Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    31/12/2015    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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HoE chap 5
Asdfghjkl, mi dispiace di averci messo così tanto ad aggiornare! Ma tra la scuola e le festività ho avuto fin troppo poco tempo. Oggi mi sarebbe piaciuto aggiornare anche The Rest of Their Lives, ma proprio non ci sono riuscita. Però lo farò a breve, prometto! Chiedo scusa per i possibili errori, perché ho dato una riletta mega veloce al capitolo y_y Buona lettura <3

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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"La temperatura è piuttosto alta per essere ottobre." Disse Eren, passando sopra ad un ramo caduto. Indossava un giubbotto che gli arrivava al ginocchio, castano come i suoi capelli, ed una delle sciarpe di Levi attorno al collo. Chi avrebbe mai detto che la temperatura avrebbe potuto intaccare un fantasma? "Questo posto è particolarmente rigoglioso."

Levi emise un grugnito per fargli capire che lo stava ascoltando.

Dopo aver passato una settimana da Erwin, quando Eren gli aveva chiesto di fare una passeggiata lo aveva accontentato.

L'uomo non aveva passato molto tempo ad aggirarsi per la foresta che circondava casa sua, Eren invece sì. Era noioso, gli aveva detto, stare solo per giornate intere. Levi si era sentito terribilmente in colpa, quando gli aveva detto quella cosa, perché era passato un intero mese senza che il ragazzo osasse lamentarsi. Era troppo felice dei momenti passati in compagnia.

Con le mani dentro le tasche, Levi continuò a camminare tra gli alberi, rocce e rami secchi. Stava due passi dietro al fantasma, che andava avanti come se già conoscesse il sentiero. Magari era proprio così. "Il corso d'acqua dovrebbe essere vicino," Gli disse. "Mi sembra di sentirlo."

Era snervante quanto la vista e l'udito del ragazzo fossero fini, ma Levi scosse la testa ed evitò di rimuginarci sopra. Aveva già condiviso un letto col fantasma in questione: le cose non sarebbero potute peggiorare.

Effettivamente poco dopo sentì lui stesso lo scrosciare dell'acqua.

Continuarono a camminare per mezzora, tanto che l'uomo iniziò a pensare di aver preso il percorso sbagliato. Era da un po' che sentiva il rumore dell'acqua, eppure non aveva ancora visto nessun ruscello. Il pomeriggio stava divenendo lentamente sera e il tepore stava sparendo assieme al Sole.

Di fronte a lui, vide Eren scalare una salita ripida, voltarsi a guardarlo per essere certo di venire seguito. "Dai, Levi. Non sei così vecchio. Pensavo che riuscissi a starmi dietro."

Simpatico, considerando che probabilmente il moccioso non aveva alcun peso da sopportare. "Sto indossando le scarpe che uso all'ufficio," Fu la sua risposta ed Eren rise. "Quanto manca ancora?"

"Siamo quasi arrivati."

Scalarono una collinetta e, se non fosse stato lui stesso ad aver camminato fino a quel punto, avrebbe potuto giurare di trovarsi in un posto del tutto diverso.

Del fiumiciattolo non si vedeva l'inizio né la fine, la sua acqua limpida bagnava le rocce disposte come piccoli gradini, creando candide cascatelle. L'erba stava ingiallendo lungo le sue rive, a causa delle rigide temperature d'inizio inverno. I massi che costeggiavano il corso d'acqua erano coperti da uno strato di muschio e odoravano di terra.

Levi sorpassò Eren, avvicinandosi alla costa incuriosito. Era di una tale bellezza, quel posto, che venne improvvisamente colpito dal desiderio di immergere i piedi nell'acqua gelida.

"E' bello, vero?" Gli chiese Eren, fermandosi al suo fianco, attento a non scivolare sul muschio. "Un po' lontano, ma la camminata ne vale la pena."

"Sembrava più vicino."

Il ragazzo annuì. "Già."

Godendosi il silenzio, l'uomo si prese il suo tempo ad esplorare il paesaggio di fronte a lui, cosa che lo fece calmare. Avrebbe potuto addormentarsi in un posto del genere, se ne avesse avuta la possibilità. Il ruscello non produceva un rumore ritmico, ma seguiva il suono della natura.

Un movimento dall'altra parte del fiumiciattolo catturò la sua attenzione, ma tutto quello che vide fu l'ombra di un cervo tra gli alberi. Cercò di seguirlo con lo sguardo, ma più si allontanava e più faticava a vederlo, grazie anche al buio che stava iniziando a calare. Il tramonto stava prendendo posto al pomeriggio, quindi avrebbero dovuto presto tornare a casa.

Voltandosi, notò che Eren non era più al suo fianco.

"Eren?"

L'uomo si voltò dall'altra parte, ma le uniche cose che vide furono alberi morti e acqua scrosciante.

