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Autore: Deliquium    21/01/2016    3 recensioni
«Quindi, fammi capire...» tornò a massaggiarsi il mento e a camminare. «Adesso sei nella fase: Non me la dò più a gambe e le prendo di santa ragione?»
«Ma non mi limito a prenderle...» si difese Shura. «E poi... è perché sono più piccolo.»
«Quindi vai ad infastidire la gente più grande? Molto astuto da parte tua.»
«Se voi mi insegnaste a combattere forse non tornerei a casa con una faccia che sembra una melanzana!»
Storia di come il Saint di Capricorn scoprì di avere una spada nel braccio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Los Sanfermines

 

[ Espiazione ]

 

«Maestro, dove siete?»
La foresta attorno a lui incombeva.
Leoš lo aveva portato molte volte ad Irata e altrettante volte Shura ci era andato da solo. A sentire la voce degli alberi. A respirare la loro aria.
Ma quel giorno, mentre raggiungevano il bosco, Leoš non disse una parola.
Lo sguardo cupo, le braccia incrociate. Stava seduto sul sedile dell'autobus con il volto rivolto al finestrino. La normalità dei gesti era un'utopia, perché, si sa, un Santo di Athena vive la quotidianità tra due battaglie. Essa è un sogno, il desiderio di una vita che non può appartenergli.
Mentre la strada scorreva fuori dal finestrino, mentre i campi di girasoli si susseguivano, accecanti nella bellezza del loro giallo, Shura pensava che alla fine non era poi stato così sfortunato a trovare Leoš. Gli aveva regalato la normalità, gli aveva permesso di vivere come un ragazzo qualsiasi.
Con l'andare del tempo, il suo desiderio di diventare Saint aveva iniziato a scemare, parallelamente al crescere della sua consapevolezza in quanto Capricorn.
E se non lo diventassi! E se dicessi a Leoš che va bene così, che non importa, che vorrei stare a Pamplona?
Scacciò quei pensieri, come si fa con una mosca che vola cocciutamente davanti al volto.
Sa che le stelle non lo permetterebbero, sa che il destino per un Saint è più forte di qualsiasi altra cosa, perché Saint non si diventa, si nasce. Ed è questa la differenza tra lui e tutti gli altri ragazzi. Lui non può scegliere. Loro non possono scegliere.
«So che alcuni maestri fanno combattere i candidati tra di loro.» aveva detto una volta.
Leoš lo aveva guardato, socchiudendo gli occhi, come faceva sempre quando lui diceva qualcosa di molto stupido o di molto intelligente.
«Sì, ma potrebbero anche non farlo, se sapessero con certezza l'identità del futuro Saint.»
Lui l'aveva guardato senza comprendere e Leoš aveva tratto un lungo respiro, prima di sedersi e spiegargli che i combattimenti riguardavano principalmente la Casta di Bronzo in quanto esistevano negli Annali pochissime informazioni utili a riconoscere, di volta in volta, la nuova reincarnazione.
«In futuro, dovrebbe essere più semplice riconoscerli.»
«Perché?»
Leoš questa volta lo aveva guardato come se fosse stato un vero idiota.
«Perché il Gran Sacerdote ha ordinato che gli Annali fossero aggiornati con vere e proprie schede riguardanti i Saint, con tanto di fotografia. Se nessuno danneggia gli Annali, in futuro conosceremo già l'aspetto fisico di ciascuno.»

