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Autore: Xion92    21/12/2015    4 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 32 - Diffidenza


La squadra delle Mew Mew continuava a fissare, con un misto di perplessità, curiosità e un po’ di diffidenza quella nuova arrivata a cui non erano stati per niente preparati. Per quale motivo Shirogane e Akasaka-san non li avevano avvisati di questa Mew Mew? Loro tutti sapevano che al momento della trasformazione, dal ciondolo delle Mew Mew partiva subito un segnale che veniva recepito dal computer dei loro due capi. Evidentemente, o non lo sapevano neanche loro, oppure gliel’avevano tenuta nascosta per qualche motivo.
Mew Mint chiese agli altri: “secondo voi chi può essere? Avete qualche idea?”
“Non lo so, ma se è uno scherzetto di Shirogane, mi sentirà appena torniamo!” rispose Mew Ichigo, indispettita.
“Forse Bu-ling sa cosa potrebbe essere”, se ne uscì Mew Pudding. “Secondo lei, quella Mew Mew è l’ennesima, maledettissima Mary Sue!” esclamò puntando il dito contro la ragazza ancora lontana.
Mew Lettuce le diede un colpetto sul braccio. “Ma cosa dici? Guarda che l’autrice di questa storia ci sta attenta a queste cose.”
“Secondo me è inutile restare qui a fare mille supposizioni. Andiamo là e chiediamolo direttamente a lei”, propose Mew Zakuro, pratica come sempre.
“Credo che non ce ne sarà bisogno” disse però il Cavaliere Blu. “Guardate, sta venendo verso di noi.”
“Speriamo che non abbia intenzione di attaccarci”, disse dubbiosa Mew Mint.
“Se lo farà, ci difenderemo”, la rassicurò Mew Zakuro, abbassando le orecchie e aggrottando le sopracciglia.
In effetti quella Mew Mew con la divisa nera si era messa improvvisamente a correre verso di loro, saltando i pochi palazzi che li dividevano, e meno di un minuto dopo era praticamente di fronte alla squadra Mew Mew, a una decina di metri di distanza, sullo stesso tetto.

Mew Angel si stava sentendo il cuore in gola. Quando fu davanti a quei sei, li guardò con attenzione uno ad uno. Erano cinque ragazze ed un ragazzo: c’era una ragazza, che sembrava la più grande, con la divisa viola e le orecchie e la coda che sembravano quelle di un cane, ed aveva uno sguardo molto serio e diffidente. Una bassa, con la divisa azzurra, evidentemente col DNA mischiato a quello di un uccello. Una con la divisa verde, con lo sguardo un po’ più affabile, che sembrava avere il DNA di una creatura marina. Una bambina all’apparenza molto energica, sempre con una coda pelosa, ma non di felino. E poi c’erano loro: l’unico maschio della squadra, un ragazzo alto coi capelli lunghi e biondi, e un soprabito un po’ pesante e ingombrante, che lei sapeva essere suo padre, e per ultima quella che certamente era sua madre. Le assomigliava: aveva le stesse orecchie e la stessa coda, anche se di colore diverso. E anche il viso forse era un pochino simile.
Ora che la lotta era finita, a Mew Angel era svanita dal sangue ogni eccitazione riguardante il combattimento, e si sentiva solo piena di umanità nel guardare quelle sei persone. Sapendo quello che i suoi genitori, nel suo tempo, avevano fatto per lei, il suo primo impulso fu quello di correre da sua madre per abbracciarla e dirle tutto, ma si riprese dopo una frazione di secondo: lei era un’estranea per loro. Era una che sarebbe rimasta con loro solo per pochi giorni. Che importanza aveva chi fossero quei ragazzi? Tanto poi non li avrebbe rivisti mai più. Era meglio attenersi al programma che aveva stabilito e portare a compimento la sua missione.