"Avresti potuto almeno avvisarmi prima di allontanarti, eh." Disse. Quando non ricevette alcuna risposta sentì l'irritazione iniziare a ribollirgli nello stomaco. "Non ignorarmi, moccioso."

Fece qualche passo in avanti, guardando tra gli alberi senza allontanarsi troppo dalla riva. Stava iniziando a fare freddo, ma non a causa della presenza di Eren. Ormai stava scendendo la notte e aveva bisogno di tornare a casa, prima di ritrovarsi in un bosco senza nulla se non l'applicazione della torcia nel cellulare.

L'unica cosa che poteva fare era sperare che Eren conoscesse abbastanza bene la via di ritorno.

Un movimento periferico lo fece voltare, ma ovviamente non vide nulla. Senza la luce del Sole, le ombre sembravano prendere vita, inghiottendo la foresta nel buio. Qualcosa gli diceva che non gli sarebbe piaciuto trovarsi lì, se fosse accaduto qualcosa.

Vide nuovamente qualcosa e non poté dare nuovamente la colpa all'immaginazione. Questa volta non si girò a guardare. Non voleva guardare, perché nonostante sapesse che non avrebbe visto nulla tra gli alberi, avrebbe potuto. Non sapeva cos'avrebbe fatto, in quel caso. Lottare? Scappare? Chiamare aiuto?

Si fermò e inspirò a fondo.

Non c'era nulla di cui avere paura, al buio. Non esistevano i mostri, anche se condivideva la casa con un fantasma. Nulla sarebbe potuto saltare fuori da un cespuglio e mangiarlo e, magari, se si fosse dato una mossa, sarebbe riuscito ad uscire dalla foresta prima che fosse completamente buio.

Il problema era che non riusciva a muovere i piedi, per qualche motivo.

Il cuore sembrava volergli esplodere nel petto, tuttavia l'uomo cercò di calmarsi e mise le mani in tasca, in modo da tenerle calme. Era un attacco di panico, quello? Non gliene era mai venuto uno. Non avrebbe saputo come comportarsi, se lo fosse stato.

Un altro movimento e questa volta dovette voltarsi verso di esso. Si voltò per vedere il cervo bere dal ruscello: era enorme. Non aveva mai visto cervi dal vivo, ma si sarebbe mai aspettato che fossero così grossi.

Non era neanche a conoscenza del fatto che fossero neri. O che avessero occhi completamente bianchi.

"Eren?" Si ritrovò a dire, anche se il suo fu solo un sussurro.

Nella sua vita Levi aveva fatto un sacco di cose ed era sopravvissuto ad un numero maggiore di avvenimenti. Spacciatori, ladri, gang, pure un padre violento. L'uomo conosceva fin troppo bene le tragedie, la violenza, la morte. Aveva combattuto contro di loro e ne era emerso vittorioso. Ma c'era un'altra cosa che continuava a visitarlo, qualcosa che non era ancora riuscito a sopprimere anche dopo trent'anni di repressione emotiva e perfetto controllo.

La paura.

In quel momento aveva paura e quell'emozione gli aveva rubato la voce.

Avrebbe saltato, pensò, tenendo gli occhi fissi sul cervo che ancora si stava dissetando, i suoi occhi bianchi e vuoti fissi su di lui. Lo avrebbe caricato e l'uomo non aveva alcuna arma con cui difendersi.  L'unica cosa di cui era capace sarebbe stato correre e sperare di non cadere, sperare di arrivare a casa e non essere incornato da una bestia delle dimensioni del pickup di Erwin.

L'animale alzò la testa e prese numerosi passi indietro, scrollando il cranio per mettere in mostra i palchi.

Non c'era la Luna ad illuminare il sentiero, ma a Levi non importava.

Saltò un tronco caduto e scivolò su una roccia. Dei rami gli sfregiarono le guance mentre correva alla cieca nella foresta, perso, perché ormai avrebbe dovuto aver raggiunto la collinetta rocciosa. Continuò a scappare perché era bravo a farlo, a correre, ad allontanarsi da qualsiasi cosa che avrebbe potuto compromettere la sua persona. Non poteva nascondersi, ma poteva scappare e, se fosse riuscito a correre abbastanza veloce, per abbastanza tempo, sarebbe forse arrivato a casa.

Magari avrebbe finalmente raggiunto Eren, il vero Eren e non il suo eco. Magari avrebbe raggiunto Marie-Elise o Nicolas che lo guardavano nella sua culla in Calais. Diamine, magari avrebbe incontrato un Erwin più giovane ad aspettarlo con una coperta calda, pronto a sedere assieme a lui davanti al suo camino, mentre i suoi genitori erano fuori città per lavoro.

Levi cadde quando incontrò rialzamento del terreno e si ritrovò a capitombolare giù dalla collinetta che aveva scalato assieme ad Eren precedentemente. Si rimise velocemente in piedi, con l'aiuto dell'adrenalina che gli scorreva nelle vene, e riprese a correre.