C'erano i rumori di Irata, lo stormire delle foglie, il verso degli animali.
Shura camminava guardandosi attorno. C'era stato tante volte, ma oggi lo sapeva - lo sentiva - che era diverso. Oggi, le stelle sopra di lui erano mute. E sentiva il peso di quella solitudine, di quella libertà che non era suo diritto conoscere.
Un Saint sentiva la voce delle stelle, il loro peso, il loro sguardo che incombeva, che proteggeva, che imprigionava.
Era come un abbraccio.
Si tendeva a considerarlo un qualcosa di bello, un'espressione d'amore, che faceva stare bene, che rendeva felici.
Ma gli abbracci t'impedivano di muoverti. Chi ti abbracciaca, ti amava, ti voleva bene e ti teneva legato a sé.
Camminava con lentezza. Si fermava, girava su sé stesso. Osservava ogni frammento di Irata, ogni albero, ogni ramo, ogni squarcio di cielo. C'era qualcosa ... lo sentiva, ma non sapeva spiegarlo. Era il suo sesto senso? Il settimo? Non poteva dirlo.
Leoš era scomparso quasi subito.
Lo aveva chiamato, ma non aveva avuto risposta, fino a quando la voce di Leoš non fece esplodedre il silenzio.
«Sai come venivate chiamati un tempo?» gli domandò. «Figli dell'Oro. L'appellativo Santo fu introdotto nel 1500 da Elisabeth, la reincarnazione di Athena prececedente ad Alexandra.»
Shura si guardava attorno febbrilmente.
Dov'era? Dove si era nascosto?
«Figli dell'Oro.» ripeté Leoš con voce incolore. Poi con tono più marcato riprese: «Secondo i miti, la Dea prese con sé la Prima Stirpe durante l'Età dell'Oro, la Seconda Stirpe, quando fu la volta dell'Argento e infine la Terza Stirpe, nell'Età del Bronzo o Età dell'uomo.»
Il silenzio caddé attorno a lui di colpo.
La voce di Leoš taceva e con essa taceva la voce di Irata.
Perché mi ha detto quelle cose? Perché ha ripetuto ciò che già conosco?
Si portò una mano al petto: aveva l'impressione che il cuore gli stesse per saltare fuori.

«Di cosa hai paura, Asura? Tu, che nel tuo nome, porti la memoria di antichi dei.»
«Io non ho paura.» gridò con gli occhi rivolti alle cime degli alberi.
Colonne di legno e foglie che incombevano, schiacciandolo, deridendolo.
Il braccio cominciò a fargli così male che dovette raggomitolarsi su sé stesso.
«Oh, sì che ce l'hai. Non senti come la foresta ride di te?»
Asura ... Shura ...
Non conosceva più il suo nome, mentre il mondo attorno a lui si frantumava in schegge di realtà parallele.
I cerchi tendevano verso il ... mondo vuoto.
«Smettetela Maestro e mostratevi!»
«Mostrarmi?» Leoš rideva. «Non senti la tua voce, Asura? Sta tremando.»
«Non è vero!»

Si maledisse con tutte le sue forze per aver solo provato a immaginare una vita normale, accanto a quell'uomo.
Quell'uomo...
che lo denigrava, lo umiliava, lo faceva sentire inutile
Quell'uomo...
che si rifutava di

lasciarlo andare.

Ce lo aveva anche lui. Doveva avercelo. Non esisteva che fosse il Capricorno senza possedere il cosmos. Doveva solo trovare il modo di sbloccarlo.
Ma come poteva riuscirci?
Era una strada?
Una porta?
Doveva dischiudersi a un nuovo sentimento?
Qual era il nome delle vibrazioni che animavano il cuore di un Figlio dell'Oro?

Poteva farcela. Doveva farcela. Avrebbe fatto vedere a Leoš che lui non era più il bambino che aveva bussato alla sua porta qualche anno prima.
Era tutta colpa di Leoš!

E' tutta colpa tua!
La rabbia montò in lui, come l'onda di un mare in tempesta.

Si è limitato a spiegarmi cosa fosse un cosmo.
Lo so a memoria cos'è un cosmo.