Mew Ichigo, intanto, osservava sconcertata quella ragazza vestita di nero, senza riuscire a capacitarsi. Ora che le era più vicina, poté constatare che quella straniera, nonostante le apparenti somiglianze, era più diversa da lei di quanto sembrasse. A parte coda e orecchie, l’altezza, il taglio di capelli simile e alcuni tratti della divisa, era totalmente diversa. I lineamenti del viso erano dritti e decisi, aveva una sciarpa azzurra al collo e un vestito decisamente più funzionale al combattimento, rispetto al suo. La cosa che la colpì di più fu lo sguardo. Era uno sguardo indecifrabile, con tante emozioni che vorticavano in quegli occhi di un colore comunissimo e banale, ma se avesse dovuto descriverlo con una parola, ne avrebbe scelta solo una: adulto. Inoltre, Mew Ichigo notò che, nonostante la ragazza stesse esaminando con cura ciascuno di loro, i suoi occhi si soffermassero su di lei e sul suo ragazzo per un periodo di tempo più lungo. Visto che questa straniera non si decideva a parlare, Mew Ichigo, in quanto leader della squadra, si fece avanti e prese la parola.
“Ti abbiamo vista combattere contro quel chimero. Eravamo venuti per sconfiggerlo, ma tu ci hai preceduto. Chi sei?”

