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Autore: Losiliel    23/12/2015    5 recensioni
"Il suo corpo si riprese dai tormenti e riacquistò salute, ma l'ombra delle sofferenze subite era nel suo cuore" (Il Silmarillion, cap. XIII - Il ritorno dei Noldor).
Nelyafinwë, salvato da Findekáno, deve affrontare i propri demoni prima di riprendere il suo ruolo tra i Noldor quale erede di Fëanáro.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fingon, Maedhros, Maglor
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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Capitolo Quinto - Makalaurë



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Nelyafinwë (Maitimo, Russandol, Nelyo) è Maedhros
Findekáno è Fingon

___________

 

 

Quando l'alba comparve alle loro spalle, il vento era cessato e il mattino si preannunciava limpido e fresco. I due cugini non si erano mossi. Nelyafinwë si stava accorgendo di una cosa sconcertante: il conforto tanto agognato lo riceveva solo ora, nel darlo a sua volta.

Findekáno ruppe il silenzio borbottando qualcosa di incomprensibile contro il suo petto.

– Come? – mugugnò Nelyafinwë, il volto chino sugli scuri capelli dell'amico, la mente che affondava per la prima volta nella piacevole assenza di angosciosi pensieri.

– Ho detto: oggi viene Káno. – Il cugino alzò la voce, ma non fece alcun gesto per divincolarsi dall'abbraccio.

– Cosa? – Nelyafinwë riemerse dolorosamente alla realtà.

Makalaurë! Non era pronto per un incontro con il fratello! Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa avrebbe dovuto dire? Non sapeva neppure cosa provare nei suoi confronti. Il fratello lo aveva abbandonato di proposito alla tortura… o lo aveva creduto morto?

Non era certo di voler conoscere la risposta.

Si staccò bruscamente da Findekáno e si alzò portandosi via il mantello.

– Perché non mi hai avvertito? Per tutti i Valar! Non sono pronto! Devo ancora… – ma non sapeva nemmeno lui cosa doveva ancora fare. Prese a muoversi di qua e di là, tentando invano di formulare un pensiero coerente.

– Lo vedi perché non ti ho avvertito – sentenziò Findekáno, alzandosi a sua volta e accennando al suo errare frenetico.

Nelyafinwë si bloccò nel momento stesso in cui il suo sguardo cadde sul cugino. Era strano vederlo così, a torso nudo, nella luce cristallina dell'alba, con i capelli in disordine invece che accuratamente intrecciati, gli occhi velati dalla stanchezza e un sorriso disarmante che gli illuminava il viso.

No, lo corresse quella parte di sé che faceva di tutto per ignorare, non era strano. Era favoloso. Nelyafinwë chiuse gli occhi per allontanarsi da quella visione e trasse un profondo respiro. Gli mancava solo di indugiare in questo genere di pensieri per dare il colpo di grazia alla sua già scarsa capacità di raziocinio. Purtroppo, quando li riaprì, la visione era ancora lì dove l'aveva lasciata.

– E quando dovrebbe arrivare? – chiese, cercando di recuperare un minimo di controllo.

Findekáno gli fece cenno di tacere portandosi un dito alle labbra. Si sentiva distintamente uno scalpitio di zoccoli in avvicinamento.

– Ora, direi – rispose il cugino, puntualizzando l'ovvio.

Nelyafinwë non fece quasi in tempo a voltarsi in direzione della tenda, che un cavallo irruppe nella radura. Lo montava un Elda vestito con una tunica azzurra adorna di elaborati ricami blu scuri, pantaloni indaco e stivali al ginocchio. Al fianco gli pendeva una spada lunga, leggermente ricurva. Gli scuri capelli ondulati gli ricadevano morbidi sulle spalle. I raffinati tratti del viso erano tesi in ansiosa preoccupazione. Con un movimento leggiadro smontò da cavallo e si diresse verso l'ingresso della tenda, ma quando li vide si bloccò, e i suoi occhi si spalancarono in un'espressione di immenso stupore.

– Per Eru, Manwë e tutti gli stramaledetti Valar! – esclamò, dando sfogo alla propria incredulità e al proprio sollievo con imprecazioni che Nelyafinwë non gli aveva mai sentito pronunciare, e gli corse incontro con l'evidente intenzione di abbracciarlo.