Il nome di Leoš eplose dalle sue labbra.
Le lacrime gli pungevano il viso. Gli alberi vorticavano attorno a lui, lo deridevano agitando le loro fronde.
Il mondo si era spaccato e Shura sbarrò attonito gli occhi mentre sentiva la Porta spalancarsi su

Risa.
Guerrieri che non riconosce incombono su di lui.
Non riesce a muoversi.
Abbassa lo sguardo e ciò gli strappa un gemito di terrore.
Perché mi hanno seppellito?
La terra lo imprigiona fino al busto.
Una guerriera viene verso di lui, non riesce a distinguere il volto. Ha tre strisce oblique sul volto; i denti limati; ossa tintinnanti. Le sue labbra hanno il sapore del sangue.
Benvenuto tra noi, fratello.
La libertà è un pugno nello stomaco, quando lo tirano fuori dalla terra.
Qualcuno gli avvolge un braccio attorno alle spalle: ha odore di legno, odore di vento. Gli occhi come gemme, i capelli come lingue di fuoco.
Una ciotola di legno gli viene messa tra le mani. Ciò che beve ha un sapore pungente.

Shura scacciò quella visione con un grido. Ogni fibra del suo corpo tremava.
Il terrore.
«Io sono il Capricorno!»
Lo gridò con rabbia, con disperazione. Per convincersi, per convincerli.

«Ti sei mai chiesto a cosa servono le armature?» gli aveva chiesto Leoš, in una serata spruzzata di malinconia.
«Per proteggere.» aveva risposto lui.
L'uomo aveva disteso le labbra in un sorriso amaro.
«Da cosa?»

Traditore!

«Non è vero! Io le sono sempre stato fedele!»

Bugiardo!

Sentiva il suo corpo attraversato da fremiti. Come se stesse bollendo. Vide la vita che aveva vissuto fino a quel momento scorrergli davanti in un un soffio. L'encierro. Sole e Luna. Le parole del suo Maestro gli piovvero addosso tutte insieme. Rivide sé stesso lottare con i ragazzini di strada. Rivisse la frustazione. E poi i suoi ricordi oltrapassarono la sua stessa vita. Incrociò gli occhi scintillanti di una fanciulla vestita di bianco. Sasha. Vide un uomo. Indossava una corazza d'oro. L'elmo cornuto. Là dove doveva esserci il braccio c'era il vuoto. L'assenza. Per un istante ascoltò il suo cuore: paura. Ubbidiva ciecamente agli ordini. Non era un guerriero. Era un soldato.

Codardo.

«Fa silenzio! Fa silenzio!»

Ci impiegò un istante ad attraversare la Porta. Il cosmo che in quegli anni aveva creduto di non possedere esplose in un fendente. Era solo il vagito di un infante, ma la ferita era stata inferta.

Gli uccelli si alzarono in volo.
E il vento che spirava tra le fronde sembrava un urlo.
Shura guardò l'albero davanti a sé.
Là dove prima c'era la corteccia, il legno scoperto sanguinava.

Cosa hai fatto?
Avete visto, cosa ha fatto?
Egli non è degno?
Una vita per una vita.


«Placatevi.»

La voce di Leoš lo colpì alle spalle.
Si voltò, ma non vedeva che Irata, non sentiva che Irata.
I lamenti ripresero a sommergero, a strattonarlo.

«Chi è?» urlò girando su sé stesso. «Chi sta parlando?»
Il vento gli rispose con uno strepito di fronde e legno.
E lui cadde in ginocchio.

«Hai ferito un albero, Asura.»
Leoš camminava verso di lui.
«E' solo un albero... Leoš!» alzò il volto rigato di lacrime, le labbra stirate in un sorriso disperato. «Ce ne sono tanti!»
«Solo un albero.» la sua voce rimbombò come un tuono. «E proprio tu, osi dire una simile bestialità?»
Shura non oppose resistenza a quella presa d'acciaio che lo rimetteva in piedi, troppo terrorizzato da quel nuovo Leoš.
Dov'era finita la sua superficialità, così irritante - così rassicurante? La giovialità. I suoi occhi ridenti?
Quante volte aveva pregato di incontrare un altro Leoš e adesso... Adesso che lo aveva di fronte con gli occhi iniettanti di sangue, con le labbra stirate in un ghigno di disprezzo, lui voleva solo fuggire lontano.
L'uomo aveva appoggiato le mani sulle sue spalle e lo stava aiutando a voltarsi.
«Solo alberi, dici?» la sua voce graffiava.
Shura annuì.
«Ascolta.»

