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Autore: Jade Tisdale    03/01/2016    1 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 5: 
The job

 

 

 

 

Sara aprì gli occhi con delicatezza, ritrovandosi completamente avvolta nelle coperte calde.
Le tende erano tirate, ma dalle finestre filtrava una flebile luce, segno che era già mattina.
La bionda sbadigliò, stiracchiandosi leggermente. Ci vollero ancora un paio di minuti prima che trovasse la forza di alzarsi dal letto.
Era ormai alla tredicesima settimana di gravidanza, e non lo aveva ancora detto a nessuno, eccetto a Sin.
Più i giorni passavano, più si rendeva conto che sarebbe stato sempre più difficile rivelarlo a Oliver.
Non appena quel pensiero si fece spazio nella sua mente, cercò di scacciarlo. Si posizionò di fronte allo specchio situato davanti al letto e prese ad accarezzarsi lentamente la pancia ancora piatta: nel farlo, un sorriso le contornò le labbra.
«Sarai un maschio, o una femmina?» sussurrò dolcemente.
Di certo non si aspettava una risposta da parte del bambino, ma desiderava con tutta sé stessa ricevere un segnale che le indicasse se lui -o lei- stesse bene oppure no. Voleva solo questo.
Si diresse verso la cucina, cercando di liberare la mente da tutti i pensieri. Sul tavolo trovò un bigliettino e, sul fornello, una caffettiera fumante.


“Il frigo è praticamente vuoto, perciò sono andata a fare un po' di spesa. Se la coda alle casse non sarà troppo lunga, tornerò per l'ora di pranzo.

Nyssa”


Sara lasciò andare il biglietto sul tavolo, dopodiché si versò il caffè in una tazza. Dopo averne mandato giù un sorso, sul suo viso andò a formarsi un'espressione stupita e, al tempo stesso, confusa: era il caffè più buono che avesse mai bevuto in vita sua.



Erano ormai le quattro di pomeriggio. Sara aveva inviato tre messaggi a Nyssa e l'aveva chiamata sette volte nel giro di due ore: durante le prime cinque telefonate non aveva ricevuto risposta, mentre le ultime due volte era scattata la segreteria. Stava seriamente cominciando a preoccuparsi.
Un quarto d'ora dopo, la bionda si ritrovò a varcare la soglia del Verdant. Si diresse a passo spedito verso la porta che conduceva al piano inferiore, ma, prima ancora che riuscisse ad inserire la password, essa si aprì.
Diggle le fece un cenno di saluto col capo, accennando un sorriso: «Che cosa ci fai-»
Sara non gli diede il tempo di finire la frase. «Sto cercando Nyssa.»
John chiuse la porta alle sue spalle con cautela. «Non è mai venuta al Verdant. Oliver e Roy si stanno allenando di sotto, siamo qui da più di tre ore e non è passato nessuno.»
La bionda sbatté nervosamente le ciglia un paio di volte, assimilando il significato delle parole dell'amico. «Oh.»
L'ex militare osservò con attenzione l'espressione preoccupata di Sara, percependo chiaramente la sua agitazione. «È successo qualcosa?»
Canary deglutì. «Quando mi sono svegliata, ho trovato questo» spiegò, porgendo all'amico il biglietto. «Non è ancora tornata a casa.»
«Magari ha incontrato qualche amico della Lega al supermercato e gli sta raccontando della vostra vacanza a Starling. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, si è messa a litigare con il cassiere. Sappiamo bene com'è fatta.»
«John, non è il momento di scherzare. Sono preoccupata.»
Il diretto interessato le mise una mano sulla schiena, conducendola nel salone del locale. I due si sedettero vicino al bancone, uno di fianco all'altra.
«Mi pare che Nyssa sappia difendersi benissimo da sola. Per quale motivo dovresti essere preoccupata per lei?» chiese l'uomo, mutando il suo tono di voce da scherzoso ad estremamente serio.
Sara si portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio. Non le veniva in mente nessuna scusa valida.
«Non è questo il punto» esordì, studiando con attenzione le parole da usare. «Anche tu sai difenderti, ma se sparissi per ore credo che anche Lyla sarebbe in pensiero per te.»
Diggle abbassò leggermente il capo, annuendo. «Giusto.»
Ad un tratto, il telefono di Sara vibrò. Quest'ultima lo estrasse dalla tasca dei pantaloni col cuore che batteva a mille, ma, non appena lesse il nome del destinatario, sospirò.
«È lei?» chiese John, indicando il cellulare con lo sguardo.
«No» rispose, poggiando il telefono sul bancone. Era un messaggio di Sin, che le chiedeva -di nuovo- come stava e se aveva detto a qualcuno della gravidanza. Le avrebbe risposto più tardi.
«So che tu e Nyssa ci state nascondendo qualcosa, e non voglio obbligarti a dirmi di che cosa si tratta. Anzi, voglio darti solo un consiglio: i segreti hanno un peso. Più aspetterai, più le cose potrebbero complicarsi. Invece, prima tu e la tua ragazza ci direte che cosa vi è capitato, prima vi potremo aiutare.»
Sara delineò un piccolo sorriso stanco: «Sei molto gentile, ma purtroppo, John, ci sono segreti che è meglio non svelare. Dovresti saperlo bene.»
Lui annuì leggermente. «Sì, è così. Ma siamo amici, e gli amici cercano sempre di darsi una mano. Perciò, se avrai bisogno di sfogarti con qualcuno, sappi che io ci sarò.»
«Lo apprezzo molto» sussurrò la bionda. «Non dire a Oliver che sono venuta. Non mi va che si preoccupi per me.»
«Va bene.» Dig piegò il polso sinistro, lanciando una rapida occhiata al suo orologio. «Mi spiace, ma devo andare. Questa sera i genitori di Lyla verranno a cenare da noi e non voglio tardare. Finalmente gli diremo della gravidanza, perciò augurami buona fortuna.»
Sara sussultò. «Lyla è incinta?»
«Sì, di una bambina. Dovrebbe nascere in autunno» disse Dig, sorridente. «Ti consiglio di aspettare fino a domani mattina. Se quando ti sveglierai Nyssa non sarà ancora tornata, allora ci converrà andare a cercarla.»
Canary annuì, sforzandosi di ricambiare il sorriso.



