio come frequentare un qualsiasi umano.»

Stiles sentì le guance andare a fuoco, a suo discaspito.

«Non c’entra! Nessuno dovrebbe saperlo.»

«Il nostro branco non ha un Emissario. Quando Scott è diventato l’Alpha, Deaton ha lasciato la città e non si è più fatto vivo,» si inserì Derek.

«Probabilmente perché Deaton era l’Emissario degli Hale. Ora che il branco ha un nuovo Alpha il compito non è più suo,» mormorò Stiles tra sé e sé.

«Potresti essere tuo.»

Stiles si irrigidì all’istante e d’istinto fece un passo indietro. «No.»

«Stiles –»

«No!»

Entrambi i fratelli Hale avevano pronunciato all’unisono il suo nome, uno quasi supplicante, l’altra visibilmente preoccupata, ma quell’idea era semplicemente infattibile e Stiles non aveva il minimo dubbio al riguardo. Puntò gli occhi in quelli di Derek e si assicurò di essere più chiaro possibile mentre parlava.

«Posso credere, se mi dici che non lo pensavi, posso… provarci. Forse posso capirlo, credo, ma Scott,» e pronunciare il suo nome gli costò un’immensa fatica, « è un’altra cosa. Non stava fingendo quella sera, quando mi ha urlato quanto sono stato stupido, o che sono stato la causa della morte della sua ragazza. Non sei stato tu a dirlo, è stato lui, e piangeva mentre lo diceva. Forse non lo pensava davvero, forse sì, io non lo so, perché in quel momento il mio migliore amico, quello che credevo un fratello, mi ha voltato le spalle e mi ha accusato di avergli tolto la persona che lo rendeva più felice al mondo. Voleva solo che me ne andassi? Beh, ci è riuscito, però non era quello il suo scopo mentre parlava. Io l’ho visto il dolore nel suo sguardo, ero la persona che conosceva meglio Scott al mondo, o almeno pensavo che fosse così. Le cose che mi diceva in quel momento le stava pensando.»

«Ma stava soffrendo per la morte di Allison,» cercò di mediare Cora, ipotizzando la scena.

«No, non è andata così,» la interruppe Derek. Stiles fece per ribattere, ma Derek non gliene diede il tempo. «Tu dici di conoscere bene Scott, ma dimentichi che anche Scott conosce bene te,» mormorò Derek in tono gentile. Stiles si morse un labbro, chiedendosi dove voleva andarea parare. «Ricordi cosa ti ho detto poco fa? Che il tuo senso di colpa era talmente forte che potevamo fiutarlo. È vero, Scott era distrutto dalla morte di Allison, ma lo era ancora di più quando ti ha visto, privo di conoscenza, su quel letto. Dovevamo proteggerti, allontanarti, e quando ti abbiamo detto di Allison... Scott ha usato la cosa che ti avrebbe convinto più facilemente ad andartene: il tuo senso di colpa.»

Stiles non riusciva a credere a ciò che stava sentendo. Avrebbe voluto gridare, o piangere, o fare qualsiasi cosa non fosse starsene lì, come bloccato. Era davvero andata così?

«Se fossi stato un lupo non avresti creduto nemmeno per un secondo alle sue parole, puzzavano di bugia a un miglio di distanza e il suo cuore sembrava una locomotiva per quanto correva veloce. Si è pentito nell'esatto istante in cui l'ha fatto, ma era servito allo scopo perciò non è tornato sui suoi passi. Avresti dovuto vederlo il giorno dopo: sono serviti tre di noi per tenerlo, era fuori di sè, non poteva sopportare l'idea di averti ferito in quel modo e non potersi nemmeno scusare. Lo abbiamo tenuto chiuso per ore nello scantinato del loft, prima che si calmasse.»

Stiles non riusciva a capire, quei fatti erano come i pezzi di un puzzle sbagliato, o di uno particolarmente difficile. Cosa dicevano del rapporto che aveva legato per anni lui e Scott? Quando sua madre era morta, Stiles si era appoggiato a Scott, e lo stesso aveva fatto Scott con lui quando il padre aveva abbandonato lui e Melissa. Scott era stato quella luce in fondo al tunnel che è sempre presente, anche quando suo padre indugiava un po’ troppo sullo Scotch dopo una lunga giornata di lavoro. Scott era stato la sua ancora e la sua famiglia, ed era riuscito a distruggere tutto nell’arco di una mezz’ora, affossandolo nel baratro dal cui orlo aveva cercato di allontanarsi sin dalla morte di sua madre, e tutto solo per proteggerlo?

Stiles fece per aprire bocca, forse per chiedere qualcosa, ma il volto di Allison fece capolino da suoi ricordi, e lui cambiò idea.

«Non sarò il vostro Emissario.»

E con quelle parole considerò chiusa la questione.

   
 
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