È incredibile! Ho riaggiornato dopo soli gg! Sono troppo brava
xD! No, la verità è che venerdì, tutta ingarluzzita per la pubblicazione del
primo cap, in treno ho continuato a lavorare… Ed ecco qui il risultato ^^!
A dire la verità questa sarebbe dovuta essere la 1° parte del
secondo cap e non un cap a parte, ma mi sono accorta che stava venendo troppo
lungo, così ho dovuto tagliare. A dire la verità nn mi piace moltissimo come
cap, è un po’ di “transizione”, ma spero cmq di aver fatto un buon lavoro ^^!
(se qualcuno scova qualche errore ditemelo pure, provvederò a correggere ^o^!).
Una cosa importantissima che non ho scritto nello scorso cap: la trama della
storia che Haine racconta non me la sono inventata io (purtroppo ç__ç) ma è il
riassunto a larghe linee di una delle storie brevi contenute in “Wish – Un solo
desiderio” di Mia Ikumi. M’ero completamente scordata di metterlo ^\\^… (volevi
spacciarla x tua, ammettilo! ndTakao – Taci fogna mangiatutto! ndRia – Zob, mi
tratta male ç__ç! - Sei patetico -__-“”…
ndKei).
Vi lascio al cap, i ringraziamenti alla fine!!
Paragrafo
2 ◦ Awake – Il sorriso di Shiro
Il
dottor Ryuichi sospirò, poggiando i gomiti sul tavolino. Mosse appena con una
mano la stilografica nera, perfettamente allineata alla cartelletta, e
lentamente la prese tra due dita, aprendo lo scatto per la punta e poi
richiudendolo, quasi nervosamente; con l’altra mano si portò la cartelletta più
vicino, prendendo a sfogliarla. Il ragazzo di fronte a lui non muoveva un
muscolo.
-
Molto bene. – disse infine, con voce bassa – Beh, ragazzo mio, devo dire che,
con quello che hai passato, i risultati degli esami sono decisamente
consolanti.
Il
ragazzo annuì vago.
-
Ovviamente avrai sentito che i tuoi muscoli faticano a darti retta. – altro
cenno d’assenso – È assolutamente normale (e logico, converrai con me) dopo due
anni che te ne stai sdraiato. Un po’ di buona fisioterapia e tornerai come
nuovo.
Il
ragazzo annuì di nuovo, ma ebbe l’impressione che quel “un po’” fosse
decisamente troppo ottimistico, come se volesse tranquillizzarlo. Invece lo
innervosiva di più.
-
Tutti gli altri esami sono decisamente rassicuranti. – ripetè, sfogliando le
pagine – Hai un fisico robusto ed obbediente, devi riconoscerlo!
Al
ragazzo scappò un sorriso, che si spense nell’istante in cui il medico arrivò
all’ultima pagina.
-
Il risultato della tac… - sussurrò l’uomo sovrappensiero; il tono era
preoccupato – Hai preso una bella botta, eh?
-
Così pare…
Il
medico sospirò.
-
Allora… Ora ti farò alcune domande veloci, tu rispondi la prima cosa che
ricordi. Non sforzarti se non la sai, d’accordo?
-
D’accordo.
Il
dottor Ryuichi iniziò a scrivere. Per alcuni secondi il frusciare della penna
fu il solo suono nella stanza, a parte i loro respiri.
-
Bene. Dunque, nome?
-
Shiro.
-
Shiro… Sai con che kanji si scrive?
-
Con quello di bianco. – rispose sicuro. Il medico sorrise, aveva cominciato
bene.
-
Cognome?
Shiro
tacque per un po’.
-
… Non me lo ricordo.
Forse
Ryuichi aveva parlato troppo presto.
-
D’accordo. Mi sai dire quanti anni hai?
-
In che anno siamo?
Il
dottore fu sorpreso della domanda, ma rispose comunque:
-
È il 2002.
-
Mi avete detto che sono entrato in coma quando mi stato portato qui in ospedale
– riflettè Shiro ad alta voce – quindi prima non lo ero?
-
No. – confermò il dottore – Eri pesto e malconcio, ma solo svenuto.
-
Perfetto. Quindi ho… Dormito per due
anni?
-
Esatto.
-
Allora ne ho diciassette.
Il
dottore scrisse.
-
Hai parenti?
-
Non lo so.
-
Ricordi qualcuno? Amici, vicini…
-
Nessuno.
Shiro
si zittì nuovamente. Il dottore smise un istante con le domande, sospirando.
-
Qual è l’ultima cosa che ricordi?
-
… Non ne sono sicuro. – mormorò – So che stavo male. Avevo freddo ed ero
stanco. Qualcuno mi ha trasportato in giro, non so dove né chi, però. L’ultima
cosa che ricordo è l’erba sotto di me.
-
Gli Ichinomiya ti hanno trovato su un prato accanto al guard-rail della
tangenziale. – spiegò il dottore – Come mai eri finito lì?
-
Non lo so. – rispose, stavolta più brusco – Non ricordo.
Squadrò
il medico arcigno, gli aveva appena detto che non sapeva chi ce l’avesse
portato, come poteva sapere il perché?!
Ryuichi sospirò, chiudendo la penna:
-
Va bene. Per oggi basta così.
Si
alzò, mettendosi la cartelletta sotto braccio, gli rivolse un sorriso garbato e
si avviò alla porta:
-
Adesso riposati. Tornerò più tardi col pranzo.
Shiro
annuì. Guardò la figura dell’uomo finchè non sparì dietro l’angolo, e si lasciò
andare mollemente sul letto, sospirando.
Non
c’era parte del corpo che non gli facesse male: anche il solo essere rimasto
seduto composto per venti minuti gli aveva lasciato un collo praticamente
incancrenito. Si guardò la mano destra, perdendosi a contemplare le linee sul
palmo:
-
Niente. Non ci riesco…
-
I dati della tac sono chiari. – sospirò il dottor Ryuichi.
Con
aria stanca prelevò dalla busta marrone la lastra nera, fissandola al piano
retroilluminato appeso alla parete. Prese ad indicare l’immagine laterale della
testa di Shiro, mentre il signor Sentaro osservava attento.
-
Qui, sul lobo temporale mediano. – continuò il medico – Ci sono ancora i segni
di un riversamento di sangue, anche se ormai è riassorbito. Le percosse che gli
avevamo diagnosticato quando è arrivato qui, con ogni probabilità la caduta e
anche, successivamente, l’incoscienza, gli hanno provocato danni all’ippocampo.
Sentaro
aveva capito la metà del discorso, ma annuì comunque; la faccia di Ryuichi, per
quanto criptiche fossero le spiegazioni, era molto eloquente.
-
Vuol dire che ha perso la memoria, sostanzialmente?
-
Almeno temporaneamente. – annuì – Ma, se può rassicurarla, si tratta di una
perdita reversibile, anche se non possiamo stabilire quanto siano estesi i
danni, per il momento.
