Lo Specchio delle Anime.
Il posto migliore per
nascondere qualsiasi cosa è in piena vista.
[Edgar Allan Poe –
La lettera rubata]
Atto III – Parte I
Nascosto in piena vista.
Il concetto di “essere in
ritardo” era assolutamente assente nella visione del mondo che Hermione Granger
aveva sviluppato, fin dal primo giorno di cui aveva memoria. La puntualità,
negli appuntamenti così come nei compiti da consegnare, era ciò che l’aveva
sempre contraddistinta dalla massa degli sfaticati che aveva intorno.
Compreso Jerry
Stamp, che aveva perso il suo record di puntualità
per assistere la moglie in travaglio.
Quella mattina, però,
Hermione non aveva avuto la minima intenzione di essere puntuale. Per
assicurarsi di arrivare in elegante ritardo, la sera si premurò di spegnere la
sveglia, contando sulla stanchezza e sull’istinto di autoconservazione
del suo corpo. Nella sua visione delle cose, in seguito, avrebbe fatto un bel
bagno rilassante, nutrito il gatto, fatto lei stessa una lunga e sostanziosa
colazione per poi, solo alla fine, presentarsi all’appuntamento con il suo nuovo collega.
Naturalmente, il suo piano
non funzionò.
Sveglia alle cinque del
mattino, la giovane restò a fissare le stesse fosforescenti che aveva fissato al
soffitto, considerando ogni variazione di luminescenza con l’aumentare del
chiarore fuori dalla finestra. Alle sei e quarantacinque, una volta che il sole
fece la sua comparsa oltre il muro di palazzi che le impediva di vedere
l’orizzonte, il miagolio insistente di Mittens la
costrinse ad alzarsi dal suo enorme, freddo e ruvido letto per riempirgli la
ciotola di latte.
Le lenzuola di cotone che sua
madre le aveva regalato per l’ultimo compleanno, quasi un anno addietro, erano
così fastidiose che ancora si chiedeva per quale motivo le avesse usate. Le
ricordavano moltissimo quelle che la sua prozia Jeanne
era solita propinarle quando era costretta a passare il weekend da lei, a Brighton. Sua madre le diceva sempre di non lamentarsi,
perché la prozia era anziana, sola e non accettava le critiche. Non accettava
neppure i complimenti. Sostanzialmente, non accettava nessuna manifestazione di
volontà umana, a prescindere dalla tipologia.
«Oh, per Merlino, Barty Poplar e la sua mania di
protagonismo» sbuffò, lanciando un’occhiata alla prima pagina del giornale. Il
signor Poplar era un opinionista molto famoso, quel
giorno aveva riempito il suo trafiletto con uno sproloquio sulla necessità
delle streghe di iniziare ad indossare ancora una volta i capelli a punta. Hermione
odiava tutte quelle sciocchezze.
Ovviamente, si stava trasformando nella Prozia Jeanne.
Erano le otto e quarantadue,
lei era già rimasta a mollo nella vasca per un tempo a dir poco improponibile e
stava giusto versando il suo caffè mattutino nella vecchia tazza a forma di
gufo che i suoi genitori le avevano regalato dopo aver ricevuto la lettera da
Hogwarts. Accanto a lei, sul bancone della minuscola cucina, giacevano tre
lettere, due aperte ed una ancora sigillata con ceralacca.
La prima era una lettera
babbana, una semplice bolletta della luce arrivata tramite posta; Hermione
avrebbe dovuto ridurre notevolmente l’utilizzo del phon o dei vari aggeggi che
sua madre le aveva regalato per aiutarla a tenere sotto controllo i suoi ricci
ribelli, soprattutto perché in linea generale erano inutili. La seconda era una
missiva del suo capo, il Signor Hicklebottom la
informava che tutti i suoi soliti incarichi erano stati trasferiti ad un altro
sottosegretario, così da lasciarle campo libero per le indagini. Inoltre, si
premurava di farle sapere di aver scelto un sostituto organizzato e puntuale
quasi quanto lei, così che potesse mantenere un’organizzazione quantomeno
decente fino al suo ritorno.
