Lost Light 2.0
2 -
Obsidium
Buio e freddo.
Si
sentiva spossata e priva di forze; più si sforzava di riprendere controllo del
suo corpo, più la testa le doleva, imponendole di restare ferma, immobilizzata.
Naturalmente, ciò le faceva paura.
L’ultimo
ricordo che aveva era la mamma che urlava e il papà che frenava, poi un botto l’aveva
sbalzata fuori dalla macchina, successivamente un lancinante dolore alla testa
le aveva fatto credere di star per morire.
Ora
sentiva due persone parlare, due uomini per la precisione, ma non riusciva a
intervenire nella conversazione. Ripetevano che dei certi Alfa-qualcosa avevano attaccato lei e la sua famiglia e che sua
madre e suo padre era stati “assorbiti” – o qualcosa del genere -, mentre lei
era stata salvata in tempo da dei militari che seguivano gli Alfa-qualcosa.
Tutto
ciò era oltremodo irritante e inquietante; Leef si sforzò d’aprire gli occhi,
nonostante la fitta lancinante che la colse immediatamente, poi si guardò
intorno: il mondo non aveva contorni ed era sfocato come le foto che avevano
scattato al suo ultimo compleanno. Faceva tutto così male… tanto male…
«Mhm…»
si lamentò, portando le mani alle tempie; avvertì qualcosa di duro e ruvido
sotto le dita, probabilmente una fasciatura.
«È
sveglia.» una voce femminile avvertì del suo risveglio con un tono apprensivo,
poi Leef poté sentire due braccia esili e calde sorreggerla, mentre lei
focalizzava pian piano quel che la circondava.
Era
in una stanza piccola, con pochi mobili e tanti strani attrezzi tipici degli
ospedali. Faceva freddo. Ancora più freddo.
Solo
tre persone erano presenti, tutte con lo sguardo puntato su di lei: un giovane
uomo in giacca e cravatta, un vecchio medico dal camice era sporco di sangue, e
infine una donna, anch’ella giovane, con lunghi capelli biondi raccolti in una
coda di cavallo e gli occhi verde rame coperti da un paio di occhiali bianchi.
Era proprio quest’ultima a stringerla tra le braccia.
«Chi
sei?» chiese piano la bambina non appena si fu ripresa «E dove sono?»
«Stai
tranquilla, cara.» sorrise la donna «Ora sei al sicuro, nessuno ti farà male.»
Col
cuore che le batteva forte, Leef si zittì e annuì: stare in mezzo a persone
adulte la tranquillizzava.
«Io
mi chiamo Adèle. E tu?» chiese la dottoressa ad un tratto.
«Leef…»
ma quella non era l’informazione che le interessava in quel momento, così si
voltò verso il medico e domandò, con un crescente timore «Signore… dove sono
mamma e papà?»
***
«Mhm…»
un flebile lamento risuonò per la camera, mentre, accompagnati dall’ormai
abituale mal di testa, due grandi e stanchi occhi blu si aprivano, guardandosi
intorno.
Era
già mattina? O meglio, era già ora di mettersi al lavoro?
Con
un sonoro brontolio, Leef scostò le coperte nere, mettendosi seduta sul letto.
Si sentiva a pezzi dopo tutta l’azione del giorno prima.
Un’altra
giornata di duro lavoro cominciava e lei già non vedeva l’ora che giungesse
l’ora delle ombre, quella in cui la grande lanterna posta al centro della città
si spegneva e si andava a dormire.
Del
resto ormai, in quei tempi così bui neanche la più fulgida delle lanterne
avrebbe mai illuminato di speranza l’umanità, anzi quelle poche migliaia di
persone che rimanevano.
La
donna si mise in piedi, stiracchiandosi pigramente; la lunga camicia da notte
nera quasi strisciava per terra mentre ella si incamminava verso il bagno. Da
circa tre mesi si riprometteva ad ogni bucato che l’avrebbe accorciata,
adeguandola al suo metro e sessantacinque.
Leef
ricordava che da bambina aveva la bella abitudine di alzarsi presto ogni
mattina, affacciarsi alla finestra della sua cameretta e urlare “Buongiorno,
mondo!” - in cambio otteneva comprensibilissime lamentele da parte dei vicini,
che non erano esattamente felici di essere svegliati alle sette di mattina la
domenica. Ora, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto farlo: innanzitutto
perché le case non avevano più finestre, ma soprattutto perché sarebbe stato
oltremodo di cattivo gusto urlare il buongiorno a persone che non sapevano se
sarebbero arrivate a fine giornata.
