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Autore: Kim WinterNight    29/01/2016    3 recensioni
«Ciao, cari lettori.
Mi presento: mi chiamo Albertina, per gli amici Berty. Ho quindici anni e vivo in Italia, precisamente in un paese fittizio che chiamerò… mmh… Bettola town.
Okay, lo so, il nome può sembrare buffo e non attinente al nostro caro Stato Italiano (Repubblica fondata sul Lavoro e bla bla bla), ma sfido chiunque a trovare un nome migliore di questo!»
Spero che la storia vi piaccia.
Non sono solita scrivere comici, però per queste vicende sono davvero ispirata e ho preso spunto da un sogno che ho fatto recentemente.
NOTE: tutti i personaggi sono di mia modesta invenzione e qualsiasi riferimenti a luoghi o persone è puramente casuale.
Genere: Demenziale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Maledetta emorragia mensile!




«Si può sapere cosa diamine state facendo? No, quell'amplificatore va sistemato lì, altrimenti sta in mezzo ai piedi per tutto il tempo! Perché questa dannata scuola è piena di incompetenti?»

«Ma sentilo» commento stizzita, mentre Checco non fa che sbraitare come un pazzo, inveendo contro chiunque gli capiti a tiro. Non ho mai conosciuto una persona tanto piena di sé in vita mia, giuro.

A volte penso che queste assemblee diverse dal solito servano solo a creare problemi a chi le organizza, ma ovviamente non posso certo fare la guastafeste e quella iena della mia genitrice mi costringe ad assistervi perché, del resto, «anche questa è un'attività scolastica, Albertina!». E 'sti gran cazzi.

«Smettila di fissarlo, altrimenti lo capisce!» gracchia Giaco al mio fianco, mollandomi una gomitata, mentre aspira il suo succo alla mela verde dal contenitore.

«Eh? Chi capisce cosa?»

«Quel tipo, il tuo Checco! Capisce che lo vuoi se non la pianti di...»

«Taci, Giacomo. Adesso» taglio corto, distogliendo comunque lo sguardo dal cocco di mia madre. Possibile che lo stessi davvero fissando?

Intanto Mauro si aggira per il cortile come un'anima in pena e, ripensando a tutto quello che gli ho fatto passare, non mi sento affatto in colpa. Lui si merita tutto quello che ha subito, ogni singola cosa se l'è cercata e ha decisamente sfidato la persona sbagliata.

«Berty, guarda!» strepita Tita al mio fianco, afferrandomi il polso.

Seguo il suo sguardo e noto che Checco sta parlando con una ragazza. Un attimo, non una ragazza qualsiasi, ma una delle mie compagne più zoccole, una di quelle che – con la scusa che oggi è il dieci di giugno – se ne va in giro con il culo in bella mostra e una canottiera che lascia ben poco all'immaginazione. Mentre parla con Checco, gesticola con fare studiato e presumibilmente sensuale, posando ogni tanto una mano sul braccio muscoloso di lui.

Non so perché, oggi fa proprio caldo. Troppo caldo, sicuramente mi deve arrivare il ciclo e ho perso il conto dei giorni. Maledetta emorragia mensile!

«Hai una faccia» commenta ancora Giaco con tono divertito.

«La mia faccia è normalissima!» sbotto, incrociando le braccia al petto con nonchalance. Questo nanetto pensa davvero di sapere cosa mi passa per la testa?

Sarebbe pressoché impossibile, dato che nemmeno io ne ho la più pallida idea.

«Certo che è proprio una gallina» borbotta Tita. «E tu smettila di guardarle il culo!» aggiunge poi stizzita, rivolgendosi al suo ragazzo.

Gabri scrolla le spalle e la bacia teneramente, facendola zittire in un colpo solo.

Sospiro. Sarebbe facile se anche io potessi essere domata in quel modo, no? No, certo. A me queste cose danno il voltastomaco, ma stranamente mi dà il voltastomaco anche constatare che Marianna – la mia compagna zoccola – si è chinata a sussurrare qualcosa nell'orecchio di Checco, mettendo ancora più in mostra la sua scandalosa scollatura.

«Non ha un minimo di pudore!» sbotto, senza neanche rendermene conto.

«Chi?» chiede Giaco, distratto dallo schermo del suo smartphone.

«Marianna!» rispondo con tono melliflue, mentre il reflusso gastrico si affaccia non troppo timidamente. Io quella la odio, l'ho sempre odiata, ma ora la odio il doppio. Non lo so perché, cazzo, ma è così.

«Dove stai andando?»

Senza neanche accorgermene, mi sono alzata in piedi e Giaco, al mio fianco, si preoccupa, forse perché mi conosce fin troppo bene.

