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Autore: _Maeve_    15/01/2016    3 recensioni
"Dà uno scossone agli armeggi di corda, si dimena, guarda Sam: lui è sempre lì, sopra di lui, severo e addolorato nemmeno fosse suo padre, a soprintendere alla punizione del bambino cattivo, e gli scappa da ridere di nuovo, perché tutta quella situazione è assurda, è una pantomima farsesca e lui vorrebbe vederlo crollare, guardami, ascoltami, la sua attenzione su di lui è peggio che assuefazione"
Dean e l'Inferno, Dean e i suoi demoni. Dean e Sam.
[Light (W)incest]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Più stagioni
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high end of hell [wincest]



High End of Hell
- 958 words -




L’Inferno non è uno strusciare di catene su un pavimento sporco.

Dean suona Hey Jude, quella che gli canticchiava mamma, la fronte piegata sull’avambraccio e lì accanto un bicchiere di scotch. Sente distrattamente un fracasso di colpi a una parete di distanza, poi il silenzio, poi i passi di suo fratello, il respiro di suo fratello, come se gli stesse soffiando direttamente sulla pelle del collo. Sente persino il suo sguardo, senza bisogno di incrociargli gli occhi – quel misto di gravità e terrore e sospiri affranti da buon samaritano che rendono Sam Sam e Dio (Dio, poi…), come deve scoppiargli nel petto quel suo piccolo cuore perbene…a Dean viene quasi da ridere.
Sammy, Sammy, pensa, e forse lo dice davvero. Alla fine si decide a guardarlo, quel fratello grande e grosso come un alce, con le spalle ben piazzate e gli insulsi capelli, un accenno di barba sulla linea della mascella, stretta – come la sua -, e si ricorda di quando era solo un moccioso troppo alto, sproporzionato, le gambe pallide e infinite come quelle di una ragazza che gli si arrotolavano attorno ai fianchi, gli Stavolta vinco io e poi lui che gli piombava sul bacino; non era più piccolo Sammy, adesso, non era più piccolo da un pezzo, dagli addominali a petto nudo nella squallida anticamera dei motel, da quei muscoli che guizzavano e si flettevano e avrebbero potuto stritolare il topo come un pitone, avvolgergli le mani attorno alla gola e sbatterlo più a fondo, senza alcuna pietà…forse qualcosa gli si è incupito agli angoli degli occhi mentre lo fissa e macina quei pensieri, perché Sam ha un fremito, e Dean divarica le gambe per un istante e si liscia le pieghe dei pantaloni lungo le cosce. Aspetta, ma lo sa che quel suo stupido fratello non si muoverà, non gli farà certo del male più del necessario, e nonostante ciò ci spera un poco, solo un poco, un brevissimo istante, fra le labbra, prima che Sam si avvicini, che inizino le belle parole e quelle meno belle, le cose scontate da dirsi e quelle da tacere, prima del bruciore dell’ago sopra e dentro la pelle, dell’affluire del sangue nelle vene e della vampata di calore che lo investe, bruciante e terribile.
Dopo si risveglia nel bunker che è tutto pronto e impacchettato e legato a quella sedia a cui gli altri li avevano legati loro, in passato, il torpore di quella droga fastidiosa ancora un po’ in circolo, ancora attorno alle tempie, la rabbia da demone che gli ingolfa le viscere e gli ruggisce in gola. Dà uno scossone agli armeggi di corda, si dimena, guarda Sam: lui è sempre lì, sopra di lui, severo e addolorato nemmeno fosse suo padre, a soprintendere alla punizione del bambino cattivo, e gli scappa da ridere di nuovo, perché tutta quella situazione è assurda, è una pantomima farsesca e lui vorrebbe vederlo crollare, guardami, ascoltami, la sua attenzione su di lui è peggio che assuefazione; non era questo quello che aveva sempre desiderato, essere il centro del mondo di quel bastardo che a vent’anni li pianta in asso per “costruirsi un futuro”, con le labbra ancora sporche del latte che Dean gli versava?  Oh, ora va bene, tenuto insieme da quei legacci ruvidi come la meno esigente delle puttane, una bestia nel cuore che si arrovella sulla giugulare di Sam impazzita, neanche fosse un vampiro; devono solo provarci a piazzargli davanti agli occhi le alternative più allettanti, quello che potrebbe essere e che potrebbe fare, devono solo offrirgliene uno squarcio di quella perdizione che disse qualcuno perché lui ci si tuffi di testa, perché, davvero, gli occhi non ti si tingono di nero se un po’ non te lo sei meritato, l’abisso non si apre se la soglia non è già dischiusa, l’Inferno, in fin dei conti, non è uno strusciare di catene su un pavimento sporco, ma la schiena troppo pallida di un ragazzo di quindici anni, Hey Jude; ma che dice, loro nemmeno l’hanno avuta, una madre, e se l’hanno avuta se la ricordano a malapena e comunque non importa, perché Dean il male ce l’ha nel sangue, lo ha sempre represso e lo ha sempre saputo, e ora ride e si sganascia come un pazzo su quella sedia delle torture e sì, torturami, ché i freni inibitori sono prerogativa degli idioti e dei vigliacchi; che ti farei, mentre si sporge verso di lui e gli inietta un’altra dose di sangue nelle vene, mentre lui ride e grida, ride e soffre, ma non della sofferenza preconfezionata che ti aspetti, perché ogni affondo dell’ago è lontananza, bisogno e disperazione, e Dean potrebbe impazzire e morirne, se solo non fosse già morto. Sam gli prende il viso fra le mani e stringe, gli inerpica le falangi nei capelli e cerca l’eroe che lui non è mai stato; “sono questo, sono questo Sammy” vorrebbe gridargli Dean, il Dean che ha pianto come un idiota tutta la notte e tutte le notti dopo Stanford e sulla propria dialettica affettiva ha lasciato calare un velo pietoso, perché non sono le morti che gli pesano sulla coscienza, giuste o sbagliate, evitabili o necessarie, ma quel fottuto bisogno di averlo e averlo e sempre e sempre suo, con le mani bloccate preme con la fronte su quella dell’altro e sente che o è così o tutto svanisce, che deve averlo lì, fisico, a portata di tocco, che vorrebbe strattonarlo per la camicia e incidergli sulla pelle quanto lo vuole e vuole essere voluto, a pugni, a graffi, a morsi, che non è nient’altri se non il demone-ombra di se stesso e che non esiste, se non esiste prima Sam.

