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Autore: Ria    13/03/2009    3 recensioni
- Ma davvero... Nient'altro?
Il ragazzo sospirò, guardando il ciliegio del giardino che metteva i primi boccioli.
- No. - disse lentamente - Solo il mio nome.
La storia che nessuno conosce. La storia che tutti credono mai esistita. Mentre fuori gli eventi si muovono, preparandosi per lo scontro finale, lui resta in un angolo di paradiso, per trovare la cosa più preziosa.
Seconda Spin-Off sulla fanfic "Psaico", leggete e commentate in tanti mi raccomando ^^!
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Lo so, lo so cosa state per dire ^^””. “Ma come?! Sta maledetta non aggiorna per una vita, poi ce ne spara due di fila?! Ma è scema?!?”. Sì, ne sono consapevole di essere una malata ^^””, ma vedete, ho avuto una settimana decisamente… Calma (per dire che non avevo una mazza da fare xD!) così mi sono rimessa dietro alle ficcy… E, finita “La Storia dello Sciacallo”, continuando il nuovo cap dei Diaries che non ne vuole sapere di venire fuori… Ho concluso anche la seconda parte di “Psaico Secret Files” xP! Che posso dire, se comincio, non la smetto +! (Chi ha letto Psaico ne sa qualcosa XD…).

Ecco quindi la seconda Spin-off su Psaico. Anche questa sarà di tre cap al massimo, e stavolta il protagonista sarà qualcuno di decisamente inaspettato! Una storia che avrei tanto voluto mettere in Psaico, ma che mi deviava troppo dal corso della storia (e mettevo altra carne in tavola, che ce n’era a sufficienza ^^”!) e alla fine eccola qua!

Solo due note prima di iniziare…

Il nome “Haine” è un omaggio alla sensei Arina Tanemura e al Manga “Gentlemen’s Alliance Cross”, forse uno dei + belli che ho letto negli ultimi anni ^o^! inoltre gli ideogrammi con cui è scritto mi saranno utili in futuro ^^…

Il nome Ryuichi Aoki è nato per caso, perché mentre scrivevo questo cap avevo sotto gli occhi un manga di Chito Saito… Solo dopo mi sn ricordata che anche papino Aoki si chiama così ^^””, ma ormai il nome mi piaceva xD!

Ci vediamo in fondo gente ^o^!!

 

 

 

 

Buio.

Il freddo che ti stringe il petto in una morsa. Ti soffoca.

La sensazione dell’erba sulla faccia.

La pioggia sopra.

Il sapore del sangue in bocca.

 

Dove… Sono…?

 

- Papà! Papà corri, ti prego! C’è qualcuno qui!

 

Chi sono io?

 

 

Paragrafo 1 ◦ La studentessa e il ragazzo chiamato John Doe(*)

 

 

2002. Maggio.

 

Con aria trafelata Haine attraversò il cortile in cemento dell’ospedale, la borsa a tracolla che persisteva a voler cadere dalla sua spalla; lottò strenuamente finchè la maledetta non acconsentì a passare docilmente la sua cinghia oltre il collo della brunetta, in modo da non dover essere tenuta con entrambe le braccia di quest’ultima per evitare che rovinasse a terra.

Cercando di riassestarsi quanto meglio poteva, Haine rallentò il passo, scorgendo già una delle infermiere squadrarla arcigna per il suo correre. Con calma la ragazza prese il corridoio dell’ala est, seguendo obbediente i cartelli appesi alle pareti. Non che ce ne fosse veramente bisogno, ormai conosceva la strada a memoria.

Salì due piani di scale, sempre in silenzio e lentamente, ma incalzava impercettibilmente il passo quando era fuori portata degli occhi delle infermiere e dei dottori; qualche paziente del reparto di pediatria del primo piano, ormai vecchie conoscenze, la salutò da dietro le porte antincendio facendole segno di accelerare, che non c’era nessuno in vista.

Quando arrivò al terzo piano, ormai quasi correva. La vecchia signora Toruhmiya, degente in attesa di un trapianto di rene (“Quel monello! – ci scherzava sempre sopra – Non vuole saperne di funzionare come si deve…!”) vedendo la ragazza le fece segno di avvicinarsi alla sua stanza, il sorriso in parte sdentato che le si apriva radioso sul viso:

- Sei in ritardo, piccola Haine.

- Lo so, signora! – si giustificò la ragazza senza un motivo preciso – Ma oggi ero di turno per le pulizie, così ho fatto tardi per cambiarmi e…!

- Non preoccuparti. – sorrise ancora la donna – Vorrà dire che verrò a farti visita io. Ora vai, è già tardi.

La ragazza annuì e sfrecciò verso il fondo del corridoio.

I suoi occhi color cioccolato sfiorarono leggeri le targhette sulle porte, seppure sapesse benissimo che stanza dovesse cercare.

143.

147.

151. Eccola.

Haine aprì lentamente la porta, come se temesse di svegliare qualcuno. Per un istante, dovette ammetterlo, lo sperò.

Ma come sempre nessuno si mosse in quella stanza. La figura sdraiata sul letto, immobile, non reagì minimamente alla sua presenza, nemmeno quando lei, con un sorriso un po’ triste, prese la sedia bianca dall’angolo e la portò vicino al lettino.

- Ciao. – disse con un sorriso – Ehi, oggi abbiamo davvero un bel colorito! Sono contenta!

Esclamò allegra, poggiando la sua borsa accanto alla sedia. La figura sul letto non si mosse.

Haine sospirò, guardando il ragazzo sdraiato sul materasso candido.

