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Autore: Deliquium    31/01/2016    3 recensioni
«Quindi, fammi capire...» tornò a massaggiarsi il mento e a camminare. «Adesso sei nella fase: Non me la dò più a gambe e le prendo di santa ragione?»
«Ma non mi limito a prenderle...» si difese Shura. «E poi... è perché sono più piccolo.»
«Quindi vai ad infastidire la gente più grande? Molto astuto da parte tua.»
«Se voi mi insegnaste a combattere forse non tornerei a casa con una faccia che sembra una melanzana!»
Storia di come il Saint di Capricorn scoprì di avere una spada nel braccio.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Capricorn Shura, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Sincretismo'
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Los Sanfermines

 

[ Risveglio ]

 

Shura aprì gli occhi.
Le fronde degli alberi incorniciavano il cielo sgombro di nuvole.
L'aria profumava di resina, erba, corteccia bagnata.
Ogni odore era una porta dischiusa su una cascata di ricordi. Alcuni recenti, altri più remoti, altri ancora appartenenti a un tempo dimenticato.
Mosse le spalle, ma i suoi movimenti erano limitati. Abbassò il mento.
Le sue membra erano protette da un'armatura dorata.
«Il Capricorno.» sussurrò «Ci sono riuscito.»
C'era perplessità nel suo tono di voce, perché non ricordava esattamente cosa fosse accaduto.
Quelle cose, quegli episodi che s'affacciavano alla sua memoria, restavano immersi nella nebbia. Sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi di più, mettere ordine. Avrebbe dovuto farlo, ma una parte di lui preferiva ignorare quei ricordi. Concentrarsi sul qui e ora. Era un Saint adesso. Se non lo fosse stato, l'armatura non sarebbe mai andata da lui.
Sentiva il sangue scorrere nelle vene del braccio destro, la carne pulsare, le ossa sfrigolare.
«Hai intenzione di startene lì ancora per molto, Shura di Capricorn?»
Sollevò di scatto la testa in direzione della voce.
Leoš era seduto su quello che restava del tronco di una quercia.
Aveva la sensazione di trovarsi ad Irata da molto molto tempo. L'immobilità del tempo in un luogo che era sacro in quanto santuario della natura stessa.
«Mi avete chiamato Shura.» constatò improvvisamente, mentre con un clangore metallico si metteva a sedere.
«E' il tuo nome, no? Hai sempre voluto che ti chiamassi con quel nome.»
Lui ruotò la testa, stirando i nervi indolenziti del collo. Sollevò una mano. Le dita che seguivano lentamente le curva del diadema che gli cingevano il capo e poi su, fino alle corna lievemente curvate.
«Ingombranti, non è vero?»
Shura non rispose. Avrebbe desiderato provare unicamente un sentimento di felicità, ma non vi riusciva. Certo, ne era soddisfatto e non si poteva dire che fosse infelice. Ma c'era qualcosa dentro di lui che ancora non gli era chiaro.
Sensazioni, più che altro. Una confusione di identità.
E poi, strinse i denti, c'era quella voce che rimbombava nella sua testa. Lo accusava, lo scherniva.
Shura tentava di afferrare le parole che gli rivolgeva, ma era troppo lontana, dispersa nell'oceano di memorie.
Non che avesse dimenticato il suo nome, o la sua infanzia o altre cose che lo riguardavano. Solo che si sentiva diverso, come se ciò che aveva il nome di Asura fosse solo una minima parte di sé, inserita in questo tempo, e in questo spazio e dietro ci fosse tutto il resto. Qualcosa che trascendeva lo spazio, il tempo, i nomi... Qualcosa di primitivo.
Piegò le ginocchia e unì pensieroso i piedi davanti a sé.
Doveva alzarsi, lo sapeva. Permettere al tempo di riprendere a scorrere. Ma non vi riusciva. Se avesse potuto, sarebbe restato lì, nella selva di Irata, come guardiano, come spirito protettore. «Siete pentito?» chiese, incapace di sostenere il silenzio di Leoš ancora per molto.
L'uomo non dava cenno di averlo udito: guardava fisso davanti a sé, le gambe accavallate, come se stesse aspettando il treno.
Poi un sospiro. Leoš si voltò verso di lui.
«No.» disse. «Doveva accadere. Ci sono cose che potrebbero» si interruppe. Le sopracciglia aggrottate. Chiuse gli occhi, scosse la testa. «Ad Athena potrebbe far comodo avere la Stirpe dell'Oro al pieno delle sue forze.»
«Il risveglio di Hades è imminente?» chiese, nutrendo, non sa bene perché, dubbi in proposito.
Leoš rispose a quella domanda alzandosi, e spazzolandosi la polvere invisibile dai pantaloni.
«Qual è l'ultima cosa che ricordi?»
Shura lo guardò sorpreso. Ricordare? L'ultima cosa. E' semplice.
«Siamo venuti qui a Irata, camminavamo per la selva e poi... voi... siete sparito... e» aggrottò le sopracciglia perché di colpo si era reso conto di non ricordare nulla.