Mew Angel se l’era preparata lungo la strada, per cui cercò di rispondere, ma non ci riuscì e abbassò appena la testa, agitando la coda per il nervosismo. Nonostante stesse facendo di tutto per reprimere i propri sentimenti, l’emozione le aveva fatto asciugare la bocca e appiccicare la lingua al palato. Inoltre, non sapeva perché, quella Mew Mew vestita di rosa la intimoriva, in un certo senso. Istintivamente, provava verso di lei lo stesso rispetto che aveva sempre rivolto ai suoi nonni. Desiderava più di ogni altra cosa guardare verso di lei e chiamarla mamma, perché in fondo quello era. Ma non poteva mostrarsi debole di fronte a lei. Se lei era la leader della squadra, allora, per quei pochi giorni, sarebbe stata anche la sua. E Mew Angel, come guerriera, avrebbe visto questo in lei: una leader, non una madre. Anche perché se le avesse detto tutto, lei le avrebbe sicuramente dato della pazza, e non le avrebbe creduto di certo.
Mentre cercava di spiccicare qualche parola, sentì la voce di quella bambina vestita di giallo sussurrare a quella in verde, mentre le guardava la coda:
“guarda! Ha le macchie del leopardo!”
E poi, la risposta della più grande: “ma non può essere, Mew Pudding, le orecchie le ha appuntite, e poi il leopardo non è a rischio di estinzione…”
Mew Angel non ne poté più e, alzando infine la testa, fece uscire la sua prima frase: “ho bisogno… ho bisogno di parlare con il vostro capo”.
I sei ragazzi si guardarono l’un l’altro, stupiti e perplessi dal suo modo maschile e rozzo di parlare, e Mew Ichigo rispose: “sono io la capo delle Mew Mew”.
Mew Angel, per il nervosismo, cominciò a stringere le dita in pugno. “No, non mi riferivo a te… dovrebbe esserci un ragazzo biondo, che è il vostro responsabile… giusto?” Si sentiva in difficoltà: sua nonna le aveva parlato di questo Ryou-kun, come lo chiamava lei, ma poteva darsi benissimo che dopo tutti quegli anni si ricordasse male, e che in realtà non ci fosse nessuno con quel nome. Sarebbe stato imbarazzante iniziare con una figuraccia come quella.
“Sì, ti riferisci a Shirogane-san?” le chiese Mew Lettuce, e a quella risposta Mew Angel tirò un sospiro di sollievo.
“Sì, lui. Mi ci portate?” insisté, evidentemente agitata.
“Aspetta un momento”, intervenne Mew Mint. “Qua bisogna stare attenti. Perché dovremmo portarla alla nostra base? Anzi, perché lei vorrebbe andarci? Non è che magari è una trappola? Magari vuole sapere dov’è il nostro rifugio per dei motivi suoi. Che ne sappiamo di lei? Io non le mostrerei il nostro quartier generale così a cuor leggero, ragazzi.”
Mew Angel rimase stupefatta: aveva sconfitto quel chimero per loro, e ancora loro non si fidavano di lei?
Le Mew Mew non zittirono la loro compagna che aveva appena parlato, e si voltarono verso quella straniera.
“Perché hai la giarrettiera alla gamba destra?” volle sapere Mew Ichigo. “Tutte le Mew Mew ce l’hanno a sinistra, solo io che sono la leader ce l’ho a destra. Perché ce l’hai a destra anche tu?”
Mew Angel era leggermente spiazzata: “non lo so. L’ho sempre avuta lì, e non mi sono mai chiesta il perché. Ma credo che sia una casualità. Non ho la minima intenzione di prendere il tuo posto.”
“Tu che DNA modificato hai in corpo?” le chiese Mew Pudding.
“Ehm… il gatto di Iriomote”, rispose Mew Angel, a disagio. Il tempo stava stringendo, non c’era tempo di fare queste domande. Ma loro non lo potevano sapere.
“Ehi, ma quello ce l’ho già io”, protestò Mew Ichigo, e appena lei parlò, Mew Angel abbassò appena la testa. “Sei sicura di quello che dici? Dov’è il tuo marchio? Mostracelo, così che noi possiamo riconoscerti come una nostra alleata.”
La straniera, colta alla sprovvista, sbarrò gli occhi e alzò la testa. Iniziò mentalmente a maledirsi per essere partita da casa totalmente allo sbaraglio, senza aver chiesto a sua nonna dei dettagli più approfonditi riguardo questi termini strani. “Quale marchio?”
“Quello che tutte noi abbiamo sul corpo, che dimostra che abbiamo ricevuto il DNA di un animale”, spiegò Mew Lettuce. “Tu dove hai il tuo?”
Mew Angel si contorse le mani. “Io… io non ce l’ho.”
“Come non ce l’hai?” chiese sbalordita Mew Ichigo. “E soprattutto, come hai ricevuto il ciondolo per trasformarti? Solo Masha può fornirlo, e non credo che lui te l’abbia dato. Io non te lo vedo addosso, ma forse è perché ci tieni sopra quella sciarpa.”
“Quale ciondolo?” chiese di nuovo la straniera, che si stava incartando sempre di più.
“No, Bu-ling vuole capire… non hai nemmeno il ciondolo?” chiese la Mew Mew più piccola, e la ragazza coi capelli neri scosse la testa, e per provarglielo sollevò un po’ la sciarpa per mostrargli che attaccato al collarino non aveva niente.
“Mmmh…”, ragionò Mew Mint “non lo so. Secondo me sa troppe cose, e allo stesso tempo ne sa troppo poche. Sa di Ryou ma non sa né del marchio né del ciondolo, né della giarrettiera. E se fosse una nostra nemica?”
Ah, questo poi no. Mew Angel aveva messo in conto che magari non avrebbero voluto darle retta dopo che lei avesse loro raccontato quello che aveva da dire. Ma non che addirittura la sospettassero come nemica senza sapere nulla di lei.
“No, vi state sbagliando. Io sono qui per portarvi un messaggio, per un motivo serio. Vi dovete fidare di me, non sto tramando niente contro di voi. Portatemi da questo… ehm… qualunque sia il suo nome. Devo dirvi una cosa importante, ma lo farò quando ci sarà anche lui.”
Fino a quel momento, il Cavaliere Blu era rimasto in silenzio ad ascoltare, ma a quel punto si fece avanti: “io sono sicuro che possiamo fidarci di lei. Non dobbiamo averne paura.”
Mew Ichigo alzò un sopracciglio. “Come fai ad esserne sicuro?”
“Non lo so. Però mi basta guardarla negli occhi per capirlo. Lo sento. Questi non sono gli occhi di una nemica o di una che mente. Sta dicendo la verità.”
A queste parole, Mew Angel ritrovò un po’ di serenità ed alzò gli occhi verso quel guerriero che, lo sapeva, doveva essere suo padre. Come per Mew Ichigo, provò verso di lui lo stesso rispetto innato, e mormorò goffamente un “grazie”.
“Anch’io penso che ci possiamo fidare”, aggiunse Mew Lettuce “abbiamo visto tutti come ha sconfitto quel chimero. In ogni caso ci ha aiutato. Sarà un po’ strana e diversa, ma è pur sempre una di noi. Diamole una possibilità ed ascoltiamola.”
“Sì, sì, sì!” esclamò vitale Mew Pudding, andò saltellando verso Mew Angel e la prese per il braccio. “Abbiamo una nuova sorellona nella squadra, e Bu-ling è tanto felice!”
Ma proprio quando la straniera stava incominciando a rilassarsi e a sperare in meglio, sentì una voce forte e autoritaria che fino a quel momento non aveva parlato.
“Fermi tutti! Di qui non si muove nessuno.” Era Mew Zakuro. “Non ricordate che già una volta abbiamo accolto un nuovo membro nella nostra squadra, e in seguito ne siamo rimasti fregati?”
Il Cavaliere Blu rispose contrariato: “gradirei che non mi facessi tornare in mente questa cosa.”
Mew Zakuro si rivolse a lui: “ovviamente non ho nulla contro di te. Hai il mio massimo rispetto. Ma di lei non mi fido”, e volse di nuovo la testa verso la ragazza nuova, con la coda rigida e le orecchie abbassate e diffidenti, le sopracciglia aggrottate.
Mew Angel iniziò a perdere la pazienza: stava andando tutto benissimo, presto avrebbe potuto rivelare ai guerrieri di Flan e di tutto il resto, e ora questa qui stava cercando di intralciarla. Va bene che era teoricamente una sua compagna, ma lei era disposta a tutto pur di farsi accettare da loro, anche a usare maniere meno diplomatiche, se occorreva. In particolare, con la maniera con cui aveva più affinità, quella del più forte. Appiattì le orecchie sulla testa e fece qualche passo indietro.
“Come vuoi risolvere la cosa, allora? Guarda che se devo combattere, io non mi faccio nessuno scrupolo.”
Mew Zakuro sembrò raccogliere quella sfida neanche tanto velata e, staccatasi dal gruppo, si mise di fronte alla straniera. “Dimostrami la tua forza, allora, avanti. Vediamo se riuscirai a convincermi del tuo valore. Se riuscirai a battermi, non ti dirò più nulla.”

