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Autore: Mary P_Stark    01/02/2016    4 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Jerome’s Secrets – Part 5
(Maggio 2018)
 
 
 
Sarah stava sistemando il contenuto delle borse della spesa nella dispensa quando, a sorpresa, scorse la figura del primogenito oltre la superficie trasparente di una finestra.
 
Jerome sedeva distratto sul ceppo tagliato di un abete secolare, morto l’inverno passato, e pareva perso in mille e più pensieri.
 
Ma non fu tanto la sua espressione stralunata a convincere la donna a uscire, quanto l’aura screziata che avvolgeva il figlio. Era visibile a occhio nudo, per un licantropo, e in quel momento non sembrava affatto sotto controllo.
 
Jerome era sempre stato, nel bene e nel male, un ragazzo gioviale, allegro, a volte un po’ infantile, ma mai tenebroso o cupo. Duncan e Lance lo erano stati molto più di lui, fin da quando lei aveva memoria.
 
Certo, con la nascita di Keeley, l’Hati del branco aveva perso gran parte della sua aura ombrosa, così come Duncan che, grazie a Brianna, aveva iniziato a brillare di luce propria.
 
Ne era felice, per entrambi e, proprio per questo, l’aspetto turbato del figlio la colpì come un maglio. Che mai era successo, da ridurlo in quello stato?
 
Nathan, il primogenito di Brianna e Duncan, stava bene e, a un anno dalla sua nascita, si poteva dire tutto, di lui, tranne che non fosse un bebè allegro e pieno di iniziativa.
 
Le cose tra i clan, inoltre, non potevano andare meglio. Da quel che sapevano del nuovo acquisto del clan di Falmouth, William Darcy, l’uomo sembrava essere un Primo Lupo d’eccezione, oltre che un lupo dalle capacità più uniche che rare.
 
La sua doppia natura di umano (ora mannaro) ed elfo ma, soprattutto, l’amore che lo legava a Cecily, lo rendevano un licantropo d’avvero eccezionale.
 
Rimuginando sull’argomento berserkir, che si trovavano in Gran Bretagna ormai da tempo, non trovò nulla di sua conoscenza che potesse aver creato dubbi o pensieri al figlio. Tutto si stava svolgendo più che bene, e coloro i quali si trovavano sul loro territorio andavano d’amore e d’accordo con tutti.

Il problema, perciò, non poteva venire da lì.
 
Loki o Hell non avrebbero potuto reincarnarsi se non tra molti secoli e, mai più, avrebbero potuto prendere possesso di un licantropo o un uomo-orso. Ergo, cosa stava succedendo al suo solitamente gioviale figliolo, ormai gagliardo trentacinquenne?
 
Lasciando da parte sedano e cicoria, Sarah uscì quindi sul retro di casa, passando dalla porta di servizio che dava direttamente sul cortile.
 
All’esterno dell’abitazione, le radiazioni incontrollate dell’aura del figlio si fecero ancora più evidenti, e percepibili sulla pelle.
 
Infastidita, Sarah si passò una mano su un braccio, prima di domandare: “J, che succede?”
 
L’uomo, dai cortissimi capelli neri come pece – le lunghe e fluenti chiome che aveva portato per un certo periodo, erano ormai sparite da tempo – levò il capo a scrutarla e l’aura si azzerò all’istante.
 
“Ehi, ma’! Ciao!” esclamò lui, sorridendo bellamente nel farle un cenno col capo.
 
La donna, per nulla rassicurata da quel saluto, si pose dinanzi a lui in posizione dominante, a gambe ben assestate sul terreno e con le mani sui fianchi. Non amava che le si mentisse, soprattutto se a farlo erano i suoi figli.
 
I chiari occhi lo sondarono con attenzione, come avrebbe fatto un Freki in cerca di informazioni, e non come una madre in attesa di risposte e, subito, il figlio si accigliò.
 
“Che stai combinando?” mugugnò Jerome, sul chi vive.
 
“Pensi di incantarmi, figliolo, facendomi questo bel sorriso e salutandomi come se nulla fosse?”
 
