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Autore: bluerose95    24/01/2016    3 recensioni
Anche se non gliel’ho insegnato personalmente, questo l’ha decisamente preso da me¸ pensò Killian, e poté giurare che il suo petto sarebbe scoppiato se quel bambino non avesse smesso di inorgoglirlo. Che scoppiasse pure, anzi, quello era suo figlio, se non doveva scoppiare per lui, per chi altri, allora?
Henry ha sempre vissuto con sua madre a Storybrooke, coccolato e amato da tutti, ma con un vuoto incolmabile nel cuore. Già una volta aveva fatto quella domanda a sua madre, ma quando questa non gli aveva risposto aveva deciso di non chiederglielo più. O almeno così è stato fino a quando non ha trovato una scatola con una foto strappata, un anello, degli spartiti e altre cose che non aveva mai visto in vita sua, sebbene sapesse con certezza a chi appartenessero.
E allora inizia l'Operazione Cigno Bianco, una missione che sconvolgerà nuovamente le vite di Emma e di suo padre, un uomo che non sapeva nemmeno della sua esistenza e aveva creduto che il suo bel cigno fosse volato via nel momento in cui aveva più bisogno di lei.
Perché quando lasciarsi andare è spaventoso, bisogna accettare che l'amore ci guidi verso casa.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
 
Henry prese coraggio e suonò il campanello.
Regina lo avrebbe ucciso, anche se la prima a farlo sarebbe stata sua madre. La sua madrina gli aveva detto di non fare nulla di avventato, e difatti era stato così: aveva pianificato fin dall’inizio di non andare con Regina a trovare suo padre. Non che non la volesse con sé, ma aveva preferito tenerla lontano dall’ira di sua madre più che poteva.
Ecco perché, dopo essere tornato a casa, quella mattina, aveva aspettato che sua madre andasse alla stazione di polizia e aveva preso tutte le sue carte di credito. Era poi corso a prendere l’autobus che portava alla città più vicina e da lì era stato un continuo cambio di treni fino a New York.
Era affamato, nonostante avesse appena divorato un paio di snack al cioccolato, dopotutto non aveva esattamente pranzato si erano ormai fatte le sette di sera.
Sua madre lo avrebbe ucciso, decisamente.
In quel momento, la porta si aprì, e il suo cuore saltò dei battiti prima di accelerare come quello di un uccellino.
L’uomo che se ne stava appoggiato allo stipite della porta era alto e snello, gli occhi blu come il mare scrutavano Henry, confusi. Il ragazzino si perse per un attimo a contemplare quel volto, dagli zigomi alti alle labbra piegate in un sorriso innocentemente seducente, fino ai capelli neri e scompigliati e al filo ordinato di barba che gli copriva le guance.
«Uh, ti sei perso?» domandò Killian Jones con voce calda, Henry poteva percepire un chiaro accento irlandese. Il pensiero che, se fosse stato con lui fin dall’inizio, forse sarebbe riuscito a parlare come lui lo fece rabbrividire dall’eccitazione.
«Sei tu Killian Jones?»
L’uomo arcuò un sopracciglio. «Sì, e tu chi sei?»
Il ragazzino sorrise. «Io mi chiamo Henry, sono tuo figlio.»
Killian fu quasi sul punto di scoppiare a ridere. Era impossibile che avesse un figlio. «Senti, ragazzino, non è possibile che tu sia mio figlio, avrai sì e no dieci anni e…» La verità lo colpì come un pugno nello stomaco, ma fece più male di una pugnalata al cuore.
Henry approfittò di quell’attimo di spaesamento di Killian per passare sotto il suo braccio ed entrare nell’appartamento moderno, ordinato come di solito quello d’uno scapolo trentenne non era. L’uomo chiuse la porta dietro di sé ancora scosso dalla portata di quella notizia.
Per dieci anni aveva vissuto da solo, rinchiuso nella prigione fatta di lavoro e dolore dopo aver scoperto che la donna che amava se n’era andata e che suo fratello era morto e che lui non era stato in grado di salvarlo.
Si appoggiò con tutto il peso contro la porta, sentiva le gambe molli e temeva di non riuscire più a reggersi in piedi se si fosse costretto a fare un passo verso il bambino. Quello non poteva essere suo figlio, Emma non era incinta quando l’aveva lasciato. O sì? Scrollò il capo con forza, non era possibile, doveva essersi sbagliato. Magari era di suo fratello, ma era improbabile che Liam fosse stato così irresponsabile, oltretutto era molto serio quando si parlava di ragazze.