Sentaro
annuì. Il dottore rimise le lastre al suo posto, sorridendo:
-
Le sono grato di essere venuto. – disse all’improvviso – Sua figlia ha già
fatto tanto…
-
Non lo dica nemmeno per scherzo. – sorrise di rimando – Sono più che felice di
aiutarlo.
Ryuichi
annuì. Poi, di colpo, parve ricordarsi di qualcosa, e s’incupì.
-
Che succede?
-
… Shiro mi ha detto di avere diciassette anni. – disse – Ed è una delle poche
cose che ricorda con certezza. Se le cose stanno così, però, noi dell’ospedale
non possiamo prenderci legalmente la sua custodia.
Sentaro
parve capire:
-
Vuol dire che lo affideranno agli assistenti sociali?
Il
dottore annuì.
-
A meno che…
-
A meno che?
Il
dottore alzò gli occhi scuri su di lui, con aria indecifrabile.
-
Potremmo fare una chiacchierata con l’avvocato Kiriaki?
Haine
era arrabbiata.
Molto
arrabbiata.
-
Avete visto? – sentì cinguettare una delle infermiere del reparto di
rianimazione.
-
Chi, il ragazzo della 151? – disse una sulla quarantina, con aria deliziata –
Certamente! È davvero un ragazzo fortunato…!
-
E com’è gentile! – si aggiunse una sua coetanea, scatenando le risatine delle
più giovani – Si vede che è spaventato e stordito, eppure è stato educatissimo
con tutto il personale!
Le
infermiere più giovani confabularono un istante e ridacchiarono di nuovo.
Sì,
Haine era davvero arrabbiata.
Da
quando Shiro si era svegliato era riuscita a vederlo solo un momento, quando
era tornata nella camera e aveva visto che la stava guardando.
Poi
era stato un traffico di medici, infermiere, legali dell’ospedale. E lei era
dovuta rimanere per tutto quel tempo buona buona in corridoio, mentre il dottor
Ryuichi discuteva con suo padre.
Insomma…!
Si
sentiva un po’ offesa: non voleva certo riconoscimenti per essere stata accanto
a Shiro tutti i giorni per due anni, però almeno che non la ignorassero a quel
modo! Guardò ancora una volta la porta bianca, lontana in fondo al corridoio,
chiusa. Sospirò, chissà Shiro come stava…
In
quell’istante vide un impercettibile movimento della porta: due ciuffetti
castani si sporsero appena nel corridoio, seguiti dalla faccia stanca e un po’
confusa del proprietario.
-
Haine…
-
S-Shiro…! – balbettò lei, vedendolo: si vedeva da un miglio che stava in piedi
per grazia ricevuta.
Gli
corse incontro, incespicando, e pregando che nessuno dei medici l’avesse visto:
-
S-sei impazzito?! Non dovresti alzarti…!
Lui
si limitò a sorriderle, facendo spallucce; poi, ritirandosi lentamente per non
dare nell’occhio, le fece segno di seguirlo.
Haine
non se lo fece ripetere.
Shiro
si lasciò nuovamente andare sul letto, quasi stravolto per la camminata. Haine,
titubante, prese la sua solita seggiola e si mise accanto a lui, a disagio.
-
Cosa c’è?
Alla
domanda di lui la brunetta sobbalzò: era rimasta bloccata ad ammirare le sue
ginocchia, senza guardarlo.
-
Niente… Stai tranquillo! – disse più energicamente – Comunque… Mi sembri
abbastanza in forma! Parli anche abbastanza fluentemente.
Lui
annuì lentamente. A dire la verità era difficile capirlo quando apriva bocca, perché
anche la sua lingua sembrava contraria a qualsiasi tipo di movimento e gli
faceva borbottare solo parole biascicate, così si trovava costretto a sforzarsi
per parlare lento e chiaro.
Tacquero
qualche minuto; Haine strinse la stoffa dei pantaloni tra le mani, quel
silenzio era snervante. Lei, però, improvvisamente non sapeva cosa dire: s’era
ormai, diciamo abituata a quel
ragazzo che dormiva costantemente, a parlargli, ma ora che era sveglio, che
poteva mostrarle i suoi pensieri e i suoi giudizi (magari propri su di lei) si
sentiva a disagio.
-
S-senti… - balbettò alla fine – Tu… Ecco, come facevi a sapere il mio nome?
Si
morse la lingua, che razza di domanda per iniziare la conversasione…! Pregò che
il pavimento crollasse, così si sarebbe rifugiata in qualche recesso delle
fondamenta. Shiro la guardò un istante:
-
A dire il vero non lo so.
Haine
lo fissò basita:
-
N-non… Non lo sai?!
Lui
scosse la testa:
-
No. So solo che quando ho aperto gli occhi, sapevo che tu eri Haine.
Lei
gli rivolse un’occhiata allibita, cosa voleva dire quella frase?!
-
Vuoi dire… Che non ricordi niente dopo che ti sei… Che sei entrato in coma?
Lui
le rivolse un sorriso disarmante, scuotendo la testa:
-
Nulla di nulla.
Haine
non seppe se sospirare sollevata o sentirsi delusa. Un pochino, lo ammise,
aveva sperato che si ricordasse delle loro conversazioni (a senso unico, ma pur
sempre conversazioni), ma riflettendoci a mente fredda era impossibile: anche
il dottor Ryuichi gliel’aveva detto, “è possibile che capisca le tue parole oltre a sentirle”, non “è sicuro”.
Forse è anche meglio così.
La
porta si aprì di colpo e Haine sobbalzò nuovamente. Il dottor Ryuichi, sulla
porta, le rivolse un sorriso malizioso, a cui lei rispose con un’occhiataccia
in cui si leggeva “non-osi-prendermi-in-giro!”; dietro all’uomo, il signor
Sentaro faceva capolino con un sorrisino tirato.
-
Mi dispiace interrompervi – esordì il dottore divertito – ma Shiro deve
riposare.
Il
ragazzo assunse un’aria contrita. Haine era scarlatta:
-
P-però…!
-
Niente discussioni. – la ammonì il padre – Coraggio, tesoro, andiamo.
Haine
annuì dispiaciuta.
Il
dottor Ryuichi porse un sacchetto di carta bianco a Shiro, stranamente gonfio e
chiuso con varie mani di scotch e pinzatrice. Mentre si alzava, Haine gettò uno
sguardo alla busta, sul cui fianco scritte nere in stampatello si leggevano
nette come ferite:
DOTTOR
RYUICHI AOKI – PAZIENTE STANZA 151 (REPARTO RIABILITAZIONE)
Nessun
nome. Guardando Shiro prendere la busta con aria afflitta, Haine sentì una
morsa allo stomaco.
-
Questi sono tutti gli oggetti che avevi indosso quando ti hanno trovato –
spiegò il dottore dolcemente – e altre cose rinvenute dalla polizia.
