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Autore: Willow Gawain    06/01/2016    0 recensioni
Parigi, anno 2070.
Leef Leroy, scienziata con un pessimo carattere, e Lance Langford, cacciatore di teste dal sorriso arrogante, sono tra gli ultimi sopravvissuti ad un esperimento genetico che nel 2048 ha segnato la fine della razza umana. La nuova razza in cima alla catena alimentare, gli Alpha Nominus, desidera solo una cosa: vivere. Il problema è che per farlo gli Alpha Nominus hanno bisogno di nutrirsi di specifiche parti del corpo umano. Ritrovarsi improvvisamente nel ruolo della preda ha convinto i sopravvissuti, comandati dall'agenzia militare Nemesi, ad asserragliarsi in una base sotterranea, mentre nel mondo di sopra si combatte una guerra per la supremazia.
In quanto membri della Nemesi, Leef e Lance ricevono l'incarico di indagare la veridicità di una leggenda, secondo cui uno specifico minerale ha il potere di uccidere gli altrimenti inscalfibili Alpha Nominus. Ma quando i due raggiungono la superficie rimangono coinvolti in una serie di avvenimenti che li condurrà ad un terribile destino...
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Twilight

Lost Light 2.0

2 - Obsidium

 

Buio e freddo.

Si sentiva spossata e priva di forze; più si sforzava di riprendere controllo del suo corpo, più la testa le doleva, imponendole di restare ferma, immobilizzata. Naturalmente, ciò le faceva paura.

L’ultimo ricordo che aveva era la mamma che urlava e il papà che frenava, poi un botto l’aveva sbalzata fuori dalla macchina, successivamente un lancinante dolore alla testa le aveva fatto credere di star per morire.

Ora sentiva due persone parlare, due uomini per la precisione, ma non riusciva a intervenire nella conversazione. Ripetevano che dei certi Alfa-qualcosa avevano attaccato lei e la sua famiglia e che sua madre e suo padre era stati “assorbiti” – o qualcosa del genere -, mentre lei era stata salvata in tempo da dei militari che seguivano gli Alfa-qualcosa.

Tutto ciò era oltremodo irritante e inquietante; Leef si sforzò d’aprire gli occhi, nonostante la fitta lancinante che la colse immediatamente, poi si guardò intorno: il mondo non aveva contorni ed era sfocato come le foto che avevano scattato al suo ultimo compleanno. Faceva tutto così male… tanto male…

«Mhm…» si lamentò, portando le mani alle tempie; avvertì qualcosa di duro e ruvido sotto le dita, probabilmente una fasciatura.

«È sveglia.» una voce femminile avvertì del suo risveglio con un tono apprensivo, poi Leef poté sentire due braccia esili e calde sorreggerla, mentre lei focalizzava pian piano quel che la circondava.

Era in una stanza piccola, con pochi mobili e tanti strani attrezzi tipici degli ospedali. Faceva freddo. Ancora più freddo.

Solo tre persone erano presenti, tutte con lo sguardo puntato su di lei: un giovane uomo in giacca e cravatta, un vecchio medico dal camice era sporco di sangue, e infine una donna, anch’ella giovane, con lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo e gli occhi verde rame coperti da un paio di occhiali bianchi. Era proprio quest’ultima a stringerla tra le braccia.

«Chi sei?» chiese piano la bambina non appena si fu ripresa «E dove sono?»

«Stai tranquilla, cara.» sorrise la donna «Ora sei al sicuro, nessuno ti farà male.»

Col cuore che le batteva forte, Leef si zittì e annuì: stare in mezzo a persone adulte la tranquillizzava.

«Io mi chiamo Adèle. E tu?» chiese la dottoressa ad un tratto.

«Leef…» ma quella non era l’informazione che le interessava in quel momento, così si voltò verso il medico e domandò, con un crescente timore «Signore… dove sono mamma e papà?»

 

 

***

 

«Mhm…» un flebile lamento risuonò per la camera, mentre, accompagnati dall’ormai abituale mal di testa, due grandi e stanchi occhi blu si aprivano, guardandosi intorno.

Era già mattina? O meglio, era già ora di mettersi al lavoro?

Con un sonoro brontolio, Leef scostò le coperte nere, mettendosi seduta sul letto. Si sentiva a pezzi dopo tutta l’azione del giorno prima.

Un’altra giornata di duro lavoro cominciava e lei già non vedeva l’ora che giungesse l’ora delle ombre, quella in cui la grande lanterna posta al centro della città si spegneva e si andava a dormire.

