Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    11/01/2016    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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HoE chap 6 Eccomi qua! Non sono morta e mi dispiace averci messo così tanto ad aggiornare y_y inoltre sono ancora mega indietro con The Rest of Their Lives, ma cavolo mi ero dimenticata quanto fossero lunghi i capitoli sigh Cooomunque, verso la fine del capitolo c'è la citazione di una frase di un film (quella sugli alieni), ma ahimé non so di che film si trattava perché non c'era il titolo, quindi non ho potuto usare la frase che viene usata nel film in italiano e mi sono limitata a tradurla =v= Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
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Levi frenò fino a fermare l'auto poco prima di imboccare la via che l'avrebbe portato a casa, incerto nel dover guidare tra gli alberi che sembravano nascondere tutto ciò che si nascondeva dentro la foresta. La luce mattutina aveva scacciato l'usuale oscurità, ma quello non faceva molto per fargli passare un disagio sconosciuto.

Un disagio che sembrava volergli dire che qualcosa di brutto sarebbe successo, prima o poi.

Un disagio che non aveva mai avvertito quando era stato derubato per la prima volta, con risultato di farlo finire in ospedale. Neppure quando suo padre era morto in un incidente stradale. Non aveva avvertito nessun peso sulle spalle, nessun senso di preoccupazione, quando aveva guidato diretto al suo appartamento, canticchiando una canzone pop che girava alla radio, solo per trovare Eren sanguinante a terra.

Ora, invece, Levi era fin troppo cosciente del modo in cui le sue dita fremevano sul volante. Poteva fingere che fosse ancora colpa dell'incubo.

Sei un idiota, si disse fra sé e sé, perché era un adulto. Gli incubi non avrebbero dovuto più scombussolarlo a quel modo.

Alla fine allontanò il piede dal freno e prese a percorrere la via.

Quasi sussultò nel vedere qualcuno sulla radura di casa sua, ma presto la sorpresa lasciò posto ad un broncio.

Eren era fuori e camminava avanti e indietro lungo la lunghezza della casa. Si stava strofinando le mani fra loro come se potesse sentire freddo.

Parcheggiando al solito posto, Levi spense l'auto e notò che il fantasma non gli stava prestando attenzione. Stava parlando a sé stesso, agitato, continuando a camminare. C'era qualcosa che non andava, evidentemente, ed era certo che il ragazzo non gli avrebbe detto nulla.

Uscì dall'auto e fu solo quando sbatté la portiera che Eren sobbalzò, voltandosi verso di lui a bocca aperta.

Gli mancavano delle bende e ora gli si potevano vedere le orecchie, tra i folti capelli bruni.

Oltre a notare quello, Levi decise di non prestargli ulteriori attenzioni e andò ad aprire il bagagliaio, dove c'era il suo fucile protetto dalla sua valigetta apposita.

"Sei tornato." Gli disse Eren. Gli si avvicinò come se fosse un animale ferito alla ricerca di protezione. Lo fece innervosire.

"Vivo qui," Con la valigetta in una mano, chiuse il bagagliaio con l'altra. "Almeno fino a quando Erwin non mi trova un'altra sistemazione."

Il fantasma sussultò nel sentire il suo tono di voce. "Non c'eri quando sono tornato."

"Quindi?"

"Erano le tre di mattina, Levi. Cos'è successo? Perché te ne sei andato?" C'era del panico nella sua voce. "E' stato a causa mia?"

Levi corrugò le sopracciglia. "Non c'eri, quando mi sono svegliato."

"Quindi? Ti sei svegliato senza di me per due anni," Gli rispose, la sua precedente ansia ora mutata in rabbia. "Se devi andartene via a quel modo ogni volta che non ci sono io, allora-"

"Ti avevo detto di sparire, ma mi hai rotto le palle per rimanere." Sbottò l'uomo. La rabbia che stava provando non era strana, ma la sua incapacità di intrattenerla invece sì. "Quindi dopo quella scenata devi esserci sempre, cazzo."

Il ragazzo strinse le mani a pugno e, non per la prima volta, Levi sperava di vedere la rabbia nei suoi occhi. Voleva vedere il fuoco bruciare violento nei suoi occhi turchesi.

L'uomo sentì la propria paura mutare in rabbia, causata sia dal precedente abbandono che da un'oscurità senza forma.

"Non me ne sono andato per mia scelta." Gli rispose Eren, seguendolo.

"E' la seconda volta che usi questa scusa."

Il fantasma sussultò come se fosse stato colpito fisicamente e Levi non si fermò ad assistere alla sua reazione, al contrario entrò in casa e sbatté la porta dietro di sé.