“Stai parlando con Sköll, oltre che con tuo figlio, ma’, quindi vedi di rinfoderare gli artigli, perché potrei offendermi davvero” sottolineò Jerome, levandosi in piedi per imitarne la postura.
 
Ovviamente, essendo un membro della Triade, l’uomo la superava di tutta una testa, e il fisico possente di Jerome era il doppio di quello della madre. Non per questo, però, Sarah indietreggiò, o cambiò atteggiamento.
 
La donna sapeva benissimo come far parlare i suoi figli, quando facevano i ritrosi. A volte, le maniere forti erano l’unica soluzione possibile, quando si aveva a che fare con dei licantropi zucconi e, di maniere forti, un Freki ne conosceva a bizzeffe.
 
Fronteggiando lo sguardo astioso del figlio senza tema di fallire, Sarah si limitò a sussurrare: “Ho vent’anni più di te, ragazzo, e so come piegare qualsiasi preda mi capiti a tiro, anche se questa ha il mio stesso sangue e io l’amo come e più di me stessa. Perciò, rendi a entrambi le cose più facili. Parla, e dimmi cosa ti turba.”
 
Jerome, però, non cedette e, quando Jonathan tornò da una commissione a Matlock e capì immediatamente che aria tirasse tra i due, pensò bene di svicolare all’istante.
 
Quando la moglie era in caccia, era meglio non intervenire.
 
Da quel che poteva vedere in quel momento, Sarah doveva aver subodorato qualcosa di grosso. Meglio lasciarla fare, quindi.
 
Alla peggio, avrebbe raccolto i cocci più tardi, e dato a Jerome tutto il suo appoggio maschile incondizionato, e tenuto ben nascosto al figlio il suo affetto di marito nei confronti della moglie.
 
Non da ultimo, avrebbe espresso in gran segreto la sua soddisfazione per la bravura della moglie nello sgamare i peccatucci dei figli.
 
In silenzio, perciò, sgattaiolò in casa, dove trovò Erika e Gordon in salotto, le teste nei libri e la concentrazione a farla da padrone. I Master erano una scocciatura per chiunque, anche per due studiosi come loro. Meglio che non partecipassero alla competizione là fuori, pertanto.
 
Ci sarebbero state fin troppe ferite da curare, ne era sicuro.
 
Gli bastava dover badare a un solo figlio per volta e, di certo, Erika sarebbe partita a spada tratta per difendere il fratello.
 
No, meglio evitare.
 
Salutati i due giovani, perciò, si diresse tranquillo al piano superiore, sperando che i due contendenti in cortile non decidessero di darsele di santa ragione, prima di arrivare al dunque.
 
Tra licantropi, poteva capitare.
 
***
 
Sbuffando infastidito, Jerome lanciò un’occhiata alla porta di servizio ormai chiusa e borbottò: “Papà è un fifone. Non si è neanche avvicinato, quando ti ha vista in posizione da generale nazista.”
 
Scrollando le spalle, Sarah si sistemò una ciocca dei chiari capelli e replicò: “E’ saggio, e mi conosce. Tutta un’altra cosa.”
 
A quel punto, il figlio sbuffò sonoramente e, scrollando le braccia con fare infastidito, esalò: “E dai, ma’! Con te non si può neanche tentare di fare un po’ le vittime! Non puoi semplicemente lasciarmi qui nel mio brodo?”
 
Rivolgendogli un sorriso sinceramente spiacente, Sarah replicò: “Tesoro, cercherò sempre di capire come fare per aiutarti… anche cavandoti la verità con un tronchese.”
 
“Grazie” gracchiò per diretta conseguenza il figlio, storcendo la bocca in una smorfia disgustata.
 
“Ebbene… ora che hai fatto la tua parte di scorbutico figliolo sulle sue, posso sapere cosa ti ha portato qui fuori a fare la controfigura del Pensatore di Rodin?” gli domandò Sarah, passeggiandogli intorno con fare apparentemente tranquillo.
 