Sara lanciò l'ennesima occhiata all'orologio da muro della cucina. Segnava le nove e quindici minuti.
Quando era tornata a casa, aveva iniziato a provare una forte fitta al ventre.
Non sapeva quale fosse la reale causa del suo dolore. Poteva trattarsi di un sintomo legato alla gravidanza, oppure c'entrava col fatto che avesse lo stomaco vuoto, visto che, da quando si era svegliata, non aveva messo niente sotto ai denti. O forse, era semplicemente in ansia per Nyssa.
Proprio in quel momento, la porta dell'appartamento si aprì. Sara si diresse a passo spedito verso il salotto, e non appena i suoi occhi incrociarono quelli della sua amata, sana e salva, non riuscì a trattenere un singhiozzo.
L'erede lasciò andare le borse della spesa a terra e si avvicinò a Sara, stringendola tra le proprie braccia. La bionda riuscì a trattenere le lacrime soltanto grazie all'abbraccio rassicurante di Nyssa.
«Va tutto bene» sussurrò la mora, accarezzandole dolcemente i capelli. «Sono qui, Sara. Sono qui.»
«Credevo che qualcuno della Lega ti avesse fatto del male» rivelò l'altra, con voce tremante.
Nyssa scosse lievemente la testa. «No, non è successo niente. È tutta colpa mia, perdonami. Non era mia intenzione farti preoccupare.»
La bionda sciolse lentamente l'abbraccio, dedicando all'amata un sorriso sollevato. «L'importante è che stai bene.»
La mora ricambiò il sorriso, lasciandole una carezza sulla guancia.
«Si può sapere dove ti eri cacciata?»
La figlia del Demonio ritrasse lentamente la mano. «È una lunga storia. Ti basta sapere che mi sono persa e che avevo il cellulare scarico. Starling City è più grande di quanto pensassi.»
Sara si mordicchiò il labbro inferiore, non riuscendo a distogliere lo sguardo da quello di Nyssa.
Mentiva. Glielo leggeva negli occhi.
Però, dopo aver passato più di nove ore in ansia, non aveva voglia di mettersi a fare domande o addirittura di litigare.
«Non voglio che accada mai più» disse semplicemente.
«Mi dispiace» ripeté la mora.
Sul volto di Canary, tutto a un tratto, si fece spazio un'espressione divertita. «La prossima volta chiederò a Felicity di metterti un gps sul cellulare, così potrò ritrovarti facilmente.»
Nyssa fece una piccola risata, annuendo lentamente. «Sì, sarebbe una buona idea.»