La cavità del suo petto gli bruciava, gli sembrava che il suo cuore fosse pronto a collassare, e non c'era niente che avrebbe potuto fare per evitarlo. Continuò a correre, inciampando senza però scivolare, lontano dall'oscurità e verso una casa che non riusciva a trovare.

Una forza invisibile lo pregava di restare, di voltarsi e combattere. Con cosa? Le tue mani. Ma non poteva combattere solo con le sue mani. Non c'era modo di riuscire ad afferrare quella cosa e metterla a terra, non c'era modo di stringergli le mani al collo e soffocarlo. Se si fosse fermato, la bestia lo avrebbe raggiunto.

Gli sarebbe entrato dentro.

Avrebbe fatto della sua pelle la sua casa.

Lo avrebbe consumato, bruciato ciò che non gli serviva e divorato ciò che gli sarebbe piaciuto.

L'animale, i quali zoccoli contro la terra producevano un rumore tanto forte da annullare lo scrosciare dell'acqua, lo stava raggiungendo. Stava caricando con i palchi pronti ad impalarlo, pronto a sollevarlo da terra sopra la sua testa.

Levi non smise di correre. Chiamò Eren, urlò il suo nome, ma nessun suono lasciò la sua bocca. La pressione sul suo petto lo stava facendo impazzire, ma non si fermò. Cercò di urlare più forte, correre più veloce, ma tutto quello che riusciva a vedere erano sempre gli stessi alberi, ancora e ancora. Non stava correndo in tondo, stava correndo sempre sullo stesso posto. I suoi piedi non si erano mai mossi. Era ancora davanti al fiumiciattolo, con quegli occhi bianchi sempre fissi su di lui, occhi che lo stavano invitando ad attraversare il ruscello, a bagnarsi i piedi - a uccidere con le sue mani soltanto.

•••

Levi si svegliò di soprassalto, tremando dalla testa ai piedi. Era zuppo di sudore, le sue mani erano umide e la cosa lo disturbò più di quanto avrebbe potuto fare un incubo.

Scalciando le lenzuola e correndo verso il bagno, ignorò l'assenza di un corpo - il vuoto nel suo letto.

•••

"Sembri uno zombie." Furono le prime parole che lasciarono la bocca di Hanji, quando Levi mise piede nel suo ufficio.

"Che novità." Rispose, chiudendosi la porta dietro di lui, attraversando il corridoio diretto all'ascensore, dove avrebbe trovato gli altri ad aspettarlo.

Hanji rise e gli diede un pugno giocoso sulla spalla. Se non fosse stato così stanco avrebbe ricambiato, ma al momento l'unico desiderio che provava era quello di acciambellarsi sul divano di Erwin e dormire un mese intero. Fanculo pure alla doccia e al cibo.

"Petra ci aspetta al ristorante." Annunciò Auruo mentre scriveva qualcosa sul telefono, quando Hanji e Levi lo raggiunsero.

"Fantastico. Più siamo e meglio è." Con la sua emicrania, anche il Papa sarebbe potuto uscire con loro e, senza alcun dubbio, Levi gli avrebbe detto di tacere se avesse parlato a voce troppo alta.

Come la prima notte che aveva passato in via Ashbury, l'uomo si era trovato nelle condizioni di non poter guidare, ma l'aveva fatto. Si era messo dietro il volante e aveva percorso il tragitto di due ore in un'ora e mezza ancor prima dell'alba.

Era stanco, dolorante e le sue mani non sembravano voler smettere di sembrargli bagnate. Non bagnate nel senso di sudate, ma insanguinate. Non importava quanto le lavava, il sangue era lì. Invisibile, ma c'era.

"Levi," Lo chiamò Erwin, piano e gentilmente. Toccò il suo gomito, facendolo sussultare. L'ascensore aveva aperto le porte e tutti gli altri stavano aspettando che entrasse. Lo fece, ma non gli rispose e non chiese scusa a nessuno.

Vicini com'erano, i suoi amici mantennero un tono di voce bassa in modo da non infastidirlo ulteriormente.

Erwin si mantenne a distanze ravvicinate tutto il tragitto sul marciapiede, soprattutto quando lo vide sobbalzare violentemente quando un carabiniere a cavallo passò di fianco a loro.

I due rimasero numerosi passi indietro rispetto agli altri, in modo da poter parlare indisturbati.

"Prima o poi dovrai dirmi cos'è successo." Gli disse Erwin, mettendo in tasca il cellulare e riservando a Levi un'occhiata che probabilmente avrebbe dovuto farlo sentire in colpa. "Hai bussato alla mia porta alle quattro di mattina, Levi."

"Lo so cos'ho fatto." Fu l'unica cosa che gli disse, pentendosi di non essersi portato dietro gli occhiali da Sole. I raggi di Sole che si riflettevano sugli edifici gli stavano facendo bruciare gli occhi.

