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Autore: WibblyVale    03/01/2016    6 recensioni
Una neonata nell'ospedale di Konoha viene sottoposta ad un esperimento genetico e strappata alla sua innocenza. Crescendo diventerà un abile ninja solitaria, finchè un giorno non verrà inserita in un nuovo team. Il capitano della squadra è Kakashi Atake, un ninja con un passato triste alle spalle che fatica ad affezionarsi agli altri esseri umani. La giovane ninja sarà in grado di affrontare questa nuova sfida?
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Shiori e Shisui sedevano l’una accanto all’altro sulla panchina davanti a casa. Era un’abitudine che avevano preso in quei giorni: si mettevano lì e chiacchieravano, cercando di conoscersi meglio. Quel pomeriggio avevano appena finito di lavorare nel campo e si stavano godendo il loro meritato riposo.
“Dovresti smetterla di venire con me. Inizia a diventare faticoso.” Le fece notare l’Uchiha sentendola ansimare.
Shiori si asciugò il sudore dalla fronte. Poi, accarezzò la leggera protuberanza che cominciava a formarsi nel suo ventre e sorrise.
“Finché riesco ti darò una mano. Tu hai fatto molto per me.”
“Amaya è così luminosa. È stato un piacere badare a lei.”
La donna sentì il peso degli anni di solitudine dell’uomo pervaderla. Si morse un labbro quando la sensazione sparì. Odiava sentire il mondo a sprazzi, ma presto sarebbe tornata come prima. Aveva deciso di combattere quell’orrendo sigillo.
“Posso chiederti una cosa?” domandò in un sussurro. Shisui annuì. “Tu e Itachi … siete così legati e allo stesso tempo … Insomma … Voi incolpate voi stessi, incolpate l’altro, io … È un emozione così complessa.”
Il moro si mosse leggermente a disagio sul posto. Era difficile spiegare quella situazione. O forse era semplicemente lui che aveva paura di affrontare la realtà?
“Noi eravamo uniti, credo che non ci fosse giorno che non ci vedessimo. Dovevamo raccontarci tutto, persino la cosa più stupida. Poi, io … devo ammettere che ho avuto paura. Paura del mio potere, paura di usarlo nel modo sbagliato, paura che lo usassero nel modo sbagliato. È stato difficile prendere questa decisione. Sapevo che mi avrebbe odiato, che si sarebbe sentito abbandonato, ma non m’importava, ho sempre pensato che fosse lui la speranza del clan, non io. Anche se non è solo per questo che me ne sono andato. Non volevo che usassero lui per arrivare a me … Se … Io non ho mai avuto nessuno. E all’epoca anche l’ultima persona che potevo considerare la mia famiglia era morta. Mi era rimasto solo il mio più vecchio amico … Poi, lui è arrivato da me, raccontandomi ciò che aveva fatto … Fu come se le mie ultime speranze fossero crollate e si fossero sfracellate a terra come un vaso di cristallo, e il rumore di vetri infranti avesse continuato a riverberare nelle mie orecchie per ore. L’ho odiato. Poi, ho odiato me stesso. Poi, ho di nuovo odiato lui. Ero deluso, furioso, ma allo stesso tempo … Shiori, come puoi odiare l’unica persona cara che ti è rimasta?”
Appoggiò la testa contro il freddo muro di pietra della casa.
“Credo che Itachi si senta nello stesso modo.”
“Lui ha Sasuke.”
“Non è la stessa cosa … E a proposito …” Lui era la sua ultima speranza.
“Ho già cercato di dissuaderlo dall’usare suo fratello come suo boia. Non ci rinuncerà, nemmeno per … salvare l’anima di Sasuke.” Shisui la precedette. Era ovvio che avesse già tentato.
“L’ha mai chiesto a te di farlo?”
“Una volta. Un paio d’anni dopo la sua fuga da Konoha. Sapeva che non ne avrei avuto la forza.” Ricordò, passandosi una mano tra i capelli, di nuovo tagliati a spazzola, come un tempo. Shiori aveva deciso di occuparsi dei suoi capelli, lui da solo, per ovvi motivi, non aveva mai nemmeno tentato.
“Voglio aiutarlo.”