Tuttavia…
No, non era possibile. Lui ed Emma erano stati attenti e, certo, forse nell’andare a convivere insieme dopo solo sei mesi avevano accelerato un po’ i tempi, ma si amavano, e non riuscivano a sopportare l’idea di stare separati. Lui non la sopportava tutt’ora, ma dopo ciò che gli era stato detto aveva deciso di uscire dalla vita di Emma per sempre, sebbene lei non avesse avuto alcuna intenzione di andarsene dalla sua mente.
Però, all’epoca, quel bambino – suo figlio – doveva avere già quattro anni, e nessuno gli aveva detto nulla.
«Ehi, ragazzino,» disse allora, vedendolo aprire il frigorifero e tirarne fuori una bottiglia di succo di frutta come se fosse a casa sua, «io non ho figli.»
Henry arcuò un sopracciglio, bevendo un sorso di succo. «Tu sei Killian Jones, no? E dieci anni fa hai vissuto con mia madre, Emma Swan, giusto?»
Il mondo parve crollare addosso a Killian, questa volta sembrava tutto troppo reale. No, non poteva essere, Emma glielo avrebbe detto, no? Per tutto quel tempo non lo aveva cercato, lo aveva lasciato solo quando aveva più bisogno di lei, nemmeno i genitori gli erano stati vicini, e lui aveva sperato di trovarla lì, accanto a sé, perché lei c’era sempre stata.
«Ora chiamo la polizia.» Afferrò il telefono, pronto a comporre il numero, se Emma aveva detto al figlio che lui era suo padre, allora perché non era venuta anche lei? A meno che, ovviamente, non sapesse che lui fosse lì, il che sembrava essere la cosa più plausibile, e provò una punta d’orgoglio al pensiero. Bene, avrebbe ammazzato anche lui, oltre che il figlio.
«E io dirò che mi hai rapito.»
A quella minaccia, Killian alzò lo sguardo sugli occhi di Henry, quelli di suo figlio. Fu colto da un senso di vertigini, erano gli stessi occhi di sua madre, forse un po’ più scuri, ma capaci ancora di fargli girare la testa.
«Perché sono il tuo padre biologico.» Dire quelle parole fu facile, come se gli appartenessero da sempre, tuttavia non poté fare a meno di sentirsi pervadere da una sensazione di panico mista a gioia. Scosse il capo, non voleva pensarci.
«Esattamente,» rispose Henry con un sorriso a trentadue denti. Provava un insieme di emozioni contrastanti, ma l’euforia prevaleva su tutte le altre, il cuore gli batteva all’impazzata, ma si trattenne dall’illudersi che lui sarebbe stato lieto di quella notizia. Frugò nello zaino che aveva portato con sé e che aveva appoggiato su uno sgabello e tirò fuori il biglietto da visita di Regina. «Se vuoi chiamare qualcuno, chiama lei, mi ha aiutato a trovarti.»
Ancora confuso, Killian afferrò il biglietto e se lo rigirò tra le dita. Regina Mills. Sindaco di Storybrooke.
Storybrooke. Killian quasi ridacchiò amaramente, non era possibile, eppure tutto tornava, come una maledizione. Inspirò a fondo e guardò Henry, il quale ricambiò il suo sguardo con fermezza, quasi lo sfidasse a non fare quella chiamata. Senza pensarci due volte, Killian compose il numero. Non dovette attendere molto prima di sentire una voce femminile piuttosto adirata dall’altro capo del telefono. «Pronto?»
«Salve,» iniziò cautamente Killian, non sapeva bene come intavolare il discorso, e questa Regina Mills sembrava estremamente arrabbiata, «sono Killian Jones, credo che…»
«Oh, direttore, è lei? Un attimo solo, la prego,» lo interruppe lei, probabilmente perché non poteva parlare in quel momento, il pensiero che quella donna potesse trovarsi nella stessa stanza di Emma gli causò una dolorosa stretta al cuore che gli mozzò il respiro. «Henry è con lei?» sibilò, la voce ridotta a un sussurro, preoccupata.
«Sì, è qui ma…»
«Bene, almeno è al sicuro, spero. Domani prenda il volo per Portland delle otto e trenta e lo porti a Storybrooke. Prenoterò due biglietti a suo nome, sarò lì ad aspettarvi.»
Killian strinse gli occhi, l’ultima cosa che voleva era rivedere Emma. Anzi, lo voleva, disperatamente, avrebbe voluto parlarle, ora più che mai, però quelle parole, quelle diaboliche parole gli rimbombavano nella testa. «D’accordo,» disse senza riuscire a fermarsi. Se quello era davvero suo figlio, e al momento non ne dubitava affatto, allora avrebbe dovuto parlare con Emma.
