Una volta
una persona mi disse che l’uomo medio usa solo il 5% delle
sue capacità
cerebrali.
Probabilmente
un mezzosangue medio ne usa il 2%, altrimenti non mi spiego come una
normalissima
gita al British Museum si possa essere trasformata in un disastro epocale nel giro di mezza giornata.
[Ho
già
detto che mi dispiace, John!].
Si.
Certo…
Londra
è la
città senza tempo. O così dicono i libri. Un
cuore vivo da cui si snoda un eterno
reticolo di strade. Una creatura caotica e pulsante che vive alla
giornata.
Londra
è la
città del mistero. O così mi piace pensare. I
suoi neri vicoli, che la fioca
luce dei lampioni non raggiunge mai davvero, trattengono nei loro
anfratti
segreti ancora più oscuri.
Ma, fino a
pochi mesi fa, Londra era semplicemente la città nuova. Ed
io uno dei suoi
tanti albergati.
L’America
era diventata troppo stretta per mia madre. Immagino accada a chiunque
sia
costretto a crescere due figli senza uno straccio di marito. O di
fidanzato. O
di qualunque cosa mio padre fosse. Trasferirci era sembrata la scelta
più
sensata.
Col senno di
poi, nutro numerosi dubbi al riguardo.
Comunque.
Il lancio
delle freccette era stato doveroso. Io e Harriet (la quale, per inciso,
detiene
il titolo di figlia “maggiore” solo per la data di
nascita e il suo metro e settanta)
abbiamo passato una buona mezzora a litigare su quale parte
dell’Europa il mare del Nord (su cui la freccetta rossa era andata a incunearsi) rappresentasse.
Alla fine
nostra madre ha tratto un lungo ed esasperato sospiro (lo fa spesso, il
lavoro
la stressa troppo, ma non lo ammetterebbe mai) e ha deciso per noi che
l’Inghilterra
sarebbe andata più che bene. Nessuna nuova lingua da
imparare se non altro.
Dunque
eccomi qui. Nuova
casa, nuovo Paese,
nuova vita. E nuova scuola.
E qui arriva
il tasto dolente.
Non che sia
un ragazzo problematico o altro.
Davvero.
La scuola
non mi ha mai creato problemi. Ho sempre avuto voti medio-alti, un
comportamento educato e la capacità di farmi amiche le
persone giuste. Niente
crisi da studio, niente botta e risposta coi prof, niente bulli.
Il che
andava più che bene se non fosse tutto assurdamente monotono.
La monotonia
monopolizzava le mie giornate molto più di quanto volessi
ammettere. Un estenuante
circolo vizioso senza una fine apparente.
Fu probabilmente
per questo, alla mera notizia che a metà semestre fosse
prevista un’uscita al
più importante museo londinese, che il mio entusiasmo si
accese come mai prima.
Ok, non
è
esattamente il massimo, lo riconosco. Ma davvero, era meglio che
ascoltare la
professoressa di chimica che rispiegava per l’ennesima volta
le ossidoriduzioni.
Date le
premesse, mi aspettavo una rilassante giornata. Che avrei passato senza
dubbio
con Sarah, la brunetta dell’altra classe, la quale, per
altro, non faceva che
lasciarmi bigliettini ben poco fraintendibili.
Ehi, sono un
bravo ragazzo. Ma questo non vuol dire che alla veneranda
età di diciassette
anni non ami trascorre il mio tempo con le ragazze.
Il giorno
prestabilito venimmo fatti salire tutti e 40 (40! Si, lo so,
è da pazzi) sull’unico
bus di linea che ci avrebbe lasciati direttamente in Montague Street.
Seduto sui
sedili leggermente usurati, trascorsi il viaggio ascoltando la musica dal
mio i-pod
(essenziale in ogni mio spostamento) e lanciando di tanto in tanto
delle
occhiate verso Sarah.
Fin qui,
escludendo qualche lamentela di vecchiette irritate da tutta quella
gioventù stipata
nel mezzo, nulla di strano.
Il British
Museum, al secolo “Museo di Storia di Londra”,
venne fondato nel 1753
da Sir Hans Sloane. (Informazione datami solo successivamente da UNA
CERTA
PERSONA e non propriamente richiesta).
L’entrata
di
per se’ è già spettacolare, visto che
da’ sulla piazza coperta più grande
d’Europa.
(Altra informazione non richiesta, ma inevitabile).
La prassi
prese dunque il sopravvento. Venimmo divisi in due gruppi. Il primo,
che
sfortunatamente includeva anche Sarah, si avviò verso l’ala
dedicata all’antico
Egitto.
A questo
punto l’unica ancora di salvezza rimaneva il mio fidato i-pod.
Il quale
scelse esattamente quel momento per emettere un infelice suono e
morire tra le
mie mani.
Una scena
straziante.
Arreso mi
avvicinai al gruppo per preservare almeno la parvenza di interesse. La
nostra
guida, tale Lestrade, somigliava più ad un ispettore di
Scotland Yard che ad una
guida museale. Indossava un lungo impermeabile grigio, aperto su dei
pantaloni neri
e una camicia bianca dal collo consumato. Avrà
avuto all’incirca trent’anni, ma ne
dimostrava molti di più. Aveva l’aria di un che ne ha
viste tante.
Quasi come se
avesse sentito i miei inutili ragionamenti, l’uomo si girò verso di me. E mi sorrise.
E' una
di
quelle persone che sorridono spesso, pensai. Le rughe, molto marcate ai lati
degli occhi,
si moltiplicavano quando lo faceva.
Il mio
personale e alquanto inutile sesto senso lo classificò
all’istante come una
brava persona.