Aprì
il rubinetto, sciacquandosi il viso con la fredda acqua mattutina. Non avevano
ancora acceso il riscaldamento, quei disgraziati… odiava lavarsi con l’acqua
gelida, ma non poteva lamentarsi.
Erano
passati ventidue anni da quando gli Alpha Nominus si erano ribellati agli esseri
umani e ancora le risultava impossibile credere a quanto la sua vita fosse
cambiata in così poco tempo.
Migliaia
di uomini erano morti, uccisi da quello che doveva essere il più grande
esperimento della storia e che si era rivelato una creatura in grado di
moltiplicarsi da sola, dalla spiccata intelligenza e soprattutto affamata di
umani.
L’umanità
scampata alla battaglia persa in partenza si era rifugiata sottoterra, unico
posto relativamente sicuro. Per ora.
Leef
si guardò quasi con disgusto le braccia: la sua pelle era bianca come quello di
uno spettro. D’altronde, non potendo uscire mai, aveva da tempo perso il
colorito roseo tipico di un umano.
Ogni
tanto si sentiva un po’ un vampiro. O uno zombie.
***
Sotto l’abbagliante luce rossa del laser, il cristallo di Berg
risplendeva di infinite sfumature vermiglie, mentre otto occhi attenti lo
scrutavano, studiandone ogni caratteristica con estrema attenzione.
Tra i quattro scienziati era grande l’eccitazione, dopotutto si
trovavano innanzi alla più grande scoperta del secolo, quella che sarebbe stata
forse la loro arma vincente contro gli Alpha Nominus.
Il laboratorio in cui si trovavano era piuttosto grande, buio a
causa della scarsa energia elettrica di cui disponeva la Nemesi, l’organizzazione
che aveva preso in mano le sorti dell’umanità.
Attraverso la porta d’ingresso, così pesante che per spingerla
dovette usare entrambe le mani, Leef fece il suo ingresso con indosso camice,
guanti e mascherina.
«Buongiorno.» salutò formalmente, scostante e un po’ superba come
sempre, poi si diresse a passi lesti verso l’oggetto del suo interesse: il
cristallo di Berg «Ci sono novità?»
«Nessuna,
signorina Leroy.» rispose il più basso e vecchio dei quattro colleghi, un uomo
dall’ispida barba bianca, quindi le sorrise «Non ho ancora avuto modo di
congratularmi con lei della missione. Sua madre è
stata più lungimirante di chiunque altro.»
Leef chinò di nuovo gli occhi sulla gemma, studiandone la perfetta
geometria. Sì, sua madre era stata lungimirante più di chiunque altro; poco
dopo l’inizio della ribellione, infatti, alcuni dei più insigni scienziati che
avevano collaborato al progetto avevano ipotizzato – in base al alcune
specifiche motivazioni - che i cristalli di Berg, minerale piuttosto raro,
potessero arrecare danni agli Alpha Nominus. Era a tutti gli effetti una vera e
propria allergia, quella dei mostri verso il cristallo di Berg.
Nonostante all’epoca la teoria fosse stata subito catalogata come mera
superstizione, la madre di Leef aveva fatto di tutto per procurarsene uno,
sfruttando la loro agiatezza economica.
Fortunatamente in quel momento, prima che gli altri scienziati
potessero ribattere, la porta si aprì ancora, lasciando entrare un uomo dai
tratti ispanoamericani, alto e massiccio, anch’egli vestito con un camice color
latte. Gli occhi, coperti da un paio di occhiali molto spessi, fissavano severi
i cinque presenti. Prima dell’invasione degli Alpha Nominus lo si sarebbe
facilmente catalogato come agente della CIA, sembrava uno stereotipo vivente.
«Ho saputo che la missione è stata portata a termine.» parlò
immediatamente, tenendo le braccia dietro la schiena con l’aria di chi comanda.
E in effetti era proprio così, egli era Rudolph Mason, e con uno schiocco di
dita avrebbe potuto far diventare Leef una dei tanti disoccupati della sua
generazione.
Il suo sguardo incontrò subito quello di Leef, e fu come se ogni
altra presenza in stanza avesse cessato di esistere «Ottimo lavoro, signorina
Leroy.»
«Grazie, signore.» in quel momento la giovane donna sentiva il
petto riempirsi una strana euforia che credeva d’aver dimenticato.