Jerome, però, non si fidò neppure per un istante di quel comportamento falsamente rasserenato e, sul chi vive, mugugnò: “Sono un uomo adulto da un pezzo, ma’ e, se te lo fossi scordata, sono indipendente da casuccia vostra da almeno un anno, perciò penso di godere di qualche libertà in più di movimento, rispetto a Erika. Non potremmo soprassedere su questo terzo grado? So risolvermeli da solo, i problemi.”
 
Illuminandosi in viso, la donna esclamò: “Allora, c’è un problema!”
 
Imprecando tra sé, Jerome si diede dell’idiota per aver accennato alla cosa e, intrecciate le braccia sul torace possente, ringhiò: “Mamma, smettila! Ho detto che penserò da solo alle mie questioni, perciò, per una volta, fatti da parte.”
 
Sarah si bloccò immediatamente dinanzi a lui, assottigliò le iridi perlacee e lo fissò con sguardo adamantino, accigliata. Un qualsiasi altro lupo sarebbe indietreggiato terrorizzato, innanzi a un’occhiata raggelante di quel calibro, ma non Jerome.
 
Non che non tremasse, ben intesi, ma non poteva cedere di fronte a sua madre. Per tutti gli dèi, insomma!
 
Doveva pur difendere il suo amor proprio, no?
 
Lo sguardo rimase lì, e così pure la convinzione di Jerome.
 
Tutt’intorno, l’aria appariva immota, e non un solo rumore osava turbare i due contendenti. Pareva quasi che l’universo stesso stesse attendendo una risoluzione di quello stallo alla messicana.
 
Il trillo del cellulare di Jerome colse, perciò, entrambi di sorpresa.
 
Se per Sarah, però, la sorpresa si tramutò in un semplice sollevarsi di sopracciglia, per Jerome volle dire un balzo all’indietro, con tanto di urletto femmineo.
 
Non molto edificante.
 
Afferrato alla svelta il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, Jerome cercò di accettare la chiamata, ma Sarah lo precedette. Acchiappò il telefono dalle sue mani tremanti prima che cadesse e, premuto il tasto verde, esordì dicendo: “Pronto, chi è?”
 
La voce all’altro capo parve sorpresa, ma disse ugualmente: “Ehm, buongiorno. Sono la dottoressa Cynthia Graham. Trovo il signor Jerome Rowley?”
 
La sorpresa di Sarah crebbe di una tacca e, nello scusarsi con la donna, passò il telefono al figlio, azionando il vivavoce.
 
Vivavoce che Jerome non osò togliere e, deglutendo a fatica, gracchiò: “D-dottoressa, buongiorno. Ora sarei impegnato. Potrei richiamarla più tardi?”
 
La risata della donna avvolse il licantropo come una coperta e, sotto lo sguardo sempre più sorpreso di Sarah, la sua aura prese a sfrigolare.
 
A divenire incandescente.
 
Tutte tipiche esternazioni di un licantropo… in calore.
 
“Ho commesso una gaffe, Jerome?” mormorò la donna all’altro capo del telefono.
 
“Temo di sì. Anche se non è colpa tua, Cyn, ma di mia madre, che ha la stessa delicatezza di uno schiacciasassi, quando si tratta di noi figli” sbuffò Jerome, staccando con platealità il vivavoce proprio di fronte al volto accigliato di Sarah.
 
Non che servisse, visto l’udito dei licantropi, ma fu una piccola vittoria che Sköll si volle concedere, dopo essere stato beccato a quel modo dalla madre.
 
Madre che non pensò minimamente di allontanarsi e, anzi, si mise in attento ascolto della telefonata del figlio.
 
“Non hai ancora parlato con loro, vero? E dire che pensavo che, ormai, fosse cosa fatta. Con i miei genitori, non hai avuto tutti questi problemi” gli fece notare la donna, sempre con quel tono di voce tranquillo e vagamente divertito.
 
“Visto che mia madre è un Freki, puoi ben capire perché non le ho parlato di te. Stavo tentando un modo di approcciare la cosa, ma non è come parlare con i tuoi genitori” brontolò Jerome, fissando accigliato la madre, che fece tanto d’occhi nel sentirlo parlare a quel modo.
 