Gli altri cinque membri del gruppo rimasero senza parole dallo sconcerto, quando le due guerriere si misero una di fronte all’altra, indietreggiando appena. Mew Zakuro evocò la sua ZaCross Whip, e Mew Angel il suo Angel Whistle. Entrambe avevano le orecchie appiattite sulla testa, gli occhi aggressivi, i denti digrignanti e scoperti, il pelo della coda irto, come due animali selvatici. Rimasero ferme in quella posizione per alcuni secondi, con i muscoli tesi e pronti allo scontro, poi Mew Angel si decise e scattò dal suo posto, iniziando a correre verso l’avversaria, che intanto si era messa l’arma di fronte per pararsi. Ma la Mew Mew nera fece in tempo a fare solo pochi passi, perché un urlo altissimo la costrinse a fermarsi.
“Basta! Non combattete! Fermatevi!” Era la Mew Mew più piccola vestita di giallo, che nel frattempo si era frapposta fra loro.
“Mew Zakuro, non combattere contro di lei. Bu-ling è sicura che non abbia cattive intenzioni. Bu-ling non vuole che iniziamo a combatterci anche fra noi. Non vuole che qualcuno a cui vuole bene si faccia male.”
Mew Zakuro, che in quanto membro più grande della squadra teneva molto a cuore la componente più piccola, decise allora, a malincuore, di darle retta e lasciar perdere il suo proposito di mettere alla prova quella straniera. Tornò nel gruppo con gli altri guerrieri, senza dire più nulla a Mew Angel, ma tenendo lo sguardo voltato.
Mew Ichigo si rivolse alla ragazza coi capelli neri: “forza, vieni, ti porteremo alla nostra base. Shirogane è là.”
Mew Angel sorrise sollevata e chinò appena la testa in segno di ringraziamento, e tutti e sette i guerrieri si slanciarono in corsa fra i tetti, prendendo la via più spiccia verso il Caffè. Qui per Mew Angel iniziarono i primi problemi: il resto del gruppo procedeva compatto, correvano insieme, saltavano insieme ed atterravano insieme, con Mew Ichigo in testa, il Cavaliere Blu di fianco a lei, e le altre dietro. Lei invece stava facendo una gran fatica a procedere insieme a loro, lei che era abituata da sempre a correre da sola e a fare tutto da sola. Le sembrava di stare al passo col gruppo, quando all’improvviso si accorgeva di averli lasciati duecento metri indietro; allora rallentava per riunirsi a loro, ma a quel punto si trovava lei indietro senza quasi rendersene conto. E procedeva così, avanti a loro o per ultima molto dietro, senza mai riuscire a stare al passo col gruppo. Gli altri ben presto se ne accorsero.
“Ma ce la fa?” chiese Mew Mint, perplessa, a Mew Zakuro poco distante. Mew Ichigo e il Cavaliere Blu si lanciarono uno sguardo interrogativo, ma nessuno dei due disse nulla.