Appoggiò la valigetta sul tavolo, prima di mettere dell'acqua a bollire.

Non avrebbe dovuto dirlo.

L'uomo era conscio di aver detto un miliardo di cose per la quale avrebbe dovuto venire preso a pugni, ma questa volta si era superato. Accusare Eren per la sua stessa morte era decisamente di cattivo gusto e, più ci pensava, più si sentiva un pezzo di merda.

Le sue mani tornarono ad apparirgli sporche di sangue, ma non le guardò quando le portò sopra le piastre a induzione. Il calore si stava espandendo su di esse, scaldandogli le dita.

La porta d'entrata si aprì di colpo e sbatté e Levi riuscì a vedere un'ombra salire le scale. Per la prima volta Eren gli sembrò più un'entità, piuttosto che il ragazzo che era sempre stato, e questo gli fece rizzare i capelli sulla nuca.

"Merda." Mormorò, allontanandosi dalle piastre.

Nulla di tutto questo era colpa di Eren. Tutto quello che aveva fatto da quando era tornato era cercare di compiacerlo, tenerlo al sicuro e prendersi cura di lui all'occorrenza. Tutto quello che Eren gli aveva offerto era il conforto e, l'unica volta che non c'era stato, lui non aveva fatto altro che ringhiargli contro come se fosse stato un cane che gli aveva disobbedito.

Non c'era una cosa che poteva andare peggio in quel momento e non poteva rischiare di perdere l'ultima cosa che gli era rimasta. Questa finzione di normalità, per quanto fosse impossibile e sbagliata, era l'unica cosa che lo teneva sano abbastanza da farlo alzare la mattina.

Con un sospiro rassegnato aprì il freezer alla ricerca del gelato alla vaniglia come offerta di pace e, quando ne tirò fuori la scatola, la porta d'entrata si aprì.

Voltò la testa, aspettandosi fosse stato il vento, ma invece si ritrovò davanti ad un Eren avvilito.

Il freddo gli gelò la pelle e ciò non aveva nulla a che fare col fatto di trovarsi vicino al freezer aperto.

Eren percorse la distanza e si sedette su uno sgabello. Alzò lo sguardo sul suo, schiudendo la bocca pronto a parlare, prima di bloccarsi. "Cosa c'è?"

Levi rimase immobile, certo che se avesse guardato verso le scale avrebbe visto qualcosa guardarlo di rimando. Alla fine si obbligò a guardare, ma trovò soltanto vuoto e buio. C'erano delle ombre solo perché la luce mattutina non era ancora abbastanza forte da illuminare la casa.

Si concentrò, cercando di captare qualsiasi rumore, ma l'unica cosa che sentì fu il bollire dell'acqua.

"C'è qualcosa lì." Disse con convinzione. Il suo istinto gli diceva di prendere un coltello, ma non poteva pugnalare qualcosa che non poteva vedere e tanto meno toccare.

Eren inclinò la testa di lato. "Un animale?"

Levi scosse la testa. "Qualcosa come te."

No, non come Eren. Questo era qualcosa di diverso. La paura che sentiva era diversa.

"Non è..." Il fantasma non concluse la frase e si voltò a guardare fuori dalla finestra. "Sono stato qui tutto il tempo e non ho ancora incontrato nulla."

Levi continuò a fissare il bollitore, quando spense le piastre. Eren stava mentendo. Riconosceva il tremare della sua voce, il modo in cui si leccò le labbra e evitò di rivolgergli uno sguardo. O mentiva o era nervoso.

Inconsciamente l'uomo portò le mani al suo collo.

"Qualcosa ha cercato di strangolarmi, l'altra notte."

Eren aprì la bocca, ma rimase in silenzio per qualche momento. "E' stato...?" Portò una mano sulla bocca e il mugolio che gli sfuggì fece stringere il cuore a Levi. "Oh mio Dio."

La paura che fosse stato Eren a fargli quello lo invase per un momento, ma sparì quando vide il ragazzo chiudersi in sé stesso, guardandosi attorno come una preda in trappola. Era spaventato da morire e la vista fece provare a Levi una rabbia che neanche pensava di poter provare.

Eren stava ancora cercando di parlare, ma era troppo angosciato per trovare parole.

"Sto bene," Gli disse l'uomo, cercando di calmarlo. "Pensavo avesse preso anche te." Ed eccolo, il vero terrore che lo aveva assalito l'intera settimana passata. Ciò che aveva mantenuto Erwin e Mike all'erta, attenti ad ogni sua più piccola mossa.