Nelyafinwë non riuscì a trattenersi dal fare un passo indietro. Il fratello allora si fermò, incerto, e fece una cosa sorprendente: si rivolse a Findekáno, come per chiedergli consiglio. Makalaurë che chiedeva un consiglio al giovane, impulsivo, scriteriato cuginetto era uno spettacolo al quale Nelyafinwë non avrebbe mai creduto di poter assistere.

Evidentemente erano cambiate parecchie cose durante la sua assenza.

L'intervento di Findekáno non si fece attendere. – Andiamo a sederci – disse. – Parleremo più comodi.

Li condusse oltre la tenda, su per il pendio, presso la sorgente. Qui emergevano dal terreno alcune grosse pietre bianche, levigate, sulle quali i due fratelli si sedettero uno di fronte all'altro. Findekáno invece si ritirò. – Vado a prendere qualcosa per colazione... – disse, – e i nostri vestiti – aggiunse, senza il minimo imbarazzo.

Nelyafinwë realizzò solo in quel momento lo stato in cui li aveva sorpresi il fratello al suo arrivo. Mezzi nudi e scarmigliati, con i volti stanchi di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte, e sguardi che, in parte, tradivano una rinnovata complicità. Una situazione piuttosto equivoca, in effetti.

Ma Makalaurë sembrava non farci caso; la sua attenzione, ora che la sorpresa per averlo trovato in salute veniva meno, era tutta presa dalle tracce che la prigionia aveva lasciato su di lui. Il suo sguardo indugiava sul volto segnato, sui solchi profondi che gli deturpavano il petto, sul polso su cui si tendeva sottile la pelle ricucita. Sembrava domandarsi chi fosse quell'essere che differiva tanto dal fratello da vederne rinnegato persino il nome. Sembrava vedesse, rispecchiata in quei segni dolorosi, tutta la propria colpa.

Nelyafinwë, a disagio, si chiuse addosso il mantello e capì che se non avesse detto qualcosa sarebbero rimasti in silenzio fino al ritorno di Findekáno.

– Makalaurë – cominciò allora, vincendo il proprio imbarazzo. Cominciò col nome con cui era solita chiamarlo sua madre e con cui lo chiamava anche lui, per l'affetto particolare che lo legava al suo primo fratello. Affetto che era sopravvissuto intatto all'arrivo dei cinque successivi, e che ancora dimorava in un angolo del suo cuore ferito.

Ma altre parole non riuscì a pronunciarle.

– Russandol... – sussurrò il fratello di rimando. E i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Nelyafinwë non riuscì a evitare di chiedersi a cosa fossero dovute. Se al sollievo nel trovarlo guarito… o piuttosto al rimorso per averlo abbandonato.

– Raccontami quello che è successo – domandò allora. Non perché volesse realmente sapere, ma perché voleva nascondere la sua incapacità di gestire la situazione, e far passare il tempo nell'attesa del ritorno di Findekáno, senza il quale temeva di non riuscire a dominarsi. 

Makalaurë chinò il capo, come arrendendosi di fronte a un condanna attesa così a lungo, che quando arriva è più simile a un sollievo che a una pena.

– Non ti abbiamo visto tornare – cominciò, – e neppure abbiamo visto la cosiddetta delegazione del Nemico.

Raccontare era il suo lavoro, in un certo senso, e più parlava più sembrava trarre coraggio dal suono forte della propria voce. Rialzò la testa e i suoi occhi tornarono a fissarsi in quelli del fratello.

– Abbiamo pensato che ti avesse ucciso, come nostro padre. Ma poco tempo dopo è arrivato un messaggero. Portava un'offerta. La tua vita in cambio di ogni nostra pretesa sul territorio. 

– Non avrebbe mai mantenuto la parola – intervenne Nelyafinwë.