Quando furono arrivati nei pressi del parco il cui stava il Caffè Mew Mew, i sette guerrieri scesero dai tetti con un balzo e ripresero la loro forma originaria. Ad Angel faceva male la testa per la gran confusione: non si era mai trovata in vita sua in una situazione così fastidiosa, il dover adeguarsi al comportamento del gruppo di cui faceva parte; non aveva mai fatto parte di un gruppo, prima d’ora, e per lei era una cosa nuova. Era meglio risolvere in fretta quella situazione e battere Flan al più presto.
Gli altri ragazzi si voltarono verso di lei, e rimasero sbalorditi: non avevano mai visto una ragazza di età così giovane, loro coetanea, vestirsi in quel modo semplice, serio e quasi adulto. Di solito le ragazze giapponesi tendevano a tenersi in modo molto carino, lezioso e ad acconciarsi i capelli in qualche modo. I capelli neri e corti di questa ragazza qui sembrava non avessero incontrato che sforbiciate inesperte, erano abbastanza spettinati e decisamente non in ordine, e neanche un nastro o una mollettina li teneva fermi. Inoltre indossava solo una camicia bianca senza taschini, un paio di jeans senza nessuna decorazione e due scarpe da ginnastica abbastanza usurate. Questa donna stonava terribilmente in mezzo a loro, che erano così ben tenute e in ordine in tutto.
Angel, dal canto suo, poté osservare i suoi nuovi compagni nella loro vera forma per la prima volta. Tutto normale finché il suo sguardo non arrivò alla sua leader e al di lei ragazzo. Vide sbalordita come Ichigo fosse praticamente uguale a sua nonna, e come Masaya, ora che lo poteva vedere per la prima volta nei suoi veri colori, fosse più simile a lei di quanto in apparenza sembrasse: stessi capelli neri e stessi occhi nocciola.
Ma ci fu qualcos’altro che in quel momento attirò la sua attenzione: anche se erano dentro un parco, ambiente che per Angel non era nulla di nuovo, notò che era tremendamente diverso da quelli a cui era abituata lei. Questo aveva dei vialetti acciottolati, panchine in piedi e fresche di vernice, erba tagliata e ben curata, aiuole fiorite ovunque, lampioni che emanavano una luce fortissima sulle stradine. Tutto questo la sconcertò un poco, non aveva mai visto niente di simile. Ma fece finta di niente e seguì il gruppo verso un edificio rosa e abbastanza strano, fatto a torrette. Nel momento in cui vi arrivò di fronte, Angel si fermò per un momento.
‘Allora è veramente questo…’ pensò. ‘È lo stesso che ho esplorato insieme a Rau quando ero piccola.’ Certo, non potevano esserci altre spiegazioni. Era stranissimo vedere un bell’edificio senza crepe, in piedi, contornato di un parco pubblico, invece di misere macerie contornate da erbacce.
“Forza, entriamo”, disse Ichigo, infilando la chiave nella serratura ed aprendo le porte. Appena tutti furono entrati, accese la luce con l’interruttore al muro, e subito le lampade sul soffitto si illuminarono.
Angel si bloccò, spaventata. Non aveva mai visto in vita sua nulla di simile: una luce così forte da abbagliarla, e che si accendeva con il semplice tocco di un pulsante. L’unica cosa vagamente simile con cui aveva avuto a che fare era stata la lanterna che usavano lei e i suoi nonni quando il sole era calato, ma non era nulla di paragonabile a queste luci qui: per accendere la lanterna occorreva un atto fisico ben preciso e perfettamente spiegabile; com’era possibile invece accendere una luce soltanto toccando un tasto sul muro?
Masaya si accorse che quella ragazza si era fermata e si girò a guardarla, stupito. La vide con gli occhi sbarrati e pareva che volesse proseguire, ma qualcosa sembrava bloccarla.
“Ma cosa c’è? Hai paura?” le chiese, sconcertato.
Al sentire la sua voce, subito la guerriera riprese padronanza di sé e, scuotendo appena la testa, si rimise al passo con gli altri.