Ci fu un altro cambiamento nel comportamento del fantasma, ma questo fu più dolore che rabbia. Levi lo aveva lasciato indietro.

Ora, però, non era il momento di sentirsi in colpa. "Eren, ho bisogno che tu sia onesto."

"Non sto mentendo," Rispose, indignato. "Anche adesso non sento nulla oltre a te."

"La donna alla farmacia mi aveva detto che la casa era infestata," Gli disse, senza tuttavia spostare la sua attenzione dalle scale che portavano al piano superiore. "L'aveva chiamata la 'Casa degli Echi'."

Sentì il fantasma sussultare e muoversi sullo sgabello. Lo faceva strano sentire Eren respirare dopo settimane che non lo aveva fatto. "Non le hai chiesto perché?"

"Non le ho credevo."

Levi poté sentire l'occhiata che gli rivolse Eren. "Pensi ancora che io sia una specie di allucinazione causata dalla tua coscienza?"

"Ora non è il momento."

"Col cazzo che non lo è." Disse il fantasma, alzandosi dallo sgabello con uno sbuffo.

"Cosa stai facendo?"

"Andando a controllare che non ci siano mostri negli armadi." Gli rispose.

L'uomo rimase basito dal comportamento del ragazzo, non abituato a quella sorta di ostilità. "Una volta che abbiamo controllato, possiamo parlare di questo." Gli disse, spostandosi da dov'era.

Eren non gli rispose, ma scrollò le spalle per fargli capire di averlo sentito.

Senza sprecare tempo e senza fare alcun tentativo di muoversi silenziosamente, Eren salì le scale con Levi dietro di lui. Non per sua scelta, perché l'uomo avrebbe preferito stare davanti in caso fosse successo qualcosa. Non era certo di poter proteggere qualcuno che già era morto, ma non avrebbe voluto rischiare di scoprirlo.

Il piano superiore era intoccato. Non c'era una singola porta chiusa e nulla era rotto. Tutto era così come Levi aveva lasciato cinque giorni prima.

Ma c'era un singolo particolare che li rese incapaci di procedere.

Il corridoio che collegava la camera da letto di Levi, il bagno, la stanza per gli ospiti e l'ufficio dove lavorava da casa si estendeva più di quel che avrebbe dovuto. Se fosse stato reale sarebbe dovuto protrudere dalla parte posteriore della casa, se visto da fuori. Non c'erano finestre o porte o luci. Era buio e senza fine e non sarebbe dovuto essere così.

Le dita tremanti di Eren si strinsero alla manica della felpa di Levi e, se si fossero trovati in un'altra situazione, quest'ultimo si sarebbe sentito divertito nel pensare ad un fantasma spaventato. In quel momento, invece, faticava a ragionare.

"Dobbiamo uscire da questa casa," Gli disse Eren urgentemente. "Questa cosa non mi piace."

"Non sei tu a fare questo."

"Ti ho già detto di no!" La sua non fu una reazione rabbiosa. Si stava facendo prendere dal panico. "Levi, per favore, andiamo via. Non voglio più restare qui."

Una vita difficile e una madre anche peggiore gli avevano insegnato di non avventurarsi in strade che sarebbero potute essere pericolose, se non aveva bisogno di ciò che c'era alla loro fine. Sapeva fin troppo bene di dover evitare le cose che non lo riguardavano, ma l'anomalia era presente nel suo territorio. Li stava spaventando, gli faceva male quasi fisicamente ed era solo questione di tempo, prima che provasse a far del male ad Eren.

"Cosa pensi che sia?" Solo perché Levi sapeva quelle cose non significava che aveva mai ascoltato le parole di sua madre. Le sue cicatrici lo attestavano.

"Non mi interessa. Andiamo via."

Levi mosse un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a ritrovarsi davanti al corridoio. Eren stava cercando disperatamente di allontanarlo.

"Aspettami fuori." Gli disse.

"E se ti succede qualcosa?"

"Chiama Erwin."

"E cosa gli dico?! 'Hey, sono io, Eren. Sì, proprio quello morto. Ti sto chiamando per farti sapere che Levi è entrato in un'altra dimensione e ho bisogno che lo tiri fuori'?"

L'uomo voltò la testa e notò Eren quasi in cima alle scale, pronto a scappare. "Che ti creda o no, arriverà più veloce che può."

"Non farlo, per favore."

Levi lo ignorò.

Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca posteriore dei Jeans e cercò l'applicazione della torcia. La luce era luminosa abbastanza da illuminare qualche metro di fronte a lui, ma oltre a quello c'era ancora buio.