“Alla brutta faccia tua e di tutti quelli che non hanno creduto,
vecchio burocrate calvo”, queste erano le parole che avrebbe voluto
rivolgergli, ma fu costretta, se non voleva vedersi revocare il permesso di
partecipare alle ricerche sul cristallo, a deviare su un più mansueto «Siamo
pronti a procedere con la sperimentazione.»
L’altro annuì, pur non sembrando granché convinto, e infatti dopo,
ferreo, chiese «Mi sembra d’aver capito che lei e il signor Langford non avete
ancora provato l’effettivo funzionamento del cristallo.»
A quel punto Leef non poté che abbassare il suo, di sguardo. Era
vero, il cristallo non era ancora stato provato su nessun Alpha Nominus, non
c’era ancora nessuna certezza degli effetti che avrebbe avuto sui mostri,
specialmente se clonato.
Non l’avevano nemmeno usato contro il mostro incontrato a casa sua
per vari motivi: insicurezza su se fosse davvero il cristallo che cercavano,
paura di spezzarlo, foga del momento… inesperienza, insomma.
«Ho bisogno di fatti, con le parole non si uccide un Alpha
Nominus, signorina. Non posso inviare truppe armate all’assalto di quei mostri
senza la sicurezza che le armi che creeremo avranno effetto.» concluse dunque
il superiore, cercando gli occhi di lei «Quando li avrà, ne riparleremo.»
E Leef, per natura molto orgogliosa, non si lasciò intimorire e lo
fissò di rimando, annuendo «Li avrà, signore.»
***
Un altro bersaglio cadde, massacrato di proiettili da Lance, che
da circa due ore si trovava in piedi nella sua postazione preferita del
poligono. Si allenava per colmare il suo punto debole: la distanza. Da qualche
anno la sua vista stava lentamente peggiorando.
Decise di concedersi un momento di paura e si appoggiò al muro al
muro dietro di lui, in preda alla stanchezza; era peggiorato e lo riconosceva, al
punto da passare intere giornate chiuso in quel luogo con l’unica compagnia
delle armi da fuoco.
Sospirò, arrabbiato. Il nuovo prototipo di pistola a proiettili esplosivi
oltre ad essere troppo pesante era anche poco maneggevole. Aveva sperato che almeno
il cristallo di Berg si rivelasse più agevole, ma nel momento in cui l’aveva
preso in mano la realtà aveva distrutto le sue speranze; si era meravigliato di
come Leef lo avesse trasportato per ore durante il viaggio senza stancarsi.
Si allontanò dall’area di tiro e si abbandonò contro un muro,
scivolando poi per terra senza nemmeno accorgersene, con sguardo scuro e
assente.
Era incredibile che dopo tutto quel tempo non si fosse ancora
trovato un modo per tenere testa agli Alpha Nominus, o quantomeno difendersi
dai loro attacchi. Lance non era uno scienziato, era solo un tizio qualsiasi
specializzato nell’uso delle armi da fuoco che si era giurato di difendere la
ragazza che amava: non capiva una parola di quei lunghi discorsi che Leef
faceva con se stessa nei momenti di riflessione, non sapeva bene nemmeno perché
il cristallo di Berg era ritenuto in grado di ferire in modo letale i loro
nemici, ma ironicamente conosceva il corpo degli Alpha Nominus meglio di quei
cervelloni.
Strinse forte i pugni, fissando con disgusto la pistola che teneva
stretta tra le mani. Aveva sempre odiato la violenza, sin da bambino: che
paradossale destino!
«E ora guarda a che punto sono arrivato…» sibilò nel silenzio del
poligono, prima di lanciare con rancore la pistola in un angolo. Per fortuna
aveva la sicura.
In quel momento la porta d’ingresso si aprì, spalancata da un
calcio rabbioso da parte di una ragazza dai lunghi capelli neri nelle sue stesse
condizioni psicologiche.
«Che donna!» commentò ironicamente lui, venendo immediatamente
fulminato.
Leef gli si sedette accanto, brontolando un’imprecazione a denti
stretti; sembrava stressata, e Lance aveva il sentore di conoscerne già il
motivo.
Senza abbandonare il suo atteggiamento sarcastico, fece «Quella è
la faccia Ho-Incontrato-Mason.»