*

Roy strinse con forza il bastone di legno, mentre Oliver cercava in ogni modo di strapparglielo di mano. L'ex miliardario tentò di trascinarlo verso di sé, ma Roy aumentò la presa sull'arma, facendo stringere i denti all'amico.
«Sicuro che non ti sia rimasto del mirakuru nelle vene?»
Il ragazzo lanciò una rapida occhiata divertita a Felicity, e Arrow, approfittando di quel momento di distrazione, riuscì nel suo intento. Un attimo dopo, colpì l'allievo alla schiena, e quest'ultimo cadde rovinosamente a terra.
Oliver trattene a stento una risata mentre aiutava Roy ad alzarsi.
«Non devi mai abbassare la guardia» disse, porgendogli nuovamente il bastone.
«È colpa sua, non mia» rispose ironicamente Arsenal, indicando la bionda.
«Oh-oh.»
«Felicity, stava solo scherzando.»
«Non si tratta di questo» soffiò rivolta a John. «È in corso un'aggressione tra la Johnson e la Graham. Un gruppo di teppisti ha circondato tre ragazzine.»
Oliver agguantò il proprio arco, scambiando un'occhiata d'intesa con Roy. «Felicity, chiama Sara. Chiedile se lei e Nyssa hanno la serata libera.»
La bionda sorrise, digitando il numero di Canary sul telefonino. «Agli ordini!»



L'eco di un urlo si propagò nell'aria, ma nessuno nei paraggi sembrò averlo sentito.
In realtà, il quartiere era deserto.
Non avrebbero dovuto tornare a casa da sole. Erano state stupide.
Uno dei quattro teppisti estrasse un coltello dalla tasca dei pantaloni; un altro di loro, invece, si avvicinò alla ragazza che avevano circondato, ma, prima ancora che riuscisse a sfiorarla, quest'ultima gli sputò contro.
L'uomo evitò per un pelo il grumo di saliva e, subito dopo, un'espressione rabbiosa gli contornò il viso. «Brutta stronzetta... adesso ti faccio vedere io!»
«Fermi dove siete!»
Convinti che si trattasse della polizia, si voltarono entrambi con il cuore in gola; ma quando realizzarono che si trattava di due giustizieri, un ampio sorriso si fece spazio sui loro volti.
«Ma tu guarda: Arrow è venuto a punirci!» esclamò l'uomo col coltello.
Il diretto interessato scagliò una freccia in direzione della sua mano, facendo cadere l'arma a terra. L'uomo, dopo un primo momento di smarrimento, corse in direzione di Oliver e iniziò a colpirlo con una serie di calci e pugni, che l'ex miliardario evitò prontamente: non appena ne ebbe l'occasione, Arrow colpì il nemico con un paio di calci allo stomaco, che bastarono per metterlo al tappeto.
Arsenal si scagliò contro il secondo aggressore, colpendolo con un potente gancio sinistro: dopodiché, tese il suo arco, ma l'uomo, dopo aver visto quanto era accaduto al suo amico, alzò entrambe la braccia in aria in segno di resa.
Intanto, dall'altra parte della strada, Nyssa e Sara si stavano battendo con altri due teppisti. Li sconfissero senza troppa fatica: l'erede del Demonio riuscì a bloccare il suo nemico ferendolo alla gamba con una freccia, mentre Canary colpì l'altro alla testa con il proprio bastone, facendolo svenire.
«Se questo è lo standard delle vostre missioni, allora posso combattere a occhi chiusi» ironizzò la mora, facendo sorridere Sara.
«È meglio avvertire subito la polizia» suggerì quest'ultima, digitando il numero di Quentin sul cellulare. Non appena il capitano rispose, Sara si allontanò di qualche passo.
Nel mentre, la giovane che le due avevano salvato si avvicinò a Nyssa. Aveva le guance sporche di mascara. «Dovete salvare Janice! Dovete salvarla, vi prego!»
L'erede alzò un sopracciglio. «Chi è Janice?»
«La nostra amica» s'intromise la seconda ragazza, che si era avvicinata a loro non appena Arrow le aveva detto di farlo. «Era con noi quando ci hanno aggredite.»
«È scappata verso la Dodicesima, ma uno di quegli uomini l'ha seguita» spiegò la prima, singhiozzando.
Nyssa deglutì. Si voltò in direzione del resto del team: Sara era ancora al telefono col padre, mentre Oliver e Roy stavano legando i quattro uomini -privi di sensi e non- ad una rete.
Non c'era tempo per organizzare un piano: doveva agire.