Corrugò le sopracciglia, perché magari tutto quello era un sogno, ma non ricordava il momento in cui aveva deciso di andare a dormire. La sequenza di eventi gli era chiara, fin dall'allontanarsi dall'appartamento di Erwin, le due ore di macchina, la piccola pausa prima di inoltrarsi nella via. La discussione con Eren, l'ombra, il rumore, il bollitore - tutto: tutto era chiaro e tangibile.

Oltrepassare l'invisibile linea sul pavimento non lo polverizzò come si era aspettato. Nulla si mosse. Nulla accadde.

In breve, lo spazio era solo un corridoio.

L'uomo prese a percorrerlo, inizialmente con timore, poi con più confidenza quando nulla sembrò volerlo mangiare. Camminò e camminò, ma non c'era fine. Nulla cambiava ed era sempre circondato dal solito muro beige.

Continuò ad avanzare.

Non si stancò e i suoi piedi non gli fecero male, nonostante gli sembrava di aver camminato per ore. Ad un certo punto si chiese se sarebbe stato più facile tornare indietro, ma c'era solo buio anche da quella parte.

L'uomo continuò a camminare fino a quando il suo cellulare si scaricò e lo lasciò in mezzo all'oscurità, ma non provò paura. Senza alcun dubbio non c'era nulla, lì. L'unica cosa che lo preoccupava era che probabilmente non c'era modo di uscirne. Continuò a camminare.

Non sentiva nulla, oltre ai suoi passi e il suo respiro affannoso. Gli venne fame e sete, ma poco: non era nulla di preoccupante. Divenne stanco e assonnato, ma non gli importava non poter dormire. Era come se tutto il tempo si fosse condensato in quel singolo corridoio senza fine.

I suoi pensieri accompagnavano i suoi passi, riportandogli memorie che una volta erano state troppo dolorose da ricordare.

In una scatola sotto il suo letto c'era un album che Eren aveva fatto per il loro primo anniversario. Al suo interno c'erano foto di tutto, dai membri delle loro famiglie agli amici, a immagini casuali di auto e gatti. C'era una pagina dedicata ai post it e ogni singolo pezzettino di carta conteneva un desiderio, un pensiero, un poema o una parola a caso.

Mikasa aveva scritto loro una ricetta e Armin una poesia. Petra aveva disegnato una casa, Hanji aveva scritto un breve testo sul come il cosmo si era creato, Auruo aveva scritto una frase, Gunther il suo numero di telefono ed Erd gli aveva dato una sua foto. Carla e Grisha avevano dato loro una foto di famiglia che rappresentava il Natale dove Eren aveva avuto l'apparecchio, la madre di Levi aveva dato loro un nastro azzurro a strisce verdi.

Nell'ultima pagina, Erwin aveva disegnato un grande cuore ed era stato chiamato romanticone a causa di ciò. Levi ed Eren avevano scritto le loro iniziali dentro di esso.

Levi non smise di camminare, perché lì non c'era fine. Nuovamente si ritrovò a cercare la via di casa. Non casa nel senso strutturale, ma quel posto dove avrebbe potuto conservare gli impulsi peggiori del suo cuore, dove avrebbe potuto sotterrarli al di sotto delle fondamenta e dimenticarli. Voleva trovare un posto dove non avrebbe più sentito il sangue macchiargli le mani o il gelo che sembrava volergli gelare le ossa fino a spaccargliele.

Libertà. Quello che voleva Levi era libertà.

Non riuscì ad evitare un sussulto, quando sbatté contro un muro. Nell'oscurità non riuscì a vedere nulla, così poggiò le mani su di esso. Bussò contro di esso con le nocche scoprendo che era vuoto e la cosa lo invitò a cercare con più fervore. Doveva esserci un modo per uscire, perché non sarebbe riuscito a tornare da dove veniva. Le sue gambe non sarebbero riuscite a compiere l'intero viaggio di ritorno.

Le sue dita cercarono ogni piccola fessura su cui si sarebbe potuto aggrappare, ma non trovò nulla. Il materiale del muro in sé non era familiare, non diverso dai mattoni ma più liscio e caldo. Respirava come se fosse vivo e la cosa lo disturbò, ma non smise di cercare.

Non c'era nessuno spiffero o un minimo di luce, ma non si arrese. Si premette contro di esso, lo prese a spallate, urlò rabbioso quando non accennò a cedere.

"Tutti voi animali reagite nella stessa barbarica maniera." Disse una voce ed ogni parola fu come uno schiaffo gelido contro le guance. Era senza fine e vuota e Levi si ritrovò a premersi nuovamente contro il muro, disperato nel tentativo di allontanarsi.