Shisui sorrise. “Me l’aveva detto che cerchi sempre di salvare tutti. Sarebbe bello se ci riuscissi davvero.”
“Già …” Dopo un attimo di silenzio aggiunse. “Devo chiederti un favore. Sai chi c’è a capo dell’Alba?”
“Il sedicente Madara. Comunque un Uchiha.”
“Devi scriverlo in una lettera per me. Io …” La lingua sembrò attorcigliarsi. Si rilassò, non stava per dire il nome. “… So chi c’è sotto la maschera. Voglio cercare di farlo capire a Kakashi. Lui deve sapere!”
“Chi è?”
“Sigillo. Ricordi?” disse.
“Ah già. Comunque non posso scrivere niente. Itachi non vorrebbe e … se diciamo che c’è un Uchiha al comando … le cose potrebbero solo peggiorare.”
“Ti prego! Solo Kakashi lo verrebbe a sapere …”
Shisui sospirò. “Fammici pensare d’accordo?”
Il micino con il ciuffo rosso che assomigliava al suo le si strusciò contro le gambe.
“Si può sapere perché gli altri se ne stanno sempre per i fatti loro, mentre questa rompiscatole è sempre tra i piedi?” Il moro le aveva detto che era una femminuccia, facendole notare che aveva una sua gemella nel regno animale. Sembrava trovarlo estremamente divertente. Era diverso rispetto a Itachi, nonostante tutto quello che anche lui aveva passato, aveva cercato di mantenere il suo solito atteggiamento solare.
“Ho visto che gli altri la allontanano. Credo che la vedano diversa.”
“Be’ io non ci posso fare niente, no? Non ho tempo di occuparmi anche di lei!”
“La mia tata mi diceva sempre che per salvare il mondo devi cominciare dalle piccole cose. Poi, chi meglio di noi può capire come ci si sente ad essere soli …”
“Stai dicendo che dovrei occuparmi di lei e darle un nome come tu hai fatto con Madame Gatta?”
“Per prima cosa, Madame Gatta è un titolo onorifico non un nome. Lei non ha bisogno di me. Invece, questa piccolina …” Si inginocchiò a terra e seguendo il suo udito finissimo raccolse la cucciola da terra. “… lei si che ha bisogno. E sai una cosa? Forse tu hai bisogno di lei. Per ricordarti che anche le più piccole cose sono importanti. Credo che questa vita ti abbia indurito.” Appoggiò la gattina sulle ginocchia della donna e si voltò verso la voce della piccola Amaya che li stava raggiungendo. “Non dobbiamo per forza essere come ci si aspetta che siamo. Possiamo cercare di sorridere ancora, nonostante tutto.”
Quell’uomo, che per tutto quegli anni era stato nascosto, che Itachi riteneva avesse bisogno di essere protetto, che continuava a dire di essere spaventato, che aveva perso la vista, era molto meno spaventato e vedeva molto meglio sia di lei che dell’altro Uchiha.
Amaya si sedette accanto a Shiori, mentre Shisui rientrava in casa. La bambina accarezzava dolcemente la micetta. La donna si passò una mano tra i capelli che aveva deciso di lasciar crescere, forse al momento della nascita del bambino li avrebbe avuti almeno a caschetto. Sentì che la bambina aveva degli strani pensieri per la testa. Rimuginava su qualcosa, che la preoccupava enormemente.
“Amaya, che cosa c’è che non va?” domandò, appoggiando la gatta al suo fianco, dove poco prima sedeva Shisui, e prendendo in braccio la bambina.
Il cucciolo si acciambellò e si appoggiò comodo sul fianco della donna.
“Io non sono veramente tua figlia.” Vista da lontano poteva sembrare una semplice constatazione, ma guardando più da vicino si poteva vedere molto di più. Dentro la piccola si mescolavano tristezza, rabbia, gelosia, paura … sentimenti che probabilmente non riusciva a capire.
Shiori le accarezzò i lunghi capelli viola con dolcezza. “Io non ti ho portato nella mia pancia, ma questo non vuol dire niente. Quando Hisao ti ha portato da me e ti ho stretto tra le mie braccia, ho capito che eri la mia bambina. Ti ho volute bene fin da subito e questo non cambierà con la nascita del piccolo.”