Doveva avere al massimo vent’anni, tre più di lei; aveva i capelli castani, più sul nocciola rispetto ai suoi che tendevano prepotentemente al biondo, e nonostante le infermiere glieli accorciassero di quando in quando, questi continuavano a crescere con stizza attorno al suo viso, dai tratti giapponesi. Non sapeva di che colore avesse gli occhi, perché non glieli aveva mai visti aperti, ma i dottori avevano detto che erano neri. Troppo vago, aveva sempre pensato, neri come? Come la pece? Neri come il mare di notte, così lei se li era immaginati, ma non aveva mai osato chiedere conferma. Haine non sapeva nemmeno che voce avesse quel ragazzo.

Ma da ormai due anni, tutti i giorni, dalle quattro fino alle sette, Haine entrava nella camera d’ospedale di quel ragazzo.

E gli parlava.

I dottori dicevano che gli faceva bene. L’encefalogramma di quel ragazzo era ancora ben attivo, e forse sentire la voce di qualcuno lo avrebbe fatto svegliare dal coma.

Così, Haine insisteva.

Tutti i giorni.

Arrivava in ospedale con la sua borsa, piena di libri di scuola, quaderni e block-notes, saliva fino alla stanza 151 del terzo piano, si sedeva sulla sedia in plastica bianca; faceva i compiti, scriveva certi suoi appunti sul suo quaderno dalla copertina rosa, e parlava.

Attenta ad ogni più piccolo movimento, ogni respiro più rapido, Haine parlava della sua giornata, di suo padre, dei professori che la crocifiggevano con tonnellate di compiti, dei pensieri che scriveva su quel quaderno rosa.

E aspettava.

Qualche compagna, a scuola, venuta a conoscenza di quell’usanza, le aveva chiesto perché. Magari erano parenti, avevano supposto, o magari stavano assieme quando lui era entrato in coma. Forse era un amico di famiglia.

Assolutamente no.

Haine non aveva mai visto quel ragazzo.

Non sapeva neppure il suo nome.

Lei e suo padre avevano trovato il suo corpo, una notte piovosa di due anni prima, malconcio e praticamente in fin di vita. Lo avevano portato in ospedale, dove i medici avevano tentato di rianimarlo, ma lui era entrato in coma e non s’era più svegliato.

Oh, avevano cercato, certo, notizie su di lui. Ma nulla.

Quel ragazzo sembrava non avere nessuno al mondo.

- Ma tu sei matta! – aveva esclamato la sua capoclasse, calcandosi sul naso appuntito gli occhiali neri – Magari è un teppista!

- Sì, uno yankee! – aveva detto qualcun’altra, fantasticando.

- Magari è figlio di yakuza ed è finito così in una sparatoria.

“Non aveva proiettili in corpo.”. aveva pensato con sufficienza Haine, ritenendo che fosse inutile puntualizzare, dato che non avevano ascoltato solo una parola della sua spiegazione.

Quel ragazzo era solo.

E ad Haine come motivazione bastava.

Quando i medici avevano annunciato che il paziente della 151, da quel momento, avrebbe ricevuto il nome di John Doe, lei aveva deciso.

- D’accordo! – esclamò, prendendo il libro di algebra – Diamoci sotto!

 

Non so dove sono.

Mi fa male dappertutto, mi sento come legato.

Da quanto tempo è che non mi alzo in piedi?

Sento il sole sulla faccia, il vento dalla finestra. Ma i miei occhi non riesco ad aprirsi.

Sono stanco…

Sono così stanco…

 

Sento qualcuno che entra nella stanza.

Riconosco i passi.

È arrivata di nuovo.

Lei viene tutti i giorni.

Tutti i giorni, e aspetta.

Che mi alzi.

Che parli.

Che mi svegli.

Ma io non riesco a svegliarmi.

Mi sento così stanco…

 

Per qualche minuto la sua voce mi arriva lontana, come da un’altra stanza.

Sto sognando di nuovo…

Chi siete?

Laggiù…

C’è qualcuno?

No, aspettate, non vi allontanate!

 

La sua voce torna chiara, nitida.

Sono scappato di nuovo.

Continuo a vedere quelle figure, ma non riesco a raggiungerle.

Il mio corpo non si muove.

E io volto loro le spalle.

Sono troppo stanco…

 

***

16 Settembre 2000. Ore 22.57.

 

Ad Haine non erano mai piaciuti gli ospedali.

Per dirla tutta, li detestava.

L’odore, per cominciare. Quella puzza acre di disinfettante, di anestetico, di lattice, di plastica.

Di artificiale.

Le metteva i brividi, più che un posto per salvare le persone, le dava la sensazione di un laboratorio di ricerche. Su cavie umane.

Poi il colore.

Bianco.

Ovunque si voltasse, tutto era inghiottito dal bianco.

I camici dei medici. Le lenzuola dei letti. I muri. Le porte. La luce delle lampade al neon, così forte che feriva gli occhi.

Le facce dei pazienti.

Haine odiava gli ospedali.

Ma quel giorno doveva resistere.

Rannicchiata come un topolino sulla seggiolina di plastica rigida della sala d’attesa, fuori dal reparto di terapia intensiva, voleva resistere. E pregava.

Pregava con tutta se stesse per quel ragazzo che, meno di venti minuti prima, lei e suo padre avevano trovato sotto il guard-rail della tangenziale.

Non avrebbero nemmeno dovuto farla, quella sera. Ma suo padre, con tutta quella pioggia, non s’era fidato a prendere l’autostrada.

- E se succede qualcosa al nostro bagaglio? – aveva domandato, indicando il carico di vecchie tv coperte da un telone consunto, nel retro del camioncino – No, no! Molto meglio fare una strada che conosco bene, con questo tempaccio!