Adalbert Hicklebottom era un uomo sulla sessantina,
molto alto e non particolarmente in carne, con un amore sfegatato per tre cose:
i suoi papillon colorati, i dolcetti babbani ed i casi proposti al suo
dipartimento risolti senza complicazioni. Si occupava della Sezione Inquisitoria
da quasi venti anni, dopo una lunga carriera dapprima come Auror e
successivamente come sottosegretario, sopravvivendo egregiamente alle due
guerre e facendosi un nome nello scenario giudiziario internazionale. Molti dei
casi di cui si era occupato erano finiti nei libri di preparazione che Hermione
aveva dovuto studiare, facendole sviluppare un’immensa ammirazione per
quell’uomo.
Ma era un tale disordinato cronico da farle venire mal di testa.
La terza lettera, quella
ancora sigillata, era di Ginny, cosa che spaventava la strega non poco.
La sua
migliore amica, che negli ultimi sei mesi era diventata molto più che una
sorella, era solita presentarsi direttamente nel suo salotto, usando la metropolvere, qualora avesse avuto una qualche notizia da comunicarle.
Le lettere erano utilizzate da entrambe soltanto in casi di particolare
urgenza, come questioni di lavoro o, più in generale, questioni del fattore P.
La P,
naturalmente, indicava Potter. Questioni riguardanti Harry James Potter, per
essere ancora più precisi, il Bambino Sopravvissuto a Voldemort ma che sembrava
non riuscir a sopravvivere al terremoto mediatico che
stava investendo il Ministero della Magia, oltre che agli incubi ed ai problemi
di evidente alcolismo non più controllato.
Per questa
ragione, Hermione aveva deciso di non aprire la lettera finché non avesse preso
il suo caffè, magari aggiungendoci una ciambellina
zuccherata che aveva acquistato la sera precedente al forno vicino.
Le servivano
zuccheri, oltre che energia.
Un miagolio
leggero le fece spostare lo sguardo dall’orologio sulla parete alla minuscola
palla di pelo che tentava disperatamente di arrampicarsi sulle sue gambe. Le unghiette erano affilatissime, nonostante Mittens non avesse più di due mesi di vita, e le calze di
nylon indossate da lei non fecero che aiutarlo a graffiarla con maggiore
facilità. Guardandolo per la prima volta, sarebbe sembrato una creaturina adorabile, con un folto pelo tendente al rosato
– forse era troppo piccolo per essere rosso? – e dei grandi occhi gialli. In
realtà era un essere crudele, che sembrava tollerare Hermione solo perché era
la mano che lo nutriva, oppure per rispetto alla memoria del defunto padre, il
caro Grattastinchi.
Hermione
ancora non si capacitava di come quel suo vecchio amico fosse riuscito a convincere una gatta a fare cuccioli.
Un cucciolo,
ad essere precisi. Un singolo cucciolo dall’aria angelica, che il padrone della
gatta le aveva consegnato dentro un guanto da forno, “Mitten”,
appunto. L’uomo, disperato, le aveva consegnato l’unico frutto di quell’amore
bizzarro, affermando che fosse troppo insopportabile per una casa rispettabile
come la sua.
Lei non si
era opposta, Grattastinchi era morto da pochissimo e
non si sentiva ancora abbastanza forte da poter vivere da sola. Per quanto
pestifero, Mittens era tutto ciò che era disposta a
sopportare fra quelle quattro mura rosa pallido.
«Cosa c’è,
mostriciattolo? Hai già finito il tuo latte?» gli domandò, con un leggero
sorriso, chinandosi per acciuffarlo da sotto il pancino
e lasciandolo andare sopra il bancone. Una parte di lei si lagnò per il pelo
che avrebbe dovuto pulire prima di uscire, così da non scordarsene, ma il resto
le ricordò che difficilmente si sarebbe messa a cucinare qualcosa, il takeaway italiano era sempre aperto per lei.