La ragazza correva a perdifiato tra le strade di The Glades, senza una meta.
Il ragazzo la inseguiva ormai da diversi minuti.
Era stanca, e smarrita. Si ritrovò in un vicolo cieco senza rendersene conto e, prima che potesse trovare una via d'uscita, incrociò lo sguardo dell'aggressore.
«Suvvia, piccola, non avere paura» disse quest'ultimo, dedicandole un piccolo sorriso. Il suo alito puzzava di alcool. «Voglio solo divertirmi un po’.»
La giovane iniziò a indietreggiare, fino a quando non si ritrovò con la schiena contro al muro. L'uomo si avvicinò ulteriormente, e si bloccò solo quando furono pochi centimetri a dividerli.
«Ti prego» sussurrò lei, con voce tremante. «Non farmi del male.»
Sul volto dell'aggressore andò a formarsi un altro sorriso sghembo: allungò la mano nella direzione della ragazza, ma, non appena le sfiorò i capelli, una terza voce attirò la sua attenzione.
«Lasciala andare. Adesso.»
Il ragazzo si voltò lentamente, incontrando lo sguardo rigido di Nyssa.
«Se no? Che mi farai?»
Si voltò ancora, ma questa volta l'erede non gli permise di fare altro: tese in fretta il suo arco, dopodiché, scagliò una freccia con forza, ferendolo alla spalla. L'uomo gridò non appena essa entrò a contatto con la sua pelle.
Nyssa si avvicinò al teppista e, dopo aver strappato dal suo corpo la freccia, gli tirò un pugno sul viso, facendolo cadere a terra. Poggiò il piede sulla sua spalla sanguinante, iniziando a schiacciare sempre di più, fino a quando non vide le lacrime uscire dai suoi occhi.
Ritrasse la gamba dopo diverso tempo. Quando si voltò, incontrò lo sguardo terrorizzato di Janice.
«Grazie» sussurrò la ragazza. Tremava come una foglia. Probabilmente era così spaventata da non avere il coraggio di allontanarsi da Nyssa. «Posso sapere chi sei?»
Prima che l'erede potesse rispondere, un gemito attirò la sua attenzione. Si voltò nuovamente in direzione dell'aggressore, inginocchiato a terra.
«Puttana...» sibilò a denti stretti.
La mora si accovacciò davanti a lui. «Uomini. Mi fate davvero pena.»
E, prima che Janice o l'uomo potessero premeditarlo, Nyssa colpì la mascella di quest'ultimo con un gancio destro, che lo fece cadere con la schiena a terra.
Un insieme di emozioni si impossessò di lei.
Rabbia. Dolore. Ancora rabbia.
Scagliò un altro pugno sul viso dell'aggressore, poi un altro, e un altro ancora, dando vita ad una serie di colpi che provocarono delle ferite superficiali su ogni centimetro di pelle dell'uomo.
L'ira si era impossessata di lei.
Janice spalancò le palpebre. Adesso era terrorizzata da colei che sarebbe dovuta essere la sua salvatrice.
Quest'ultima continuò a colpire il nemico per un tempo che le parve interminabile, fino a quando una voce -l'unica che riusciva sempre a farla ragionare- non la fece esitare.
«Nyssa!»
La diretta interessata bloccò il gomito a mezz'aria. Solo in quell'istante, nel sentire la voce di Sara, si rese conto di quello che aveva appena fatto.
Spostò lo sguardo dal volto del ragazzo al suo guanto destro, completamente macchiato di rosso. Poi, alzò il viso in direzione di Sara: era in piedi, pochi metri più in là, e la osservava con fare scioccato. Janice aveva iniziato a singhiozzare.
Ma, prima che potesse dire o fare qualunque cosa, il rumore della sirena dell'auto della polizia la riportò alla realtà.
Sara la agguantò prontamente ad un braccio e la trascinò via.