Così erano saliti col camion tossicchiante per quella strada sinuosa come un serpente, arrancando sull’asfalto viscido e coperto di fango. Il paesaggio fuori dal finestrino era solo un buco nero sferzato da gocce argentee, di quando in quando illuminato dalla luce bianca dei fari.

Fu in uno di quegli attimi, che lo vide.

- Oh, kami-sama…! Papà, frena!

L’uomo, alla voce spaventata di Haine, aveva inchiodato, facendo scricchiolare indispettito il vecchio furgone. Senza aspettare che le chiedesse qualcosa la ragazza era saltata fuori, scendendo lungo il crinale.

L’erba era viscida e non riusciva a stare in piedi bene. C’era buio pesto e non vedeva nulla oltre il suo naso, cosa che peggiorò in pochi secondi quando la pioggia le inzuppò i capelli, che le caddero davanti agli occhi.

Eppure l’ho visto!

Infatti, eccolo.

Sprofondato nella fanghiglia del terreno, con la faccia a terra, c’era un corpo. Quando lo vide Haine fu pervasa da un brivido gelido, e nella sua mente si formò solo una parola.

Cadavere.

Con le mani tremanti ed intirizzite dall’acqua gelida, la brunetta allungò un dito vero il collo del ragazzo. Non dovette neppure toccarlo.

Respira!

- Papà! Papà, vieni qui!

Poi fu una corsa disperata all’ospedale. Non chiamarono nemmeno l’ambulanza, sapevano benissimo che con quel tempaccio il grosso sedere dell’autolettiga non sarebbe riuscito a salire il crinale, figurarsi a ridiscenderlo! Quel ragazzo sarebbe morto molto prima.

Perché stava morendo: perfino loro due, padre e figlia, lei che odiava il sangue e lui che di corpi umani ci capiva quanto una persona comune ci capiva di televisori (dell’interno, almeno) lo avevano capito.

Quando arrivarono all’ospedale i medici lo confermarono, mentre portavano lo sfortunato frettolosamente in sala operatoria.

Da allora era passata un’ora.

Nessuna notizia.

Haine, infreddolita fino alle ossa nonostante il cambio d’abiti che un’infermiera gentile le aveva dato, continuava a fissare preoccupata la lucina rossa sopra la porta in cui il ragazzo era sparito: Operazione in Corso.

Sospirò, tirandosi un po’ più su i calzini enormi che l’infermiera le aveva dato. Non trattenne uno sbuffo, era stata gentile, ma quel donnone era almeno quattro volte lei, doveva stare attenta o ogni tre secondi rischiava di mostrare qualcosa a metà degli sconosciuti in quella stanza.

I suoi pensieri s’interruppero bruscamente. La luce sulla sala operatoria s’era spenta.

 

***

 

Haine si stiracchiò, sbadigliando:

- Che palle…! – sospirò – Chissà se sei bravo di matematica… Se sì quando ti svegli dovrai aiutarmi, io non ci capisco nulla!

Rise, guardando il ragazzo dormire. Poi sbuffò ancora:

- Aaaah, ma a cosa mi serviranno mai queste cose nella vita?! – sbottò – Devo sapere addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione! E se vogliamo esagerare le frazioni! Cosa mi frega sapere che x2 = y?!

Un’infermiera, passando di fronte alla stanza, si affacciò con aria severa, facendole segno di tacere. Haine si tappò la bocca con la mano, annuendo, ma appena la donna se ne fu andata le fece una linguaccia:

- Vecchia befana!

 

Mi viene da sorridere.

Ormai conosco bene questa ragazza.

A volte si perde nei suoi pensieri e si mette a parlare ad alta voce, senza riflettere.

È divertente.

So che non le piace la matematica.

Le piace scrivere.

Scrive spesso.

Si mette accanto a me e scrive.

Scrive bene.

Mi piacciono i suoi pensieri.

Sono leggeri, freschi. Eppure profondi.

Sento che sono diversi dai miei.

Io ricordo solo il buio.

Oh no…

Sto sognando di nuovo…

Come mi sento stanco…

Chi mi chiama…?

 

- … One…! Frat…!

 

***

 

- Le sue condizioni sono stabili, per il momento. – disse il medico con tono quasi di sufficienza – Ma la carenza di ossigeno al cervello è durata troppo a lungo.

Haine, dall’angolo, guardava l’uomo in camice verde menta parlare con suo padre, la stessa aria preoccupata della figlia.

- E… Quindi? – domandò l’uomo titubante.

- … È in coma.

Coma. Quella parola ferì le orecchie di Haine con una forza spaventosa, che nemmeno lei si aspettava.

- Quindi lui… Non… Si sveglierà più…? – chiese lei flebilmente.

- No. – disse il medico deciso – C’è, anzi, un’alta possibilità che apra gli occhi.

Padre e figlia sospirarono di sollievo, nonostante la risposta così semplicistica potesse sembrare troppo ottimista.

- Dunque…

Il medico porse un braccio nell’aria, facendo un cenno con la mano. Due uomini, in giacca e cravatta, si avvicinarono ad Haine e a suo padre, uno con una ventiquattrore in mano e l’altro un plico di fogli sottobraccio.

- Voi due siete i soli testimoni dell’incidente. – spiegò il dottore – O, per lo meno, gli unici che al momento abbiano a che fare col ragazzo.

- Dovremmo solo farvi alcune domande. È la procedura. – aggiunse uno dei due uomini in nero, con voce ferma.

- Sì… Certamente.

Il padre di Haine si fece docilmente guidare dai due verso una saletta privata. Fatti pochi passi, quello con la ventiquattrore si girò verso Haine:

- Anche lei, signorina, per favore.

Haine trasalì appena. Guardò il dottore con aria indecifrabile, e lui le sorrise con gentilezza, facendole segno di andare.