Erwin tacque, ma quando l'altro non accennò a continuare, annuì. "Non hai completato la gran parte dei tuoi rapporti e quelli che mi hai portato erano pieni di errori." Si fermarono ad un semaforo, attendendo il verde. Il resto del gruppo aveva già attraversato la strada. "Se hai problemi a concentrarti, mandameli per email e li correggerò io."

"Posso fare il mio lavoro."

"Non ti sto dicendo che non ce la fai," La luce cambiò e la folla li spinse in avanti. "Ma sono seriamente preoccupato per te."

La preoccupazione nella sua voce era ovvia, ma a Levi non provocava nessun dispiacere. Erwin doveva solo tacere e lasciarlo stare. Il conforto che poteva dargli doveva assumere la forma di cibo, di un divano su cui dormire e magari di una buona scopata, ma quest'ultima cosa era impossibile, se Mike non lo avrebbe permesso.

"Sono un ragazzo grande, ormai," Rispose ironico, giocherellando con uno dei bottoni del suo cappotto. "Non c'è nulla che una bella dormita non mi faccia passare."

"Stai da noi, questa notte. Cucina Mike."

Levi annuì, senza il bisogno di fare il timido o far finta di pensarci sopra.

Non voleva tornare a casa per un po', non mentre Eren non c'era. Il vuoto in quella casa lo inquietava, nutrendo la paranoia che gli aveva provocato quell'incubo. Il solo ricordo di correre attraverso la foresta gli faceva stringere il petto.

L'uomo si fermò improvvisamente, quasi finendo col cadere quando scoprì di non poter andare avanti. Sentì il panico risalirgli lungo la gola, prima di accorgersi che era stato solo Erwin, che lo aveva fermato afferrandogli un braccio. Le persone dietro di loro gli riservarono delle occhiatacce, per essersi fermati così di colpo.

"Cosa c'è?" Chiese, confuso dallo sguardo dell'altro uomo. La preoccupazione era ancora lì, ma ora c'era qualcos'altro. Magari lo stava solo immaginando, ma Levi poteva giurare di vedere rabbia nei suoi occhi.

"Sei uscito con qualcuno?" Non era un'accusa: era più una domanda curiosa. Tuttavia il suo tono di voce era misurato, attento.

La domanda gli fece alzare un sopracciglio. "Ovviamente no," Sbottò, apparendo comunque poco convincente. "Perché ti viene anche solo-?"

"Hai dei segni sul collo."

I marciapiedi affollati erano sempre chiassosi, di per sé, ma quel giorno sembrava quasi che l'universo volesse vendicarsi su di lui. Il Sole accecante, i pedoni troppo rumorosi. Era certo di aver capito male. "Ho dei segni sul collo?"

Scrollando il braccio per liberarsi dalla presa di Erwin, Levi si massaggiò il polso prima di portarsi la mano sul collo. Effettivamente al tocco era gonfio.

Erwin sembrò percepire la sua confusione. "Sembra quasi che qualcuno abbia provato a strangolarti." Disse, col tono di voce basso abbastanza da farsi sentire solo da Levi.

Ovvio che Erwin fosse arrivato a pensare che avesse deciso di uscire con qualcuno. Lui in particolare conosce le sue preferenze, come il suo bisogno di essere sottomesso tendesse a sfociare nella violenza. Ma i lividi sul suo collo non erano la conseguenza di preliminari.

Se la solitudine della sua casa era terrificante, l'espressione di Erwin fu ancora peggiore. Raramente Levi ha visto quell'espressione sul volto dell'amico ed ogni volta è peggiore di quella precedente.

Il suo primo istinto fu quello di dire all'uomo che non aveva idea di come potesse essere successa una cosa simile, ma una risposta del genere avrebbe peggiorato la situazione. Non perché Erwin non gli avrebbe creduto, ma perché c'era qualcosa che non andava e neanche Levi sapeva cosa fosse. In tutta onestà, sarebbe stato meglio se avesse detto che stava uscendo con qualcuno.

"No." Disse il più basso, voltandosi sui tacchi, tornando a camminare nella direzione del ristorante. Avevano ancora solo mezzora di pausa.

"Levi."

"Ho detto di no," Rispose, senza neanche preoccuparsi di guardarlo. "Non qui."

Erwin lo raggiunse velocemente, senza insistere sull'argomento.

Levi doveva trovare una scusa, una credibile, perché la verità non lo sarebbe stata. Erwin non lo avrebbe preso in giro, ma non si sarebbe tirato indietro nel portarlo ad un ospedale psichiatrico. Il pensiero di abbandonare Eren gli fece venire la nausea.

L'assenza di chiacchiere tra i due non significava nulla, perché il più alto tra i due continuava a controllare ogni minima mossa dell'altro. Ogni battito di ciglia e ogni respiro irregolare, tutto veniva catalogato per uno studio più approfondito più tardi.