«Da nessuna parte» mi giustifico, tornando a sedermi senza troppa convinzione. Sto impazzendo, è ufficiale.

«Oh, Fily, quanto sei divertente!» sento gemere Marianna, poi scoppia a ridere come un'oca starnazzante. Sembra che abbia le convulsioni e sembra lo faccia apposta. Tutto il suo corpo si muove in maniera sinuosa e i seni tremolano mentre si lascia travolgere da quella risata così falsa.

La vedo avvicinarsi sempre più e solo dopo qualche istante capisco che, non solo mi sono alzata nuovamente, ma sto anche avanzando verso quei due. Ormai è troppo tardi per tornare indietro, lui mi ha già notato e, dopo aver seguito il suo sguardo, anche lei mi osserva, inclinando leggermente la testa di lato.

Cazzo, mi sono impantanata in un bel casino. E adesso?

Adesso escine, cretina, ti sfido!

«Ciao Marianna, ciao Pippo. Che fate? Ah, cara compagnetta, Pippo ti ha detto che usciamo insieme, vero? Lui è il mio ragazzo, sai? Perciò, sei pregata di togliere la mano dalla sua spalla, grazie» mi ritrovo a ringhiare, fulminando la tipa con lo sguardo. Non ho minimamente idea di che espressione ho dipinta in viso, ma so con certezza che mi pentirò per il resto dei miei giorni di queste parole.

Marianna mi scruta allucinata, come se le avessi appena detto che stiamo per essere invasi da un esercito di zombie assassini, poi comincia a dire: «No, cioè, scusa? Tu e lui? Scusa se non ci credo, ma tu sei famosa per inventarti relazioni inesistenti!».

«Marianna, lascia perdere...» interloquisce Checco.

Ma io subito lo interrompo: «Senti, tesoro, te lo ripeto perché voglio essere sicura che il tuo cervello da gallina abbia ben chiaro il concetto: lui sta con me. Ora hai capito?».

Non lo so proprio cosa mi sta prendendo, credo che dopo questa performance, andrò a nascondermi in bagno in preda all'autocommiserazione, ma almeno mia madre sarà fiera di me per aver liberato il suo adorato Checco dalle grinfie di una come quella.

«Mari, puoi lasciarci soli?» aggiunge infine Checco, rivolgendole un sorriso stanco. Vorrei strozzarlo, giuro, lo desidero ardentemente, ma almeno su questo punto mi risparmio, ho già fatto abbastanza stronzate per oggi.

La tipa sposta lo sguardo da me a lui, poi fa spallucce e torna dalle sue amiche sculettando, neanche si trovasse in passerella. Mi fa proprio schifo, la odio. Ops, forse l'ho già detto, rischio di diventare monotona.

«Ascoltami bene» comincia Checco, passandosi una mano tra i capelli in un gesto che non riesco a decifrare. «Cosa significa questa scenetta?»

«Assolutamente niente!» mi affretto a rispondere, incrociando le braccia al petto e lanciandogli un'occhiataccia. Meglio che non si illuda, inoltre ho una voglia matta di ficcarmi la testa nel cesso e non pensare più a quanto sono diventata patetica negli ultimi cinque minuti della mia esistenza.

«Roba da matti» commenta il ragazzo.

Sto per aggiungere qualcosa, ma uno dei rappresentanti d'istituto si avvicina a lui e i due cominciano a discutere della scaletta, snocciolando nomi di gruppi sconosciuti che suoneranno a breve, proprio per l'assemblea musicale.

Quando il tizio se ne va annuendo, Checco riporta l'attenzione – e gli occhi azzurri – su di me, facendomi sentire tremendamente a disagio. Detesto questa condizione e so che in questi casi l'unica arma di difesa è l'attacco: non mi lascio certo incantare da lui, non esiste!

«Senti un po', non lamentarti e pensa che ti ho fatto un favore» lo apostrofo, sbuffando.

«Un favore?»

«Ti ho liberato da quella sgualdrina» spiego con semplicità.

Lui ride di gusto, poi domanda: «Chi ti dice che volessi essere liberato? Da oggi sei anche diventata l'avvocato delle mie cause perse, Albertina?».

Lo odio, io lo detesto con tutta me stessa e vorrei prenderlo a pugni, giuro! Ma come si permette? Mi sta facendo incazzare, ma la cosa più grave è che non so assolutamente cosa ribattere.

Per la prima volta nella mia vita, rimango in silenzio e mi limito a fissarlo senza spiccicare parola, neanche per sbaglio. Non capisco perché tra noi si sia scatenata questa guerra, ma direi che non siamo affatto d'accordo sul dichiarare una tregua.