*

Quando il campanello suonò, Sara stava ancora dormendo.
Si svegliò di colpo e, con il cuore che batteva a mille, raggiunse l'atrio di corsa. Aprì la porta senza nemmeno controllare nello spioncino chi l'avesse disturbata, rendendosi conto solo dopo averlo fatto di essere stata parecchio imprudente.
Ma, non appena incontrò lo sguardo allegro di Sin, tutti gli altri pensieri scomparvero dalla sua mente.
«Cosa ci fai qui?» domandò, incrociando le braccia.
La ragazzina alzò le spalle. «Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere se ti avessi portato la colazione» spiegò, mostrando a Sara il sacchetto che, fino a due secondi prima, teneva nascosto dietro la schiena. «Quando ti prendevi cura di me, mi facevi sempre trovare qualcosa per colazione.»
La bionda delineò un sorriso, scostandosi dalla soglia: «Entra.»
Cindy non se lo fece ripetere due volte; pochi minuti dopo, le due si ritrovarono a mangiare ciambelle e a sorseggiare del caffè comodamente sedute in cucina.
«Ho sentito che ieri sera Canary e Arrow hanno salvato delle ragazze da un'aggressione» disse Cindy, soffiando dentro alla sua tazza. «Non sarebbe meglio se restassi a riposo, viste le tue condizioni?»
«Fino a quando riuscirò ad entrare in quel costume, non mi fermerà nessuno» scherzò la bionda, facendole l'occhiolino. «E comunque, non eravamo solo io e Oliver. C'erano anche Roy e Nyssa con noi.»
La mora le dedicò un sorriso forzato. «È dolce da parte tua pensare alla sorte del prossimo malgrado le tue condizioni, ma...»
«Dovresti cercare sul dizionario il significato della parola dolce
«...credo che tu debba comunque pensare alla tua salute prima di metterti a combattere contro una squadra di delinquenti.» Sin mandò giù un sorso della bevanda calda. «Sai bene a cosa mi riferisco» proseguì, in risposta alla battuta che l'amica le aveva appena fatto.
«Perdonami, ma “dolce” non è esattamente il termine adatto per descrivere quello che faccio.» Canary si ritrovò a ridacchiare, ma, notando l'espressione seria della ragazzina, si zittì. Sospirò appena. «Ti senti ancora coinvolta, non è così?»
Cindy abbassò lo sguardo sulla ciambella che teneva tra le mani: la glassa al cioccolato le si stava sciogliendo sulle dita, rendendogliele appiccicose.
«È solo che...» esordì, con un filo di voce. «Ogni volta che intervieni nel salvare qualcuno, soprattutto delle ragazzine, mi ritorna alla mente il modo in cui ci siamo conosciute.»
La bionda deglutì, poggiando con cautela la tazza nel piattino.
«Quei ragazzi mi stavano per aggredire, ma tu sei intervenuta in tempo. Avresti potuto lasciarmi lì, eppure, non lo hai fatto» spiegò, incrociando nuovamente lo sguardo di Sara. «Mi hai salvato la vita.»
«Ho fatto quello che dovevo fare. Ho fatto la cosa giusta.»
«Lo so, ma è stato un pensiero dolce da parte tua. Sarai un ottima madre. Le madri dolci sono le migliori.»
La più giovane delle sorelle Lance non rispose, soppesando sulle parole dell'amica.
«A proposito» esclamò ad un tratto la mora, pulendosi le labbra con un tovagliolo «hai intenzione di dire ad Oliver della gravidanza, o devo farlo io?»
Sara mise entrambe le tazze nel lavello, dopodiché, alzò gli occhi al cielo. «Me lo ripeterai all'infinito, non è vero?»
«Te lo ripeterò fino a quando non sputerai il rospo.»
La bionda scosse lievemente la testa, esasperata. In fondo, però, sapeva che l'amica aveva ragione.
Iniziò ad insaponare le tazze, mentre Sin, ancora seduta, si stiracchiò: un attimo dopo, il cellulare di Sara emise una vibrazione, segno che era arrivato un messaggio.
«Puoi controllare chi è, per favore?» chiese, senza voltarsi.
Cindy annuì, ma, non appena ebbe il cellulare di Sara tra le mani, si soffermò sulla fotografia di sfondo.
«Questa qui è la tua ragazza?» domandò la mora, mostrando l'immagine a Canary.
Quest'ultima rispose con un cenno del capo.
«La conosco. Cioè, l'ho già vista da qualche parte, ma non ricordo dove» ammise, ma le bastarono pochi secondi per ricordare. «Ah, ecco! Lavora in quel pub irlandese sulla Diciassettesima... il Slàinte[1], giusto?»
Canary si voltò, inarcando un sopracciglio. «Da quando frequenti gli Irish pub?»
Sin si strinse nelle spalle. «Ho diciotto anni» sussurrò, come se fosse una risposta più che ovvia.
Sara riprese a sciacquare le tazze come se niente fosse. «Nyssa non ha un lavoro. Probabilmente la barista le somiglia.»
«Sono abbastanza sicura che fosse lei» insistette la mora. «Aveva un accento... mediorientale, credo.»
La donna si bloccò nuovamente: «E se andassimo a dare un'occhiata?»