"No, no, animaletto: calmati un minuto. Non ti mangeremo ancora."

Levi si irrigidì, ma non per suo volere. Poteva sentire il battito del suo cuore nelle orecchie.

La voce non veniva dall'oscurità, perché la voce era oscurità. La presenza dietro la voce non era qualcosa di tangibile o visibile. L'entità dietro quella voce era l'orribile aspettativa di guardare nel buio e vedere qualcosa dentro di essa, un paio di occhi, oppure sentire una mano gelida sfiorarti la nuca quando si sa che non ci dovrebbe essere nessuno. Era il tremare di un letto quando ci si sveglia da un sogno che non si ricorda più o il muovere un arto nel mezzo del sonno.

L'entità non era fisica: era tutto quello che ogni persona pensava come uno scherzo della mente. Ma era vera.

"Oh," Gli disse. "Capiamo. Non c'è molto da fare qui, sembra."

L'uomo non respirò. Non riusciva.

Quasi urlò - ma il suo fu un urlo silenzioso - quando qualcosa si scontrò contro di lui, senza però toccarlo realmente. Lo imprigionò contro il muro con la sua presenza gelida.

Quando qualcosa lo toccò lo sentì caldo, peloso e umido. Quella cosa sbuffò e immediatamente la mente di Levi gli riportò l'immagine del cervo nero.

A pochi centimetri dal suo viso, due spiragli di luce sembrarono prendere vita - occhi - ma non poté distinguere il loro colore. Non avevano colore.

"Puzzi di immondizia," Gli disse e un muso gli sporcò la faccia di liquido appiccicoso. "Cattivo sangue e ossa bruciate. Buono."

La cosa si allontanò e finalmente l'uomo riprese controllo del suo corpo, solo per cadere all'indietro contro il tettuccio della sua auto.

Sbatté le ciglia e si ritrovò a guardare la Luna nascosta dietro grosse nuvole grigie che promettevano neve. Scosso e disorientato, gli ci volle qualche secondo per capire perché la sua pelle sembrava star bruciando: era fuori, presumibilmente nel mezzo della notte, con addosso solo un paio di jeans e una felpa leggera.

Levi inspirò di colpo, sentendo l'aria fredda graffiargli la gola, prima di esalare e rilasciare la tensione. Stava tremando, ma quella era l'unica cosa non causata dal freddo.

La radura era desolata, a parte la sua auto e un pickup che non riconobbe subito.

Le luci della casa erano tutte accese e c'era movimento al suo interno.

Si disse che doveva muoversi, ma i suoi muscoli sembravano non volergli rispondere. Aveva bisogno di allontanarsi dall'oppressivo silenzio della foresta, ma non aveva l'energia anche solo per un battito di ciglia. Solo la sua pelle non la smetteva di tremare, dandogli la sensazione di nausea e disagio.

Immondizia.

Una doccia avrebbe fatto miracoli. Aveva bisogno di strofinare i residui di oscurità che ancora gli strisciavano sul corpo in una carezza crudele. Liberarsi dell'odore era la sua priorità. Successivamente doveva lavarsi il sangue dalle mani.

"Levi!" Quella singola parola fu così feroce che quasi scappò lontano dall'auto e dal suono, ma il viso che accompagnò il suo nome lo calmò quasi istantaneamente.

Al diavolo la vergogna, l'uomo non combatté il bruciore dei suoi occhi quando vide Erwin sull'uscio di casa.

"Dove cazzo sei stato?" Le parole erano rigide e tese, assassine quasi, ma Levi non ne aveva paura. Anzi le assaporò, così come la violenza in loro, la promessa di sicurezza. Magari era capace di proteggere Eren, ma chi oltre ad Erwin sarebbe riuscito a proteggere lui? "Ero ormai pronto a chiamare la polizia." Gli disse, afferrandogli un polso per tirarlo giù dal tettuccio dell'auto.

Le ginocchia di Levi tremarono.

I suoi piedi erano bagnati dentro le scarpe e il suo intero corpo era dolorante. Non sarebbe riuscito a muoversi anche se lo avesse voluto.

Erwin mormorò qualche parolaccia e lo prese in braccio con poca fatica, tenendolo contro di lui per condividere il suo calore corporeo. Non parlò quando entrò in casa e chiuse la porta dietro di loro.

Levi non voleva stare lì. Avrebbe preferito la foresta, piuttosto che passare un altro istante in quella maledetta casa. Quella cosa respirava lì dentro, una creatura malvagia e dormiente, pronta a nutrirsi. Dovevano uscire tutti e tre da là.