Shiro
sfiorò la busta con le dita, senza una parola.
-
Potrebbero riportarti altri ricordi alla memoria. – continuò il dottore – E
quindi…
-
No.
Sia
Ryuichi che gli altri due presenti fissarono Shiro sorpresi. Il ragazzo spostò
la busta sul ripiano accanto al suo letto, la testa voltata come se vedere
quell’oggetto gli facesse male:
-
Oggi… Non voglio pensarci. – disse sottovoce – L’aprirò poi…
Il
dottore annuì:
-
Non preoccuparti. Fai come ti senti.
L’uomo
gli fece un cenno di saluto e si avviò alla porta, imitato da Sentaro. Haine
invece restò ferma; solo quando il dottore la sospinse con gentilezza verso la
porta si costrinse a voltare lo sguardo dal ragazzo sul letto.
-
Haine.
La
brunetta si voltò così di scatto che sembrò saltare. Shiro le rivolse un
sorriso lieve:
-
Vieni domani?
Lo
fissò un istante; mentre usciva la morsa allo stomaco si acuì un poco:
-
… Certo. Ci vediamo domani!
Il
furgoncino del signor Sentaro quel giorno sembrava stranamente in forma. Il
motore ronzava allegramente senza ansimare troppo, i freni a tamburo
stringevano le ruote senza che queste fischiassero come un vecchio treno
arrugginito, costringendo i passeggeri ad un secco quanto poco piacevole
abbraccio da parte delle cinture di sicurezza.
Haine
e suo padre non parlavano; non s’erano scambiati una singola parola da quando
lui l’aveva invitata ad andarsene con lui dall’ospedale. La ragazza, con aria
assorta, continuava a guardare fuori dal finestrino, senza realmente vedere il
paesaggio opalescente nella luce del primo pomeriggio, un solo pensiero che le
martellava la testa: il modo in cui Shiro l’aveva guardata quando le aveva
chiesto di venire il giorno dopo.
Si
sentiva in colpa ad essersene andata dall’ospedale.
I
suoi occhi scuri le dicevano che era spaventato.
Non
voleva restare lì da solo, non voleva aprire quella maledetta busta.
Haine
si strinse le mani. Le era sembrato talmente fragile, talmente solo, che non
aveva saputo rispondere in altro modo, ma ora si domandava cosa potesse fare
lei, di concreto, per poterlo aiutare. Si sentì stupida all’idea di aver fatto
un gran lavoro restandogli accanto mentre era in coma, parlare ed aprirsi con
qualcuno che non poteva sentirti era una cosa, ma essergli di sostegno quando
alla fin fine praticamente non si conoscevano… Era un altro paio di maniche.
- So solo che quando ho aperto gli
occhi, sapevo che tu eri Haine.
“Però…”.
-
Senti un po’, Haine…
-
Uhm? Cosa c’è, papà?
-
Tutto bene, tesoro?
-
… Sì, certo. – disse tranquilla – Stavo solo pensando.
Le
rivolse una rapida occhiata; sapeva benissimo che non se l’era bevuta, ma non
avrebbe insistito se non fosse stata lei a parlare.
-
Ascolta. Mentre ero in ospedale, il dottor Aoki mi ha fatto parlare un po’ con
l’avvocato Kiriaki.
-
L’avvocato…?
-
Quello che ci ha lasciato il suo numero di telefono.
Lei
si limitò ad annuire.
-
E’ il legale che si occupa dei minorenni e dei contatti con gli assistenti
sociali. – le spiegò rapidamente – Ora ha lui in mano tutte le pratiche che
riguardano Shiro, dato che è minorenne.
-
Ah.
Fu
la sua sola risposta.
A me non l’ha detto nessuno. Non so
nemmeno quanti anni ha.
Evitò
di chiederlo e guardò il padre, aspettando continuasse.
-
Ufficialmente, quando sarà in grado di lasciare l’ospedale, dovrebbero essere
gli assistenti sociali ad occuparsene, ma Kiriaki mi ha fatto capire
perfettamente che è troppo grande per trovare una famiglia che lo adotti o se
ne prenda cura: finirebbe sballottato da un centro all’altro fino alla maggiore
età.
Haine
assunse un’aria preoccupata ed indignata insieme:
-
E allora come si può fare?
Il
vecchio furgone tossicchiò mentre Sentaro cambiava la marcia e lo faceva
proseguire lungo il mezzo sterrato che fiancheggiava la linea della costa.
L’uomo prese un bel respiro, rallentando, e guardò la figlia:
-
Ho chiesto se fosse possibile che il ragazzo venisse a stare da noi.
Nell’abitacolo
scese il silenzio, rotto solo dalla risacca del mare, lontana. Haine lo guardò
inespressiva.
-
Il mio stipendio è sufficiente per sfamare un’altra bocca – riprese Sentaro – e
casa nostra è molto grande, nonostante tutto, quindi mi ha spiegato che non ci
sarebbero nemmeno problemi con gli assistenti sociali. Se Shiro avesse una casa
dove stare, forse riuscirebbe a riprendersi con più tranquillità.
Haine
annuì meccanicamente, anche se quasi non lo ascoltava più, le sue orecchie che
ripetevano quell’unica frase.
Stare da noi.
Stare da noi.
Stare da noi.
Il
furgone girò bruscamente; la strada che portava in città cominciava a
delinearsi di fronte a loro, prendendo la sua forma nell’asfalto nero. Sentaro
si fermò, guardando la figlia negli occhi:
-
Se tu non te la sentissi - aggiunse con
dolcezza – se, per un qualunque
motivo, la cosa ti lasciasse dei dubbi, dimmelo, e troveremo un’altra
soluzione.
Lei
annuì nuovamente, anche se sinceramente non sapeva cosa pensare.
-
Non lo so… - ammise timidamente – Lasciamici… Lasciamici pensare fino a domani,
ok papà?
Sentaro
sorrise appena:
-
Certo. Su, andiamo adesso, Ribbon avrà fame!
Rise
e ingranò nuovamente la marcia, insultando il cambio per come non volesse
proprio saperne di seguire le sue direttive.
***
Non
voleva entrare.
Per
la prima volta in sei anni, quell’ospedale le sembrava un grosso mostro che
ringhiava sommessamente nel sonno, pronto a balzare su ed azzannarla
nell’istante in cui avesse tentato di avvicinarsi.
Non
poteva entrare.
Si
sentiva incredibilmente stupida, e non solo perché le stavano tremando le
ginocchia.
Non
sapeva cosa doveva fare, non sapeva cosa avrebbe dovuto dire, non sapeva perché
si stava facendo tutte quelle paranoie. Ed era questo che la faceva sentire una
vera cretina.
Prese
sonoramente un bel respiro, rilassando le spalle: ormai era in ballo, doveva
ballare.