Quel giorno il Slàinte era pieno di ragazzini rumorosi, che si scattavano un selfie dopo l'altro mentre consumavano la propria ordinazione.
Nyssa si asciugò il sudore passandosi il dorso della mano sulla fronte. Era esausta.
«Se ti stanchi dopo appena un'ora, dubito che il capo ti assumerà» la punzecchiò la barista, una tipa rossa con un accento europeo.
L'erede sospirò pesantemente. «Non ho alcuna esperienza come cameriera, è vero, ma non è questo il punto» spiegò, poggiando il vassoio sul bancone. «Quello che non capisco è come mai degli adolescenti siano qui a mangiare patatine fritte anziché essere altrove.»
«Sono ragazzi» rispose semplicemente l'altra, scrollando le spalle. «Hanno bisogno di svagarsi un po’.»
La barista riempì tre calici di birra in pochi secondi, mettendoli poi nel vassoio della mora.
«Tavolo sei. Stai solo attenta a non far cadere di nuovo i bicchieri.»
Li aveva rotti per caso -in realtà, dei ragazzini avevano preso a spintonarsi a vicenda e uno di loro le era finito addosso-, ma la barista aveva comunque trovato un buon modo per lanciarle delle frecciatine continue: prenderla in giro per la sua scarsa esperienza.
Nyssa si allontanò con fare scocciato, sbuffando. Subito dopo, però, si ricordò di quanto aveva racimolato nell'ultima settimana, e delle ottime mance che aveva ricevuto.
Si sforzò di sorridere mentre consegnava l'ordinazione a tre ragazzi poco più giovani di lei, che la osservavano con un sorrisetto sghembo.
«Ehi, bellezza» esordì uno di loro, facendole l'occhiolino.
«È la prima volta che ti vediamo qui. Sei nuova?» proseguì un altro tipo con una folta barba scura. «Come ti chiami?»
Nyssa finse di non sentire e sistemò più in fretta che poté i calici sul tavolino, con l'obiettivo di andarsene prima che quegli idioti la mettessero di cattivo umore.
Non appena si voltò, però, il terzo ragazzo la bloccò, stringendo con forza la mano intorno al suo braccio.
«Bambolina, il mio amico ti ha fatto una domanda.»
L'erede del Demonio inarcò entrambe le sopracciglia, assumendo un'espressione indifferente.
«Ho da fare» soffiò, cercando di liberarsi con uno strattone.
L'uomo, però, aumentò la presa su di lei: «Il proprietario è un mio amico. Posso farti licenziare per la tua arroganza e il cattivo servizio, se voglio.»
Nyssa deglutì, trattenendosi dal tirargli un pugno in faccia. «Ho da fare» ripeté, consapevole del fatto che non avrebbe trattenuto la sua ira a lungo.
Un attimo dopo, però, una terza voce s'intromise. «Hai sentito cos'ha detto? Lasciala andare.»
La mora lanciò un'occhiata a Sara, che osservava il ragazzo con fare minaccioso.
«E tu chi saresti? » domandò lui, mandando giù un sorso di birra con la mano libera. Subito dopo, si lasciò andare ad una goffa risata. «Che importa. Non ho paura di una donna.»
«Dovresti, invece.»
Fu allora che l'uomo si fece serio di colpo, spostando rapidamente lo sguardo da Sara a Nyssa, probabilmente capendo qual era il rapporto tra le due.
«Kurt, lasciala stare.»
Quest'ultimo alzò istintivamente lo sguardo e, senza volerlo, lasciò andare la presa sul braccio dell'erede. «Non stavo facendo niente.»
La barista dai capelli rossi sospirò. «Hai detto così anche l'ultima volta.» 
«Kathy, non immischiarti.»
«Devo. Il signor James mi ha chiesto di tenerti lontano dalle clienti e dallo staff. Quindi, o tu e i tuoi amici alzate immediatamente il vostro sedere e ve ne andate, o sarò costretta a chiamare la polizia.»
Questa volta, fu Sara a stringere la mano intorno all'avambraccio di Nyssa. Quest'ultima le dedicò un'occhiata confusa, rimanendo in silenzio.
I tre ragazzi si alzarono in piedi e, accompagnati da Kathy, si diressero all'esterno del locale. Nyssa poté giurare di aver sentito l'amico del proprietario borbottare lesbiche del cazzo, ma, per evitare ulteriori problemi, non disse una parola al riguardo.
Canary la guardò a lungo negli occhi prima di aprire bocca. «Possiamo parlare?»
L'erede annuì. «Andiamo nel retro.»