Mittens zampettò allegramente sul
bancone, decidendo, infine, di accomodarsi sulla lettera che ancora non era
stata aperta. Fissò la sua padrona con i suoi grandi occhi gialli, senza fare
più un suono. Fu come se avesse iniziato a giudicarla per quel suo
procrastinare.
Con uno
sbuffo, la ragazza sfilò la lettera da sotto il suo sederino peloso, aprendola
con degli scatti veloci delle dita. Le mani le tremarono, mentre gli occhi
scorrevano le poche linee:
Cara Hermione,
Harry è quasi andato al lavoro ubriaco, ieri.
Fortunatamente me ne sono resa conto prima che potesse farsi licenziare,
costringendolo a darsi malato. Ti scrivo perché temo che Kingsley
potrebbe chiederti conferma delle sue condizioni di salute e vorrei che tu ci
reggessi il gioco. Come sempre.
Ho già informato il mio ragazzo che la prossima
volta che succederà verrò a dormire a casa tua, ordinando a Kreacher
di tormentarlo.
Tranquilla, oggi non è ubriaco e non credo avrà
modo di esserlo, ho requisito tutte le bottiglie ed ho ordinato all’elfo di non
farlo uscire di casa.
Ti aspetto per il tè, questo pomeriggio,
Ginny.
Hermione
sospirò, mettendo da parte la lettera. Ancora una volta, il suo migliore amico
aveva fatto prevalere il suo lato oscuro. Forse avrebbe fatto bene a parlare
con qualche collega, per scoprire quanto fosse stata dura l’ultima missione. In
base al numero di morti, avrebbe potuto prevedere quanto tempo Harry avrebbe
impiegato a riprendersi.
Sperò
qualche giorno fosse sufficiente.
“Appuntamento al Kensington
Cafè, ore nove” canticchiò l’orologio che
aveva al polso, un gentilissimo regalo di Harry stesso. Era dorato, molto fine,
parlava con una voce che somigliava a quella della strega, ma molto più snob.
Lui le aveva detto di averlo scelto per
ridere. Hermione lo detestava.
«Ho capito,
sto andando» sbuffò, con una smorfia, avvicinandosi all’uscita per osservarsi
al grande specchio ovale accanto alla porta. La sua camicetta azzurra la faceva
sembrare grassa ed i suoi capelli sembravano pronti a scappare dalla crocchia
strettissima.
“Farai tardi”
insistette la voce, pedante.
«Lo scopo
era quello».
***
Victoria Sponge, dolcissima pasta morbida e
spugnosa con ripieno di crema e confettura di lamponi, servita con lamponi
freschi e zucchero a velo.
Hermione odiava i lamponi.
Ancora si chiedeva per quale motivo avesse ordinato proprio quel dolce,
considerata l’enorme scelta che le cinque pagine di menù offrivano. Avrebbe
potuto prendere i bigné alla crema, oppure i biscotti al miele. Il crumble di mele sarebbe stata la sua prima scelta, ne era
assolutamente convinta, ma…
«Signori, una fetta di
Victoria ed un crumble di mele» disse la giovane
cameriera, posando i due piatti davanti a loro e lanciando uno sguardo di fuoco
al giovane mago, che però sembrava troppo preso dal contemplare il suo
squadernino di pelle nera.
L’aveva preso lui, il maledetto crumble.
«Grazie» sibilò la strega,
alla fine, quando la ragazza non sembrò interessata a lasciarli in pace. Le
dedicò anche un’occhiataccia – una di quelle che in ufficio aveva fatto tremare
molti novellini – e fece un gesto imperioso della mano per convincerla ad
alzare i tacchi.
Non le erano mai piaciute le
smorfiose.