Nel frattempo, Levi cercò qualcosa che avrebbe potuto distrarlo dai lividi presenti sul suo collo. "Sai qualcosa sulla caccia?" Gli chiese, spostando l'argomento sulla prima cosa che gli venne in mente.

Stupido, ma efficiente, se il modo in cui Erwin sbatté le ciglia e lo guardò potevano dire qualcosa.

"Mi dispiace, ma non sono mai stato uno da uscire più del dovuto," Avendo capito che l'altro voleva cambiare argomento, Erwin decise di fare la persona civile e continuò. "Quello che posso dirti lo devo aver imparato da Animal Planet."

Nulla che una ricerca su internet non potesse sistemare.

"Come mai questo improvviso interesse?"

"Vivo nel mezzo di una foresta," Rispose, scrollando le spalle. "Voglio solo abituarmi al mio nuovo habitat."

"Però tu non sei un animale." Sbuffò Erwin, avendo anche il coraggio di apparire quasi offeso.

Levi lo interruppe prima che potesse iniziare una lunga discussione sul perché aveva deciso di comprargli casa nel bel mezzo del nulla. "Tutti gli umani lo sono. Siamo mammiferi, proprio come i cervi e gli orsi e la maggior parte di quello che abita la foresta. Facciamo gli orgogliosi, dandoci il primo posto nella catena alimentare, uccidiamo per mangiare... Com'è tutto questo diverso da quel che fanno gli altri animali?"

Semplice, pulito e vero. Levi rimase scosso dal peso delle sue stesse parole.

Immaginarsi come un animale gli fa sentire quasi un senso di solennità. L'idea inoltre gli offre l'illusione di avere delle risposte a delle domande che è troppo turbato dal soffermarcisi troppo.

"Intendi mangiare la tua preda?" Il modo in cui Erwin sottolineò l'ultima parola la fa sembrare una presa in giro, ma il suo viso dice l'opposto.

L'altro si prese un momento per considerare la domanda e gli diede l'unica risposta che gli venne in mente. "Probabilmente."

Vuole solo una pistola per proteggersi, in caso si ritrovi perso nel mezzo della foresta con un cervo selvatico alle calcagna. Quello non significa che lo mangerà, una volta morto. La difesa, così sembrava, era un altro fattore per il quale uccidere gli appariva accettabile.

Uccidere.

Quella parola si portava appresso un significato che era inevitabile. Non aveva mai ucciso nessuno prima d'ora, anche se aveva provocato ferite che avevano portato chi ne era stato colpito ben vicino. Levi non aveva mai immaginato che si sarebbe ritrovato a puntare una pistola e premere il grilletto.

Se mai avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto con un animale che sembrava intento a volevo uccidere a sua volta.

Ma non erano stati anche i suoi genitori, degli animali che avevano tentato di ucciderlo?

Non lo era stato anche il preside, ancora alle scuole medie, un altro animale che ci aveva provato?

Eren, pure, anche lui non era stato un animale che aveva affondato gli artigli nel suo cuore fino a soffocarlo?

"Prenditi il resto della giornata libera," Gli disse Erwin, allontanando ancora una volta Levi dai suoi pensieri. "Dopo pranzo vai a casa mia." L'uomo aveva corrugato le sopracciglia e lentamente aveva portato una mano contro il suo braccio, come se fosse spaventato che Levi potesse fare qualcosa. "Sei pallido."

Erwin non lo aveva ucciso, non ancora. Erwin era il bracconiere più furbo, quello che nascondeva le sue tracce in modo da non farsi scoprire o spaventare la sua potenziale preda.

No, decise Levi. Era più di quello. Non era un predatore, ma un salvatore. Un Dio. Erwin Smith era un messia.

"Non ho fame." Disse, voltando la testa per guardare le strade affollate. Aveva freddo, la sua emicrania era peggiorata e le sue mani erano nuovamente bagnate.

"Vuoi che ti porti a casa?"

Levi alzò la testa quel che bastava per guardare Erwin, giusto per controllare se nel suo viso si poteva notare un secondo fine. Non c'era. "Chiamo un taxi."

"Fammi sapere quando sei arrivato." Gli disse Erwin, leggendo Levi nell'unico modo in cui riusciva: come un libro aperto.

•••

Alla fine non chiamò un taxi, ma decise di tornare a casa a piedi. Il freddo non fece nulla per calmarlo, tuttavia la vista di negozio lo fece.

Levi era orgoglioso della sua abilità di prendere decisioni al momento senza un minimo di esitazione. Così, senza dare un seconda occhiata al negozio, decise il corso delle sue prossime azioni.

Una volta arrivato all'appartamento si fece una doccia e indossò vestiti più informali. Decise per un jeans e un maglioncino col collo alto, piuttosto del completo elegante che aveva usato precedentemente, e si mise sopra lo stesso cappotto. Nel frattempo accese la macchina del caffè. Caffè, perché il tè lo avrebbe solamente calmato e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di addormentarsi al volante.