«Stai bene?»
Nyssa si schiarì la voce, a disagio. «Sì. È tutto a posto.»
«Non direi.»
La mora si voltò, incrociando lo sguardo furente della sua amata.
«Dobbiamo parlare di ieri notte.»
L'erede deglutì. Quella mattina era uscita di casa prima che Sara si svegliasse proprio per evitare quella conversazione. Ma era inevitabile che prima o poi ne avrebbero parlato.
«Sono un'assassina. Dovrei aggiungere altro?»
«Non eri in te.»
«Ho perso il controllo.»
«Me ne sono accorta. Il punto è, perché?»
Nyssa contò mentalmente fino a dieci, nella speranza di trovare una risposta valida, o almeno credibile. Non la trovò.
Rimase in silenzio, e l'amata abbassò lo sguardo.
«Sei cambiata» sussurrò Canary tristemente. «Dal giorno in cui hai discusso con tuo padre, tendi a nascondermi le cose. Non vuoi dirmi cosa ti è preso ieri, così come non mi hai detto nulla di questo lavoro.»
La mora inspirò profondamente, sentendo crescere un peso all'altezza dello stomaco. «Sara, prima che tu dica qualsiasi cosa al riguardo, io-»
«Perché stai facendo tutto questo?»
Il suo tono di voce pareva deluso, amareggiato, e decisamente arrabbiato.
L'erede del Demonio inspirò ancora. Una lite era l'ultima cosa che voleva, perciò, almeno lei, avrebbe dovuto mantenere la calma.
«Te l'ho detto. Non posso starmene con le mani in mano.» Sospirò, pulendosi distrattamente i palmi sudati sul grembiule. «I soldi che ho rubato a mio padre prima o poi finiranno, e quando accadrà cosa faremo?»
La bionda deglutì. «Non lo so. So solo che, forse, non avresti dovuto agire alle mie spalle. Se me ne avessi parlato, avremmo trovato una soluzione insieme
«Non mi sembra che tu mi abbia parlato della tua intenzione di tornare a Starling City, l'anno scorso» soffiò, alzando un poco il capo.
«Nyssa, non ti azzardare a-»
«Io te ne avevo parlato, Sara. Ti avevo detto che mi sarei messa alla ricerca di un lavoro. Cosa dovevo fare, stilare una lista di tutti i negozi o i locali in cui avevo lasciato il mio curriculum?»
«Certo che no. Però, avresti almeno potuto dirmi che avevi trovato un posto.» Sara deglutì ancora. «Hai idea di quello che ho passato negli ultimi giorni? Quando mi dicevi che andavi a fare una passeggiata, o ad allenarti al Verdant? Puoi immaginare solo per un secondo la paura che provavo quando uscivi di casa?»
Nyssa assunse un'espressione confusa. «A che ti riferisci?»
«Alla Lega, Nyssa. Sapevo benissimo che mentivi, ma avevo paura che ti stessi cacciando in qualche guaio. Credevo che ci avessero trovate e che tu li stessi combattendo da sola.»
L'erede si avvicinò a Sara di qualche passo. «Mi dispiace.»
«Lo so. Ma ormai, che importanza ha?»
Nyssa spostò il peso da una gamba all'altra, non sapendo come comportarsi. «Come hai fatto a trovarmi?» domandò poi, cercando di cambiare argomento.
Sara incrociò le braccia, ma non osò darle alcuna spiegazione. Dopo diversi secondi di silenzio, la mora si decise a riprendere la parola.
«Io e altre tre ragazze siamo in prova come cameriere. Nonostante non siamo state assunte, il proprietario ci ha comunque pagato le ore di lavoro come se lo fossimo. Se ti può consolare, dubito che mi prenderà. Ho già fatto troppi danni» rivelò, abbozzando un sorriso che l'amata non ricambiò. «In ogni caso, dopo quello che è successo oggi, sarò la prima a tirarmi indietro.»
«Forse tu non hai ancora capito il motivo della mia collera» mormorò Sara, ancora visibilmente arrabbiata. «È bello vederti così interessata per il nostro futuro, ma, se in una relazione non c'è fiducia, dubito che si possa parlare di un futuro