Del resto ormai, in quei tempi così bui neanche la più fulgida delle lanterne avrebbe mai illuminato di speranza l’umanità, anzi quelle poche migliaia di persone che rimanevano.

La donna si mise in piedi, stiracchiandosi pigramente; la lunga camicia da notte nera quasi strisciava per terra mentre ella si incamminava verso il bagno. Da circa tre mesi si riprometteva ad ogni bucato che l’avrebbe accorciata, adeguandola al suo metro e sessantacinque.

Leef ricordava che da bambina aveva la bella abitudine di alzarsi presto ogni mattina, affacciarsi alla finestra della sua cameretta e urlare “Buongiorno, mondo!” - in cambio otteneva comprensibilissime lamentele da parte dei vicini, che non erano esattamente felici di essere svegliati alle sette di mattina la domenica. Ora, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto farlo: innanzitutto perché le case non avevano più finestre, ma soprattutto perché sarebbe stato oltremodo di cattivo gusto urlare il buongiorno a persone che non sapevano se sarebbero arrivate a fine giornata.

Aprì il rubinetto, sciacquandosi il viso con la fredda acqua mattutina. Non avevano ancora acceso il riscaldamento, quei disgraziati… odiava lavarsi con l’acqua gelida, ma non poteva lamentarsi.

Erano passati ventidue anni da quando gli Alpha Nominus si erano ribellati agli esseri umani e ancora le risultava impossibile credere a quanto la sua vita fosse cambiata in così poco tempo.

Migliaia di uomini erano morti, uccisi da quello che doveva essere il più grande esperimento della storia e che si era rivelato una creatura in grado di moltiplicarsi da sola, dalla spiccata intelligenza e soprattutto affamata di umani.

L’umanità scampata alla battaglia persa in partenza si era rifugiata sottoterra, unico posto relativamente sicuro. Per ora.

Leef si guardò quasi con disgusto le braccia: la sua pelle era bianca come quello di uno spettro. D’altronde, non potendo uscire mai, aveva da tempo perso il colorito roseo tipico di un umano.

Ogni tanto si sentiva un po’ un vampiro. O uno zombie.

 

 

***

 

Sotto l’abbagliante luce rossa del laser, il cristallo di Berg risplendeva di infinite sfumature vermiglie, mentre otto occhi attenti lo scrutavano, studiandone ogni caratteristica con estrema attenzione.

Tra i quattro scienziati era grande l’eccitazione, dopotutto si trovavano innanzi alla più grande scoperta del secolo, quella che sarebbe stata forse la loro arma vincente contro gli Alpha Nominus.

Il laboratorio in cui si trovavano era piuttosto grande, buio a causa della scarsa energia elettrica di cui disponeva la Nemesi, l’organizzazione che aveva preso in mano le sorti dell’umanità.

Attraverso la porta d’ingresso, così pesante che per spingerla dovette usare entrambe le mani, Leef fece il suo ingresso con indosso camice, guanti e mascherina.

«Buongiorno.» salutò formalmente, scostante e un po’ superba come sempre, poi si diresse a passi lesti verso l’oggetto del suo interesse: il cristallo di Berg «Ci sono novità?»

«Nessuna, signorina Leroy.» rispose il più basso e vecchio dei quattro colleghi, un uomo dall’ispida barba bianca, quindi le sorrise «Non ho ancora avuto modo di congratularmi con lei della missione. Sua madre è stata più lungimirante di chiunque altro.»

Leef chinò di nuovo gli occhi sulla gemma, studiandone la perfetta geometria. Sì, sua madre era stata lungimirante più di chiunque altro; poco dopo l’inizio della ribellione, infatti, alcuni dei più insigni scienziati che avevano collaborato al progetto avevano ipotizzato – in base al alcune specifiche motivazioni - che i cristalli di Berg, minerale piuttosto raro, potessero arrecare danni agli Alpha Nominus. Era a tutti gli effetti una vera e propria allergia, quella dei mostri verso il cristallo di Berg.

Nonostante all’epoca la teoria fosse stata subito catalogata come mera superstizione, la madre di Leef aveva fatto di tutto per procurarsene uno, sfruttando la loro agiatezza economica.

Fortunatamente in quel momento, prima che gli altri scienziati potessero ribattere, la porta si aprì ancora, lasciando entrare un uomo dai tratti ispanoamericani, alto e massiccio, anch’egli vestito con un camice color latte. Gli occhi, coperti da un paio di occhiali molto spessi, fissavano severi i cinque presenti. Prima dell’invasione degli Alpha Nominus lo si sarebbe facilmente catalogato come agente della CIA, sembrava uno stereotipo vivente.