 

***

 

Senza troppe cerimonie Haine sbattè il quaderno di matematica nella borsa. Subito, il libro di letteratura giapponese, quello di cinese antico e quello d’inglese gli fecero compagnia, rotolando cupi con un inquietante scricchiolio di carta.

- Insomma, basta! – pigolò lei, guardando l’orologio al suo polso – Le sei! Sono bloccata su questi stramaledetti libri dalle sei! Ora basta!

- Su, calmati piccola Haine…

- Sì, lo so, signora Toruhmiya, però…!

I suoi occhi si posarono un istante sulla figura del ragazzo. La donna sorrise:

- Hai la scuola, tu. – le disse con dolcezza – Non puoi non fare il tuo dovere. E poi, pensa, se dovessero darti delle lezioni di recupero, non riusciresti più nemmeno a venire.

Lei annuì. La signora aveva sempre ragione, alla fine.

- Va bene… - sospirò la donna, alzandosi – Grazie della compagnia, piccola Haine. Ora è meglio che torni nella mia camera…

- No, grazie a lei signora Toruhmiya! – esclamò la ragazza grata – E grazie per quella dritta su giapponese…

La donna le fece l’occhiolino:

- Solo per questa volta. Impegno, cara. Ci vediamo domani.

La figura della signora Toruhmiya svanì lentamente nel corridoio, e Haine si risedette, avvicinando la sedia al lettino bianco. Guardò un istante il viso del ragazzo addormentato e non potè non sorridere, era parecchio carino.

- Scusami se oggi sono stata così impegnata. – disse, rannicchiando le gambe al petto. Lo faceva sempre, quand’era nervosa o quando era intenta a raccontare qualcosa – Tra poco ci saranno gli esami di metà trimestre e… Mamma mia! Non ci voglio pensare!

Osservò un istante il suo “amico” in silenzio, quasi assimilando il ritmico alzarsi ed abbassarsi del lenzuolo al suo respiro.

- Ho finito di scriverla, sai? – disse allegra – Quella storia di cui ti avevo parlato, ti ricordi? Se ti va te la leggo!

 

Si, la ricordo.

L’idea era carina, devo ammetterlo.

 

- D’accordo… Vediamo…

 

Mi piace sentirla leggere le sue storie.

Ci mette molto impegno, e si vede.

O meglio, io lo sento.

Da come le trema la voce, emozionata.

Questa storia mi piace molto.

Parla di una ragazza che disegna fumetti (un po’ si è ispirata a sé stessa, lo ammette) ed è innamorata di un ragazzo. Però non sa se a lui interessa.

Un giorno riesce a trovare un vecchio incantesimo in un libro in biblioteca, di quelli che fanno le ragazze per divertirsi. Per esprimere un desiderio: un desiderio e questo si avvera.

La ragazza prova. Come per incanto, si ritrova il ragazzo tanto sospirato in casa sua.

Solo che ha le dimensioni di un topolino.

La ragazza, pensando di vivere uno dei suoi manga in cui alla fine i due protagonisti s’innamorano, lo accudisce e lo protegge, senza pensare che questo ragazzo ha una vita, una famiglia. Forse una ragazza. Ma la protagonista lo vuole tutto per sé, e non c’è verso che qualcosa la tocchi.

Finchè un giorno, lui scopre la verità sul perché è ridotto a quelle dimensioni, e s’infuria con lei. La ragazza capisce l’errore e, nonostante le lacrime, riesce a trovare il modo per riportarlo come prima.

E lasciarlo alla sua vita.

Non c’è l’happy ending, almeno non come uno se lo potrebbe aspettare. Ma la protagonista è maturata, è cresciuta, e il ragazzo sta bene.

Forse l’happy ending c’è.

 

***

 

- Allora, riepiloghiamo i suoi dati…

- Sentaro Ichinomiya. – sospirò il padre di Haine, stravolto – 43 anni. Vedovo. Padre di Haine, quattordic’anni, terzo anno delle medie(**). Ho un piccolo negozio di elettronica e televisori usati. No, non ho mai visto quel ragazzo; no, non so come si chiama e no, non sono solito far la tangenziale per tornare a casa; è stato un caso.

- Non sia così pungente, signor Ichinomiya. – lo seccò uno dei due avvocati dell’ospedale – Sappiamo che è snervante, ma è la procedura, gliel’ho detto.

Il signor Sentaro si massaggiò il collo, stanco, mandando un’occhiata in tralice alla figlia: anche lei aveva l’aria di chi si sta per addormentare sul posto.

- Allora? Tutto a posto?

- Sì… E no.

- Come sarebbe?! – sbottò Sentaro esasperato – Vi ho detto tutto…!

- Non per voi. – si affrettò ad aggiungere l’avvocato – Per il ragazzo.

Padre e figlia li guardarono senza capire. L’avvocato con la ventiquattrore si allentò un po’ il nodo della cravatta, sospirando:

- Ovviamente, l’ospedale compirà delle ricerce… - disse quasi sovrappensiero – E continuerà le cure, certamente…! Ma…

- Ma?

Haine guardò l’uomo con aria trepidante. Quello sospirò più forte:

- Da come ci avete raccontato i fatti, sembra improbabile che troveremo qualcuno collegato a quel giovane.

- Vorrebbe dirmi che è da solo? – chiese titubante Sentaro. L’avvocato annuì lievemente.

Scese il silenzio. Haine, ormai quasi allungata sulla sedia, fissava i due avvocati con gli occhioni sgranati.

- Bene. – concluse l’uomo, alzandosi – Ora contatteremo le autorità. Si dovranno occupare loro di cercare i parenti di quel ragazzo.