Fece un cenno con la testa e tutto il gruppo lo seguì verso l’ala est.
La lastra in
marmo che troneggiava sull’entrata del salone annuncia che
stiamo per visitare
l’“Antica Grecia (i reperti, la storia e gli
dei)”.
La scritta
mi sfarfallò un po’ davanti agli occhi, come se fissassi
troppo a lungo uno
schermo.
Infastidito
distolsi lo sguardo per concentrarmi su Lestrade, che intanto aveva iniziato la
visita
davanti ad una piccola teca illuminata poco più avanti.
Tredici
piccole statutette, grandi non più di una spanna, facevano
bella mostra al suo
interno.
“Questi”
sottolinea Lestrade con un gesto della mano “sono i dodici
dei dell’Olimpo. Per
i Greci ognuno di loro rappresentava una forza della natura o un
aspetto della
vita quotidiana.”. Il tono con cui parlava di quei tizi
è inspiegabilmente cauto.
Quasi come se si aspettasse di essere colpito da un fulmine da un momento
all’altro.
“Ora, immagino che, anche senza guardare i cartelli, sappiate
dirmi almeno
qualche nome.”
Volarono
qualche “Zeus” e “Poseidone”,
seguiti da alcuni “Afrodite” qui e la’.
Poi cadde
il silenzio.
A questo
punto, neanche a dirlo, la guida si voltò verso di me. Mi
scrutò qualche
istante con quegli occhi grigio azzurri e poi, di nuovo, mi sorrise
senza un vero motivo.
“E tu,
John?
Qualche idea?”.
chiese. Il tono era più che altro pacato e sinceramente incuriosito, per cui non me la presi
più di
tanto. Era solo una giornata sfortunata.
Mi arrovellai
alla ricerca di un dannato nome. Mia madre è sempre stata
appassionata di
storia antica. Quando eravamo piccoli ci raccontava spesso qualche
storia prima
di andare a dormire. Nonostante questo non mi veniva in mente niente di
niente.
Incerto
lanciai un occhio alla mia destra. Sopra una lunga lastra di marmo dalle
scene
raccapriccianti lessi la mia salvezza prima che le lettere iniziassero
nuovamente
a sfarfallare impazzite. Forse avrei dovuto farmi vedere da un ottico.
“Ade,
ilsignoredegliinferi” buttai fuori tutto d’un fiato.
Se avessi trattenuto il
respiro fino a quel momento sarei parso meno esausto.
Nella sala
cadde nuovamente il silenzio. Lestrade, un po’ pallido (ma
probabilmente erano le
luci a led della vetrina) mi guardò.
D’accordo,
non sarà stato esattamente il più simpatico, ma
era sempre un dio, no?
“Molto
bene”
esalò. Con tutta probabilità non era la risposta che si
era aspettato da me.
Come se dovesse
aspettarsene una precisa...
Un attimo,
come faceva a sapere il mio no-
“Per
quanto
riguardo gli altri, che spero non si offenderanno della vostra mancata
considerazione,…” riprese, e mentre lo diceva
lanciò un’occhiata verso l’alto come per
assicurarsene “… abbiamo Era, la regina degli dei
e protettrice del matrimonio;
Apollo, dio della musica e della poesia, ma anche della medicina.
Quella in
basso è Atena, dea della ragione e delle arti. Alla sua
sinistra Ermes,
messaggero degli dei, Ares, dio della guerra, ed Efesto, dio
dell’ingegneria e
del metallo. A destra Demetra, dea delle messi, e Bacco, dio del vino
e dell’ebrezza.
L’ultima statua in basso è dedicata ad Hestia, dea
del focolare domestico, la
quale ha ceduto il suo trono a Bacco per…”
Ok, avevo
smesso di ascoltare già da un pezzo.
Osservai con
interesse la teca successiva che conteneva un’intera armatura
greca, con tanto
di elmo e spada.
Accanto a me
un tizio allampanato guardava inespressivamente il contenuto della teca
senza
dare segni di vita. Probabilmente immerso nella lettura dei cartoncini
esplicativi.
Annoiato
nuovamente,
buttai un occhio al gruppo, che nel frattempo si era spostato
ed ora osservava
rapito la scultura di un gigantesco serpente avvolto sulle sue stesse spire.
I
particolari erano incredibili. Le squame in rilievo su tutto il corpo
perfette e la lingua, biforcuta, avvolgeva con eleganza l’aria.
Cercai con lo
sguardo Lestrade per chiedere spiegazioni e lo trovai che stava
parlando con il tizio che era affianco alla teca con l'armatura.
Anzi, più che parlando ci stava litigando, e non
sembrava nemmeno avere la meglio.
Incerto
tornai a guardare la statua.
E
fisso il serpente negli occhi.
Poi,
semplicemente, accadde.
Dall’occhio
destro iniziò ad aprirsi una crepa.
Poi
un’altra.
Poi
un’altra
ancora.
Di riflesso
feci un passo indietro, proprio mentre la statua esplodeva in mille
schegge davanti allo sguardo sorpreso dei visitatori.
Il caos.
*CLICK*
Registrazione
salvata
Data: 13\06\15
Durata:
01.34.27
Ok, uhm,
*cof cof* cosa ne dite? In po’ lunghetto in effetti, per
questo l’ho diviso in
due. In realtà non saprei cosa dirvi se non che mi auguro
che il primo capitolo
vi piaccia. ;) Se si, fatemelo sapere, anche con due semplici righe, mi
fareste
molto felice. Avvisatemi se trovate errori di grammatica,
perché ho riscritto
il capitolo dal presente al passato, quindi magari qualcosina mi
è sfuggito ^-^
Per il resto vi ringrazio della lettura e al prossimo capitolo ;)