Entrò
lentamente nell’atrio, guardandosi attorno: le sembrava tutto un po’ diverso
quel pomeriggio, come se le cose avessero preso una nuova vitalità che la
rendeva inquieta, più guardinga.
Insomma, Haine! Sei in un ospedale,
mica nella giungla!
Salì
le scale continuando a spostare il cinturino della borsetta sulla spalla con
fare nervoso, senza staccare gli occhi dal pianerottolo successivo. Quando
arrivò finalmente al terzo piano la sua stretta sulla cinghia era diventata
praticamente una morsa; impiegò almeno il doppio a percorrere il corridoio, e
quando passò davanti alla camera della signora Toruhmiya, sperando di vedere
una faccia amica che le desse un po’ di carica, la trovò vuota.
Ormai
senza più scuse, Haine si ritrovò di fronte alla stanza 151. La porta era
socchiusa e sentiva provenire delle voci dall’interno; si accostò con strana
cautela allo spiraglio, sbirciando dentro: Shiro era seduto sul letto, la flebo
nel braccio sinistro, e una corpulenta infermiera con riccioluti e corti
capelli neri era in piedi di fianco, sistemando il sacchetto di plastica appeso
al gancio.
-
Non fare quella faccia! – lo ammonì con fare materno – Il tuo stomaco non è
pronto per ricevere del cibo solido. Non lavora da un bel pezzo, poveraccio!
Shiro
grugnì qualcosa di simile ad un sì.
-
Per questa settimana dovrai accontentarti di questo menù. – fece ancora lei,
indicando la flebo – Tranquillo, ti varierò la dieta, ma devi portare pazienza!
Lui
sospirò, annuendo; Haine, da fuori, si sporse un po’ di più, guardando
preoccupata la sua faccia afflitta. Si sorprese quando vide un sorriso spuntare
magicamente sulle sue labbra.
-
Haine!
La
brunetta trattenne un urletto di stupore, emettendo uno strano singulto.
L’infermiera, avanzando verso la porta come un Panzer ben attrezzato, la
spalancò di scatto; Haine, d’istinto, si acquattò quasi a terra.
-
T’ho! – esclamò la donna ridendo – Una piccola spia!
La
ragazza arrossì vistosamente, rimettendosi in piedi mentre pregava che i suoi
occhi la stessero ingannando e non stesse vedendo Shiro ridere.
-
Avanti, non fare quella faccia! Entra cara.
Haine
obbedì, andandosi rapidamente a sedere sulla sua sedia; mise le mani sulle
ginocchia e fissò per terra, vergognandosi come una ladra.
-
Sei venuta.
Si
costrinse a guardare Shiro in faccia, incrociando il suo sorriso stanco, ma
felice: annuì, sentendosi già meglio.
-
Oh, quindi tu sei la famosa Haine?
-
“Famosa”?
L’infermiera
segnò alcune cose sulla cartelletta che teneva in braccio, annuendo
vigorosamente:
-
Tutto l’ospedale non parla che di te e Shiro, da quando questo monello si è
svegliato.
Arruffò
affettuosamente i capelli del ragazzo, che dovette piegarsi leggermente alla
sua stretta poderosa; Haine aveva la mascella a mezz’asta, lei è Shiro?! Potè solo immaginare con orrore cosa avessero
spettegolato le tirocinanti del primo piano.
-
Comunque, meno male che sei venuta. – riprese la donna – Questo qui ha il muso
da stamattina, gli si allungava ancora un po’ e diventava un cavallo!
Haine
diede un’occhiata interrogativa a Shiro, che rispose facendo spallucce con un
sorriso impacciato: non riuscì a non pensare che fosse carino, davvero molto carino.
-
Beh, giovanotto, io vado. – sospiro ancora l’infermiera – Se succede qualcosa o
avete bisogno di me, chiedete di Mitsumi.
La
donna sorrise e li lasciò soli. Haine tornò a studiarsi le nocche delle mani
senza una parola per una decina di minuti buoni.
-
Haine…
-
S-sì?!
-
Ti ringrazio di essere venuta. – disse piano. Il suo tono mortificato stupì la
brunetta – Mi spiace di averti chiesto questo…
-
Perché scusa?
Lui
si sedette più dritto, stringendo i denti: evidentemente non era semplice
muoversi, ma Haine si trattenne dall’aiutarlo, timorosa forse di offenderlo.
-
Hai già perso un sacco di tempo dietro a me, in questi due anni. – sorrise.
Haine si mordicchiò il labbro, a disagio:
-
Tu come lo sai? – lui sollevò le sopracciglia, allusivo – No, non me lo dire!
Il dottor Ryuichi?
-
Già.
Haine
sbuffò, riacquistando un po’ di baldanza, ma tornò seria quando sentì Shiro
riprendere il discorso:
-
Non avrei voluto darti altri fastidi. – disse, passandosi una mano tra i ciuffi
della frangia – Stai tranquilla, comunque, approfitterò della tua gentilezza
soltanto per oggi!
Haine
non seppe cosa rispondere. Guardò il ragazzo appoggiarsi al cuscino che
l’infermiera Mitsumi gli aveva messo in verticale sulla testata del letto, e
ripensando a tutti i suoi timori si sentì allo stesso livello di un verme.
-
Tu non te ne stai approfittando!
Esclamò
con decisione alzandosi; Shiro la fissò ad occhi sgranati, si aspettava una
reazione ma non che saltasse su a quel modo! Alla sua occhiata la brunetta si
risedette, prendendo a giocherellare con le proprie dita:
-
Cioè… Volevo dire, sì, insomma, non è che per me sia uno sforzo… Anzi, ti
faccio compagnia volentieri…
Si
zittì, mordendo il labbro più saldamente prima di dire altre stupidaggini.
Oh, ti prego! Che qualcuno mi
fulmini!
Shiro
sorrise ancora e, come capendo che la ragazza non sapeva più che pesci
prendere, cambiò argomento e si allungò sul ripiano accanto al letto: la busta
che il dottor Ryuichi gli aveva dato il giorno prima era ancora nello stesso
identico punto in cui l’aveva posata, intonsa.
-
A-allora non l’hai ancora aperta?
Shiro
scosse la testa:
-
Devo ammetterlo, ho decisamente paura a vedere cosa c’è dentro.
-
Ma il dottore non dovrebbe saperlo? – gli domandò – So che di solito stilano
una lista degli oggetti personali contenuti nelle buste…
Lui
fece un gesto vago con la testa, iniziando a giocare col nastro adesivo sul
bordo; gli tremavano le dita. Haine, senza pensarci, allungò la sua mano
prendendo il sacchetto di carta:
-
Ti aiuto?
- … Grazie.