«Ho-incontrato-quel-bastardo-di-Mason,
per la precisione. E mi ha detto di tornare là sopra a provare quel dannato
cristallo!» borbottò lei in risposta, fingendosi dura. In realtà tremava, Lance
non dovette sforzare la vista per notarlo «Perché non lo abbiamo provato
l’altra volta?!»
«Ha ragione lui.» ammise lui a malincuore, abbracciandola «Siamo
stati stupidi a tornare senza averlo prima provato. Ma adesso sappiamo che
quello è il vero cristallo di Berg e che è in grado di proteggerci… forse.
Possiamo permetterci il rischio.»
Lance aveva ragione… e anche Mason; quando parlava con lui, Leef
si sentiva improvvisamente una sciocca ragazzina che prova a fare l’adulta. Non
aveva il diritto di lamentarsi, perché quel che stavano facendo era per il bene
dell’umanità; non doveva nemmeno nascondere la sua paura, perché con lei c’era Lance.
Quel pensiero riuscì a rassicurarla leggermente, ma anche a farle
sentire sulle spalle il peso del mondo. Socchiuse gli occhi e scacciò quei
brutti pensieri, infine chiese «Partiamo subito?»
L’uomo dette segno d’aver captato ogni suo singolo pensiero, tanto
che le sorrise – Lance era fatto così, metteva da parte le sue insicurezze per
gli altri -, improvvisando una battuta sbruffona «Non vedevo l’ora di far
saltare in aria qualche Alpha Nominus con quella nuova bellezza che ho…»
Che aveva lanciato in un angolo.
«Che hai… lanciato in quell’angolo, Langford?» Leef fece un
sorriso felino.
Lui si limitò a scrollare le spalle «Haha… beccato…»
***
Ci vollero i soliti cinque minuti perché l’ascensore che portava
dalla sede centrale al mondo superiore giungesse a destinazione. Quando i due
uscirono furono investiti da una ventata d’aria fresca e pulita, una sensazione
che, naturalmente, era stata negata all’umanità con l’inizio dell’invasione.
Leef si guardò intorno: la periferia di Parigi, nei suoi ricordi
sempre illuminata dalla calda luce del sole, quella mattina era tetra, spenta,
sterile e silenziosa, come lo scenario di uno di quei videogiochi di zombie o
film post-apocalittici che un tempo piacevano tanto.
Non riuscì a riconoscere la zona precisa in cui si trovavano: la
fittissima rete di ascensori della Nemesi metteva in comunicazione la sede
centrale con innumerevoli punti della città, in modo da confondere gli Alpha
Nominus e nascondere al meglio gli ingressi a quello che per loro sarebbe stato
un autentico banchetto. Inoltre, per scendere, bisognava superare un controllo
delle impronte digitali che dimostrava l’appartenenza alla razza umana.
Quella volta Lance e Leef erano capitati nella periferia sud, in
un quartiere di piccole case che giacevano deserte e mezze distrutte.
«Non li vedo… strano.» disse piano Lance, mentre si avvicinava ad
un’auto abbandonata.
Leef era rimasta lì dov’era arrivata, a fissare malinconica la
finestra del piano terra di una casa dalla quale s’intravedeva la camera di un
bambino. Le tende azzurre erano sollevate dal vento, riusciva anche a vedere il
letto completamente distrutto, tranciato a metà, e le pareti sporche di sangue.
Quante volte aveva visto scene simili? Era ormai una specie di
ossessione…
“Non pensarci.”
«Andiamo.» ordinò col tono di chi non ammette repliche; si accostò
a Lance, che nel frattempo si era accomodato al posto di guida della vecchia
vettura, una Ford blu elettrico.
«Ottimo, serbatoio mezzo pieno!»
Leef però era scettica. D’accordo, c’era la benzina, e dunque come
avrebbero messo in moto? Oh, ma certo, si disse alzando gli occhi al cielo:
Langford e le strane invenzioni di quello scienziato pazzo amico suo.
Un sorriso arcuato sul volto di Lance confermò i suoi sospetti.
L’uomo si sfilò dalla tasca una chiave che infilò nel quadro dell’auto e, dopo
un paio di tentativi, il rombo del motore confermò il miracolo avvenuto.
Lance chiuse lo sportello e vi appoggiò sopra un braccio, facendo
l’occhiolino alla ragazza «Vuoi uno strappo, bellezza?»
Leef a volte non poteva far altro che chiedersi come facesse a
sembrare sempre così… così…
«Sta’ zitto, Langford!» sbottò, senza riuscire a nascondere una
risata.