«Ho saputo che la missione è stata portata a termine.» parlò immediatamente, tenendo le braccia dietro la schiena con l’aria di chi comanda. E in effetti era proprio così, egli era Rudolph Mason, e con uno schiocco di dita avrebbe potuto far diventare Leef una dei tanti disoccupati della sua generazione.

Il suo sguardo incontrò subito quello di Leef, e fu come se ogni altra presenza in stanza avesse cessato di esistere «Ottimo lavoro, signorina Leroy.»

«Grazie, signore.» in quel momento la giovane donna sentiva il petto riempirsi una strana euforia che credeva d’aver dimenticato.

“Alla brutta faccia tua e di tutti quelli che non hanno creduto, vecchio burocrate calvo”, queste erano le parole che avrebbe voluto rivolgergli, ma fu costretta, se non voleva vedersi revocare il permesso di partecipare alle ricerche sul cristallo, a deviare su un più mansueto «Siamo pronti a procedere con la sperimentazione.»

L’altro annuì, pur non sembrando granché convinto, e infatti dopo, ferreo, chiese «Mi sembra d’aver capito che lei e il signor Langford non avete ancora provato l’effettivo funzionamento del cristallo.»

A quel punto Leef non poté che abbassare il suo, di sguardo. Era vero, il cristallo non era ancora stato provato su nessun Alpha Nominus, non c’era ancora nessuna certezza degli effetti che avrebbe avuto sui mostri, specialmente se clonato.

Non l’avevano nemmeno usato contro il mostro incontrato a casa sua per vari motivi: insicurezza su se fosse davvero il cristallo che cercavano, paura di spezzarlo, foga del momento… inesperienza, insomma.

«Ho bisogno di fatti, con le parole non si uccide un Alpha Nominus, signorina. Non posso inviare truppe armate all’assalto di quei mostri senza la sicurezza che le armi che creeremo avranno effetto.» concluse dunque il superiore, cercando gli occhi di lei «Quando li avrà, ne riparleremo.»

E Leef, per natura molto orgogliosa, non si lasciò intimorire e lo fissò di rimando, annuendo «Li avrà, signore.»

 

 

***

 

Un altro bersaglio cadde, massacrato di proiettili da Lance, che da circa due ore si trovava in piedi nella sua postazione preferita del poligono. Si allenava per colmare il suo punto debole: la distanza. Da qualche anno la sua vista stava lentamente peggiorando.

Decise di concedersi un momento di paura e si appoggiò al muro al muro dietro di lui, in preda alla stanchezza; era peggiorato e lo riconosceva, al punto da passare intere giornate chiuso in quel luogo con l’unica compagnia delle armi da fuoco.

Sospirò, arrabbiato. Il nuovo prototipo di pistola a proiettili esplosivi oltre ad essere troppo pesante era anche poco maneggevole. Aveva sperato che almeno il cristallo di Berg si rivelasse più agevole, ma nel momento in cui l’aveva preso in mano la realtà aveva distrutto le sue speranze; si era meravigliato di come Leef lo avesse trasportato per ore durante il viaggio senza stancarsi.

Si allontanò dall’area di tiro e si abbandonò contro un muro, scivolando poi per terra senza nemmeno accorgersene, con sguardo scuro e assente.

Era incredibile che dopo tutto quel tempo non si fosse ancora trovato un modo per tenere testa agli Alpha Nominus, o quantomeno difendersi dai loro attacchi. Lance non era uno scienziato, era solo un tizio qualsiasi specializzato nell’uso delle armi da fuoco che si era giurato di difendere la ragazza che amava: non capiva una parola di quei lunghi discorsi che Leef faceva con se stessa nei momenti di riflessione, non sapeva bene nemmeno perché il cristallo di Berg era ritenuto in grado di ferire in modo letale i loro nemici, ma ironicamente conosceva il corpo degli Alpha Nominus meglio di quei cervelloni.

Strinse forte i pugni, fissando con disgusto la pistola che teneva stretta tra le mani. Aveva sempre odiato la violenza, sin da bambino: che paradossale destino!  

«E ora guarda a che punto sono arrivato…» sibilò nel silenzio del poligono, prima di lanciare con rancore la pistola in un angolo. Per fortuna aveva la sicura.

In quel momento la porta d’ingresso si aprì, spalancata da un calcio rabbioso da parte di una ragazza dai lunghi capelli neri nelle sue stesse condizioni psicologiche.

«Che donna!» commentò ironicamente lui, venendo immediatamente fulminato.