Quando venne appoggiato gentilmente sul divano, l'uomo vide Eren in un angolo del salotto. Vederlo gli fece tirare un sospiro di sollievo, anche se rischiava ancora l'isteria. Doveva aver chiamato Erwin e lentamente iniziò a ricordare tutto il resto. Non che ci fosse molto da ricordare.

"Per quanto-?"

"Taci." Sbottò Erwin e Levi obbedì. Ultimamente l'unica cosa che era riuscito a fare era far arrabbiare Erwin, un record anche per lui.

Coi capelli biondi arruffati e gli occhi azzurri fin troppo sbarrati, Erwin si passò una mano sul viso nel tentativo di calmarsi. Sotto la luce del salotto appariva anche più pallido del normale.

Erwin gli volse le spalle e rimase immobile per un momento, inspirando lentamente e a fondo. "Non me ne vado finché non mi dici che cazzo sta succedendo," Con le mani sui fianchi, scosse la testa. "Sei ore, Levi. Sono sei ore che sei sparito."

Chiudendo gli occhi, l'interpellato li riaprì un secondo dopo. Il terrore lo aveva reso troppo spaventato per tenere gli occhi chiusi. Con la testa che pulsava di dolore, fissò Erwin ad occhi socchiusi. "Perché sei qui?" Raspò. Le sue erano parole tremanti, ma almeno riuscì a pronunciarle abbastanza bene da farsi capire dall'uomo.

Erwin non gli rispose immediatamente, così come non si voltò. Si sedette sul divano, attendo a non schiacciarlo. "Hai bisogno dell'ospedale?" Gli chiese, col suo solito atteggiamento calmo e pacato, ma Levi poteva ancora vedere traccie di tensione sulla sua schiena. "Ti sei fatto male?"

Respirare normalmente gli era difficile, ma ce la fece. Fissando il soffitto, contrasse le dita. La situazione in cui si ritrovava era irreale.

Prima le priorità. "Ho bisogno di un bel bagno. Più caldo è, meglio è."

•••


L'acqua calda riuscì a svegliarlo dal suo torpore, ustionandogli la pelle. Erwin sapeva sempre di cosa aveva bisogno e non esitava mai a dargli ciò senza lamentarsi.

Levi si lasciò scivolare sott'acqua fino ad avere solo metà viso fuori di essa.

Dietro di Erwin, Eren sedeva sulla tazza del water con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. "Gli ho mandato un messaggio," Disse. "Mi sono fatto prendere dal panico e gli ho mandato un messaggio." Scrollò la testa, prima di prendersela tra le mani. "Penso di aver peggiorato tutto."

"Non dire così," Lo ammonì l'uomo. "Non è colpa tua."

S'irrigidì, quando ricordò che Erwin era nella stessa stanza e che ovviamente non poteva vedere o sentire Eren. Sbuffò, portandosi le gambe al petto, stringendosele addosso con le braccia.

"Quando ne avrai voglia," Gli disse Erwin, prendendo una saponetta e lasciandola scivolare in acqua. "Puoi iniziare a dirmi cosa c'è che non va."

"Non c'è nulla che non vada."

"Mi hai messaggiato da un numero sconosciuto e poi mi hai fatto aspettare per sei ore."

"Sono andato a farmi una passeggiata e ho perso conto del tempo."

"Ovviamente. E' anche per quello che sei collassato contro la tua auto abbastanza violentemente da farti sentire da dentro casa," Le parole dell'uomo erano tinte di rabbia. "Ed è per quello che avevi quei segni sul collo."

Levi si concentrò nel cercare di scaldarsi le dita dei piedi, godendosi l'acqua calda scorrere tra di esse. Erwin copriva la porta, dandogli l'illusione di trovarsi in un posto sicuro dove nulla avrebbe potuto attaccarlo. Era divertente come la sua stessa madre non fosse mai riuscita a dargli una sensazione del genere.

Rilassando il suo corpo, Levi mantenne le gambe contro il petto e incrociò le braccia sopra di esse. "Eren è seduto dietro di te."

Non c'era davvero utilità nel mentire.

Eren alzò la testa di scatto, schiudendo le labbra in un'espressione sorpresa.

Erwin non reagì, continuando a fissare Levi. Non c'era nulla nei suoi occhi o nel suo viso: solo lo sguardo corrucciato di prima.

Levi spostò le braccia e le posò sul bordo della vasca, sfiorando con le dita la superficie dell'acqua.

"E' stato lui a fare tutto questo?"