Lo
scotch si tolse con un rumore sinistro, portandosi via una parte della busta
nella sua morsa appiccicosa; Haine, che aveva certo più mobilità nelle dita di
Shiro in quel momento, riuscì a sganciare i lembi della busta dalle ultime
graffette della pinzatrice e il sacchetto, ormai devastato, fu pronto per
liberare i suoi segreti: Haine se ne vergognò un po’, ma avvertì chiaramente un
lievissimo moto d’eccitazione invaderla, mentre Shiro prendeva i poveri resti
della busta tra entrambe le mani e faceva per rovesciarne il contenuto sul
materasso.
-
Sei curiosa?
-
C-come?
-
Sei curiosa. – si rispose da solo sorridendo – Ma a te piacciono queste cose,
vero?
Haine
sgranò gli occhi, riuscendo solo a mormorare:
-
Come fai a saperlo?
Anche
lui sembrò sorpreso, come se si fosse reso conto solo in quel momento di quel
che aveva detto. Scosse la testa:
-
Io non…
Il
discorso fu interrotto dal contenuto della busta che, ormai stufo di
contrastare la forza di gravità, si era lasciato andare sul letto. Shiro
assunse un’espressione marmorea, gettando di lato l’ormai inutilizzabile pezzo
di cartaccia, e allungò appena il collo assieme alla ragazza, osservando il
tesoro.
Tesoro
misero, dovette ammettere la brunetta. Sulle lenzuola candide c’erano soltanto
un piccolo rettangolo di carta, una foto probabilmente, rivolta faccia in giù,
e un ciondolino in legno con un laccio di caucciù; la cosa che aveva dato alla
busta quell’aria così gonfia era una piccola trottola bianca, striata di
celeste e nero, dall’aria assai elaborata, fatta in metallo. Haine la prese
delicatamente tra le dita e inclinò la testa di lato come un gattino,
osservandola dubbiosa:
-
Mi sembra di aver già visto una cosa del genere…
-
È un beyblade.
Haine
si portò la trottola di fronte al naso, guardandola più attentamente:
-
Ah, sì, ora ricordo! Anch’io avevo provato a giocarci, ma mi annoiavo subito…
Shiro,
senza una parola, le sfilò il bey dalla mano, e prese a guardarlo con un
sorriso nostalgico:
-
Credevo fosse andato distrutto…
-
Distrutto?
L’espressione
del ragazzo si fece corrucciata, mentre continuava a fissare l’oggettino di
metallo rigirandoselo tra le mani:
-
Ricordo… Che stavo duellando. Non so perché e dove, ma… Comunque, ho perso.
Davvero malamente. – gli sfuggì una risata che fece solo inquietare di nuovo la
brunetta, ma lei evitò i commenti – Credevo fosse andato in pezzi.
-
… Ci tieni molto, vero?
Lui
annuì, sfiorando il chip sulla cima col pollice.
-
Io non me ne intendo, ma è davvero bello. – ammise Haine, sbirciando il bey
lucente – Ha dei colori bellissimi…!
Shiro
sorrise. Haine, rendendosi conto di essersi sporta troppo sul letto, si rimise
a sedere impacciata:
-
H-ha un nome? – mormorò, cercando di essere naturale – Ricordo che alcuni miei
compagni gli davano dei nomi… Almeno credo…
-
Shallow.
-
“Shallow”? Non vuol dire rondine, in inglese?
-
Già.
Le
mostrò meglio la trottola, così che potesse leggere il nome inciso sulle ali
del disco; perfino sul cip era disegnata l’immagine di una rondinella,
leggermente di tre quarti e con le ali spiegate.
-
Ti piacciono le rondini?
-
Sì…
Gettò
lo sguardo pensieroso alla finestra aperta. Haine, forse stuzzicata dall’idea
di scoprire qualcos’altro su di lui, strisciò la sedia sul pavimento
avvicinandosi un altro po’ al letto, scrutandolo curiosa:
-
Come mai? – l’occhiata dubbiosa del ragazzo la fece subito pentire della
domanda – Cioè, perché…?
-
Sono bellissime.
Shiro
si appoggiò meglio al cuscino, inclinando indietro la testa con aria incantata:
-
Sono animali, ma sono state create in maniera così perfetta da avere
l’aerodinamicità di un aereo; sono in grado di volare per chilometri senza
stancarsi, anche se sono uccellini che raggiungono a stento i diciotto
centimetri, e non perdono la bussola nemmeno se cambiano continente.
Haine
lo fissò sorpresa; Shiro si limitò a sorriderle:
-
Mentre ero a riabilitazione ho cercato di pensare a qualunque altra cosa che
non fosse il mio corpo, così ho rispolverato tutte le cose che ricordo. Direi
che sono tante… - gli sfuggì uno sbuffo amaro – Soltanto di chi sono non
ricordo un accidente!
Haine
lo guardò in silenzio.
-
Perché quella faccia triste?
Alla
domanda del ragazzo lei scosse la testa, fissandolo poi con più decisione
nonostante gli occhi lucidi:
-
Ricorderai tutto! – disse convinta – Ci vuole solo un po’ di tempo…!
Shiro
sorrise, annuendo. Haine si fregò un secondo il viso, indicando poi il letto:
-
E… E quel ciondolino?
Shiro
fece spallucce, non se lo ricordava minimamente. Lo sollevò per il cinturino,
guardando il pendente in legno: da un lato portava scritto un ideogramma,
mentre dall’altro c’era un’incisione un po’ storta.
-
21/03/1985. – lesse Haine sottovoce – E poi… Non riesco a leggere quest’altra
data…
-
Mi sembra… 11/10/1999.
-
Ti dicono nulla?
Shiro
scosse la testa, prendendo a guardare l’ideogramma; Haine strizzò gli occhi per
vederlo bene:
-
Tsubasa?
-
Ali.
Fece
lui. Lei indicò un angolo del ciondolo:
-
Guarda, sembra che sia rotto qui… - lo spigolo era sbeccato, quasi fosse stato
“morso”. - Che peccato!
A
Shiro però non sembrò importare e se lo mise al collo, guardandolo pensieroso.
-
… Che dici, vediamo anche la foto?
Shiro
s’irrigidì, quella sembrava la cosa che davvero voleva evitare di fare; annuì
comunque, mentre Haine la prendeva:
-
La guardiamo assieme. – disse decisa - Uno, due…
La
brunetta trattene impercettibilmente il fiato mentre la voltavano. Ma fu una
delusione: la fotografia era stropicciata, sbiadita e piena di macchie come se
fosse stata esposta ad una fonte di calore. Praticamente era impossibile
distinguere anche solo i colori, figurarsi il soggetto!
Sospirando
la ragazza si risedette composta. Guardò Shiro, passata la paura ora si vedeva
chiaramente quanto fosse amareggiato: le uniche cose che aveva con sé non
potevano dirgli nulla sulla sua vita, era sempre ad un punto morto.
-
Coraggio! – fece lei baldanzosa – Te l’ho detto, ci vuole solo un po’ di tempo!
-
…Grazie, Haine.
-
I-in ogni caso – si affrettò a dire, per non restare imbambolata a fissarlo –
hai parlato di riabilitazione?