Leef gli si sedette accanto, brontolando un’imprecazione a denti stretti; sembrava stressata, e Lance aveva il sentore di conoscerne già il motivo.

Senza abbandonare il suo atteggiamento sarcastico, fece «Quella è la faccia Ho-Incontrato-Mason.»

«Ho-incontrato-quel-bastardo-di-Mason, per la precisione. E mi ha detto di tornare là sopra a provare quel dannato cristallo!» borbottò lei in risposta, fingendosi dura. In realtà tremava, Lance non dovette sforzare la vista per notarlo «Perché non lo abbiamo provato l’altra volta?!»

«Ha ragione lui.» ammise lui a malincuore, abbracciandola «Siamo stati stupidi a tornare senza averlo prima provato. Ma adesso sappiamo che quello è il vero cristallo di Berg e che è in grado di proteggerci… forse. Possiamo permetterci il rischio.»

Lance aveva ragione… e anche Mason; quando parlava con lui, Leef si sentiva improvvisamente una sciocca ragazzina che prova a fare l’adulta. Non aveva il diritto di lamentarsi, perché quel che stavano facendo era per il bene dell’umanità; non doveva nemmeno nascondere la sua paura, perché con lei c’era Lance.

Quel pensiero riuscì a rassicurarla leggermente, ma anche a farle sentire sulle spalle il peso del mondo. Socchiuse gli occhi e scacciò quei brutti pensieri, infine chiese «Partiamo subito?»

L’uomo dette segno d’aver captato ogni suo singolo pensiero, tanto che le sorrise – Lance era fatto così, metteva da parte le sue insicurezze per gli altri -, improvvisando una battuta sbruffona «Non vedevo l’ora di far saltare in aria qualche Alpha Nominus con quella nuova bellezza che ho…»

Che aveva lanciato in un angolo.

«Che hai… lanciato in quell’angolo, Langford?» Leef fece un sorriso felino.

Lui si limitò a scrollare le spalle «Haha… beccato…»

 

 

***

 

Ci vollero i soliti cinque minuti perché l’ascensore che portava dalla sede centrale al mondo superiore giungesse a destinazione. Quando i due uscirono furono investiti da una ventata d’aria fresca e pulita, una sensazione che, naturalmente, era stata negata all’umanità con l’inizio dell’invasione.

Leef si guardò intorno: la periferia di Parigi, nei suoi ricordi sempre illuminata dalla calda luce del sole, quella mattina era tetra, spenta, sterile e silenziosa, come lo scenario di uno di quei videogiochi di zombie o film post-apocalittici che un tempo piacevano tanto.

Non riuscì a riconoscere la zona precisa in cui si trovavano: la fittissima rete di ascensori della Nemesi metteva in comunicazione la sede centrale con innumerevoli punti della città, in modo da confondere gli Alpha Nominus e nascondere al meglio gli ingressi a quello che per loro sarebbe stato un autentico banchetto. Inoltre, per scendere, bisognava superare un controllo delle impronte digitali che dimostrava l’appartenenza alla razza umana.

Quella volta Lance e Leef erano capitati nella periferia sud, in un quartiere di piccole case che giacevano deserte e mezze distrutte.

«Non li vedo… strano.» disse piano Lance, mentre si avvicinava ad un’auto abbandonata.

Leef era rimasta lì dov’era arrivata, a fissare malinconica la finestra del piano terra di una casa dalla quale s’intravedeva la camera di un bambino. Le tende azzurre erano sollevate dal vento, riusciva anche a vedere il letto completamente distrutto, tranciato a metà, e le pareti sporche di sangue.

Quante volte aveva visto scene simili? Era ormai una specie di ossessione…

“Non pensarci.”

«Andiamo.» ordinò col tono di chi non ammette repliche; si accostò a Lance, che nel frattempo si era accomodato al posto di guida della vecchia vettura, una Ford blu elettrico.

«Ottimo, serbatoio mezzo pieno!»

Leef però era scettica. D’accordo, c’era la benzina, e dunque come avrebbero messo in moto? Oh, ma certo, si disse alzando gli occhi al cielo: Langford e le strane invenzioni di quello scienziato pazzo amico suo.

Un sorriso arcuato sul volto di Lance confermò i suoi sospetti. L’uomo si sfilò dalla tasca una chiave che infilò nel quadro dell’auto e, dopo un paio di tentativi, il rombo del motore confermò il miracolo avvenuto.

Lance chiuse lo sportello e vi appoggiò sopra un braccio, facendo l’occhiolino alla ragazza «Vuoi uno strappo, bellezza?»