Sorseggiò la bevanda mentre sistemava la temperatura dei caloriferi, quasi come se facendo più caldo nella casa lo avrebbe aiutato a scaldare il ghiaccio dentro le sue ossa.

Raggiungendo il salotto, decise di fermarsi di fronte alla finestra che dal pavimento arrivava al soffitto per guardare l'orizzonte. L'appartamento di Erwin era pretenzioso così come il suo proprietario, ma non poteva di certo lamentarsene.

L'appartamento era decorato con toni che variavano dal grigio all'azzurro, schema che aveva deciso Levi svariati anni prima. Caldo e confortevole, c'era un caminetto sotto lo schermo piatto: una replica di quello che c'era stato nella vecchia casa degli Smith, dove lui ed Erwin si erano baciati per la prima volta a diciassette anni.

Quello era anche il camino di fronte al quale lui, Eren ed Erwin avevano giocato qualche mese prima del matrimonio. Troppo vino, buona compagnia, l'incessante flirt da parte di Erwin. Ricordava come quelle grandi mani avevano preso dolcemente il viso di Eren tra di esse, come le loro labbra si erano unite in un bacio passionale. Levi ricordava anche di essersi eccitato alla vista del suo fidanzato venir toccato dal suo ex.

Dopo quella notte Erwin aveva occupato più di una volta il loro letto e loro il suo. Avevano trovato il perfetto accordo per tenere sotto controllo la loro stabilità emotiva e fare del gran sesso.

Ora Eren era moto, Erwin usciva con Mike e lui non riusciva a smetterla di pensare di ammazzare un animale che aveva sognato.

Divertente come la vita di una persona potesse cambiare così drasticamente in così poco tempo.

Cupo, Levi si voltò e raggiunse la cucina, dove sciacquò la tazza e si lavò per un lungo periodo di tempo le mani. Dovette combattere l'istinto di lavare ogni cosa che già era immacolata perché aveva poco tempo. Se voleva riuscire a fare tutto, avrebbe dovuto farlo prima che Erwin o Mike arrivassero a casa.

Inspirando a fondo, Levi si allontanò dal lavandino e prese le chiavi della sua macchina.

•••


Ritrovare il negozio fu semplice, più complicato fu trovare un parcheggio non troppo lontano.

Alla fine decise di parcheggiarsi davanti ad un idrante, sperando di sbrigarsi e tornare prima che un vigile potesse vedere la sua auto. Tuttavia, anche se avesse preso la multa, il prezzo sarebbe stato pagato facilmente. Prima o poi.

Il negozio era antiquato, col riscaldamento troppo alto e nessuna ventilazione. Sembrava essere uno di quei negozi dove nessuno mai entrava, cosa facile da aspettarsi da un negozietto del genere sbattuto nel bel mezzo di una città conosciuta soprattutto per la sua vita notturna. Lì i grandi capi non erano neanche interessati a cose complicate come la pesca. Il golf, magari, ma nessun genere di cose dove avrebbero potuto rischiare di sporcarsi i pantaloni.

Levi fece una smorfia, addentrandosi maggiormente nel negozietto. In uno dei muri c'era un assortimento di vestiti che variava da cose leggere a cose pesanti, fino ad arrivare a giacche da neve.

Nel muro opposto c'era il vestiario da pesca.

I muri erano decorati con una serie di poster che pubblicizzavano equipaggiamenti da campeggio. Ce n'era uno il cui significato gli sfuggiva e mostrava un kayak pieno di libri sulla tassidermia e una pila di oggetti riciclati tenuti assieme da scovolini colorati.

Le cose che lo disturbarono maggiormente furono le numerose teste di cervo, orso e gatti della neve attaccate ai muri.

Levi poteva apparire come una persona fredda e senza sentimenti, inumana a detta dalla maggior parte delle persone che lo avevano conosciuto, eppure adorava gli animali. Animali più piccoli di me, penso tra sé e sé. Gatti, cani, conigli... Se ne sarebbe preso cura, se non avesse avuto altra scelta.

Si fermò di fronte ad una pila di libri, chiedendosi come potesse fare pensieri così contraddittori.

Solo un'ora prima stava pensando di sparare ad un animale indifeso. Cazzo, si trovava in quel negozietto proprio per quella ragione ed ora si ritrovava a pensare di adottare dei gattini.

Aveva seriamente bisogno di dormire.

Si massaggiò le palpebre e sospirò, completamente perso. Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che strada prendere.

Ma una strada verso cosa? Gli sembrava come se una questione importante gli stesse sfuggendo.

"Nuovo in questo genere di cose, eh?"

Levi si voltò verso la voce e si ritrovò davanti un uomo corpulento e con l'inizio di calvizia poco più alto di lui. Sembrava stranamente fuori luogo, con addosso un vestito poco costoso e una targhetta sulla quale c'era scritto Dimo. Con le sue mani in tasca, mentre molleggiava sui talloni, dava l'idea di essere un uomo d'affari pronto a fare la sua vendita in un modo o nell'altro.