– Ovviamente – proseguì il fratello. – L'abbiamo ricacciato da dove era venuto e siamo tornati all'accampamento per decidere come procedere. È stato un disastro, Russandol! Chi voleva partire subito ad affrontare il Nemico a viso aperto, come se la follia di nostro padre non avesse dimostrato quanto impraticabile fosse quella strada! Chi voleva addentrarsi di nascosto nelle sue terre e tentare un'azione furtiva… chi sosteneva che avremmo dovuto prima fortificare la nostra posizione e cercare nuovi alleati tra gli abitanti di questi luoghi, per avere un esercito abbastanza grande da spazzarlo via in modo definitivo…

Mentre Makalaurë proseguiva col suo racconto, Findekáno tornò, in silenzio. Si era infilato una casacca celeste, aveva legato i capelli in una semplice coda e portava un vassoio di legno ricolmo di frutta. Lo appoggiò tra loro, poi gli tese una maglia. Nelyafinwë si liberò del mantello e, sorprendendo per primo sé stesso, lasciò che il cugino lo aiutasse a infilarsela. Il sorriso radioso che questo gesto spontaneo accese sul viso di Findekáno, lo scombussolò al punto che faticò a tornare a rivolgere la sua piena attenzione alle parole del fratello.

– L'azione furtiva mi sembrava l'idea con più probabilità di successo – stava dicendo Makalaurë, – ho mandato allora degli esploratori. Ma pochi sono tornati e quei pochi non avevano trovato traccia di te. Il tempo passava e, mentre io non sapevo che altro fare, una serie di eventi eccezionali ci ha gettato in una confusione ancora peggiore: la comparsa di Rána e di Vása e, subito dopo, l'arrivo di Nolofinwë e della sua gente…

Si interruppe per un attimo, come se ancora faticasse a credere a ciò di cui era stato testimone.

– Avresti dovuto vederli… pallidi, emaciati, morti di fame… ma che sguardo, Russandol, che portamento! Parevano evasi dalle Aule di Mandos buttandone giù la porta! E tutti loro vedrebbero con piacere le teste dei figli di Fëanáro in cima a una picca, in mancanza di quella del padre…

Lanciò un'occhiata a Findekáno che sedeva poco distante.

– Tutti eccetto i presenti – si corresse.

– Non contarci troppo – disse il cugino, – a me interessa soltanto di uno.

Findekáno sostenne lo sguardo di Makalaurë senza cedere. Si leggeva la verità nei suoi occhi: sarebbe passato sopra a qualunque cosa per quell'uno. L'aveva già fatto, in effetti.

Alla fine fu il fratello a chinare il capo, riconoscendo la superiorità di chi aveva compiuto l'impresa impossibile. Davvero le cose erano cambiate durante la sua assenza!

Makalaurë proseguì: – Ho spostato l'accampamento a sud del lago, per evitare scontri. Poi, finalmente, alcuni esploratori sono tornati portando notizie su di te… e su altre cose che ti dirò dopo. Ma erano notizie contrastanti: alcune dicevano che eri evaso, altre che eri morto, altre che ti avevano condotto sulle montagne per un ultimo supplizio.

– Infine è arrivato lui – continuò, indicando Findekáno, – a chiedere di te… anzi a insultarci perché non avevamo ancora fatto niente. – Makalaurë alzò la voce: – Ti rendi conto? È venuto da solo, nel nostro campo, a insultare i figli di Fëanáro…

– Falla breve, Káno – lo interruppe il cugino, – ho solo usato un linguaggio appropriato alla situazione.

– Ci ha dato dei codardi! – urlò il fratello.

– Appropriato – disse Nelyafinwë, quasi tra sé.

– Non è vero! – esclamò Makalaurë alzandosi di scatto. – Confusi… indecisi… senza una guida… e sì, sì, anche spaventati. Ma non da Moringotto o dai suoi servi...

Si sedette nuovamente e affondò il viso tra le mani, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Quando rialzò il capo sembrava aver ripreso il controllo di sé.

– Nella nostra vita non abbiamo mai fatto altro che seguire Fëanáro, nostro padre, il nostro mentore, senza mai un dubbio. E quando non c'era lui… c'eri tu, Russandol. A dirci cosa era giusto fare… il primo di noi per nascita, per doti, per saggezza…

Di nuovo si volse a Findekáno, alzando la voce.

– Se non fosse stato per me, ti avrebbero tagliato la gola!