- Mi scusi…

I due uomini si fermarono sulla soglia. Sentaro, al cui braccio Haine s’era aggrappata, li scrutò torvo:

- Potremmo… Potremmo essere informati sulla vicenda?

- Impossibile. – lo seccò subito uno dei due – Voi non siete implicati e…

L’altro uomo gli fece segno di zittirsi. Guardò padre e figlia, scrutando con un sorriso impercettibile lo sguardo risoluto di Sentaro: si poteva leggere a chiare lettere che era una di quelle persone che non riesce a non sentirsi coinvolta in qualcosa.

- Questo è il mio numero. – disse l’avvocato, porgendo un biglietto da visita immacolato – La procedura non sarebbe ortodossa, ma la terrò informata.

- La ringrazio.

L’avvocato fece un segno di saluto e uscì col collega. Haine guardò suo padre sorridendo, prendendogli con delicatezza il biglietto dalle mani:

- Troveranno qualcosa, papà?

L’uomo scosse la testa:

- Non lo so.

 

 

2 Ottobre 2000.

 

Con uno sbuffo Haine sfogliò per la trecentesima volta il giornale del giorno prima. Un piccolissimo trafiletto, quasi invisibile, nella pagina di cronaca locale, recitava:

 

La polizia chiude il caso di “John Doe”

Il giovane, entrato in coma la notte del 16 settembre di quest’anno, è lasciato alle cure dei medici senza aver ritrovato la propria identità.

 

Le ricerche sul giovane adolescente ritrovato circa tre settimane fa dal nostro concittadino Sentaro Ichinomiya e dalla figlia Haine, sono state ufficialmente archiviate: nonostante l’impegno degli ufficiali del comando locale, non si sono trovate notizie su John Doe (nome sconosciuto, età sconosciuta, di nazionalità giapponese) e il commissario in capo ha annunciato la chiusura del caso.

<< È come cercare un ago in un pagliaio >> ha detto il commissario << Il ragazzo non ha precedenti, non è registrato in nessun archivio cittadino e non è stato riconosciuto da nessuno, almeno per il momento. Non sono state trovate denuncie di scomparse recenti, perciò possiamo solo abbandonarci ad ipotesi. >>

 

Ipotesi… Quell’ultima parola fece salire ancora il sangue alla testa alla brunetta.

Chiudevano così la cosa?! Ma se non avevano fatto altro che ipotesi, in quelle settimane! Altro che ricerche!

Appena la notizia era arrivata alle orecchie dei giornalisti locali, era scoppiato il putiferio.

Una settimana di paginate con supposizioni, voci mai verificate, “scoop eccezionali” (uno, in particolare, Haine l’aveva ritagliato ed appiccicato con lo scotch alla scrivania. Recitava: il nostro John Doe, spia internazionale per la nanotecnologia, ferito al riconoscimento durante una colluttazione con le guardie del centro xxx. Assolutamente da ridere). Tutti assurdi e tutti, ovviamente, cestinati dalla polizia.

Poi la fiammata s’era placata. Dato che non arrivavano più notizie interessanti e ancor meno notizie utili, l’interesse per John Doe (quanto trovava irritante quel nome!) era sciamato, limitando gli articoli a piccoli trafiletti di cronaca.

Fino a quello.

Avevano archiviato il caso. Ad Haine  veniva una rabbia folle a pensarci, perché non si erano impegnati un po’ di più?!

Tre settimane! Tre misere settimane!

- Che vuoi farci? – aveva tentato di consolarla suo padre – Questa città è piccola. Non abbiamo l’Interpool come poliziotti, e i nostri agenti si devono preoccupare più dei teppistelli che vanno in giro a far danni che di quel povero ragazzo…

Lei, al suo tono, non aveva commentato.

Haine sbuffò di nuovo. Scacciò con malagrazia il giornale da davanti a sé, cercando di centrare la scrivania: quello, ovviamente, sfiorò la superficie del tavolo con un angolo, e poi incurvò planando a terra. Lei lo ignorò, poggiando la testa al vetro.

Stese le gambe sul piccolo mobile sotto la finestra e prese a guardare fuori, distrattamente. Il grande ciliegio del giardino, l’unico di tutta la zona che, nonostante mettesse su quintali di fiori e nemmeno un frutto, non era ancora stato abbattuto, era spoglio e segnato dal brutto tempo, i rami secchi che si stendevano faticosamente fino a quella finestra della mansarda, sventolando al vento freddo sotto gli occhi di Haine.

Le piaceva quell’albero. Come le erano sempre piaciute le mansarde: era come vivere sul tetto, costantemente a contatto col cielo, solo che avevi delle pareti attorno che evitavano di farti prendere in testa pioggia, neve e quant’altro. Per quello, quando lei e suo padre si erano trasferiti in quel piccolo paesino dell’Hokkaido a ridosso del mare, lei aveva subito mirato quella stanza.

Haine guardò ancora fuori dal vetro, stavolta puntando il giardino. Suo padre era tutti intento a raccogliere le foglie morte dal prato, cosa che Ribbon, il loro labrador di due anni, non sembrava granchè intenzionato a lasciargli finire.

Le scappò da ridere. Poi, inavvertitamente, il suo pensiero tornò a quel ragazzo all’ospedale.

Pensò un istante di essere al suo posto e cosa avrebbe provato: come si sarebbe sentita a non vedere vicino i suoi cari, se accanto a lei non ci fossero stati Ribbon e suo padre, a vegliare sul suo capezzale?

Se non ci fosse stato proprio nessuno?

Senza pensarci, Haine afferrò la borsetta blu che sua madre le aveva regalato anni prima, corse giù per le scale e, afferrata la giacca al volo, uscì in giardino.