«Mezzosangue, per Merlino,
avresti potuto lanciarle direttamente una Cruciatus, saresti sembrata più
magnanima» la riprese l’uomo, senza alzare gli occhi dal suo quadernino. Il
solito sorriso sardonico non si mosse dalle sue labbra, facendola innervosire
ancora di più.
«Dobbiamo parlare di lavoro, furetto» gli sibilò, incrociando le
braccia al petto. «Il fatto stesso che tu abbia spostato l’appuntamento qui,
quando doveva essere nel mio ufficio, è già inaccettabile di per sé, che tu
addirittura lasci una ragazzina a sbavarti sulle scarpe mentre fingi di
ignorare non solo lei, ma anche me, è
addirittura vergognoso».
Malfoy alzò gli occhi dal suo
quadernino solo per un secondo, prima di sospirare – come se lei lo stesse annoiando – e riporlo nella tasca
interna della sua giacca, raddrizzandosi sulla sedia. Con un gesto elegante,
intrecciò le dita sul tavolo, piegando leggermente il capo mentre osservava la
sua collega come se le avesse fatto un enorme favore.
«Bene, Mezzosangue. Adesso
hai tutta la mia attenzione, sei contenta?» le domandò, sfrontato, tirando
fuori lo stesso strano sorriso che le aveva dedicato durante il loro primo
incontro, al Ministero. Quel sorrisino capace di far rabbrividire Hermione per
lo sdegno.
«Tu, insulso…»
Lui la fermò, alzando la mano
per intimarle il silenzio. «Sì, lo so. Insulso furetto, maledetto egocentrico,
Purosangue dei miei stivali. Queste deliziose
parole d’amore le ho già lette nei sei gufi che mi hai mandato quando ti ho
chiesto di incontrarci qui» le disse, esasperato. «Devo dire che sei
ripetitiva, Granger» aggiunse, divertito. «Domandami il perché di questa
scelta, invece di insultarmi. Non l’hai fatto nelle lettere, nonostante io
credessi che sarebbe stata la prima cosa a venirti in mente».
Effettivamente, quella era stata la prima domanda a passare per
la mente di Hermione. Aveva proprio voglia di chiedergli spiegazioni, ma temeva
che lui…
«So per certo che avresti
scritto qualche bugia» gli disse, raddrizzando le spalle ed incrociando le
braccia al petto. «Ho preferito farti sapere subito cosa penso di te, così da
impedirti di prendermi per i fondelli. Cosa che, faccia a faccia, sarà molto
più difficile da fare» gli rispose, cercando di mantenere un atteggiamento il
più orgoglioso ed elegante possibile.
Eleganza che semplicemente
moriva, davanti al portamento del dannato Purosangue.
«E come mai ritieni di essere
abbastanza brava da comprendere se sto mentendo, Mezzosangue? Vuoi usare la legilimanzia?» le
domandò lui, divertito, osservandola col capo piegato di lato. Ridusse gli
occhi grigi a due fessure, il sorrisino nuovamente evidente. «Oppure è qualcuna
di quelle stronzate babbane
sul guardare le persone negli occhi?».
Hermione accennò un sorriso,
sentendosi improvvisamente più sicura di sé. «Interrogare le persone e capire
se sono sinceri è il mio lavoro, Malfoy. Non hai idea di quanti siano immuni al
Veritaserum o Occlumanti
capaci» gli disse, orgogliosa. «Tu non puoi essere più complicato da capire».
Anche se su questo aveva i suoi dubbi.
«Su questo ho i miei dubbi,
Granger». Draco sorrise, grattandosi il profilo della mascella. Aveva un velo
di barba, forse aveva evitato di radersi per qualche giorno. «Comunque non c’è
bisogno di mentire, il motivo è molto semplice e credo tu lo sappia, nel
profondo del tuo cuoricino di Mezzosangue» disse poi, stringendosi un momento
nelle spalle. «Al Ministero c’è una talpa, vista la gravità della nostra
missione è il posto meno sicuro in assoluto» spiegò, prendendo in mano il suo
cucchiaino ed immergendolo nella piccola coppa con il suo dolce. «Oltretutto,
qui fanno il crumble migliore di tutto il sud
dell’Inghilterra. La prossima volta dovresti provarlo».