-
Il dottore ha detto che dovrò farla almeno per altre due settimane. – sbuffò
lui rassegnato – Non riesco a camminare ancora per più di cinque metri senza
stampelle e non posso muovermi come voglio, la mia schiena è più rigida di
quella di un ottantenne!
Haine
rise a quella battuta; poi le tornò in mente quello che le aveva detto il padre
il giorno prima, e strinse i pugni con forza.
Aveva
deciso.
-
Per quanto tempo dovrai stare ancora in ospedale?
-
Una settimana, almeno. – spiegò lui, senza capire il motivo della domanda –
L’hai sentita la nostra infermierona? Il mio stomaco non vuole saperne di
lavorare, quindi finchè mi devono infilare questo maledetto ago nel braccio per
farmi mangiare non posso muovermi.
-
Mio padre ha parlato col dottore. – lo bloccò – Per te andrebbe bene venire a
stare da noi, una volta dimesso?
Shiro
la fissò ad occhi sgranati, sembrava non aver capito.
-
Come?
-
Da me e mio padre. – ripetè lei – Ha detto di aver fatto una chiacchierata
anche con quell’avvocato, Kiriaki, e che…
-
No, no, aspetta un secondo! – mosse le mani come a chiedere un time out,
guardandola stranito – No, Haine, non posso lasciarvelo fare! Non voglio che vi
prendiate anche quest’onere! E poi… Non voglio essere compatito, anche se ho
bisogno di aiuto.
Lei
gli rivolse un’occhiata quasi ferita:
-
Non vogliamo aiutarti perché ci fai pena! – esclamò – Mio padre… È fatto così,
è un buon samaritano! Quanto a me…!
Si
zittì qualche istante, assumendo un’aria più impacciata:
-
Senti, se devo essere onesta non so spiegarmi perché voglio aiutarti, però
voglio farlo e non certo perchè ho pietà di te!
Lo
sguardo che le rivolse Shiro era indefinibile. Haine lo sostenne, nonostante si
stesse mentalmente maledicendo per il suo solito modo di fare impulsivo e
infantile; pregò per la seconda volta che qualcuno la fulminasse, possibilmente
facendo poi sparire i resti.
-
Sul serio?
Le
rivolse un sorrisetto sornione, ma lei non si scompose:
-
Certo!
L’espressione
del ragazzo si rilassò; Haine sorrise sollevata.
-
Allora… D’accordo.
***
18 Maggio 2002. Bel tempo
Caro
diario,
da giorni non ti scrivo, ma ho avuto così
tanto da fare che non ho trovato proprio il tempo di fermarmi un attimo e
rianalizzare tutto.
Comunque, riprendo il discorso da dove l’ho
lasciato l’altra settimana.
Shiro si è svegliato e sta bene. Almeno,
fisicamente sta bene: il dottor Ryuichi dice che il suo fisico si è ripreso
dalle ferite che aveva quando è entrato in coma e che risponde bene alla
riabilitazione; inoltre, ha ripreso a mangiare normalmente (anche se quasi
tutti cibi liquidi, per il momento) quindi papà potrà farlo venire a casa
nostra entro breve ^o^! L’avvocato di quella sera (ti ricordi che te ne avevo
parlato? Si chiama Kiriaki-qualcosa) a quanto pare ha sistemato tutte le
questioni burocratiche, quindi Shiro potrà stare qui senza impicci.
Sono andata a trovarlo quasi tutti i
pomeriggi anche i giorni scorsi, ma ora che è sveglio studiare è difficile. Lo
so, è colpa mia che non riesco a concentrarmi però -\\-… A mio favore dico che
non è semplice nemmeno con lui che se ne sta zitto sul letto: non so, ha volte
ho l’impressione che prenda a fissarmi, e mi agito >\\\< !
Così, con gli esami in corso, sono rimasta
bloccata in casa ç__ç. Spero di levarmi presto questa grana!
Tra non molto ci saranno le vacanze estive,
sono felicissima! Ne approfitterò per scrivere e per cercare qualche indizio
assieme a Shiro su di lui (lo so, sono già entrata nel ruolo della detective
XD!), sento che mi verranno un sacco di idee per tante nuove storie ^-^!!
Estate… Mi piacerebbe andare al mare x3 (non
qui =_=, in qualche bel posto! Tipo Okinawa *ç*! Sole, sabbia *-*…)! Chissà se
ci riusciremo… Non voglio certo lasciare solo Ribbon! E poi quest’anno c’è
Shiro. Il dottore ha detto che dovrà continuare con la fisioterapia ed altre cose,
poverino! Chissà quando
Haine
smise di scrivere, lasciando la penna nell’incavo delle due pagine con un
sospiro. La casa era silenziosa, suo padre era uscito per motivi di lavoro e
Ribbon dormiva beatamente accanto al letto della ragazza, allungato a terra con
aria da pascià; la brunetta, sdraiata a pancia sotto sul materasso, incrociò le
braccia sotto il petto e vi affondò il viso, prendendo a muovere ritmicamente
la gambe: la fila di libri e quaderni per l’esame di giapponese moderno era là,
ferma ed immobile come una sentinella sulla sua scrivania, ma lei non aveva
proprio voglia di mettersi a studiare, anzi, anche se l’avesse avuta non era
assolutamente in grado di concentrarsi in quel momento.
Non
faceva altro che pensare a come stesse Shiro, ormai non andava all’ospedale da
quasi quattro giorni. Dopo due anni che andava là tutti i pomeriggi le sembrava
così strano…! Inoltre, ora che Shiro era sveglio, l’idea di essersene rimasta a
casa ed averlo lasciato alla mercè delle infermiere e dei dottori, la metteva
in agitazione.
Sprofondò
la faccia contro il materasso, doveva smetterla, non l’avrebbero certo
seviziato a causa della sua assenza.
-
Ribbon, la tua padroncina è una paranoica.
Il
cane alzò appena il muso al suo sospiro, guardando la ragazza che lo fissava
sdraiata sul fianco, per sbadigliarle in faccia e rimettersi comodo.
-
Che insensibile *gocc*!
Haine
sospirò ancora, restando in quella posizione con la mano che sosteneva la
testa. Improvvisamente Ribbon sollevò la testa, in allerta, e prendendo a
scodinzolare si mise sulle quattro zampe, puntando la finestra.
-
Che c’è Ribbon?
Lui
abbaiò in risposta, la bocca aperta e la lingua a penzoloni, felice ed
eccitato. Haine strisciò giù dal letto e si inginocchiò sul mobile sotto alla
sua finestra, scorgendo suo padre parcheggiare nel vialetto e scendere dal
furgone.
-
Beh, era l’ora! – ridacchiò – Dai, Ribbon, vieni, andiamo ad aiutarlo!
Il
cane abbaiò nuovamente, prendendo a girare in tondo al settimo cielo; la
ragazza aprì la porta della stanza e corse giù per le scale, superata
rapidamente dal labrador che quasi la fece cadere tanto balzava invadente sui
gradini.