“Oddio, spero che ora non venga qui per predarmi!” rise con allegria la donna, per nulla preoccupata. “Anche se sarebbe interessante capire se sarei in grado di riconoscere in lei qualche differenza da te, visto il tipo di mestiere che fa.”
 
A quel punto, Sarah si accigliò e, fissato malamente il figlio, ringhiò: “E’ un’umana?!”
 
“Mamma, basta!” ringhiò a sua volta Jerome, sorprendendo la madre per l’intensità della sua veemenza. “Cynthia è a posto e, se solo tenterai di torcerle un capello, me la pagherai cara!”
 
“Jer… calmati. Mi sembra che tua madre abbia tutto il diritto di agitarsi, non ti pare?” lo chetò la donna al telefono, con tono sereno e pacifico.
 
“Non mi va che pensi male di te” brontolò Jerome, pur calmandosi un poco.
 
Sospirando, Sarah fissò allora figlio con maggiore contegno e domandò: “Non credi che abbia il diritto di sapere, ora?”
 
“Di’ a tua madre di venire qui in clinica. Sarei felice di conoscerla.”
 
Jerome non parve per nulla d’accordo ma assentì e, quando chiuse la telefonata, lanciò un’occhiata di rimprovero alla donna che l’aveva messo al mondo, ringhiando: “Per una volta nella vita, potresti smetterla di essere un Freki, quando parli con noi?!”
 
***
 
Accoccolata sul grande letto che divideva con il marito, Sarah poggiò il mento sulle ginocchia e, fissando accigliata la figura di Jonathan, borbottò: “Perché sono sempre dovuta essere io, quella cattiva?”
 
“Perché gli artigli li hai sempre sfoderati tu per prima, tesoro, mentre io dovevo contenerti e, nel peggiore dei casi, curare le ferite” replicò con gentile fermezza l’uomo, sorridendo nel deporre un bacio sul capo della moglie.
 
Lei gli mostrò i denti in una smorfia minacciosa, ma lui non le diede alcun peso. Terminò di spogliarsi e, dopo essersi immerso nelle coltri profumate, attirò a sé la moglie per abbracciarla.
 
“Ti sta ben fatta, tesoro. Devi capire che, ormai, i nostri figli sono adulti e, se vogliono tenerci nascosto qualcosa, ne hanno tutto il diritto.”
 
“Ma io…” tentennò la donna, non sapendo che rispondere.
 
“Lo so. Tu sei Freki, e scovare i problemi – e chi li causa – è innato in te ma, a volte, ai figli piace risolvere le cose anche da soli. Specialmente ai maschi” la irrise bonariamente lui, baciandole il naso.
 
“Avresti dovuto vedere la faccia di Jerome. Non mi aveva mai guardata così” sospirò la donna, poggiando la fronte sul torace importante del marito. “L’ho deluso, stavolta.”
 
“Perché, stavolta, non è la sua classica sbandata per una bella lupa” motteggiò Jonathan, carezzandole la chioma biondo scura. “Evidentemente, di quest’umana è davvero preso e, se le ha detto di noi, è perché si fida ciecamente. Avremmo dovuto capire che c’era qualcosa che non quadrava, quando ha deciso di andare a vivere da solo.”
 
“Aveva l’età giusta” mugugnò Sarah, pur sapendo che, in parte, il marito aveva ragione. Non era strano che i licantropi rimanessero in famiglia anche in età adulta. Era un buon modo per evitare che il loro segreto sfuggisse di mano anche in modo involontario.
 
“Verissimo. E, forse, lui è stato così ermetico con noi per non preoccuparci. Dopo quello che successe con Lance, chi non starebbe in ansia?”
 
“Ma, e se fosse… se fosse…”
 
Azzittendola con un bacio, il marito replicò subito alle sue paure.
 
“Non è una Cacciatrice. Non è una seconda Diane. Pensi che Jerome non sappia riconoscere la differenza? Siamo rimasti tutti colpiti da quell’evento, e nessuno di noi commetterebbe più il medesimo errore.”
 
“Ma al cuor non si comanda” mormorò dolente Sarah, rammentando fin troppo bene quanto, Lance, avesse patito per il tradimento della donna amata.
 