- Haine? – le domandò il padre, mentre Ribbon le andava incontro scodinzolando – Dove stai andando?

La ragazza diede una carezza rapida al cane, intimandoli poi di stare buono; lui ubbidì, uggiolando un poco.

- Te lo spiego più tardi papà! – fece trafelata, uscendo dal cancello – Quando arrivo ti chiamo!

- Ma… Haine?!

 

Arrivare all’ospedale fu semplice, la linea 32 ci passava proprio di fronte. Fu trovare la sua stanza che fu più complicato.

Quando al punto informazioni domandò all’infermiera, questa le rispose con un’occhiata acida:

- Mi dispiace, ma solo i parenti e le autorità sono autorizzati ad andare in quella stanza.

Haine non aveva saputo come replicare.

Maledicendo quella bacchettona, aveva preso a scrutare con noncuranza i cartelli che indicavano i vari reparti, ma non riusciva a ricordare dove lui fosse degente.

“Accidenti…!”.

- La signorina Ichinomiya?

Haine sobbalzò a quella voce. Si voltò, rischiando di farsi cadere di mano la borsa:

- Lei… - mormorò, col cuore ancora in gola – È l’avvocato di quella sera…!

L’avvocato le sorrise:

- Cosa sta facendo qui?

- … Io… Ho saputo che hanno archiviato il caso. – mormorò – E… E…

Si zittì e nascose il viso dietro la borsa, che teneva con entrambe le braccia, in imbarazzo: non sapeva come continuare. L’avvocato annuì:

- Vieni con me.

 

L’uomo la condusse fino al reparto del terzo piano. Qui le disse si sedersi alcuni minuti sulle panche in corridoio, ed entrò in una stanza leggermente più piccola delle altre: sopra, il cartellino diceva “Dott. Aoki Ryuichi”.

L’avvocato uscì poco dopo assieme a quel dottore, e Haine riconobbe subito il medico che aveva parlato con lei e suo padre la sera che avevano portato quel ragazzo in ospedale.

L’uomo le sorrise con gentilezza e le fece segno di seguirlo.

Quando furono davanti alla 151, Haine ebbe un attimo di paura. Un vago ricordo le assalì la memoria, e di colpo avrebbe voluto solo poter scappare.

- Entra, stai tranquilla. – la incitò il dottore.

Lei annuì incerta.

Il dottor Aoki ai avvicinò al lettino, controllò la flebo e tutto il resto delle strumentazioni, mentre Haine gli si affiancava titubante. La brunetta scrutò un poco il profilo del ragazzo: la mascherina per l’ossigeno gli copriva metà del viso, ora ripulito e coperto soltanto da una piccola benda bianca sulla fronte, ma erano le uniche due cose “fuori posto”, in quell’immagine.

Sembra proprio stia dormendo…

- …Quindi, vedi questo?

- C-come?

Haine sobbalzò, persa nei suoi pensieri non si era accorta che il dottore le stava parlando.

- Vedi questo? – ripetè l’uomo.

Stava indicando uno dei piccoli schermi accanto al lettino. Un cavetto bianco usciva dall’apparecchiatura e si perdeva tra i ciuffi bruni del ragazzo, collegandoli; sullo schermo nero una linea anch’essa bianca si muoveva sinuosamente, affiancata da gradazioni che Haine non conosceva. Sentì un brivido percorrerle la schiena, quel coso emetteva un bip sordo che le gelava il sangue.

- Stima il suo encefalogramma. – le spiegò il dottore – Per fartela breve, ci dice quanto sta funzionando il suo cervello.

- E… Quindi? – domandò lei timida, sentendosi un po’ ignorante a quella domanda.

- Vedi come quella linea si alza ed abbassa? – continuò lui – Significa che il cervello di questo ragazzo è ancora attivo. Finchè resta così, c’è la possibilità che si risvegli.

- M-ma allora… - riprese lei – Tutti quegli altri macchinari lì…?

- Lo aiutano. – fece il medico brevemente – Ma la cosa fondamentale è che il cervello sia attivo. Nell’istante in cui l’encefalogramma sarà completamente piatto, anche se le macchine continueranno a farlo respirare, lui sarà ufficialmente morto.

Haine deglutì sonoramente.

- Lui, in questo momento, sta pensando. – spiegò – Beh, è difficile saperlo e non è propriamente tecnico, ma possiamo metterla così.

- P-perché mi dice questo?

Il dottore sospirò, rivolgendole un sorriso triste.

- A dire la verità non avrei voluto chiedervelo, signorina Ichinomiya. – mormorò. Ad Haine non piacque granchè che le desse nuovamente del “lei” – Ufficialmente non potevo più coinvolgere lei e suo padre. Però, dato che è venuta qui…

- Cosa, dottore? – fece un po’ esasperata.

- … A lei importa di questo ragazzo?

Haine sentì di arrossire lievemente. Scacciò quella sensazione, guardandolo risoluta:

- Sì. Io… Non me la sento di lasciarlo da solo.

L’uomo sorrise.

- Bene. Allora devo chiederglielo.

- Mi dica.

- Lei… Sì, quando può… – si affrettò ad aggiungere – Basta ogni tanto…! Dovrebbe venirlo a trovare. Stare con lui, e parlargli, anche.

Haine lo fissò confusa:

- Ma… Ma se lui non può sentirmi!

- Non possiamo dirlo. – obbiettò – Anzi, seguendo quel che ci dicono quelle strumentazioni, è assai probabile il contrario.

Haine non rispose.

- Il sentire una voce, avere la coscienza che qualcuno gli è vicino, potrebbe aiutarlo.

La sguardo della ragazza era indefinibile.

- Non glielo sto dicendo come medico, glielo sto dicendo come un uomo che, nella sua vita, ha già visto una volta una cosa del genere.