Levi mugugnò un assenso.

"Quale sport hai deciso, quindi? La pesca, forse? O qualcosa di più grintoso, come il combattimento con gli orsi."

L'interessato fu quasi deciso di voltarsi, uscire dal negozio e non tornare mai più.

"Caccia," Disse, soddisfatto nel vedere l'uomo sussultare. "Animali grossi."

Visibilmente snervato dal comportamenti di Levi, l'uomo, Dimo, si voltò verso la cassa. "Ambizioso per un neofita. Vuoi qualcosa di specifico?"

Levi lo seguì, lasciando i suoi occhi vagare sulle assurdità presenti sui vari scaffali. "Vivo in una foresta e i cervi continuano ad entrarmi nel giardino. Speravo di trovare qualcosa per tenerli lontani e nel frattempo trovarmi un hobby."

"Mi sembra che sia tu ad aver invaso il loro giardino," Disse Dimo, tirando fuori una pila di giornali per porgerli a Levi. "Ma hey, sono i tuoi soldi. Chi sono io per discutere sulle tue scelte?"

Levi fissò i giornali accigliato. Avrebbe probabilmente dovuto sfogliarli, ma non aveva la forza di toccarli. C'erano macchie di dubbi origine nei loro angoli.

"Ho solo bisogno di una pistola." Sbuffò l'uomo, puntando con la mano le armi chiuse a chiave in una scatola in vetro dietro la cassa.

"Sai almeno come usarle?"

"Punto e sparo." Disse, cercando di non apparire troppo irritato dall'idiozia dell'uomo.

Dimo rise. "Colpire un obiettivo che si muove non è così facile, ragazzo. Non puoi lasciare che ti veda. Devi seguirlo. Farlo sentire al sicuro, prima di colpire." Aprì il giornale più grosso su una pagina dove c'erano diversi fucili, di cui alcuni cerchiati a penna.

"Puoi cacciare, ma devi imparare a rispettare gli animali che abbatterai," Continuò. "Anche quelli che invadono il tuo territorio."

"E' per questo che la gente li mangia?" La domanda gli venne automaticamente, dato che era occupato a guardare i diversi fucili sul catalogo di fronte a lui.

"Sì, sì, esattamente," Gli rispose l'altro, tamburellando con le dita contro il bancone. "Ma non tutti lo fanno. Alcuni ne tengono i trofei, come queste bellezze."

Levi alzò lo sguardo per vedere Dimo puntare con la mano le teste appese ai muri.

Avrebbe decisamente preferito cucinare gli animali che avrebbe abbattuto.

Portò nuovamente l'attenzione sul giornale. "Quale mi consiglieresti?"

"Se ti piacciono le cose grosse come a me, ti direi il Shilen DGV. Ha un prezzo abbastanza alto, ma con la sua canna fatta a mano e su misura, assieme al grilletto della Timney, non puoi sbagliare."

Il fucile era simile a tutti gli altri presenti nel catalogo, solo più elegante. Il prezzo, che era la metà delle spese per l'auto in un anno, non era apprezzabile. Certo, i soldi non erano un problema, ma Levi non avrebbe sprecato i suoi soldi in un prodotto che avrebbe potuto comprare a metà prezzo.

Dimo notò il suo disinteresse e voltò pagina. Puntò una pistola cerchiata in rosso. "Sennò c'è questa damigella, che ho proprio qui."

Prendendo un paio di chiavi da dietro la cassa, Dimo le usò per aprire l'espositore. Da esso tirò fuori un fucile sempre simile agli altri. Era più piccolo e compatto del resto e fu quello a catturare l'attenzione di Levi.

"Il Savage MK II." Gli disse l'uomo, porgendo l'arma al cliente.

L'apparenza inganna decise Levi, perché il fucile era pesante, nonostante la sua struttura più piccola. Il caricatore era grosso e laminato in legno e gli fu difficile capire come tenerlo, ma la canna in acciaio gli dava un accenno di grazia. "E cosa c'è di speciale in questo?"

"E' al primo posto nei test di quest'anno per la precisione. E' stato creato per essere usato dal suo proprietario anche in movimento. Se sei bravo a sparare, beh..." Non concluse la frase e incrociò le braccia, rivolgendo a Levi un sorriso professionale che sapeva di presunzione.

Levi guardò il biglietto rosso e rotondo attaccato sul calcio del fucine e notò l'espressione dell'uomo vacillare.

Il prezzo sull'arma era minore di quello stampato sul catalogo. Non ebbe neanche bisogno di farglielo notare, quando passò il fucile al venditore per prendere il portafogli. "Lo compro."

Come c'era da aspettarsi, Dimo non disse nulla e chiese a Levi di firmare un contratto di proprietà.

"Buona caccia." Gli disse, passandogli l'arma appena impacchettata.