Era stata lei a dare la caccia a coloro che lo avevano voluto morto, lei che gli aveva consegnato i Cacciatori da dilaniare, lei che per prima aveva fatto sparire Diane.
 
No, non avrebbe permesso che suo figlio soffrisse le stesse pene.
 
Ma doveva il beneficio del dubbio a Jerome, anche se il suo istinto di Freki la faceva gridare dal nervosismo e dalla paura di sbagliare.
 
“Vai da lei senza pregiudizi, cara e, soprattutto… non sbranarla” le disse Jonathan, guadagnandosi per diretta conseguenza un morso sul collo.
 
***
 
Il centro riabilitativo dove lavorava Cynthia si trovava appena fuori Matlock, su Snitterton Road, sulle rive di un placido laghetto ricolmo di germani reali e cigni dal candido manto.
 
La struttura a un piano era di un rassicurante color panna, con vetri ombreggiati e una discreta targa sull’ingresso che ne declamava i compiti.
 
Centro di recupero disabilità motorie, uditive e visive.
 
Sempre più sconcertata, Sarah discese dall’auto assieme a Jerome che, muto sin dal giorno precedente, si avviò verso l’entrata con passo sicuro. Come se conoscesse quel posto come le sue tasche.
 
All’interno, alcune infermiere lo salutarono allegre, denotando una familiarità con lui che non passò inosservata all’occhio attento di Sarah. Quel che la sorprese, però, fu notare come alcuni pazienti, a loro volta, riconobbero e salutarono Jerome.
 
C’era un sentimento misto di piacere e affetto, nelle loro voci, così come nei loro occhi umani. Non un solo licantropo si trovava in quella struttura, però. Come aveva fatto, Jerome, a finire lì?
 
Tenendo il passo con il figlio, Sarah si ritrovò infine a fissare la porta a vetri satinati di un ufficio, su cui compariva il nome della dottoressa Cynthia Graham.
 
Psichiatra. Quella donna era una psichiatra?
 
Lì, Jerome entrò dopo un paio di colpetti al battente e, gelido, indicò alla madre di seguirlo.
 
Mi costerà molto, il mio impicciarmi sempre, questa volta, pensò contrita Sarah, cercando di apparire il più docile possibile.
 
Non che fosse facile, per un Freki, ma stavolta doveva davvero impegnarsi molto per recuperare la fiducia del figlio.
 
Ad attenderli trovò una donna molto alta ed esile, avvolta in un camice bianco e profumato di lavanda. Sotto di esso, indossava un comodo tailleur color cielo notturno su scarpe classiche, dal tacco basso.
 
Dimostrava all’incirca trent’anni e, sulle spalle, scivolavano lisci e lunghi capelli biondi.
 
Il sorriso con cui la accolse disse molto a Sarah, così come la sua mano levata. Ciò che la turbò un poco, invece, fu il notare la totale mancanza di ricerca di un incrocio di sguardi.
 
Fu in quel momento che comprese.
 
“Lei deve essere la madre di Jerome. E’ un piacere conoscerla, Mrs Rowley. Io sono Cynthia” esordì la dottoressa, mentre Sarah le stringeva la mano.
 
“Il piacere è mio, Cynthia” replicò Sarah, lanciando uno sguardo d’accusa al figlio, che però non le rispose in alcun modo, limitandosi ad avvolgere protettivo le spalle alla donna.
 
Donna che, evidentemente, amava al punto di schierarsi contro sua madre. Forse, contro tutto il branco.
 
“Oserei dire che non le hai detto proprio nulla, vero, Jer?” ironizzò la dottoressa, sorridendo all’uomo al suo fianco.
 
Un attimo dopo, lei rise dolcemente e, rivoltasi nuovamente a Sarah, dichiarò: “Sono cieca come una talpa, come avrà ormai immaginato da sola. Vedo un miscuglio molto vago di luci e ombre, ma nient’altro.”
 