– Vorrei che ci avessero provato! – gli gridò dietro il cugino.

– Lo lasciammo andare illeso – proseguì il fratello con più calma, – io però avevo riconosciuto nel suo sguardo quel… quella scintilla che gli viene quando prende quelle folli decisioni da cui non torna più indietro. 

Sì, Nelyafinwë la conosceva bene quella scintilla. Makalaurë era davvero un acuto osservatore. 

– Allora l'ho seguito. Ma al confine con le montagne l'oscurità si è fatta impenetrabile. Né luna, né stelle, neppure il sole riusciva ad attraversare quella coltre. Ho perso le sue tracce.

Si interruppe, per un attimo incapace di continuare.

– Perdonami Russandol! Avrei voluto accompagnarlo… ho pensato che fosse la mia opportunità di redenzione…

– Abbiamo fatto tutti una gran quantità di errori da quando siamo partiti – mormorò Nelyafinwë. Era un'assoluzione? Non lo sapeva nemmeno lui.

– Non mi restava altro da fare che dargli fiducia – continuò Makalaurë. – Sono tornato ad allestire questo campo, sperando contro ogni previsione che lui riuscisse nell'impresa. E, con l'aiuto di Manwë, ce l'ha fatta!

– La fai sembrare semplice adesso – lo aggredì Findekáno, con un impeto eccessivo, anche per uno impulsivo come lui.

Nelyafinwë ricordò discussioni che emergevano dagli incubi.

– Non pensavi che ce l'avrei fatta – disse piano. Era un'affermazione, non una domanda.

– No – rispose sinceramente Makalaurë. – A vederti ridotto in quello stato ho creduto che non ne saresti mai venuto fuori. Ma lui continuava ad aver fiducia e… aveva ragione, anche questa volta.

Makalaurë non seppe più trattenersi. Gli si gettò al collo e lo strinse in un abbraccio forte.

– Russandol…

Nelyafinwë esitò.

Makalaurë, il più vicino e il più caro tra tutti i suoi fratelli. Intrappolato anche lui in situazioni che ancora non aveva la capacità di gestire. La paura, la violenza, il rimorso, la sofferenza e, sopra a tutto, ciò che esula dalla capacità di comprensione di un Immortale: il lutto.

Era sembrato facile, era sembrato giusto innalzare lo stendardo dell'orgoglio e della vendetta davanti ai propri simili, in Aman, davanti ai Valar stessi… e forse lo era stato. Ma l'orgoglio e la vendetta portavano con sé conseguenze a cui una vita di eterna beatitudine non li aveva preparati.

Ricambiò l'abbraccio di Makalaurë, e per un attimo fu come se tra loro nulla fosse cambiato.

Poi, da sopra la spalla del fratello, vide il moncherino all'estremità del proprio braccio. Allora, improvvisa, si ripresentò la commiserazione per sé stesso, segnale che a breve sarebbe arrivato l'odio a spazzarla via. 

Findekáno dovette intuirlo perché li interruppe prima che la situazione potesse diventare pericolosa.

– Káno – disse, con calma, – dicevi che gli esploratori hanno portato anche altre notizie.

Makalaurë lasciò la presa sul fratello. Si asciugò distrattamente gli occhi col dorso di una mano, la sua attenzione già tutta su quello che stava per dire.

– Sì – annuì, tornando a sedersi, – abbiamo scoperto chi è il Re dei Quendi che popolano queste terre. – Fece una pausa, come per darsi la forza di continuare, poi concluse: – Elwë, che la sua gente chiama Mantogrigio. Thingol, nella loro lingua.

Nelyafinwë capì a chi si stava riferendo nello stesso istante in cui vide il cugino impallidire. – Elwë, che fu re dei Teleri prima di suo fratello Olwë – sussurrò.

Calò il silenzio. E il gelo del rimorso. Tolde sporche di sangue. Gli occhi di un Elda che muore.

– Non lo dovrà mai sapere – disse Findekáno esprimendo il pensiero di tutti. Ma tutti e tre sapevano che non sarebbe stato così, e sentirono l'ombra della Maledizione che si allungava su di loro, come un brivido freddo che si insinua sotto pelle.