-
Ciao pa’! – fece allegra la brunetta, aprendo l’ingresso – Si può sapere quanto
ci hai messo a tornare?! Avevo anche preparato il pranz…
La
voce le morì in gola.
Perché Shiro è davanti
alla porta di casa mia?!
Il
ragazzo, con addosso un montgomery troppo grande e probabilmente troppo pesante
per quella stagione, le rivolse un timido cenno di saluto con la mano:
-
Ciao…
Haine
era diventata improvvisamente muta.
- Pensa un po’! – esclamò suo padre ridendo, mentre
si avvicinava ai due con un grosso televisore a 32 pollici in braccio – Stavo
tornando indietro dopo aver preso questo gioiellino da un cliente, e sono
passato in ospedale…
- Il dottor Aoki ha detto che potevo andarmene. –
sorrise Shiro – Così…
Non finì la
frase perché l’uscio gli si richiuse davanti con un colpo sordo. Sentaro e
Shiro restarono immobili a fissare la porta, mentre Haine, dall’altra parte, vi
s’era attaccata di schiena come un geco e tentava di riprendere una
respirazione regolare, rossa in faccia. Si fissò i vestiti, quasi non li
ricordasse: un paio di jeans larghissimi e di un colore che a stento si poteva
definire blu, talmente consunti che in alcuni punti si stavano rompendo ed
altri avevano già vistose toppe azzurro slavato; un top rosa pallido a maniche
corte che, quando l’aveva preso, anche se le sfiorava appena l’ombelico, aveva
detto “ma tanto è così carino! E poi mi fa sembrare più adulta!”, senza riflettere
che poi il suo seno era cresciuto e adesso quello straccetto liso le faceva a
malapena da fascia per coprirle il petto. A concludere lo scempio, calzini
bianchi e capelli raccolti con due codini, a loro volta legati a formare due
anellini di capelli che la rendevano più libera, ma le davano un’aria da bimba
dell’asilo. Credette di morire dalla vergogna.
- Ha-Haine?! – balbettò suo padre – Tesoro, che ti
prende?
- Mi prende che devi avvertire quando porti gente a
casa! – sibilò inviperita – A cosa te l’ho regalato il cellulare?!
- Ma sai che non so usarlo…! – piagnucolò in sua
difesa l’uomo – E poi mi dici che problema c’è?!
- Il problema è che vorrei avere un aspetto mezzo
decente!
- Dai, Haine, non ti preoccupare. – cercò di
blandirla Shiro – E poi sei talmente carina che non dovresti tormentare su cosa
metterti addosso.
Haine rischiò il secondo infarto della giornata,
anche se non era sicurissima di aver capito quel che aveva detto.
- Ehi, cos’è questo? – Sentaro tirò una pacca sulla
spalla di Shiro, ridendo – Vacci piano, sai!
-
B-beh… - balbettò alla fine la ragazza – Io vado a cambiarmi comunque! Voi
entrate intanto!
La
brunetta schizzò su per le scale senza voltarsi. Quando fu nuovamente al sicuro
nella sua stanza, spalancò l’anta dell’armadio e si guardò allo specchio: la
sua carnagione stava sfiorando pericolosamente una strana tonalità di fucsia.
In fondo, però, era normale, non si aspettava certo un commento del genere. A
quel pensiero le sue labbra si piegarono in un sorriso involontario, che si
costrinse a cancellare scuotendo la testa con veemenza.
Meno male che non mi hanno vista
fare questa faccia ebete!
Cominciò
a cercare una maglietta qualunque (ma per lo meno presentabile) tra quelle
impilate nel vano vuoto del mobile, prese il primo paio di pantaloni che trovò
e si sciolse i capelli, legandoli poi in due codini morbidi, quindi scese
nuovamente al piano terra.
Suo
padre e Shiro erano in cucina; Sentaro era intento a prepararsi un caffè,
mentre Shiro stava bevendo da un bicchiere quel che sembrava succo di frutta.
-
Ah, bentornata tra noi! – rise Sentaro; la figlia lo fulminò con
un’occhiataccia – Vabbè, vuoi del caffè?
-
No, grazie papà, mi farò un the più tardi…
Guardò
distrattamente il bicchiere che Shiro aveva in mano e sorrise:
-
Quello è il mio preferito!
-
Scusa, te ne ho rubato uno.
-
Il dottor Aoki ha detto che ti fanno bene. – gli ricordò Sentaro – Zuccheri per
il cervello, ottimi nel tuo caso!
-
E anche nel mio, dato che sto preparando gli esami. – scherzò Haine - La
prossima volta ne prenderai uno dalla tua scorta, papà!
Il
padre in risposta rise.
-
Haine, per favore, potresti accompagnare Shiro nella stanza degli ospiti?
-
Certo!
-
Non preoccuparti, se stavi studiando possiamo andarci dopo…
-
Faccio due minuti di pausa. – ammiccò lei – Dai, vieni!
La
ragazza lo accompagnò nel corridoio; si fermò un istante ad un grosso armadio
nel sottoscala, da cui prese un pacco di lenzuola pulite, poi lo condusse al
primo piano.
-
Qui c’è la stanza di mio padre. – disse, indicando la porta alle loro spalle –
Lì il bagno… E qui starai tu!
Aprì
una porta che dava sul lato della casa affacciato al mare, lo stesso della
mansarda. La stanza era piccola, ma confortevole, e molto pulita anche se
sembrava non vi avesse dormito nessuno da anni. Shiro si perse ad osservarla
attentamente, sentendo un calore provenire da quelle mura come non lo sentiva
da molto tempo.
-
Ah, Haine, non serve! – disse con energia vedendola intenta a preparargli il
letto – Posso farmelo dopo io!
-
Non se ne parla!- esclamò lei – In questa casa rifare i letti è compito mio, e
non cambierà di certo perché ci sei tu!
Lui
la guardò ad occhi sgranati, e si lasciò sfuggire un risolino:
-
Sei decisamente meno docile di quel che sembri.
Lei
arrossì di nuovo, guardandolo piccata:
-
Beh, se è per questo nemmeno tu sembri così…! Così…! Così marpione, ecco!
-
Per quello che ho detto prima? – sorrise sincero – Scusa, ti ho dato fastidio?
Però lo penso davvero.
Haine
sentì il suo cuore saltare un battito, quel sorriso la lasciava spiazzata ogni
volta.
-
N-non è… Che…
Sprimacciò
con forza il cuscino, infilandolo nella federa, senza sapere come continuare.
Lui sorrise di nuovo:
-
Grazie, sai?
-
Per cosa?