Leef a volte non poteva far altro che chiedersi come facesse a sembrare sempre così… così…

«Sta’ zitto, Langford!» sbottò, senza riuscire a nascondere una risata.

Ma forse era un bene che Lance fosse così com’era.

Quando furono entrambi pronti, partirono, cercando di non produrre troppo rumore.

«Non ci vorrà molto per trovarli, ma cerchiamo di non allontanarci troppo.» propose l’uomo, che tra i due era quello che più frequentemente usciva in superficie.

Presero così a muoversi in maniera circospetta e prudente per le strade desolate, di tanto in tanto imbattendosi in un cane randagio o addirittura in serpenti. In pochi anni, la natura aveva ripreso possesso di ciò che l’uomo le aveva tolto in millenni di sviluppo: germogli salutavano il cielo da crepe nell’asfalto, fiori anelavano alla luce affacciandosi dalle finestre degli edifici.

Eseguirono un breve giro dell’isolato, senza però trovare nessun mostro; la cosa suonò decisamente strana ad Lance, abituato com’era a trovarseli addosso in pochi minuti ogni volta che si avventurava nel mondo di sopra. Ora invece sembravano essersi volatilizzati, e ciò non andava affatto bene.

«Non distrarti.» la voce di Leef gli ricordò una delle cose fondamentali in quel momento: guardare la strada, non il cielo.

«C’è qualcosa di strano.» avanzò lui, anticipando i pensieri della ragazza, che intanto si sporgeva dal finestrino dell’auto per osservare con occhio vigile ogni spostamento. Persino la caduta di una foglia da un albero poteva non essere conseguenza di una folata di vento più forte.

«Cosa diavolo è successo qua fuori?»

La macchina frenò lentamente, finché non si arrestò del tutto; Lance intimò a Leef di rientrare il capo nell’auto, quindi chiuse i finestrini. Sembrava non esserci anima viva.

«Te la senti di continuare?» domandò alla ragazza, vistosamente nervoso: quella situazione era tutt’altro che rassicurante «Non vorrei che questo fosse l’ennesimo agguato. Quei mostri sembrano stare sviluppando una certa cooperazione…»

Leef si diede un’ultima occhiata intorno, confusa e presa in contropiede. L’uomo poteva davvero avere ragione: se quello era un agguato non sarebbero di certo tornati, e con loro il cristallo di Berg.

Eppure c’era qualcosa di strano: non aveva mai visto gli Alpha Nominus collaborare, se non in rarissime occasioni contro altrettante decine, centinaia di uomini che si erano mossi per tentare di ucciderli. Se davvero stavano cominciando a cooperare per il fine comune, erano spacciati.

«Torniamo alla Nemesi. Comunicheremo questa spiacevole novità e torneremo con i rinforzi.» si convinse che era la cosa più saggia da fare, la prudenza non era mai troppa quando si rischiava la vita.

Il suo ordine venne eseguito all’istante e l’auto tornò in movimento verso il canale da cui erano usciti. Lance spingeva l’acceleratore più freneticamente, sembrava stare perdendo la sua solita calma riflessiva.

Superarono i settanta, correndo verso la piazzetta. La presa della ragazza attorno al cristallo si fece ancora più salda. Improvvisamente una frenata violenta le fece quasi sbattere la testa contro il vetro. Sentì la mano calda ma sudata di Lance poggiarsi con violenza sul suo petto, trattenendola dallo sbattere la testa.

Confusa dalla tempesta di eventi, Leef emise un verso strozzato e cercò spiegazioni da Lance, che guardava fisso davanti a sé. Male.

«Aaah… siamo finiti in mezzo a una festa privata…»

Malissimo.

L’intera piazza era affollata da almeno una decina di Alpha Nominus che, prontamente, si erano voltati a guardarli con i loro occhi gialli non appena avevano svoltato l’angolo. Sembravano veramente mangiarli con gli occhi.

«Lance…» in un sussurro terrorizzato, la voce bassa e stentata di Leef diede all’altro un ottimo suggerimento «Smetti di dire stronzate e riparti.»

La macchina svoltò bruscamente, ripartendo ancora più veloce di prima verso il centro di Parigi, seguita dalla moltitudine di mostri neri urlanti.

Intanto, da sopra il tetto di una casa, avvolti nelle loro nere mantelle, alcune figure assistevano alla scena impassibili. Una di loro si pose a capo del piccolo gruppo: un cristallo di Berg era stretto in una mano. Una mano umana.

 

 

 

  
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