«Molto bene, avvertirò Emma
«Mi ucciderà,» sentenziò Killian, la mano sinistra stretta attorno al marmo nero dell’isola della cucina, le nocche bianche.
Udì una risatina amara e per nulla divertita. «No, signor Jones, ci ucciderà tutti.» Detto questo, Regina interruppe la chiamata, probabilmente per andare a dire a Emma che suo figlio stava bene.
Quella donna però aveva ragione, Emma li avrebbe uccisi dal primo all’ultimo senza pensarci due volte ma, per quanto lo riguardava, Killian era già morto quando dieci anni prima lei lo aveva lasciato. Spostò lo sguardo su Henry, quel ragazzino che era strafottenza malcelata da dolcezza e innocenza perché, insomma, nessun bambino si presentava a casa del padre dopo dieci anni, e da solo oltretutto.
Non che Killian sapesse molto dei rapporti padre e figlio, anzi, non ne sapeva quasi nulla, se non che il suo era quasi del tutto inesistente.
Si passò una mano fra i capelli, scacciando il ricordo del padre. «Immagino… immagino che tu non abbia ancora cenato, giusto?»
Con un sorrisino innocente, Henry annuì. «Solo qualche snack al cioccolato e qualche biscotto che ha fatto mamma.»
Killian lo guardò con le sopracciglia arcuate. Biscotti? Fatti da Emma? «Cento dollari che sono alla cannella,» mormorò a voce talmente bassa che pensò Henry non l’avesse sentito.
«Esatto, ma non ho cento dollari,» replicò infatti il ragazzino togliendosi anche il cappotto e la sciarpa prima di andare a sedersi su uno dei divani davanti alle vetrate che davano su New York. Era una vista bellissima, Henry sarebbe rimasto ore a guardare le luci della città, ma avrebbe preferito cento volte vedere la luna riflettersi sulla superficie dell’acqua come riusciva a fare dalla finestra della propria camera.
Killian strinse le labbra, non sapeva che cosa fare, aveva bisogno di pensare, di assimilare ciò che gli stava succedendo e il perché nessuno gli avesse detto che aveva un figlio. Perché Emma non gli aveva detto nulla? Se n’era andata perché era incinta? Di che cosa aveva avuto paura per non lasciargli nemmeno un biglietto? Perché se ne era andata?
Quell’ultima domanda lo accompagnava sempre prima di addormentarsi, e cercava ancora una risposta, cercava di capire perché la donna che amava non lo avesse cercato, perché non si fosse preoccupata abbastanza per lui.
Doveva aver pensato che avesse passato giorni a fare baldoria, forse con la confraternita, ma quanti giorni era rimasta in quella casa, sola, prima di andarsene definitivamente? E aveva pensato alla cosa che più si allontanava dalla verità. Se solo lei lo avesse cercato…
Killian strinse i pugni, rifiutando di proseguire su quella strada, purtroppo non aveva un sacco contro il quale sfogare rabbia e frustrazione.
«Che cosa vuoi mangiare?» domandò allora a Henry, scrutando la sua espressione. Sembrava felice, ma nei suoi occhi leggeva turbamento, forse non gli piaceva ciò che vedeva, forse era deluso da suo padre. A quel pensiero, Killian si adombrò, non voleva che suo figlio si vergognasse di lui. Quasi sorrise, davvero stava iniziando a considerarlo suo figlio? E se non fosse stato suo? L’idea fece perdere un battito al suo cuore.
Henry si strinse nelle spalle. «Qualsiasi cosa, muoio di fame,» disse guardando Killian da sotto le ciglia nel modo più innocente che conosceva.
Scacciando l’idea di poco prima, Killian sogghignò e iniziò a preparare dei maccheroni al formaggio, erano indubbiamente un pasto succulento per un bambino e anche lui li adorava.
Avrebbe voluto chiedergli di Emma, di come stesse, ma non ne aveva il coraggio, la ferita che gli aveva lasciato continuava a sanguinare da dieci anni. Presto l’avrebbe rivista e, a dire la verità, temeva quel momento, perché gli si sarebbe spezzato nuovamente il cuore, e non avrebbe mai potuto sopportare il suo sguardo accusatore quando in realtà lui non aveva fatto nulla di male.
Si era domandato infinite volte se fosse a conoscenza della verità, se sapesse che cosa gli fosse successo quando se n’era andata, forse… forse non sapeva che cosa gli era accaduto e aveva tirato delle conclusioni affrettate.
Scosse il capo mentre tagliava il formaggio a dadi, cupo in volto. Non le avrebbe permesso di rovinargli nuovamente la vita, si era portata via dieci anni della sua vita, dieci anni in cui gli aveva nascosto un figlio.