D'improvviso Checco mi afferra per i polsi e mi attira a sé, piantando i suoi occhi nei miei e stringendo con forza. Mi fa male, ma mi tiene immobilizzata e non riesco a reagire, perché non capisco un cazzo di tutta questa storia. Il sole mi batte sulla testa e ho il ciclo in agguato, sicuramente sto finendo di rincoglionirmi per questi motivi. Ma anche se il mio cervello lavora, non riesce a connettersi con il corpo, che rimane inerte sotto la morsa di quello strano tipo.

«Adesso dimostriamo a Mari quello che tu le hai detto» mormora con un luccichio strano – pericoloso? – negli occhi, poi in un attimo è su di me.

Le sue labbra schiacciate contro le mie, poi all'improvviso mi ritrovo a schiuderle e a giocare con la sua lingua, in un modo così nuovo, strano, pazzesco e rivoltante allo stesso tempo. Non riesco a respingerlo, non riesco a staccarmi, non riesco a pensare.

Checco fa scivolare con audacia una mano sulla mia natica sinistra, la strizza senza fare complimenti e io non mi oppongo in nessun modo, come una perfetta zoccola, come Marianna – come mia madre!

Poi, di botto, mi lascia andare e mi rivolge un'improvvisa ed inaspettata occhiata sprezzante, colma di disgusto, non so se per me o per se stesso.

Barcollo leggermente all'indietro e rischio di perdere l'equilibrio, quel gesto mi ha destabilizzato e non so proprio dove appigliarmi per non rovinare a terra. Riesco miracolosamente a riprendermi, tuttavia non smetto di tremare per la sorpresa e lo shock. Ho tanto su cui riflettere, ho tanto da capire, ma in questo momento mi sento completamente svuotata.

«Ti è piaciuto, eh?» mi chiede bruscamente Filippo, stavolta è lui ad incrociare le braccia al petto, osservandomi con sufficienza.

Potrei preoccuparmi del fatto che tutto questo sia capitato in pubblico, potrei preoccuparmi per qualunque motivo, ma non lo faccio, anche perché del parere degli altri non me ne fotte un cazzo. Devo fare soltanto i conti con me stessa, questo non ha niente a che vedere con il mondo attorno.

«Sì, lo so. Ma sai, Albertina, ora che l'hai assaggiato... non sarà tuo. Mai.»

In un attimo è sparito, non so neanche come abbia fatto ad andarsene o dove si sia cacciato. So solo che, guardando di fronte a me, vedo il vuoto.

Subito decido che devo uscire di scena, non c'è tempo da perdere.

E mentre corro verso l'interno della scuola, noto Mauro che, appoggiato alla parete, mi fissa con un sorriso soddisfatto stampato in viso, per poi mimare il segno della vittoria con entrambe le mani.

Lo detesto, detesto tutti, detesto me stessa.


«Berty, esci dal bagno, ti prego!» mi supplica Tita.

Non so da quanto tempo sono rinchiusa qui dentro. La puzza è infernale, il caldo anche, ma non me ne può fregar di meno. Appoggiata con la schiena contro la porta del bagno, fisso il vuoto e cerco di capire perché non ho ancora vomitato. Questo è estremamente grave, forse dovrei ficcarmi due dita in gola e...

«Berty, vuoi uscire da quel bagno?» comincia ad irritarsi la mia amica, mollando un pugno alla porta; così facendo fa vibrare tutto il mio corpo e mi fa sentire destabilizzata, come se quel pugno mi fosse arrivato in pieno viso. Devo avere la febbre, sì, di sicuro.

«Berty!» grida esasperata Tita. «Giuro che se non esci subito da quel cazzo di bagno, chiamo Maria Vittoria!»

Tita non è una ragazza sboccata né rozza come in genere sono io, ma quando si arrabbia non pensa al suo linguaggio; spesso è capitato che si pentisse per ore, dopo aver imprecato come uno scaricatore di porto. Adorabile.

La sua minaccia fa subito effetto. Tutto, giuro, tutto posso accettare, ma non che lei tiri in ballo quella scellerata della mia genitrice!

«No!» sbotto, presa dal panico, e mi precipito immediatamente fuori da quel buco puzzolente, ritrovandomi di fronte il viso preoccupato della mia migliore amica.

«Berty, cos'è successo? Ho visto che...»

«Tita?»

«Dimmi» risponde, prendendomi per le spalle.

«Sono una zoccola» annuncio frustrata.

«Ma no!» sdrammatizza lei, sorridendo radiosa. «Sei solo innamorata.»

  
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