Jerome le baciò protettivo il capo, mormorandole all’orecchio qualcosa che Sarah non comprese e la dottoressa, per diretta conseguenza, esalò: “Ma è vero, che sono cieca, Jer! Perché non dovrei dirlo? Tua madre se ne sarebbe comunque accorta a breve, non ti pare?”
 
“Non ti definirei mai una talpa, comunque” precisò lui, con tono serio e amorevole. “Sei molto più bella, e decisamente più brava nel muoverti.”
 
Sarah li osservò per qualche secondo ancora, incredula e spaesata di fronte a quel Jerome che sembrava non riconoscere affatto.
 
Reclinando colpevole il capo, Freki mormorò: “Di sicuro, la cieca sono io, qui dentro.”
 
“Forse” ringhiò Jerome, guadagnandosi per diretta conseguenza una gomitata da parte di Cynthia, che si lagnò dal male un attimo dopo.
 
“Tu e i tuoi benedetti addominali scolpiti” ironizzò la dottoressa, massaggiandosi il gomito dolente sotto gli occhi sorpresi di Sarah.
 
“E sì che ormai dovresti saperlo, come sono fatto” ghignò il giovane, dandole un buffetto sul naso.
 
Cynthia gli mostrò la lingua con fare complice, prima di mormorare: “Si segga, Mrs Rowley, e lasci perdere il caratteraccio di Jerome. Tende a essere molto protettivo, quando mi vede qui, anche se non ne ha davvero alcun motivo.”
 
Fu in quel momento che Sarah percepì qualcosa che non avrebbe dovuto affatto esserci e, assottigliando le iridi perlacee, affrontò il figlio e domandò: “Perché l’aura di Brie la protegge? Lei, dunque, sa? E anche Duncan?”
 
Jerome si accomodò con fare sgraziato e accavallò le gambe, ordinando alla madre di fare lo stesso.
 
Quando Sarah l’ebbe accontentato – e Cynthia si fu accomodata alla sua scrivania – lui ammise: “Lo sa da due anni a questa parte. E no, Duncan non ne è a conoscenza. Volevo sondare il terreno per capire come l’avresti presa, e mi scoccia ammetterlo… avevo ragione da vendere a voler tacere.”
 
“Jer!” sbottò Cynthia, accigliandosi. “Stai pur sempre parlando a tua madre.”
 
Lui le mostrò i denti per un attimo e la donna, per diretta conseguenza, borbottò: “Oh, no, non metterai il broncio con me, Jerome Rowley. Stai sfidando una Sociologa e una Psichiatra a un battibecco senza senso. Non mi batterai mai nelle battaglie mentali. Sappilo.”
 
Jerome, allora, sbuffò con un mezzo sorriso, ammettendo: “Sì, lo so, mi freghi sempre, ma ho davvero le scatole girate, ora.”
 
“E non pensi che tua madre, pur con tutta la sua pazienza, non sia giustamente arrabbiata a sua volta?” gli rinfacciò lei, reclinando il viso nella direzione in cui si trovava Sarah.
 
Com’era in grado di trovarla con così tanta facilità, si chiese Freki, scrutandola con intenzione.
 
“Posso sapere da quanto tempo vi conoscete?” intervenne a quel punto Sarah, scrutandoli entrambi.
 
“Direi quattro anni, ormai” dichiarò con semplicità la dottoressa, sgomentando Sarah.
 
Quattro. Anni? E, in quattro anni, lei non si era mai accorta di nulla?
 
Possibile che Jerome le avesse tenuto nascosto un rapporto apparentemente così importante, e per tanto tempo?
 
Per una volta nella vita, potresti smetterla di essere un Freki, quando parli con noi?!
 
Sarah rammentò bene l’accusa del figlio, il suo sguardo ferito e, in quel momento, ne comprese i motivi.
 
Nel bene e nel male, un Freki sarà sempre guardingo nei confronti delle novità. E’ nella sua natura.
 
Dopo gli eventi legati a Lance, tutto era stato più difficile per lei. Si era sentita ancor più in dovere di prima, di badare a che le cose andassero per il verso giusto.
 
Dopotutto, Freki non era solo il sicario del branco, ma controllava anche le sentinelle, essendo egli il miglior cacciatore del clan.
 