E lui ascoltò ... il vento... le voci...

Vogliamo giustizia.
Una vita per una vita.
Dacci il ragazzo.


Si divincolò da quella stretta.

«Io non ho fatto nulla. Non ho fatto nulla. Che cosa farebbero ai boscaioli... eh? Perché...»
«Loro non sono te, Asura.»
«Smettila di chiamarmi in quel modo!» gridò mentre arretrava, un passo dietro l'altro.

Qualcosa lo afferrò all'improvviso. Abbassò lo sguardo e un urlo di terrore gli sfuggì dalle labbra, quando vide una radice avvolta attorno al suo corpo. Sentì qualcosa al braccio e sbarrò gli occhi quando ne vide un'altra a trattenerlo - trascinarlo verso l'albero. Quell'albero che sanguinava come un essere umano, che - Atena aiutami! - gridava come un essere umano.
«Aiutatemi, Maestro. Aiutatemi!»
Cercò di bruciare il suo cosmo. C'era riuscito una volta, poteva farlo ancora. Doveva farlo! Ma qualcosa dentro di lui era bloccato. La Porta sbatteva: né aperta, né chiusa.
«La foresta è un tempio, Asura. Essa è a Lui sacra e senza la sua volontà tu non puoi nulla.»

Una vita per una vita.

Il dolore lo trascinò in un nuovo incubo. Reale, questa volta. Terribilmente. Spaventosamente. Assurdamente reale. I suoi occhi erano incollati al suo ventre squarciato. Al rapido scorrere delle radici dentro di lui. Al loro scavare, spostare, farsi strada nelle sue ... E' solo un brutto sogno. Solo un brutto sogno.
Ma il dolore crebbe e il terrore era solo all'inizio.
Aveva sentito qualcosa dentro lui lacerarsi e poi, di colpo, tutto s'era fermato. Si lasciò sfuggire un sospiro, prima di prorompere in un urlo.
La radice scorreva da dentro a fuori - da dentro di lui!
Oh, mio dio! Oh, mio Dio!
Il suo volto era imbrattato di lacrime e muco. Gli occhi sbarrati. Voleva distogliere lo sguardo, ma non poteva - non ci riusciva!
Continuava a guardarsi svuotare dall'interno. L'orrore delle sue viscere messe a nudo, tirate fuori come uno scarto, come un pegno, come un'espiazione.
«Maestro.»
Non gli importava più nulla del ritegno, dell'orgoglio, dell'armatura, delle stelle.
Perché?
Quella domanda, così spesso ripetuta, gettata in un angolo, quasi sempre priva di risposta, era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

La radice cominciò a girare attorno al tronco dell'albero.

Una vita per una vita.
Il torto viene riparato.


La follia si depositò su di lui, sul suo cuore, sulla sua coscienza, mentre le sue viscere ricoprivano la ferita dell'albero.

E poi... di colpo...

un urlo spaventoso, poderoso, proruppe da lui
e tutto si fece buio.

 


Note dell'autrice: Ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo. No, non è esatto, ci ho messo un po' a decidere cosa dire e cosa tacere, perché al di là del fatto che questo sia il capitolo più importante di Los Sanfermines contiene molti riferimenti a Dies Irae (e non solo) – anticipazioni, sarebbe più giusto dire.
Giusto qualche accenno alla prova-punizione che è toccata a Shura: in passato l'Europa, soprattutto il nord era ricoperto di vaste foreste, ciò favorì il cosiddetto culto degli alberi. Il culto era talmente radicato nei tempi passati che le leggi germaniche condannavano chi aveva osato strappare la corteccia di un albero a una pena feroce ed è appunto a questo che mi sono ispirata per scrivere questo capitolo. Ci sono accenni all'Atena del XVI secolo - che in Sincretismo si chiama Elisabeth ed è colei che ha introdotto l'appellativo "Saint".

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

   
 
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