Hermione serrò i denti,
irritata. Negare che ci fosse una talpa sarebbe stato ingenuo, da parte sua, ma
sentirselo sbattere in faccia così, soprattutto da lui, l’aveva fatta innervosire come mai.
Oppure era stata la storia
del crumble, non lo sapeva.
«Bene, la tua motivazione
regge, per quanto avrei ritenuto più accettabile un qualsiasi altro luogo
appartato, vista la delicatezza dell’argomento» gli rispose, socchiudendo gli
occhi per tentare disperatamente di darsi una calmata. La fetta di torta che
aveva davanti le sembrò improvvisamente disgustosa. Il rosso dei lamponi nella
crema sembrava sangue. Sangue su delle
lenzuola.
«Ah, Mezzosangue. Nascosti in piena vista, non l’hai
capito? Quale modo migliore per seminare una talpa, che restare in un luogo
pubblico, dove nessuna persona di buon senso discuterebbe una missione così
fondamentale?»
Maledizione, Malfoy 1 – Granger 0.
«Stai implicitamente
affermando di non essere una persona di buon senso, Malfoy?» gli domandò, forse
sperando di sembrare intelligente. La necessità di denigrarlo per tenerlo sotto
controllo era diventata impellente.
«Certo che no, Mezzosangue, non implicitamente. Quale
ex Mangiamorte di buon senso accetterebbe di lavorare con te? La migliore amica
di Potter?» disse, divertito, portandosi un cucchiaio di dolce alle labbra.
Hermione dovette sbattere un paio di volte le palpebre, sorprendendosi a
fissare quel gesto. Probabilmente il movimento elegante l’aveva incantata. «Mi
sorprende che lui o la Donnola non siano venuti a farti da scorta» aggiunse poi
lui, con il suo solito ghigno.
Lei si irrigidì, quando lo
sentì fare riferimento a Ronald. La ferita nella sua anima cominciò a pulsare,
come succedeva ogni volta, ma ormai era diventato un dolore sopportabile.
«Non ho bisogno di guardie
del corpo, Malfoy. Adesso, per piacere, possiamo parlare della missione?»
«Come la signora desidera».
***
«Speculum Animarum» lesse Malfoy, allontanando
leggermente il suo quadernino. «Noto volgarmente come Specchio delle Anime,
nonostante non siano molti i popolani a sapere qualcosa della sua esistenza»
strinse un momento le labbra, alzando gli occhi verso Hermione. «Quantomeno,
non con quel nome, viste le varie storie in cui è apparso».
«Principalmente favole,
oppure romanzi epici, lo so» aggiunse lei, con un gesto annoiato della mano.
«Ma i più illustri ricercatori sostengono che si tratti solo di una leggenda.
Se davvero questo specchio è esistito, dovrebbe avere molto più di duemila
anni, oltre ad aver girato tutto il Vecchio Continente» protestò,
accigliandosi. Rischiò di arrabbiarsi, quando notò lo sguardo divertito ed il
sorriso compiaciuto dell’altro, ma decise di soprassedere. I loro guai erano
ben altri. «Non possiamo fidarci delle parole di quei detenuti, soprattutto
perché la confessione è stata fatta senza veritaserum
e davanti dei comunissimi Auror, non Inquisitori».
Malfoy inarcò le
sopracciglia. «Potter è a conoscenza della considerazione che porti alla sua
squadra?» le chiese, tornando quasi immediatamente a concentrarsi sul suo
quadernino. Sfogliava le pagine con disinvoltura, probabilmente cercando solo
qualche parola chiave. «Comunque,
l’interrogatorio è più che accettabile, considerando le conferme raccolte da
uno studioso estremamente competente».