•••


In tutti gli anni in cui Levi ha conosciuto Erwin, ha imparato una serie di verità che avrebbero annichilito ogni tipo di idea che le persone che lo conoscevano poco avrebbero potuto farsi di lui. Per esempio, Erwin amava i videogiochi. Spesso si ritirava nella sua stanza a giocare coi suoi sparatutto in prima persona.

Una volta Erwin aveva anche provato a dedicarsi alla scrittura della letteratura erotica, ma aveva fallito. Levi aveva fatto presto a scoraggiare lui e i suoi usi di atroci eufemismi per indicare il pene.

Per ultima cosa, la sua passione per la musica anni ottanta era impareggiabile. Certo, non era una rarità per qualcuno che andava per i quaranta, ma al posto di tenersi la sua musica sull'iPod, aveva la tendenza a spararla al massimo volume sulle sue casse, che erano decisamente potenti.

Quando Separate Ways dei Journey iniziò, Mike tirò fuori dal forno la lasagna e la lasciò a raffreddare. Levi stava ancora affettando i pomodori per metterli poi in una ciotola piena di lattuga, mentre Erwin invece stava preparando la tavola.

"Lo fa spesso?" Chiese Mike, cercando in un cassetto una spatola. "Questa cosa della musica, dico."

Sciacquando il coltello e mettendolo ad asciugare, Levi prese a cercare i crostini. "Solo quando sta rimuginando." Ne trovò un pacchetto chiuso in una delle dispense. Nonostante fosse uno che cucinava raramente, di certo teneva la sua casa sempre ben fornita di tutto. Levi era certo che avrebbe potuto fare un soufflé, se avesse voluto.

"Ok," Disse Mike, riuscendo a sembrare disinteressato, nonostante lo sguardo paragonabile a quello di un rapace. "Cosa mi sono perso?"

"Pensa che io abbia bisogno di protezione." Ora doveva cercare un condimento, preferibilmente il Thousand Island.

Mike ridacchiò e si appoggiò sull'isola della cucina, con le braccia incrociate contro il petto. Non avrebbe mai smesso di sorprendere Levi come una persona così grande potesse avere una natura così buona e serena. Era tipo una giraffa, i suoi capelli rispecchiavano pure il loro colore.

"Non è esattamente una novità." Gli disse. La sua bocca s'incurvò in un sorriso.

Con l'insalata pronta e il condimento trovato, Levi si diresse nuovamente verso il lavandino, finendo di lavare il resto degli utensili che si erano sporcati mentre avevano preparato la cena. Normalmente avrebbe ignorato qualsiasi tentativo di approfondire il discorso, ma quello era Mike. C'erano pochissime persone capaci di farli parlare, ma l'uomo era senza dubbio uno di quelle.

"Non c'è nient'altro da dire," Gli disse, lavando un piatto. "L'allocco è probabilmente convinto che finisca con l'uccidermi."

La mancanza di reazioni esagerate in Mike è una delle tante ragioni per la sua quale ci va così d'accordo. Scrollò una spalla e voltò il viso verso il soggiorno, dove Erwin stava giocherellando con lo stereo. "Se è quello che pensa, ci dev'essere un motivo."

Erwin tendeva a pensare troppo, vero, ma era capace di farlo razionalmente. Con la testa lucida sarebbe stato in grado di rovesciare un governo con solo poche ore di lavoro nella giusta direzione. Ma quando era compromesso psichicamente, tendeva a fallire in modo spettacolare.

I segni sul suo collo erano a forma di mani, non di corda o lenzuola o qualsiasi altra cosa con cui avrebbe potuto provare ad impiccarsi. Levi era lusingato che Erwin pensasse che fosse abbastanza forte da provare a strangolarsi da solo, ma era ovviamente impossibile applicare una forza del genere al proprio collo.

Un'altra opzione sarebbe stata quella di un attacco, ma Erwin lo conosceva abbastanza bene da sapere che Levi avrebbe spaccato il culo a chiunque avesse osato una cosa del genere, prima di chiamare la polizia. Inoltre non avrebbe mantenuto un avvenimento del genere segreto.

"Non mi suiciderò." Disse Levi. Era troppo debole per farlo.

"Glielo hai detto?"

"Regolarmente negli ultimi due anni."

"Che scemo che è."

Le sue parole furono così piene d'affetto che Levi quasi sorrise.

Solo in quel momento Erwin si addentrò in cucina, sfilando un guanto da forno dalla mano sinistra di Mike e mettendoselo sulla propria.

Sia Mike che Levi lo guardarono, indecisi se essere confusi o divertiti, mentre afferrò la lasagna e si diresse in sala da pranzo. "Sono affamato." E' tutto quello che disse, al ché Mike rispose ridendo e Levi invece accennò un sorriso.

"Quando non lo sei." Gli disse, afferrando l'insalata prima di seguirlo.

   
 
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