– Cosa facciamo? – chiese Makalaurë a Nelyafinwë, ormai tornato di diritto suo punto di riferimento quale fratello maggiore e, a tutti gli effetti, Re.

Poi, vedendo che lui tardava a rispondere, esclamò: – Devi tornare immediatamente al campo!

E si alzò con impeto, come volesse afferrarlo e trascinarlo via in quel preciso istante. Findekáno si tese, ma rimase seduto, Nelyafinwë invece non ebbe reazione alcuna. Restò in silenzio per un lungo momento, poi disse soltanto: – Non sono pronto.

– Come? – esclamò il fratello, sbalordito, e di nuovo tornò a rivolgersi a Findekáno con sguardo interrogativo. Il cugino scosse appena la testa, chiaramente per dissuaderlo dal proseguire su quella strada.

Ma Makalaurë non ne volle sapere e parlò di nuovo a Nelyafinwë: – Non capisco… non hai sentito quello che ti ho detto? Stiamo rischiando un altro scontro fratricida sulle rive del Mistaringwë… a Sud c'è il regno di un sovrano a cui abbiamo ammazzato i consanguinei, e a Nord quello di uno che non avrà pace finché non ci avrà sterminati fino all'ultimo Noldo. E in tutto questo, i nostri fratelli sono completamente ingestibili e io… io non sono stato capace di prendere il posto di nostro padre… il tuo posto.

Prese fiato, poi concluse, – tu devi tornare Russandol! Ora. Con me.

– Makalaurë – disse Nelyafinwë, cercando di racimolare tutte le energie necessarie per pronunciare il suo discorso più lungo da dopo la prigionia. – Tu davvero non capisci. Sono debole. Sono tormentato dagli incubi. Faccio fatica a formulare pensieri coerenti, e soprattutto non riesco a tenere sotto controllo il mio odio. Così come sono non vi sarei di nessun aiuto. Al contrario, sarei un problema.

– Ma cosa stai dicendo? – il fratello era incredulo. – Tu hai il dovere di tornare, di assumere il ruolo di Re dei Noldor che ti spetta di diritto e, quando il tempo verrà, di condurci alla vittoria sul Nemico. Magari non scenderai in battaglia direttamente – proseguì, lanciando un rapido sguardo al braccio mutilato, – ma prenderai le decisioni…

Nelyafinwë non lo ascoltava più. Solo poco tempo prima, confortando il cugino e traendo conforto dalla sua presenza, si era illuso di poter tornare ad essere sé stesso, ma ora veniva nuovamente messo davanti ai propri limiti. Bastò l'accenno alla sua menomazione per farlo esplodere.

– Basta! – gridò alzandosi di scatto e dando una spinta al fratello che lo fronteggiava.

L'aveva fatto automaticamente, con la mano sinistra, muovendo il braccio destro nella direzione opposta per bilanciare il corpo e imprimere maggior spinta al colpo. Era un movimento fluido, preciso, efficace. Era un chiaro segnale del fatto che il suo corpo stava interiorizzando la mancanza della mano destra creando nuove soluzioni. Ma lui non vi fece caso.

Makalaurë venne colto di sorpresa, indietreggiò rischiando di inciampare, ma all'ultimo riprese l'equilibro. Findekáno ne approfittò per inserirsi tra i due. Nelyafinwë se lo trovò davanti: il suo sguardo non tradiva paura, il suo viso era chiaro e disteso, le braccia protese per tenerlo lontano e insieme, se solo avesse voluto, ne era certo, per accoglierlo.

Ebbe paura di ferirlo.

Si voltò e se ne andò senza dire niente. Prima di essere troppo distante, li sentì scambiarsi ancora qualche parola.

– Devi dargli più tempo.

– Non ne abbiamo, Findo. Curvo sicuramente sospetta qualcosa, e Tyelko un giorno di questi mi metterà alle calcagna quel suo dannato cane…

– Ha bisogno di più tempo.

 

 

__________

 

Note Finali:

01.
Quenya - Sindarin
Makalaurë (Kanafinwë, Káno): Maglor
Curvo (Curufinwë): Curufin
Tyelko (Tyelkormo): Celegorm

 

  
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