«E chi sarebbe?» domandò lei,
noncurante, essendo certa di non aver trascurato nessuno degli esperti più
importanti. Con molti di loro aveva intrattenuto una breve corrispondenza, nella
settimana trascorsa in attesa di quell’appuntamento. Tutti avevano concordato
nel non considerare valida la teoria dell’esistenza dello specchio. Chiunque
Malfoy avesse contattato, si sarebbe dimostrato facilmente uno sciocco.
«Io, Mezzosangue».
Le sopracciglia di Hermione
non sarebbero potute andare più in alto, senza schizzare via dalla fronte. Una
parte di lei fu tentata di scoppiare a ridere, l’altra, semplicemente, pensò
che sarebbe stato più saggio dargli un altro cazzotto per pretendere un minimo
di serietà. Poi, però, si rese conto che fosse assolutamente serio, quindi si
limitò ad aprire la bocca per rispondergli, senza tuttavia riuscire ad emettere
un suono.
Quell’insopportabile…
«Non guardarmi in quel modo,
Mezzosangue» la riprese Malfoy, dedicandole solo uno sguardo veloce. «Sono
certo tu abbia già verificato le mie credenziali. E non c’è bisogno di
specificare che, diversamente da tutti gli studiosi che ti sei premurata di
contattare, sono in possesso di contatti molto
più affidabili».
«Contatti affidabili?» lo
scimmiottò la strega, le sopracciglia inarcate ed un sorriso di scherno sulle
labbra. «Modo carino per parlare di delinquenti, Mangiamorte non esattamente
pentiti e… e…» non riuscendo a trovare appellativi peggiori di quelli già usati,
gonfiò leggermente le guance. «Insomma, gentaglia
inaffidabile».
Con uno sbuffo divertito,
Malfoy mise da parte il suo quadernino, concentrandosi nuovamente sul suo dolce
di mele. «Gentaglia di cui ho fatto parte, Mezzosangue. Non è carino da parte
tua» le disse, pacato, mescolando il contenuto del suo piatto con la punta del
cucchiaino, l’aria da principe elegantemente annoiato. «E comunque, parlo di
gente tutt’altro che inaffidabile. Fra le mie
conoscenze ci sono collezionisti d’arte di tutto il mondo, studiosi delle
migliori università… L’uomo con cui abbiamo appuntamento questo pomeriggio, ad
essere precisi, è Augustus Rochester,
ordinario alla St. Andrews,
esperto in Arte Medievale ed Arte Esoterica» le spiegò, passandole da sopra il
tavolo un fascicoletto estratto dalla tasca interna della giacca.
Hermione era ammirata,
inutile negarlo. Ammirata ed un po’ imbarazzata, per essere precisi. Il suo non
era stato davvero un tentativo di sminuirlo, associandolo a quel gruppo tutt’altro che ammirabile, però non era riuscita a far
diversamente.
- Non sminuirti Hermione. Hai sofferto, ma non sei una stupida.
No, non doveva pensarci.
Avrebbe avuto modo di parlare con il dottor Crave nel
giro di qualche giorno, nel suo appuntamento settimanale. Non poteva permettersi
di mostrarsi debole. Non davanti a Malfoy.
Cercando di distrarsi, la
giovane afferrò il fascicolo, scorrendo velocemente le poche pagine. Notò che i
caratteri fossero più grandi del normale, probabilmente per lo stesso motivo
che costringeva Malfoy ad allontanare il quadernino per leggere chiaramente.
Era ipermetrope, lo spocchioso bastardo. Probabilmente non voleva che degli
occhiali rovinassero il suo aspetto da principino delle fiabe.
Un principino verde e argento
capace di far morire le principesse,
piuttosto che svegliarle.