Shiro
poggiò il montgomery che Sentaro gli aveva prestato sulla sedia vicino alla
finestra, sospirando:
-
Per comportarti in maniera naturale. – disse sollevato. Haine lo fissò senza
parlare, e sorrise – Anche tuo padre…
-
Mio padre è così come lo vedi. – ammise lei con un po’ di rassegnazione – Stai
tranquillo, non è capace di fingere *gocc*!
Shiro
ridacchiò. Mentre Haine finiva di sistemare le lenzuola, lui si affacciò al
vetro, guardando la lontana linea blu del mare che si delineava appena, vaga,
nell’imbrunire imminente; la ragazza vide un sorriso molto dolce apparirgli in
viso.
-
Ti piace il mare?
-
Sì… - rispose piano – Mi piace moltissimo…
…Ne! … Fr…!
… Fratellone!
-
Shiro?
-
Uhm? Scusa, mi ero incantato un attimo.
-
Niente. Torniamo giù? Papà starà… OH! GUARDA!
La
ragazza lo tirò per una manica, indicando fuori dalla finestra: un lampo nero
tagliò il paesaggio sopra il giardino di casa Ichinomiya, sfiorando con la
punta delle ali il vetro di fronte a loro e scomparendo poi verso il tetto.
-
Era una rondine! Era una rondine, vero?! – fece la brunetta, emozionata – Non
ne avevo mai vista una da così vicino!
Il
ragazzo sorrise alla sua reazione, fermandosi a riflettere:
-
… Avete un sottotetto, per caso?
-
Uh? Beh, sì… Una parte della mansarda è la mia stanza, ma il resto è libero.
-
Come ci si arriva?
Haine
lo condusse, confusa, di nuovo in corridoio, mostrandogli la scala per la
mansarda. Un lato della stanza era stato murato ed una porticina in legno
chiaro si affacciava sulla scala, con la scritta “Stanza di Haine: BUSSARE
PRIMA DI ENTRARE!” in rosa acceso e giallo. Il resto dell’ambiente era
completamente spoglio, se non per qualche ragnatela che si stendeva pigramente
tra le travi; nonostante il sole fuori, l’aria era fresca lassù, e c’erano un
sacco di spifferi che facevano scricchiolare le assi di legno.
-
Shiro, ma cosa stai cercand…?
Lui
le fece segno di fare silenzio. Quatto quatto Shiro si avvicinò alla trave
portante del tetto, allungando la mano come a cercare un alito di vento che gli
indicasse uno spiraglio; dopo un minuto buono il suo viso s’illuminò e, sempre
in perfetto silenzio, fece segno ad Haine di accucciarsi ed avvicinarsi a dove
si trovava lui.
La
ragazza, troppo curiosa, obbedì. Effettivamente c’era un buchino nel tetto,
troppo piccolo per risultare un problema a lei e a suo padre, ma a quanto
pareva utilissimo per qualcun altro. Haine trattenne il fiato.
La
rondine che avevano visto se ne stava tranquilla a poca distanza da loro, un
miscuglio di ramoscelli in bocca, ritoccando quella che sembrava una pallina di
foglie e fango; col beccuccio aguzzo ci lavorò qualche istante poi,
apparentemente soddisfatta, se ne volò via. Quando sparì, Shiro si sporse un
poco verso il nido, stando attento a non toccarlo o a farsi vedere.
-
Non ci credo…! – fece Haine eccitata – Una rondine mi ha fatto il nido in
casa?!
-
Dev’essere una rondine giovane. – mormorò con aria esperta – Ha fatto il suo
nido un po’ in ritardo.
Haine
non trattenne un sorriso.
-
Fanno spesso i nidi in posti simili – continuò Shiro – per tenerli più al
riparo.
-
Dovrò stare attenta a non fare più andare in giro Ribbon qui sopra!
-
Faresti bene. – disse lui, mentre si riavviavano all’uscita – Te l’ho detto, è
in ritardo, ma presto farà dei piccoli.
-
Chissà come saranno belli…!
Shiro
rise sotto i baffi, prendendo a scendere lentamente la scala.
-
Beh, d’ora in avanti questa sarà casa sua.
-
Che vuoi dire?
-
Non lo sai? – la guardò con aria furba – Le rondini non cambiano mai posto per
fare il nido. Tutti gli anni, quando tornano a casa dalla migrazione invernale,
aggiustano i danni e riformano una famiglia nello stesso nido dell’anno
precedente.
-
Sul serio?! – trillò lei, guardandolo ammirata – Non lo sapevo proprio!
-
Ehi, ragazzi! Tutto a posto?
I
due, in piedi di fronte alla scala della mansarda, guardarono sorpreso Sentaro
che sbucava dal piano terra:
-
Vi ho sentiti salire di sopra. Cos’è successo?
-
Una rondine ha fatto il nido su, dalle travi del sottotetto! – esclamò Haine –
Siamo andati a vedere dove.
-
Una rondine? Che strano, siamo già a maggio, è un po’ ritardataria!
-
D’ora in poi stai attento quando Ribbon sale su! – lo ammonì la figlia – Non
vorrei che a quella poverina le uova venissero strapazzate!
-
Haine, che battutaccia *gocc*!
Ma
l’uomo rise lo stesso, seguito a ruota da Shiro. Haine sorrise: nonostante il
fresco della mansarda che sentiva addosso fino a qualche istante prima, sentì
un bel tepore attorno a sé.
Capitolino tranquillo,
l’avevo detto ^^”””… Sto iniziando a delineare un po’ come andranno le cose, ma
per qualcosa di interessante dovrete aspettare il next cap ^^! Non posso
garantirvi (anzi dubito ç_ç) di essere così veloce, ma non si sa mai!
Aspettatemi fiduciose ^^!
Ringrazio di cuoreeeee:
Violet_Rose: piccole, non bisticciate! (a ridagli con ‘sto “piccole” =__=”!
ndViolet_Rose) La vostra curiosità dovrà aspettare ancora un po’ sorry :*… Cmq,
se la cosa vi rende felici, sappiate che i prox chappy saranno mooooolto + succosi ;)…
Ella_Sella_Lella: beh, quel “e non” mi consola, allora non sono così prevedibile
(ç__ç) XD. Ho corretto il tuo vecchio account dalla lista nel cap precedente, e
ti ringrazio x aver messo entrambe le ficcy tra i preferiti ^^! Me commossa
ç\\ç!!
Ametista: ADDIRITTURA O_O?! troppa grazia, troppa grazia ^\\\\^!!! Noo,
non morire, ecco, vedi? Ho già aggiornato ^o^! Ma non morireee ç___ç!
Addirittura 9?!? Mi monterò la testa XD (sei già abbastanza montata ndKei –
Autrice malata ndYuri – Autrice scema ndDaichi – Autrice smielata ndMax_e_Rei –
BASTAAAAA +_____+****!! Allora alla prox che faccio vi faccio morire tutti in
combattimento, così siete contenti +___+!!! ndRia – Scusi, perdono o___o””!
ndTutti); spero che anche questo cap ti piaccia! Alla prox onee-chan!