Haine lo vide sospirare, levandosi dal viso gli occhialetti metallici:

- A questo punto la medicina può fare ben poco. – concluse con onestà amara – Solo accudire il suo corpo, e aspettare. Ma la sua coscienza…

- Lo farò.

Il dottore la fissò sorpreso. Haine gli rivolse un altro sguardo determinato, sorridendo:

- A quella ci penserò io.

 

***

 

Di nuovo, sono qui.

Lo sento.

Tre figure mi guardano dall’orizzonte candido che è la mia memoria.

Chi siete?

- Ciao.

Sento le parole, ma non distinguo il volto e la voce. Qualcosa mi dice di scappare.

- Hai paura di noi?

Un’altra delle tre figure. Me lo domanda ridendo. Io resto fermo:

- Non lo so. Non capisco.

Mi guarda la terza:

- Cos’è che non capisci?

Scuoto la testa:

- Non lo so.

Ma c’è qualcosa che mi sfugge. Qualcosa che dovrebbe essere nitida, cristallina nella mia testa, invece non c’è.

Non riesco a trovarla.

Non riesco a capire chi siete.

 

Buio.

Di nuovo.

Perché c’è sempre buio?

Oh no…

Questo non voglio vederlo…

È il solito brutto sogno.

Sto male. Molto male.

Ho freddo, mi fa male dappertutto.

Mi stanno portando da qualche parte, siamo su una macchina.

Poi si fermano.

Sento ancora più freddo, l’aria e la pioggia sulla faccia.

Sento che rotolo giù, sull’erba e nel fango.

Non riesco a tenermi.

Mi fermo dopo poco con lo stomaco che protesta per qualcosa che l’ha centrato. Forse un sasso.

Mi gira la testa.

Sento il mio corpo leggero, come se stesse volando via.

Poi sento una voce.

… Haine?

 

- Sarebbe l’ora che andassi, Haine.

La ragazza, colta di sorpresa, fece quasi un salto sulla sedia, rischiando di cadere. Si tenne con entrambe le mani al poggiaschiena e si tirò lentamente su, fissando arcigna la figura alla porta, che ridacchiava.

- La deve smettere di spaventarmi, dottor Ryuichi!

- E tu dovresti smetterla di chiamarmi per nome. – sospirò l’uomo, infilando le mani nelle tasche del camice.

- Ma lei mi chiama per nome! – gli rimbeccò, con una linguaccia. Lui sospirò:

- Lasciamo perdere… Comunque, sono le sette e un quarto, è meglio che ti avvii.

La ragazza guardò l’orologio, sospirando:

- Sì…

- Avanti. Io devo andare in chirurgia, vorrei non beccarti qui quando torno!

Scherzò. Lei sbuffò un “sì”.

Si alzò, caricò gli ultimi libri e chiuse la borsa, mettendosela a tracolla con aria annoiata.

- Devo andare. – sussurrò al ragazzo. Come sempre lui non ebbe nessuna reazione ed Haine non riuscì a trattenere un sospiro – Ci vediamo domani.

 

- Mi è simpatica!

- Anche a me.

- Sì.

L’incubo è sparito. Ci sono di nuovo loro.

- Di chi state parlando?

- Di quella ragazza.

- A me piace molto. – ripete una delle tre.

- Piace a tutte.

Una delle figure si avvicina. Mi trattengo ancora dallo scappare.

- “Tutte”, dici… Siete delle ragazze?

- Certo! – ride lei. La voglia di scappare si fa così forte che stringo i pugni per non pensarci.

- Perché hai paura?

- Io… Non lo so.

- Non sai di cos’hai paura?

- No, quello lo so. – mormoro – Dovrei ricordare qualcosa. E non ci riesco. Quello di cui ho paura…

- È scoprire cos’è?

La guardo. Non riesco a vederle il viso, ma capisco che sta sorridendo.

Annuisco.

- Hai sentito? – dice una di quelle rimaste in disparte – È diventato un fifone!

Sta scherzando, ne sono sicuro. Ridono. Lo faccio anch’io.

Vedo quella di fronte a me guardarmi di nuovo.

Sorride triste.

- Fratellone… Sarebbe l’ora che ti svegliassi.

 

Haine si bloccò in mezzo al corridoio.

Maledizione, il quaderno…!

Girò sui tacchi alla velocità del lampo, non poteva lasciare il suo preziosissimo quaderno alla mercè delle infermiere. “Specie quella del quarto piano, che ficca sempre il naso dappertutto!” pensò seccata, ricordando la volta che aveva dimenticato il quaderno d’inglese e quella, riconsegnandolo il giorno dopo, l’aveva presa in giro per la pessima grammatica.

Rientrò con discrezione nella stanza, quasi in punta di piedi. Cercò subito con gli occhi la copertina rosa, intravedendola sul tavolinetto sotto alla finestra, e sorrise di sollievo.

Si chinò, aprendo la borsa, e allungò reverente le dita sul piccolo oggetto. Sovrappensiero girò la testa verso il letto, ridacchiando e pronta a scusarsi per la nuova intrusione, ma la frase le morì sulle labbra.

 

Due occhi neri come la notte la stavano guardando.

 

Semichiusi. Vacui. Ma la guardavano.

Il quaderno ricadde sulla scrivania.

- Kami-sama

Lasciò andare mollemente la borsa a terra. No, non se lo stava sognando.

- Tu… Sei… Sveglio…!

- … H…

- N-no! A-a-aspetta! Non…!

Prese un secondo fiato, appoggiandosi al bordo del materasso. Era incredibile, fino a cinque minuti prima sembra che…! E invece…

È sveglio!