La Nara sentì una strana sensazione come di qualcosa che premeva sulla sua pancia dall’interno. Le ci volle qualche secondo per afferrare quello che era appena successo. Poi il suo cervello registrò quell’azione. Sbarrò gli occhi per la sorpresa, sentendoli bruciare per le lacrime. Prese la mano della bambina e la posò sulla sua pancia. Amaya sentì come una leggera pressione sulla sua mano. Anche lei sgranò gli occhi.
“Visto? Anche lui/lei ti vuole già bene.”
La bambina sorrise.
 
Più tardi quella sera Shiori salì al piano di sopra. Giorni prima aveva lasciato a Zenko una copia dei documenti che appartenevano a Orochimaru. Voleva che la donna li studiasse, che avesse qualcosa da fare oltre che guardare fuori dalla finestra. Sentiva in lei tanta rabbia, rivolta principalmente verso la donna che aveva ucciso il suo unico figlio. Shisui le aveva detto che secondo lui tramava qualcosa, ma lei era convinta che l’unica cosa che ribollisse in lei fosse solo il risentimento.
Zenko l’aspettava sulla porta della sua camera e liberando il passaggio le fece capire che doveva entrare. La donna più anziana si chiuse la porta alle spalle e si accomodò sul letto, dove vi erano sparse le carte che lei le aveva dato. Con un dito indicò uno dei fogli e Shiori, inforcando gli occhiali, si mise a leggere. Era la formula che era stata somministrata a sua madre, aveva notato anche lei che c’era qualcosa che non andava.
“Avrebbe dovuto modificare anche il DNA di mia madre. Hai capito perché non l’ha fatto?”
Zenko tirò fuori una lavagnetta e cominciò a scrivere sul piano nero con un gessetto bianco. Shisui aveva detto che con lui la donna aveva parlato, ma forse lei non era degna di tanta cortesia.
Non è andata così, vi era scritto con una calligrafia sottile e delicata sulla lavagna.
“Vuoi dire che l’infiltrato mi ha dato una cartella falsa?”
La donna scosse la testa e cominciò a sfogliare le pagine, consegnò quella che le interessava e nel frattempo si mise a scrivere sulla lavagna.
“Qui dice che alla mia nascita mi ha fatto un’ultima iniezione di DNA, quindi?”
Impossibile non si può modificare il DNA in quel modo. Tua madre deve aver regolarmente preso dei calmanti per non sentire il potere che cresceva in lei, e comunque resta il problema che anche lei avrebbe dovuto subire le conseguenze del DNA somministratole per via orale.
La donna guardava la mora con un espressione sicura di sé. Shiori poteva sentire che non le stava mentendo. Anche lei aveva avuto dei dubbi su quelle cartelle, ma non riusciva a capire dove stava l’imbroglio.
“Quindi cosa credi sia successo? Insomma, come ha potuto rendermi ciò che sono?”
Il gessetto che Zenko teneva tra le mani ticchettava ritmico sulla lavagna, scandendo il tempo, e portando Shiori all’esasperazione. In quel momento voleva delle risposte. La donna girò la lavagnetta verso di lei.
Mettiamo che sia possibile che abbia modificato il DNA del feto e basta, senza che tua madre ne venisse infettata, in fondo è chiaro che quest’uomo sappia quello che fa. In ogni caso il tuo potere si sarebbe fatto sentire, anche se in forma lieve, già da subito. Quello che io credo sia successo è che tua madre consapevolmente abbia preso dei calmanti per evitare che il potere si disperdesse. Questo ha bloccato il potere che avevi, quindi la notte della tua nascita quell’uomo ha dovuto riattivarlo con un’iniezione.
La Nara era sconvolta. Certo tutto quello dava un senso alle incongruenze nelle cartelle, ma ciò non cambiava il fatto che questo implicava che …
“Vorresti dire che mia madre e mio padre sapevano quello che sarei diventata?” La donna più anziana annuì. “È impossibile!” gridò. “Perché avrebbero dovuto farlo? Perché non me l’hanno detto?”
Bugie. Un tratto di famiglia, credo. Quelle parole campeggiavano sulla lavagnetta, biasimandola.