«Come hai fatto a trovarmi?» domandò allora a Henry, appoggiandosi contro il piano cottura, le braccia incrociate al petto e lo sguardo azzurro indagatore mentre aspettava che l’acqua bollisse.
Henry aggrottò appena le sopracciglia. «Non volevi essere trovato?»
C’era panico nella sua voce, Killian poté vedere i suoi occhi agitarsi e guardare ogni angolo della stanza ma non lui. Sorrise dolcemente, il cuore pervaso da un senso di tenerezza. «Non ho detto questo, Henry,» disse resistendo alla tentazione di avvicinarsi e di stringerlo a sé per rassicurarlo, domandandosi come sarebbe stato, che cosa avrebbe sentito.
Il bambino sorrise, riportando lo sguardo sull’uomo, decisamente sollevato. «Regina mi ha aiutato, ha telefonato a una coinquilina della mamma che le ha parlato di un ragazzo di una confraternita e a quel punto si è fatta mandare i file di ogni membro di questa nell’anno in cui la mamma si è iscritta all’università…»
«Aspetta, diffondere i fascicoli personali degli studenti è illegale, come…» Si fermò davanti allo sguardo innocente di Henry, questa Regina doveva avere dei contatti piuttosto importanti, oppure decisamente incuranti della legge.
«Comunque, poi abbiamo escluso i gruppi sanguigni che non potevano coincidere con il mio e dopo abbiamo controllato i numeri da chiamare in caso di emergenza.»
Killian alzò le sopracciglia, ammirando l’astuzia di quella donna e, con tutta probabilità, anche quella del ragazzino. Tuttavia, avrebbero potuto trovare una strada più semplice. «Perché non avete semplicemente guardato il fascicolo di tua madre?»
Henry si era accorto che, in tutto quel tempo, lui non aveva mai fatto il nome di Emma, nemmeno una volta. Si strinse nelle spalle. «L’amica di Regina l’ha cercato, ma non c’era.»
Doveva aspettarselo, Emma era sempre stata brava sia a trovare le persone che a nascondere le proprie tracce.  A trovare le persone, già, tutte meno che lui.
Non si accorse che Henry gli si era avvicinato e gli stava tendendo una fotografia strappata. Quando abbassò lo sguardo, Killian la riconobbe all’istante, e così anche il suo cuore, che si fermò prima di ricominciare a battere dolorosamente. La prese delicatamente tra le dita, quasi temesse si polverizzasse all’istante. Ricordava benissimo quella sera, e quel vestito, quell’ingombrante abito rosso che lo aveva quasi fatto impazzire nel tentativo di tenerglielo nascosto, ma alla fine ci era riuscito.
«Quando è stata scattata?»
Killian sogghignò, ricordandosi tutto l’evento. Era stata una serata piuttosto movimentata, ma al contempo indimenticabile e speciale. «Era la vigilia di Natale, la prima che abbiamo passato insieme, e io le ho regalato questo vestito,» disse accarezzando il bordo frastagliato della fotografia, aveva ancora l’altra metà, riposta con cura nell’album che di tanto in tanto sfogliava ancora. Una volta era stato sul punto di bruciare tutto ciò che gli ricordava Emma ma non aveva avuto il coraggio di farlo.
«Come mai?»
«Beh,» iniziò impacciato Killian restituendo la foto a Henry mentre buttava la pasta per farla cuocere e preparava la teglia da mettere in forno, «diciamo che appena l’ho visto ho pensato a lei. E poi c’era questo ballo…» Killian non avrebbe mai dimenticato la faccia di suo padre quando l’aveva visto lì. «Devi sapere che sono la pecora nera della mia famiglia, i Jones sono piuttosto facoltosi qui in città, ma io me ne sono andato appena ho potuto. Durante le festività si divertono a dare ricevimenti e ho pensato di passare, ecco, una serata diversa.»
«E quindi vi siete intrufolati al ballo dei tuoi genitori?» Henry pendeva a dir poco dalle sue labbra, finalmente sentiva la storia dietro quella fotografia, una storia in cui sua madre e suo padre avevano avuto un’avventura degna di essere scritta in un libro di favole, e nella quale avevano fatto una comparsa persino i suoi nonni.
Killian annuì, lo sguardo perso nei ricordi. «Oh, sì, abbiamo ballato molto prima che mio padre desse l’ordine alla sicurezza di scortarci fuori. E lì, beh, abbiamo fatto la nostra figura correndo dritti in mezzo alla sala da ballo e poi in strada, mentre ci rincorrevano e io facevo di tutto per aiutare tua madre a tenere sollevate le gonne così che non la intralciassero. Sì, credo che qualcuno ne parli ancora.»