Eren si voltò di scatto verso Erwin, serrando le labbra in un espressione rabbiosa. "Sei un bastardo anche solo per suggerire una cosa del genere," Disse, incurvando le spalle. "Stronzo."

"C'è qualcos'altro." Rispose Levi.

"Sembra preoccupante."

"Decisamente."

Il suono di una porta sbattuta catturò l'attenzione di Erwin, mentre Levi continuò a fissare l'acqua. La tensione tornò a stringerlo nelle sue spire, così come il bisogno di correre fino a farsi cedere le gambe.

"Eren?" Domandò Erwin, esitante, ma non stava chiamando il ragazzo, stava chiedendo a Levi se era stato lui.

Eren però era ancora al suo posto, con lo sguardo fisso sulla porta aperta. Non poteva vedere il suo viso, ma la sua postura urlava terrore.

"E' ancora sulla tazza del cesso."

Erwin puntò lo sguardo sul water. In quel momento la vista dei due intenti ad osservarsi gli fu stravolgente, specialmente sapendo che Erwin non poteva vedere il fantasma. Il fatto l'uomo gli stesse dando corda lo fece sentire stranito.

"Ciao." Disse il più alto e, anche se Levi non poteva vederlo, sapeva che lo stupido stava sorridendo.

Eren spostò lo sguardo dall'uomo per portarlo su Levi. "E' serio?"

L'interpellato rise. "Non puoi credermi." Disse ad Erwin, passandosi una mano umida sul viso.

"Non sono uno psicologo," Gli rispose, voltandosi per guardarlo. "Ma so che sei sempre stato molto scettico. Quindi o hai sbattuto la testa veramente forte, oppure c'è sul serio qualcuno, lì."

"E cosa credi che sia, fra le due opzioni?"

"Entrambe." Giusto. "Da quand'è che tutto questo sta andando avanti?"

"Da quando mi sono trasferito. Si è fatto vivo poco dopo che ve ne siete andati." L'acqua stava iniziando a raffreddarsi. "Abbiamo parlato, ero certo di essere impazzito definitivamente, sono scappato e sono venuto a rifugiarmi da te e Mike."

"Quindi ti sei fatto vivo alla mia porta a quell'orario a causa di ciò."

"Per lo più."

Erwin si voltò nuovamente verso Eren, che ora aveva un'espressione dubbiosa sul volto. "E' un bravo fantasma?"

"Uno stronzetto."

"Sembra essere proprio lui." Disse Erwin e, se non fosse stato per le bende che gli coprivano gli occhi, Levi era pronto a scommettere che gli occhi del giovane si sarebbero ridotti a due fessure.

"Il marito dell'anno." Disse Eren, drizzando la schiena. "Sembra prendere tutto questo decisamente bene." Si grattò il mento e realizzò che non gli era cresciuto neanche un accenno di barba nelle ultime due settimane. "Chiedigli a cosa sta pensando."

"Dimmi cosa stai pensando." Ripeté Levi, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il bordo della vasca. Perlomeno poteva essere certo che Erwin non lo avrebbe lasciato annegare, se si fosse addormentato.

"Potremmo metterci in contatto con una chiesa." Il suo tono di voce era così serio che Levi quasi rise.

"Prima dovremmo confessarci," Ribatté sarcasticamente. "Se te la senti di dire al prete dove hai messo il tuo cazzo durante la tua vita, problemi tuoi. Di certo non dirò a nessuno tutto quello che ho fatto io."

Cattivo sangue, lo prese in giro la voce.

Urlare 'oh mio Dio' mentre o Erwin o Eren si scopavano il suo culo era stata la sua massima religiosità. Non era mai andato in chiesa da piccolo, anche se sua madre aveva sempre portato un rosario al collo. Non era un credente: non credeva neanche alla fortuna, figurarsi se pensava ad affidarsi ad un essere che sedeva sulle nuvole e uccideva la gente che succhiava cazzi.

Al contrario, Erwin ed Eren avevano due idee completamenti differenti dalle sue. Mentre Eren non era esattamente un uomo di chiesa, era sempre presente alla messa di Pasqua. O, lo faceva, quando era vivo. I suoi genitori glielo avevano inculcato fin da piccolo. Erwin invece non aveva le idee molto chiare, ma Levi sospettava che c'era della fede in lui.

"O," Continuò Erwin, ignorando bellamente Levi, perché entrambi sapevano che non funzionava così. "Possiamo andare da un dottore."

La seconda opzione, la più logica, era quella che lo allettava maggiormente. Levi di certo non era eccitato di scoprire se era pazzo o meno, però quello perlomeno sarebbe stato un problema che avrebbe avuto una soluzione logica.