Zenko, poi, le diede un foglio tra le mani. Un foglio che lei non aveva notato. Era la cartella clinica di sua madre … Diceva … Vi era scritto che il primo parto della donna era stato difficile, per questa ragione lei non avrebbe più potuto avere figli.
“Ma …?”
La donna più anziana girò la lavagnetta verso di lei.
Volevano così tanto un bambino da fare un patto con il demonio.
Shiori deglutì e si alzò di scatto dal letto. Erano sciocchezze! Quella donna non sapeva nulla! Non conosceva i suoi genitori, non sapeva … Strinse i pugni.
“Perché mi stai aiutando?” Si voltò verso di lei per leggere la lavagnetta, ma non ce ne sarebbe stato bisogno.
“Perché ora ti sto vedendo soffrire.” Affermò con voce lontana, ma comunque soddisfatta.
La kunoichi si limitò ad uscire dalla porta e a sbatterla. Corse nella sua stanza e si gettò sul letto. Non capiva come i suoi genitori avessero potuto fare una cosa simile. Davvero il desiderio di un secondo figlio era così grande in loro? Davvero avevano deciso di farle sopportare un’infanzia solitaria solo per egoismo? O era solo un esperimento? In fondo, suo padre era interessato a questo genere di cose, forse lui e Orochimaru erano in combutta.
Sentì i passi felpati della micina avvicinarsi a lei e acciambellarsi accanto al suo fianco.
“Ehy! Mostriciattola!” l’accarezzò con dolcezza.
“Non è un gran bel nome.” Affermò Shisui con tono scherzoso, entrando e sedendosi sulla sponda del letto, proprio nel punto giusto perché lei potesse vedere il suo volto. A volte, quell’uomo sembrava vederci meglio di lei.
“Non è un nome è un titolo onorifico.” Spiegò lei, tirando su con il naso.
L’Uchiha ridacchiò. “Che succede?” domandò, facendosi più serio.
“È probabile che i miei genitori mi abbiano mentito. Vorrei chiedere a Shikaku se ne sa qualcosa, ma se non sapesse niente rovinerei l’idea che ha di loro e …”
Shisui le posò una mano sulla spalla, mentre lei si copriva il volto con le mani.
“Mi dispiace.”
Lei alzò lo sguardo sull’amico. “Non mi dici che forse ci può essere una spiegazione?”
“Oh c’è sicuramente, ma potrebbe non piacerti. Per questo mi dispiace.” Sentenziò pratico.
“Ora mi sento meglio.” Affermò sarcastica. “Non riesco a credere che sapessero cosa mi aspettava e hanno lasciato che accadesse.”
Il moro incrociò le braccia al petto e la guardò severo. “L’altro giorno dicevi che questi poteri ormai sono parte di te. Sono te. Hai avuto un passato difficile, ma chi non l’ha avuto? I tuoi genitori ti amavano. Di questo ne sei sicura, no?” Lei annuì. “E allora qualunque sia la ragione per cui l’hanno fatto questa è l’unica cosa importante.”
“Grazie, Shisui.”
“Figurati.” Il moro si alzò e si diresse verso la porta. “Amaya è giù che ci aspetta per giocare.”
“Arrivo.” Rispose lei sorridendo.
Ora non poteva occuparsi dei suoi problemi, nel suo grembo stava crescendo la vita e Amaya aveva bisogno di lei. Certo il pensiero che i suoi genitori l’avessero ridotta in quello stato volontariamente la faceva star male, ma come aveva ben imparato nella grotta con Hamura, quello era il passato, ciò su cui doveva concentrarsi ora era il presente. Avrebbe scritto a suo fratello, avrebbe discretamente chiesto spiegazioni. Per quanto avesse paura di sapere la verità non voleva più rimanere all’oscuro di nulla.
 
La stanza era flebilmente illuminata. Shikamaru non voleva che suo padre o chiunque altro in casa si accorgesse che si trovava lì. Quello che poteva essere definito lo studio di suo padre era piuttosto piccolo e occupato per la maggior parte da un enorme divano. Lui però ora era maggiormente concentrato nello spulciare tra i libri sugli scaffali della libreria. Secondo Ino il diario si trovava lì.