Un brivido attraversò la schiena di Nyssa. «Non dire così.»
Canary abbassò lo sguardo e, subito dopo, si ritrovò tra le braccia dell'erede. Quest'ultima iniziò ad accarezzarle dolcemente la schiena, nel tentativo di calmarla.
Sara sentì gli occhi inumidirsi di colpo e inveì mentalmente contro sé stessa. Ultimamente era diventata troppo emotiva.
«Tu non hai idea di quello che ho passato quel giorno» rivelò, inspirando lentamente il profumo della mora. «Temevo che non saresti più tornata.»
Nyssa le baciò appena l'incavo del collo, intuendo perfettamente il giorno in questione. «Sarei dovuta restare in prova per quattro ore, ma la ragazza che doveva darmi il cambio si è sentita male e non si è presentata. Così, mi sono offerta di coprirla» spiegò, lasciando andare lentamente la presa sull'amata. «Di certo, non immaginavo che avrei passato tutto il giorno chiusa qui dentro. Il titolare mi aveva assicurato che sarebbero bastate un paio d'ore, ma il locale si è riempito e ho perso la cognizione del tempo. Ti avrei avvisata, ma il cellulare era scarico per davvero e, avendo usato la scusa della spesa, sono corsa al supermercato a comprare qualcosa. Il tempo è passato senza che me ne rendessi conto.»
Sara assimilò il significato di quelle parole con un nodo alla gola. «Per la cronaca, era una pessima scusa.»
«Allora perché hai finto di credermi?»
La bionda scosse le spalle. «Non lo so.»
«Non era mia intenzione farti preoccupare, habibti[2]
«Sì, ho capito.» Sospirò, passandosi distrattamente le mani tra i capelli. «Sono io a doverti chiedere scusa. Ti ho aggredita prima che tu potessi spiegarmi quanto è successo. Quello che ancora non capisco è perché non me ne hai parlato.»
La mora abbassò lo sguardo. «Avevo paura di non avere la tua approvazione. Avevo paura che non credessi in me» svelò, sospirando sommessamente. «Ho pensato che, forse, se fossi tornata a casa con in mano una busta piena di soldi e un contratto di lavoro, avresti capito che potevo farcela. Volevo solo renderti orgogliosa di me.»
Sara corrugò un poco la fronte. «Ma io sono orgogliosa di te. Cosa ti fa credere il contrario?»
L'altra si strinse nelle spalle. «Tu sei andata al college, e facevi la barista. Io non sono mai andata a scuola e fino alla settimana scorsa non avevo idea di come si preparasse un caffè. Come si fa ad essere orgogliosi di una come me?»
Canary si avvicinò ulteriormente alla mora, prendendole il viso tra le mani. «Non dire sciocchezze. Non ho mai finito il college perché ero una ragazzina stupida e sono salita in quello yacht con Oliver. Facevo la barista e me la cavavo, questo è vero, ma sapevo fare solo quello. In realtà, la maggior parte delle cose le ho imparate da te.»
«Ah sì? E cos'hai imparato oltre ad uccidere la gente?»
Sara delineò un sorriso. «A difendermi. Ad affilare le spade. A sopportare il dolore. A saturare una ferita. A fare un milione di altre cose che non avrei mai e poi mai immaginato di poter imparare. E ad amare.»
L'erede sussultò; nel mentre, l'amata si alzò appena sulle punte dei piedi, lasciandole un bacio a fior di labbra. «Il lato positivo, è che ora sai preparare un ottimo caffè.»
Nyssa scoppiò a ridere e, dopo aver gettato a terra il grembiule del locale, catturò nuovamente le labbra di Sara tra le proprie.














[1] Significa “salute” in irlandese.
[2] Significa “mia amata” in arabo.






Sono in ritardissimo, lo so. Mi spiace veramente tanto >.<
Il lato positivo, però, è che questo è in assoluto il capitolo più lungo che abbia scritto per questa long xD

   
 
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