Ma forse era un bene che Lance fosse così com’era.
Quando furono entrambi pronti, partirono, cercando di non produrre
troppo rumore.
«Non ci vorrà molto per trovarli, ma cerchiamo di non allontanarci
troppo.» propose l’uomo, che tra i due era quello che più frequentemente usciva
in superficie.
Presero così a muoversi in maniera circospetta e prudente per le
strade desolate, di tanto in tanto imbattendosi in un cane randagio o
addirittura in serpenti. In pochi anni, la natura aveva ripreso possesso di ciò
che l’uomo le aveva tolto in millenni di sviluppo: germogli salutavano il cielo
da crepe nell’asfalto, fiori anelavano alla luce affacciandosi dalle finestre
degli edifici.
Eseguirono un breve giro dell’isolato, senza però trovare nessun
mostro; la cosa suonò decisamente strana ad Lance, abituato com’era a
trovarseli addosso in pochi minuti ogni volta che si avventurava nel mondo di
sopra. Ora invece sembravano essersi volatilizzati, e ciò non andava affatto
bene.
«Non distrarti.» la voce di Leef gli ricordò una delle cose
fondamentali in quel momento: guardare la strada, non il cielo.
«C’è qualcosa di strano.» avanzò lui, anticipando i pensieri della
ragazza, che intanto si sporgeva dal finestrino dell’auto per osservare con
occhio vigile ogni spostamento. Persino la caduta di una foglia da un albero
poteva non essere conseguenza di una folata di vento più forte.
«Cosa diavolo è successo qua fuori?»
La macchina frenò lentamente, finché non si arrestò del tutto; Lance
intimò a Leef di rientrare il capo nell’auto, quindi chiuse i finestrini.
Sembrava non esserci anima viva.
«Te la senti di continuare?» domandò alla ragazza, vistosamente
nervoso: quella situazione era tutt’altro che rassicurante «Non vorrei che
questo fosse l’ennesimo agguato. Quei mostri sembrano stare sviluppando una
certa cooperazione…»
Leef si diede un’ultima occhiata intorno, confusa e presa in
contropiede. L’uomo poteva davvero avere ragione: se quello era un agguato non
sarebbero di certo tornati, e con loro il cristallo di Berg.
Eppure c’era qualcosa di strano: non aveva mai visto gli Alpha
Nominus collaborare, se non in rarissime occasioni contro altrettante decine,
centinaia di uomini che si erano mossi per tentare di ucciderli. Se davvero
stavano cominciando a cooperare per il fine comune, erano spacciati.
«Torniamo alla Nemesi. Comunicheremo questa spiacevole novità
e torneremo con i rinforzi.» si convinse che era la cosa più saggia da fare, la
prudenza non era mai troppa quando si rischiava la vita.
Il suo ordine venne eseguito all’istante e l’auto tornò in
movimento verso il canale da cui erano usciti. Lance spingeva l’acceleratore
più freneticamente, sembrava stare perdendo la sua solita calma riflessiva.
Superarono i settanta, correndo verso la piazzetta. La presa della
ragazza attorno al cristallo si fece ancora più salda. Improvvisamente una
frenata violenta le fece quasi sbattere la testa contro il vetro. Sentì la mano
calda ma sudata di Lance poggiarsi con violenza sul suo petto, trattenendola
dallo sbattere la testa.
Confusa dalla tempesta di eventi, Leef emise un verso strozzato e
cercò spiegazioni da Lance, che guardava fisso davanti a sé. Male.
«Aaah… siamo finiti in mezzo a una festa privata…»
Malissimo.
L’intera piazza era affollata da almeno una decina di Alpha Nominus
che, prontamente, si erano voltati a guardarli con i loro occhi gialli non
appena avevano svoltato l’angolo. Sembravano veramente mangiarli con gli
occhi.
«Lance…» in un sussurro terrorizzato, la voce bassa e stentata di
Leef diede all’altro un ottimo suggerimento «Smetti di dire stronzate e
riparti.»
La macchina svoltò bruscamente, ripartendo ancora più veloce di
prima verso il centro di Parigi, seguita dalla moltitudine di mostri neri urlanti.
Intanto, da sopra il tetto di una casa, avvolti nelle loro nere
mantelle, alcune figure assistevano alla scena impassibili. Una di loro si pose
a capo del piccolo gruppo: un cristallo di Berg era stretto in una mano. Una
mano umana.