Henry si sentì quasi frastornato, sua madre non gli aveva mai raccontato quella storia, non aveva mai parlato del suo passato, se non di quando era piccola. Avrebbe voluto rivolgergli altre domande, ma ora come ora non avrebbe saputo quale scegliere. Si trattenne dall’aggiungere altro con un fremito e lo guardò mentre si muoveva quasi a suo agio nella cucina e preparava la cena per due, come se fosse una cosa naturale.
«Lei ha ancora alcune delle tue cose, oltre alla fotografia,» disse Henry mentre Killian era concentrato sulla teglia di pasta che doveva infornare, ma vide le sue spalle irrigidirsi prima di rilassarsi.
Quando si abbassò per infilare la pirofila nel forno, il ragazzino giurò che suo padre stesse sorridendo.
 
Nemmeno stare sotto la doccia per un’ora e mezza aveva lavato via quel senso di spossatezza che aveva addosso assieme a quella dolce sensazione di euforica felicità che aveva iniziato a pervaderlo durante la cena.
Henry si era addormentato sul divano mentre guardava i cartoni animati e lo aveva portato nella propria camera da letto, rimboccandogli le coperte, come se fosse la cosa più naturale sulla faccia della terra. Era strano, ma si era sentito subito legato a quel ragazzino, e non solo perché aveva detto di essere suo figlio, ma perché gli ricordava Emma.
Gli si strinse il cuore nel controllare un’ultima volta il bambino, dormiva rannicchiato sul suo lato, le coperte quasi lo seppellivano, ma sul viso aveva un’espressione beata, felice. Lasciò la porta socchiusa mentre entrava nella stanza di fronte, la seconda camera da letto dell’appartamento che non usava mai, nessuno lo andava mai a trovare, né colleghi di lavoro né amici. Lì dentro, inoltre, teneva tutte le cose lasciate da Emma, dai vestiti agli album di fotografie.
Accese la luce e ne prese uno dalla mensola sopra la scrivania, sedendosi sul bordo del letto, i capelli bagnati stillavano acqua sul leggero tessuto del pigiama grigio scuro. Sollevò le gambe e si stese su un fianco, il capo appoggiato alla mano mentre guardava con occhi colmi dolore le foto di quando era ancora felice e spensierato.
C’erano foto sue e di Emma, altre con alcuni amici dell’università e alcune con suo fratello, all’epoca nessuno di loro pensava a dove si sarebbero trovati dieci anni dopo, ma ora suo fratello non c’era più ed Emma lo aveva abbandonato.
Inspirò a fondo mentre girava un’altra pagina, vedendo la foto strappata. Si era domandato molte volte perché avesse scelto proprio quella, scervellandosi sul motivo che l’aveva spinta a strapparla prima di andarsene. Poi si ricordò delle parole di Henry.
«Lei ha ancora alcune delle tue cose, oltre alla fotografia.»
Emma aveva ancora l’anello, doveva essere così, perché era stata quella sera stessa, quando si erano fermati ansanti davanti alla fontana di Bethseda, che lui le aveva dato l’anello, promettendole che il suo amore sarebbe sempre stato la luce che l’avrebbe guidata a casa. Non era una proposta di matrimonio, ma era un inizio, era una promessa che lui si era ripromesso di mantenere sempre.
Aveva preso l’anello al ballo, glielo aveva dato sua madre dopo averlo tirato per un attimo in disparte senza che suo padre li vedesse, dicendogli che era orgogliosa di lui, e che ci sarebbe stata sempre se mai avesse avuto bisogno di qualcosa.
Dopo quella sera avevano vissuto felici più che mai, come se stessero vivendo una favola, ma poi, essendo questa la vita vera, era arrivata la tempesta, e aveva spazzato via tutto.

 
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Eccomi qui! Anche se non ho finito il capitolo successivo mi ero ripromessa di postare il capitolo una volta finiti gli esami - uno su due portati a casa, ma almeno in gestione e marketing ho preso 27 *ç* - e ne sono immensamente felice.
Spero che il capitolo sia soddisfacente, ho riscritto un paio di scene perché non mi sembravano adatte - ovviamente all'inizio non potevo non mettere una scena come quella della serie lol
Ora mi godo questa settimana di vacanza prima di fare statistica e bilanci, ma spero di riuscire a non scomparire totalmente da EFP :3
Grazie a chi è rimasto con me finora e a chi rimarrà in futuro!
Baci,
bluerose
   
 
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