Questo è l’Inferno. Questo è l’Inferno e lo è sempre stato.



Note
Chi mi conosce sa che ormai sono entrata nel periodo Supernatural e che, dunque, ogni speranza è perduta. Ci tenevo a scrivere qualcosa su questa meravigliosa epopea che ritengo essere tutto fuorché una 'semplice' serie TV, ricca di spunti di riflessione, emotività, ispirazioni più o meno conturbanti. I germi del sopraccitato qualcosa si aggiravano per la mia testa da molto tempo, anche se mai avrei pensato che avrei cominciato (sì, perchè spero sia solo l'inizio) dalla Wincest (perchè questo è Wincest) : piuttosto fantasticavo su ipotetici scenari Destiel, ma, si sa, quando finalmente arriva il momento giusto per mettere nero su bianco i pensieri - e che momento magico, soprattutto quando se ne sente enormemente la mancanza - ,poco reggono i piani, e dunque eccomi qui. Ieri sera parlavo con una gentile donzella di ciò che pensavo del Deanmon - con buona licenza poetica/da fan, ma tant'è - , cioè della repressione di impulsi pre-esistenti che la mia mente un po' contorta vedeva nel suo atteggiamento nei confronti del fratello, e, riallacciandomi in qualche modo ad un discorso affine a questo e che sempre sugli 'impulsi' era centrato (per il quale ringrazio sempre la stessa persona, cui immagino, a questo punto, di dover dedicare questa piccola cosa) , la mia mente ha alquanto poco elegantemente - giudicate voi - partorito questo stralcio. Lo stile è voluto, spero riusciate a seguirlo con lo stesso ritmo incalzante con cui io l'ho concepito, non sono convintissima del finale ma in qualche modo dovevo stoppare, o sarei andata avanti per millenni senza concludere nulla. Non preoccupatevi, poi, se l'incontro fra Sam e Dean non è accuratissimo: è voluto anche quello. Ora scappo, prima che le note diventino più lunghe della fic.
Parzialmente ancora persa nei suoi deliri (che stavolta però si tiene per sé),
Maeve.





   
 
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