Si sforzò di rammentare qualcos'altro, ma oltre la selva, lui che camminava tra gli alberi, Leoš che spariva... non c'era altro.
Di colpo, sollevò la mano e la premette sopra la pancia. Un brivido gli era corso su per la schiena e un'immagine offuscata, simile al breve fotogramma di un film, aveva tentato di far capolino tra quel marasma denso.
Non seppe bene da dove gli era venuto quel pensiero. Ma appena formulato aveva scosso la testa.
Che stupidaggine, aveva pensato abbassando il braccio.
«Non ricordi?»
Leoš gli si era avvicinato e lo fissava negli occhi, con la testa lievemente abbassata verso di lui.
«Ditemelo voi, Maestro, se è così importante.»
L'uomo sorrise brevemente e s'incamminò lungo il sentiero.
«Nel tuo braccio destro riposa l'anima di una spada. Athena stessa te ne fece dono, molto molto tempo fa.»
Shura piegò il gomito di scatto. Si era reso conto che c'era qualcosa di strano.
«Come fa ad esserci una spada?»
Leoš si fermò e si voltò verso di lui. Sul suo volto era tornata l'espressione gioviale che giorno dopo giorno aveva irritato e tranquillizzato Shura.
«L'anima di una Spada, Shura. Non una spada vera e propria.» riprese a camminare. «C'è stato un tempo in cui la Spada aveva lasciato il Capricorno. Un tempo non troppo lontano e nemmeno vicino.»
«Era accaduto qualcosa?»
«Il Capricorno aveva dimenticato sé stesso, aveva perso l'anima della spada che riempiva il suo braccio destro e aveva indossato vesti non sue. Con il tempo imparerai a usare il tuo braccio destro e potrai tagliare ogni cosa.»
«E' questo il potere del Capricorno? Un braccio che può tagliare ogni cosa?»
«Per molto tempo, lo è stato.»
«Ma non sempre.»
Leoš alzò gli occhi al cielo.
«Questo secolo è strano, Shura. Le costellazioni pulsano con intensità. Sembra quasi che stiano gridando.» disse, nonostante il chiarore del giorno impedisse di vedere anche solo una stella.
«E' Hades? Si sta risvegliando?»
Leoš continuava a fissare al cielo, perso nei suoi pensieri. Shura fece per ripetere la domanda, ma l'uomo abbassò di scatto la testa verso di lui.
«Hades è un nemico terribile e negli ultimi cinquecento anni ha dichiarato ben due volte guerra ad Atena. Ma Hades è gestibile, nonostante tutto. Nella precedente guerra Santa e in quella precedente ancora, Atena è riuscita a sigillarlo e a riportare la pace.»
«Voi temete altro, vero Maestro?» Shura prego intensamente che almeno a quella domanda, Leoš avesse il buon senso di rispondere.
«Temere non è abbastanza, Shura.» rispose l'uomo. «Sono necessarie certezze.»
Si voltò. Shura non credeva di poter scorgere sul viso del suo Maestro, l'espressione gioviale a cui era abituato. Era sicuro che non l'avrebbe più rivista.
Si passò una mano sulla fronte. Ma perché, poi, gli era venuto quel pensiero.
E poi, c'era quella sensazione, quella cosa che gli si agitava dentro come se fosse viva. Voleva parlarne: non voleva tenerla così interamente dentro di sé.
«C'è questa cosa che sento... questa cosa a cui non riesco a dare un nome?»
Leoš lo guardò sorpreso per un attimo, poi le sue labbra si distesero in un sorriso.
«Spiegami, niño. Che cosa senti?»
Shura si guardò attorno. Gli alberi, le colonne di quel tempio della natura. Trasse un respiro. Irata. La selva definita dai suoi odori, dai suoi rumori, dalle sfumature delle foglie dei suoi alberi-colonna.
«Non lo so, Maestro. Dico davvero. Non lo capisco. La selva, questo luogo. Io lo so. È sacro. Ne sento la forza primitiva, la potenza. È qualcosa che mi fa soccombere, ma che allo stesso mi attira. Se potessi, resterei qui, per sempre. È come se...» serrò gli occhi per un istante. «... fossi tornato a casa.» riprese in un sussurro.
Leoš annuì.
«In un certo senso, Shura, il Capricorno è tornato a casa.» Lui fece per aprire bocca, ma Leoš gli appoggiò una mano sul braccio. «Non avere fretta di sapere. Lascia che il tempo faccia il suo corso e non avere paura di te stesso.»

 


Note dell'autrice: il prossimo capitolo sarà l'Epilogo e Los Sanfermines potrà dirsi concluso.

Questa è opera di fantasia.
Saint Seiya, i suoi personaggi e ogni richiamo alla serie citata appartengono a Masami Kuramada. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma solo come omaggio da parte di un fan. Tutti i personaggi, gli episodi e le battute di dialogo sono immaginari, e non vanno riferiti ad alcuna persona vivente né intesi come denigratori. In particolare, i personaggi, le ambientazioni e le situazioni da me create, mi appartengono; per poterli utilizzare altrove, o per riprodurre questa storia o parti di essa è necessario il mio consenso.

   
 
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