«Ha studiato alla Sorbonne» disse, ammirata, scorrendo la lunga lista di
meriti del professore. «Massimo dei voti, tre dottorati… Ufficiale dell’Ordine
Nazionale al Merito in Francia, Ordine dell’Impero Britannico… Ha pubblicato
oltre centotrenta saggi!»
«Possiamo quindi concordare
sul fatto che sia estremamente affidabile, non è vero?» le chiese lui,
malizioso, portandosi alle labbra un altro cucchiaino di crumble.
Per un attimo, Hermione pensò che l’avesse fissata ad occhi socchiusi per
provocarla, poi si rese conto che, semplicemente, fosse impossibile.
«Come vuoi, sì» gli disse
lei, con un gesto della mano, posando nuovamente gli occhi sui fogli. Sentì un
calore sospetto al collo e sperò sinceramente di non essere arrossita. Avrebbe
fatto bene a portarsi sempre dietro un foulard, quel giovane aveva la capacità
di farle andare il sangue alla testa per la stizza. «Dice di avere delle
informazioni per noi, ma non ha scritto nulla. Non poteva farci risparmiare un
po’ di tempo?».
«Mezzosangue?» chiamò Malfoy,
distraendola. Quando si voltò, pronta a dirgli di non disturbarla, lui le
infilò di prepotenza un cucchiaino di torta fra le labbra, facendola spaventare
a morte. «La tua torta stava andando a male. Comunque, come noterai questo
pomeriggio, il Professore è un po’… prudente»
Mandato giù il boccone, solo
per non rischiare di soffocare, Hermione si tolse il cucchiaino dalle labbra e
lo fulminò. Fu solo per amore della missione che non lo uccise con una
Maledizione.
«Cosa vuol dire prudente?»
Malfoy ridacchiò, afferrando
il Times
abbandonato sul tavolo accanto. Si chinò leggermente verso di lei, come se avesse voluto rivelarle
un segreto importantissimo. «Con prudente
intendo che, se messo a confronto, Malocchio Moody,
che riposi in pace nel suo inferno personale, era un allegro giovanotto dalla
testa calda»
La mascella di Hermione
rischiò di sfracellarsi per lo shock.
«Il male è sempre in agguato!» recitò lui, proprio mentre lei
leggeva l’ultima riga della lettera che il professore aveva inviato al suo
compagno.
Il male è sempre in agguato, nascosto in piena vista.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!
Questa settimana, ho deciso di aggiornare un po’ prima. Non so il perché,
forse la notizia di dover rimandare il mio esame di oltre dieci giorni mi ha
stordita al punto di non voler aspettare per altre cose. Ha senso? Per me
neppure rimandare un esame ce l’ha.
Scusatemi, sono solo stanca, pedante ed in una brutta crisi di “Grangerite”.
Punti importanti:
» La citazione è di Edgar Allan
Poe, poiché è proprio a lui che ho pensato, scegliendo il titolo. In
particolare, il mio pensiero è andato al racconto “Il cuore rivelatore”,
nonostante non ci sia effettivamente un collegamento logico. Semplicemente, è
uno dei miei preferiti.
» Il Signor Hicklebottom è un altro dei miei
OC, non credo che farà un’apparizione prima della fine della fanfiction o, comunque, qualche presenza momentanea qui e
lì. È un uomo di grande conoscenza e cultura, cui è stato anche proposto di
fare il Ministro, prima di ricorrere a Caramell
(nonostante nessuno l’abbia mai saputo). Hermione lo stima molto ed il
sentimento è reciproco.
» Rochester farà la sua apparizione nel prossimo
capitolo, portando molte notizie e, forse, un bel po’ di azione. Finalmente, mi
verrebbe da dire.
Grazie infinite a tutti coloro che hanno
commentato, i vostri pareri sono il cibo della mia ispirazione, senza di voi
non so neppure se avrei avuto il coraggio di pubblicare ancora. Grazie,
davvero.
Grazie ancora a chiunque leggerà, ci
becchiamo lunedì (o nel weekend!) prossimo,
-Marnie