“Shirogane-niichan! Abbiamo una nuova recluta!” gridò Bu-ling, correndo avanti.
Angel sentì un’esclamazione di sorpresa provenire da due voci maschili. “Cosa?!”
E subito dopo, due ragazzi abbastanza grandi uscire da una porta in fondo alla sala e dirigersi verso di loro. I loro occhi si fermarono su di lei, squadrandola meravigliati e sospettosi.
Ichigo si fece avanti: “Shirogane, Akasaka-san, questa ragazza ha sconfitto il chimero che ci avete segnalato. È per questo che il mostro non si muoveva dalla sua postazione. Sapete qualcosa di lei? Avete trasferito il DNA di un animale anche in lei?”
I due uomini scossero la testa, con lo sconcerto che trasudava da ogni loro parte. “No, non ne sappiamo assolutamente nulla” rispose Ryou. Ad Angel scattò qualcosa nella testa: la voce disturbata che aveva sentito quella volta, quando era piccola… era la sua?
Ryou la fissò: quella che si trovava di fronte era una ragazza che, a parte i vestiti un po’ inusuali, era assolutamente normale. Una ragazza di normale razza giapponese, senza nulla di particolare, di altezza media, occhi di colore niente di speciale, e comuni capelli mori. Probabilmente, da quella mattina ne aveva incrociate altre mille per strada, come lei. Eppure il suo sguardo di un colore così scontato aveva qualcosa di diverso.
“Ma come si chiama?” chiese Keiichiro.
I membri della squadra si guardarono con un certo imbarazzo: avevano fatto a quella ragazza così strana domande di tutti i tipi, ma non quale fosse il suo nome.
Angel allora sospirò, pronta al rito da copione: “il mio nome è Angel”, dopodiché si preparò mentalmente. Erano state ben poche, nella sua vita, le occasioni in cui aveva dovuto presentarsi a qualcuno, ma in quelle poche volte le reazioni che aveva suscitato il suo nome erano state sempre le stesse. E infatti anche questa volta non tardarono ad arrivare.
“Angel? Ma che nome è? È stranissimo! Bu-ling non l’ha mai sentito!” sentì la voce incredula della ragazzina bionda.
“È vero, non è un nome giapponese, è inglese. Perché questo nome? Sei forse di origine straniera?” le chiese Minto.
“No, sono giapponese”, rispose Angel semplicemente.
“E cosa significa?” insisté Bu-ling.
“Vuol dire angelo in inglese”, le spiegò Masaya.
“È vero”, confermò Ryou, “non sapevo che una persona potesse portare questo nome. È un po’… come posso dire…? Presuntuoso?”
Angel fece una risatina imbarazzata e alzò le spalle. Nemmeno a lei piaceva il suo nome, era come un marchio a fuoco il chiamarsi così quando intorno a lei c’erano persone con soli nomi giapponesi. Ma non era stata lei a scieglierselo e ora se lo doveva tenere e basta.
“Smettila, Shirogane!” lo ammonì Ichigo. “Invece io trovo che sia un bellissimo nome”, aggiunse, rivolgendo uno sguardo incoraggiante verso la ragazza dai capelli neri. La leader rimase alquanto stupita quando la vide arrossire appena sulle guance e abbassare gli occhi con un certo imbarazzo.
“E come fai di cognome?” le chiese amichevole Retasu, troppo beneducata per chiamarla per nome appena conosciuta. “Quello non ce l’hai detto.”
“Ecco…” fece lei, un po’ incerta “il cognome è cosa privata.”
“Cosa?” chiese Retasu, incredula. “E allora come dobbiamo chiamarti?”
“Per nome, tranquillamente”, rispose Angel.
“Ehm… Angel-san?” provò Retasu con un certo imbarazzo.
“Ma anche Angel senza suffissi va benissimo. Da noi ormai certe forme di cortesia non si usano più.”
“E tantomeno termini un minimo educati”, intervenne Minto, un po’ infastidita.
“Buoni, buoni”, intervenne Ryou. “Come sarebbe, da voi?”
Angel sospirò. Era venuto il momento di vuotare il sacco.
“Ora vi spiegherò meglio chi sono, e anche il motivo per cui sono venuta da voi. Cercherò di essere più chiara possibile, ma dovrò fare svelto, non abbiamo molto tempo.”
“Cosa intendi con questo?” chiese Zakuro, sospettosa.
“Lasciatemi parlare, e dopo vi sarà tutto chiaro”, rispose Angel con fermezza. Con otto paia di occhi curiosi puntati addosso, Angel si sentì sollevata, in qualche modo: una buona parte del lavoro era stata fatta. Era riuscita a trovare i sei guerrieri e i loro due capi, e ad essere più o meno accolta tra loro. Ora bisognava passare al prossimo step: impedire al Flan del loro tempo di arrivare sulla Terra.