Due giorni prima aveva convito l’amica ad entrare nella mente di suo padre mentre dormiva. Dopo un po’ di proteste, e dopo avergli ricordato che doveva essere pazzo solo per aver pensato una cosa del genere, accettò di aiutarlo in questa impresa impossibile. Certo c’era voluto anche l’aiuto di Choji per convincerla, ma alla fine ce l’aveva fatta.
La bionda aveva detto che non era stato semplice, ma fortunatamente aveva visto abbastanza per trovare dove l’aveva nascosto. Certo non tentò nemmeno di scavare più in profondità per vedere cosa vi era scritto. L’uomo si sarebbe svegliato e a quel punto si sarebbero beccati tutti e tre un’indimenticabile strigliata nonché la reclusione in casa a vita.
Un improvviso brusio fuori dalla porta lo distrasse dalle sue ricerche.
“Ma proprio adesso vi dovete chiudere nello studio?” la voce di Ino lo raggiunse. Cavolo stavano arrivando.
“Si io e Ino volevamo mostrarvi una cosa …” aggiunse Choji.
I passi si fermarono. “Cosa?” domandò Choza curioso.
I suoi amici esitarono. Shikamaru corse a nascondersi dietro al divano. Non li avrebbero mai convinti a non entrare.
“… Una nuova mossa di gruppo.”
“Manca Shikamaru.” Fece notare Inoichi.
Il moro alzò gli occhi al cielo. Sul serio non avevano trovato niente di meglio?
“Quando trovate quel pigrone venite a chiamarci.”
I tre uomini entrarono nella stanza e accesero la luce. Inoichi si sedette sul davanzale della finestra, Choza si accomodò sul divano seguito da Shikaku.
“Tu hai il coraggio di dare del pigrone a qualcuno?” fece il biondo, prendendo in giro l’amico.
“Molto divertente.”
“Sul serio forse dovremmo vedere cos’hanno da mostrarci. Choji è migliorato molto negli ultimi tempi. Asuma sta facendo un ottimo lavoro con loro.” Si vedeva che il castano era orgoglioso del figlio.
“Si, anche Ino si impegna molto ultimamente …”
“Non mi sembri così felice …” gli fece notare Shikaku con un espressione interrogativa sul volto.
“È la mia piccolina. Sta crescendo in fretta.”
“Iperprotettivo come al solito.” Commentò Choza.
“Anche Shikamaru è migliorato. A Suna ha avuto delle buone idee e va molto d’accordo con Gaara e i suoi fratelli. Credo che per loro sia più facile fraternizzare …”
“Shikaku, perché ci hai portato qui?” chiese infine Inoichi.
“Kakashi ha lasciato il villaggio. Ha chiesto delle ferie all’Hokage.”
“Kakashi ha chiesto delle ferie?” urlò sorpreso l’Akimichi.
“Qualunque cosa sia credo che abbia a che fare con …” Lasciò la frase in sospeso i suoi amici avrebbero capito. “… Non riesco ad immaginarmi cosa possa essere. So solo che quando è tornato a casa dopo l’incontro era … strano.”
“Vuoi che ci informiamo?” domandò Inoichi.
“No, mi fido di Kakashi. Voglio solo che siate pronti nel caso in cui …”
“SHIKAKU!!! VIENI SUBITO QUI!” la voce di Yoshino risuonò per la casa.
“Cosa avrò fatto ora?” Sospirò e si alzò dal divano, i suoi amici lo seguirono fuori dalla stanza.
Shikamaru tirò un sospiro di sollievo. Doveva aspettarsi che l’assenza di Kakashi avrebbe destato dei sospetti in suo padre. Pazienza se ne sarebbe occupato più avanti. Ora doveva …
La porta si spalancò. Ino e Choji si fiondarono dentro la stanza.
“Forse sta volta l’abbiamo fatta grossa.” Affermò il castano.
La bionda ridacchiò leggermente. “… Sono entrata nella mente di tua madre per chiamare tuo padre.”
“Siamo morti.” Sentenziò Shikamaru.
La ragazza si avvicinò alla libreria e con molta sicurezza estrasse il diario, nascosto da un paio di grossi volumi verdi. “Dobbiamo sbrigarci. Ma voglio sapere di che si tratta.”