"Sarebbe uno spreco di soldi." Sbuffò Eren.

"Ne ha abbastanza da potercisi pulire il culo." Disse Levi ed Erwin sorrise, anche se non aveva sentito la prima frase. Conosceva Eren abbastanza bene da poter immaginare cos'aveva detto.

"La scelta è tua." Gli disse, passandogli una mano tra i capelli per allontanarglieli dagli occhi.

Levi continuò a tenere lo sguardo su Eren, che stava giocherellando con le sue dita.

"Quando sei pronto, ovviamente." Continuò Erwin.

"Prima è, meglio è," Disse amaramente il fantasma. "Sarebbe inutile affezionarsi nuovamente." Era una semplice osservazione, quella, eppure svegliò in Levi un senso di assoluta tristezza.

L'uomo allontanò lo sguardo da entrambi i presenti, puntando gli occhi contro il soffitto. "E' tutto così incasinato." Non era esattamente certo a cosa si riferissero quelle parole, ma suppose fossero rivolte alla situazione in generale. Tutto quello era innaturale.

"Magari, in questo modo, puoi dare a tutto questo una fine." Gli disse Erwin, alzandosi in piedi.

Tutti dicevano così. Lo dicevano come se Levi non avesse sofferto abbastanza per la morte di suo marito. Invece sì, nella solitudine della sua camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Il dolore al petto lo aveva fatto stare così male da farlo urlare fino a farsi andar via la voce, incapace di trattenere le lacrime. Aveva pianto come un bambino fino a quando aveva ritrovato un equilibrio ed era riuscito a mettersi nuovamente in piedi. Aveva sofferto fino a ritrovarsi uno spazio vuoto dentro al petto.

"Vado a prenderti dei vestiti," Continuò Erwin, fermandosi sulla porta del bagno. "Noi tre potremmo dormire tutti assieme nel salotto."

Il suo tono paterno fece venire voglia a Levi di alzarsi e annegarlo nella vasca da bagno.

"Ancora non capisco cosa tu ci veda in lui." Grugnì Eren, lanciando occhiatacce nella direzione di Erwin.

"Ci vedo quello che ci vedevi anche tu, moccioso."

Con le guance rosee, Eren sbuffò. "Vabbeh."

Levi sospirò divertito. Nonostante tutto quello che Eren aveva fatto nella sua vita passata era ancora capace di arrossire come un timido verginello. Era una vista preziosa, la sua.

Tuttavia i suoi commenti non erano dati dalla gelosia. Erano causati da risentimento, perché Erwin voleva liberarsi di lui. Non che Eren non lo capisse, perché nonostante fosse spesso pronto a saltare a conclusioni affrettate e a fare il viziato, era un ragazzo intelligente. Come al solito i due erano concentrati sulla soluzione migliore per Levi. La loro devozione non smetteva mai di sorprenderlo.

"Levi?"

Non era né un urlo né un sussurro, eppure nelle parole di Erwin c'era una certa preoccupazione.

Nel tempo che gli ci volle per mettersi in piedi, Eren era già corso fuori dalla stanza.

Afferrò un asciugamano, ma nella fretta non ne fece uso, quasi scivolando sulle piastrelle che presto diventarono legno. Il suo cuore era pronto ad esplodergli in petto, anche se riuscì a vedere Erwin poco distante da lui.

Le spalle larghe dell'uomo gli bloccavano quasi la vista, ma gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non correre nella direzione opposta. Il corridoio era innocuo come lo era stato anche quando aveva deciso di metterci piede prima, però questa volta aveva una fine visibile.

Eren si mise in mezzo ai due, assicurandosi che Levi non potesse avvicinarsi ulteriormente.

"Che cosa...?" Si fermò, prima di fare un esitante passo in avanti. Levi non lo fermò. "Com'è... Possibile?"

"La casa è più grande di quello che sembra dall'esterno." Disse infine Levi, assicurandosi l'asciugamano ai fianchi.

"Sarà meglio che tutto questo non sia colpa degli alieni." Grugnì Eren e, se la situazione fosse stata diversa, Levi avrebbe riso alla citazione. Ora, invece, non c'era nulla di divertente circa la loro situazione.

Erwin si voltò verso Levi, poi nuovamente verso il corridoio in un modo quasi comico. Fece un passo indietro e si leccò le labbra, cercando e fallendo di ricomporsi. Dopo aver inspirato profondamente annuì, raddrizzando la schiena e schiarendosi la gola.

"Va bene," Disse. "Eren, hai la mia completa attenzione."

   
 
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