 

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Scusate tanto, ma Bu-ling e Retasu che all'inizio rompono il quarto muro dovevo metterle. Pure loro si sono stufate e dicono basta alle Mary Sue ficcate senza criterio nelle fan fiction xD

Nota linguistica: in questo capitolo e nei prossimi verrà messa particolarmente in risalto la parlata grezza di Angel, che però, essendo il testo in italiano, non sembrerà così scortese come gli altri personaggi tendono ad evidenziare. Questo perché è una cortesia-scortesia intraducibile in italiano, quindi farò un esempio pratico:
"watashi wa Enjeru desu" e "ore wa Enjeru da" vogliono dire esattamente la stessa cosa, ossia "io sono Angel", ma cambia enormemente il grado di formalità. Il primo è quello cortese, che insegnano ai corsi di giapponese agli studenti novellini perché quando si incontra gente che non si conosce conviene sempre essere formali ed educati. Il secondo, col verbo "essere" non coniugato e "ore" (un "io" maschile molto rozzo) viene usato solo fra maschi giovani, in contesti molto, molto informali, ed è appunto il modo in cui si esprime Angel (ed anche Ryou e Shintaro), una cosa inaccettabile per una ragazza.

Mi raccomando, fatemi sapere che ne pensate, e buon Natale a tutti!

   
 
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