“Ve lo dirò non appena lo saprò anche io, d’accordo?” Si diresse verso la porta.
“Giuralo.” Choji gli si parò davanti.
“Lo prometto ragazzi. Saprete ogni cosa.”
“Bene perché tra noi non devono esserci segreti.” Continuò il castano spostandosi.
Shikamaru nascose il diario nel giubbotto e aprì la porta. I tre giovani ninja si trovarono davanti ai loro padri fumanti di rabbia.
“Ora dovete dirci che cosa state architettando.” Ordinò Shikaku.
“Noi… Niente! Volevamo solo vedere quanto ci mettevate ad accorgervene …” balbettò il chunin titubante.
“Vi sembra il modo di comportarvi? Entrare nella mente delle persone, senza permesso. Ino, è questo quello che ti ho insegnato?”
La ragazza si guardò in torno, poi tornò a guardare il padre negli occhi. “Tu lo fai sempre.” Affermò con tono innocente.
“Be’ io … È diverso ragazzina!”
Choza non poté trattenere un sorriso. Shikaku dal canto suo già rideva a squarciagola.
“Non ci credo ti ha zittito!”  esclamò.
“Se sapevamo che ci voleva così poco l’avremmo portata più spesso con noi.” Gli fece eco il castano.
“State minando la mia autorità paterna.”
I due cercarono di trattenersi.
“In famiglia certe cose non si devono fare.” Lo sostenne Choza.
“E noi siamo una famiglia. Quindi non si entra nella mente degli altri.” Continuò Inoichi.
“Ma Ino … sei stata davvero brava. Yoshino non si è accorta di nulla finché non siamo entrati in sala. E lei si accorge sempre di tutto.” Shikaku le fece l’occhiolino. “Ora filate via prima che a qualcuno venga davvero voglia di punirvi.”
I tre ragazzi non se lo fecero ripetere due volte.
“Cosa credi stessero facendo nel tuo studio?” domandò lo Yamanaka quando se ne furono andati via.
“Non lo so. Non c’è molto che li potrebbe interessare lì dentro.”
“Credi che Shikamaru abbia sentito …” fece Choza titubante.
“Mmmm forse, ma non può aver capito molto, giusto?”
“No, infatti.”
 
Fu solo molto più tardi che Shikamaru riuscì a restare solo e finalmente poté dedicarsi al diario che suo nonno aveva lasciato a suo padre. Si rigirò a lungo il piccolo quadernino di pelle nera e di forma rettangolare. Si sentiva in colpa nel frugare così nella vita di suo nonno, nei segreti di suo padre. Forse avrebbe dovuto chiedere a lui, farsi raccontare, ma aveva paura di non ricevere risposte. Temeva che il padre gli mentisse di nuovo e se l’avesse fatto … Non era sicuro che sarebbe riuscito a sopportarlo.
Infilò il pollice della mano destra nella base del libro, tra la copertina e la prima pagina. Lentamente mosse la sua mano verso destra e aprì il diario. Parole nere riempivano la pagina. La scrittura di suo nonno era molto più simile alla sua. Non era curata e attenta come quella di Shikaku, ma più larga, quasi come se chi la stesse scrivendo avesse il braccio stanco e pesante. Sua zia aveva la stessa scrittura disordinata.
Stringendo forte tra le mani il diario per mantenere la sua determinazione, si mise a sedere sul suo letto, poggiando la schiena contro i cuscini. Era ora di scoprire la verità.
 
Figliolo, se stai leggendo queste pagine probabilmente sarò morto. Nasconderò questo diario di modo che tu possa trovarlo solo dopo molto tempo, perché ancora provo vergogna al pensiero che tu possa scoprire che dopotutto, anche io ho fatto degli errori.
Ora che mi accingo a scrivere tu hai ventitré anni, tua sorella dodici. Tra te e Yoshino le cose si stanno facendo sempre più serie e spero che presto troverai il coraggio di chiedere la sua mano. Tua sorella, invece, con mia grande apprensione sta scalando i gradi delle Forze Speciali, lavorando da sola, aiutandoci a fermare questa guerra.