- A-aspetta! Vado… Vado a chiamare il dottore…

Sentì una presa impercettibile sulla sua manica. Si fermò, scorgendo le dita tremanti e ormai indebolite di lui che la fermavano. Haine lo fissò un istante, senza riuscire a muoversi. Che le prendeva, mica scappava! Andava solo a chiamare il dottor Ryuichi…

Ma, invece, s’inginocchiò un istante accanto al letto. Aveva l’impressione che lui stesse provando a muovere le labbra.

- H… n…

- C-come?

- … Hai… ne…?

 

Perché c’è tanta luce?

Cos’è tutto questo rumore?

Io… Sono sveglio…?

Dove sono…?

C’è… Qualcuno…

Una ragazza… Coi capelli castani…

Questa voce…

 

- … Haine…

Ripetè il nome così piano che lei quasi non riuscì a sentirlo. Lo fissò, gli occhi sgranati e la bocca che si muoveva, lentamente, senza emettere un suono.

- Tu… Sai il mio nome?

Haine sentì gridare. Frastornata alzò appena la testa, vedendo una giovane infermiera bionda guardare nella stanza, un sorriso in volto:

- Oh, è incredibile…! Dottor Aoki! Dottore! Si è svegliato!

Haine la vide correre nel corridoio continuando ad urlare il nome del dottore. Lei non ci badò e tornò meccanicamente a guardare il ragazzo: lui non aveva smesso un attimo di fissarla.

- Sì, sono Haine… - mormorò, confusa – E tu… Tu chi sei?

Lo vide guardarla con aria corrucciata.

 

Lo sapevo.

Haine.

Sei Haine.

Io…

Chi sono io…?

Io…

 

- Shi…ro…

- Come? Shiro?

Lui annuì debolmente e lei rispose allo stesso modo:

- Shiro… E poi?

Lui si fermò un istante. Poi, con fare triste, fece un minuscolo segno di diniego. Haine, inconsciamente, gli strinse con delicatezza la mano. Dal corridoio cominciò a sentire sempre più trambusto, e si sforzò di alzarsi, scostando le iridi cioccolato dalle sue:

- Non importa. – gli sorrise – Ben svegliato, Shiro.

 

Mi chiamo Shiro.

E non so chi sono.

 

 

 

(*) nomenclatura americana data ai pazienti degli ospedali (o ai cadaveri ritrovati dalla polizia… Brrr o__o””!) di cui non si conosce l’identità. È come chiamarlo Mario Rossi xDD… Non so se esiste un nome specifico usato in Giappone per queste situazioni, così ho ripiegato xP.

(**) ricordo che in Giappone le elementari durano 6 anni, quindi a 14 è normale finire le medie, Haine non è ripetente xP!

 

 

Tadaaaan!! Chi se l’aspettava?! Chi l’aveva già capito? Chi pensa sia una castroneria xD?! Eh, sì, il mio voto era di lasciarlo come pers secondario, ma alla fine il coinvolgimento di Shiro mi sembrava troppo x lasciarlo “a margine”, et-voilà ^o^! che ne pensate? Voglio tantitantitanti commy, eh! xD anche sl un “è carina”, “mah, ho visto di meglio”, “datti all’ippica!” (no, questo no XD) xò lasciatemelo plz! Ah, io non sono un medico e non ho mai studiato medicina, ma dato che l’argomento mi interessa qualcosina so (a livello STRETTAMENTE ipotetico ^^””) quindi nn sn tutte castronerie quelle che scrivo… Certo, c’è MOOOOOLTO di romanzato, xò concedetemelo xD!

Ah, prima di salutarvi voglio ringraziare chi ha commentato l’ultimo cap di “Psaico, Secret Files: La storia dello Sciacallo”:

Ella_Sella_Lella: sono contentissima che ti siano piaciuti anche Psaico e i Diaries, soprattutto i secondi che sono ancora lontani dalla conclusione, e poi ci tengo xkè è un’opera scritta a quattro mani e mi sento orgogliosa x entrambi XD (e questo cosa vorrebbe dire -__-“”? ndJolly_Mask). Spero che continuerai a seguirmi (e seguirci ^^, vero Jolly?) un bacione!

Violet_Rose: grazie ad entrambe piciole ^^! (non ci fate caso, dato che sn una vecchietta chiamo tutte così xD) sono felicissima che vi siano piaciute così tanto, spero che apprezziate anche la storia di Shiro-chan ^^.

Lenn Chan: NEE-SAMAAAAAA!!! Che bello, che bello, che bello, mi segui sempreeee!! Me felicissima *-*!!! Anche a me piace tanto la scena finale, lo ammetto ^\\^, e cmq forse, chissà, Hitoshi potrebbe rispuntare, e anche… Non aggiungo altro ^^+! X i Diaries pazienta, prometto che m’impegnerò! Non ti deluderò, onee-sama +___+!!! (<- occhi fiammeggianti d’impegno – Ma dove? ndKei).

Vorrei fare poi un ringraziamento speciale a:

 

Ametista (alias kuro_neko ^^)

julia_fernandez

Ella_Sella_Lella

Violet_Rose

 

Che hanno messo “Psaico Secret Files: La Storia dello Sciacallo” tra le fanfic preferite; e poi

 

Ametista
DarkHiwatari

Ella_Sella_Lella

HollyShort91
ila93bey
Iria
jessy16

julia_fernandez

Lenn chan
Pikkola Rin
poketpolly
rakuen

redeagle86

Takami Kinomiya
Takami_Kinomiya
vampirosolitario91
Violet_Rose

 

Che hanno messo “Psaico” tra le fanfic preferite. Mi fate felicissima, sul serio ^\\^! Grazie di cuore e a prestooo!

   
 
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