Questo diario contiene la verità sulle origini del potere di Shiori, su come lei sia arrivata nelle nostre vite, sconvolgendole, migliorandole. Un giorno lei dovrà sapere questa verità, ma è troppo presto e lei è ancora troppo fragile. Temo il momento in cui lo scoprirà. Forse saremo io e tua madre a dirglielo, ma a volte spero di poter evitare di vedere la delusione negli occhi dei miei bambini.
Tua madre ha detto che quando avrò finito vorrà aggiungere un paio di note personalmente alla fine. Spero che le sue parole potranno confortarti come hanno sempre fatto.
Ma sto tergiversando. È bene che cominci il mio racconto. Io e tua madre sappiamo molto bene da dove i poteri di tua sorella derivano, e grazie all’aiuto di Orochimaru lei è qui con noi. La persona che aveva gli stessi poteri di Shiori si chiamava Kishiko Uzumaki, e tra queste pagine ti racconterò un po’ di lei.
Avevi sette anni quando …
 
Shikamaru lesse tutto con attenzione, la luce della sua piccola abat-jour illuminava fiocamente le pagine del diario. Scoprì ogni cosa attraverso le parole di suo nonno. Lesse di quella donna con gli stessi poteri di sua zia, lesse di come sua nonna non potesse avere figli, di ciò che portò alla nascita di Shiori Nara, di come Orochimaru si era intromesso in tutto ciò. Infine capì perché quel giorno suo padre era così scioccato, così deluso dal padre, perché sul suo volto parevano alternarsi sentimenti contrastanti.
Da ultimo, lesse le dolci parole di sua nonna, la sua calligrafia molto più elegante e simile a quella di Shikaku. Si rivolgeva ad entrambi i suoi figli, voleva che loro li perdonassero per aver mentito, voleva che capissero, che Shiori capisse …
Il giovane Nara chiuse il diario. Si passò una mano sugli occhi: erano umidi. Non sapeva se le lacrime erano dovute alle ultime parole di sua nonna, o alla storia in generale. Passò tutto il resto della notte a rimuginare su quanto aveva letto.
Sua zia doveva sapere, ma doveva prima parlarne con Kakashi erano questi i patti. Aveva voglia di fregarsene dei patti in quel momento, di agire impulsivamente, ma se ne sarebbe pentito. Così decise di aspettare il ritorno del Copia-ninja. Quella cosa dopotutto l’avrebbe sconvolta, bisognava usare tatto per dirgliela.
Probabilmente solo Shikaku sarebbe stato il più adatto per rivelarle al verità. Forse avrebbe potuto parlarne con il padre, ma … Non era sicuro che lui ne avesse voglia. Spense l’abat-jour nello stesso momento in cui sua madre batté i pugni sulla porta della sua stanza per svegliarlo.
Scese con calma dal letto e raggiunse lentamente la cucina, dove i suoi genitori erano già seduti a far colazione. Non aveva mai pensato a quanto fosse fortunato. Si, gli tenevano nascoste alcune cose, ma erano i suoi genitori, gli volevano bene e lo proteggevano. Certo a volte lo asfissiavano anche, ma anche quello era parte del loro lavoro.
Si avvicinò a sua madre e gli posò un leggero bacio sulla guancia. Poi, come se nulla fosse andò a sedersi al suo posto e si versò il latte nella ciotola, ignorando gli sguardi confusi che i due adulti si stavano lanciando.
“Stai bene, Shikamaru?” chiese, infine sua madre.
“Si, certo.”
“Hai fatto qualcosa che non va?” Yoshino era sospettosa come al solito, ma non aveva tutti i torti. I Nara, in particolare suo figlio, non erano soliti a gesti di affetto così eclatanti.
“No, solo … Era per ringraziarvi per quello che fate per me …” spiegò rivolto anche al padre.
 “Vedrò di approfittare di questa momentanea gentilezza. Oggi vai tu a fare la spesa.”
Shikamaru alzò gli occhi al cielo. “Uno fa qualcosa di gentile e … Che seccatura.”
Shikaku sorrise, tirando un sospiro di sollievo: le cose erano sempre le stesse. Yoshino, invece, si alzò e posò un bacio sulla guancia del figlio.
“Bentornato. Anche noi siamo felici di avere te così come sei.”
  
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