Compito suo era tenere d’occhio i confini del territorio e, assieme a Geri, cacciare gli invasori – o i traditori – per ordine di Fenrir. A maggior ragione, aveva sempre tentato di tenere il dolore e il pericolo lontani dai suoi figli.
 
Ma aveva tenuto lontano anche, e soprattutto, le sue stesse creature?
 
A quanto pareva, sì.
 
Lappandosi le labbra con espressione ferita, Sarah domandò ancora: “In che… in che occasione vi siete conosciuti?”
 
Cynthia lanciò uno sguardo cieco in direzione di Jerome – seduto al fianco della madre – quasi sapesse a menadito dove si trovasse in ogni momento.
 
E forse era davvero così.
 
“Jerome è finito nel laghetto qui dietro, nel tentativo di recuperare una delle nostre giovani pazienti” le spiegò la dottoressa, sorridendo con dolcezza.
 
Tossicchiando imbarazzato, lui aggiunse: “Stavo facendo una corsetta nei boschi dei dintorni, quando ho udito delle grida e sono accorso qui. C’era una gran frenesia, ma ho capito subito dove fosse sorto il problema. Uno dei pazienti era uscito di nascosto e aveva finito col perdersi, avvicinandosi troppo al laghetto.”
 
“L’ha riportata a galla e riconsegnata nelle mani delle infermiere, dopodiché si è voluto assicurare personalmente che stesse bene. Ha passato ore, qui” ricordò Cynthia, sorridendo con amorevole affetto.
 
“Non farla più grande di quel che è, Cyn. Non ho mica volato sulla luna e ritorno, sai?” borbottò imbarazzato Jerome, pur sorridendole.
 
Lei accentuò il suo sorriso e, rivolta a Sarah, dichiarò: “Suo figlio è molto modesto, sa?”
 
“E anche molto bravo a mantenere i segreti. Non l’avrei mai pensato” mormorò la donna, lanciando uno sguardo al figlio, tutt’ora accigliato.
 
“Che cosa avrei dovuto fare? Se anche vi avessi detto che Cynthia è una Percepente, sareste stati tutti quanti sul piede di guerra, perché è umana” brontolò Jerome, sulle sue.
 
“Una …Percepente?” ripeté sorpresa Sarah, comprendendo il perché dei movimenti così sicuri della donna. Avvertiva le loro auree!
 
“Esatto” borbottò Jerome, sempre ombroso in volto.
 
“Anche Gordon e Mary Beth giunsero nel branco da umani” sottolineò la madre, tentando di chetarlo.
 
“Erano circostanze eccezionali, e loro avevano il sostegno di Brianna che, di fatto, conta un tantinello più di me, o della mia parola” sbroccò l’uomo, sbuffando sonoramente.
 
“Non pensarlo neppure!” ringhiò Sarah, prima di contenere la rabbia con la sola forza di volontà. “La tua parola vale quanto quella di chiunque altro.”
 
“Oooh, andiamo, ma’! Pensi davvero che non sappia che tutti mi considerate uno scapestrato Casanova, e basta?” la rabberciò lui, senza alcun riguardo.
 
Cynthia sorrise divertita, e motteggiò: “Un Casanova molto affascinante, oserei dire.”
 
“Cyn, dai… cerco di essere serio. Non remarmi contro” brontolò lui, arrossendo un poco.
 
“Anch’io, Jer, e sentirti parlare così ferisce tua madre, temo. Non penso proprio che tu venga giudicato solo e unicamente come un perdigiorno. Io non lo penserei mai, per lo meno” sottolineò Cynthia, tornando seria.
 
“L’hai detto a Brianna. E lei è Prima Lupa e wicca. Ti avrebbe dato lei il salvacondotto per Cynthia, così da presentarla al branco, a tutti noi. A me” gli rammentò Freki, sentendosi sconfitta per vari motivi.
 
Quanto aveva ferito il figlio, con la sua rigidità? Davvero la temeva così tanto da non fidarsi di lei, neppure avendo alle spalle il consenso della loro wicca?
 
Incurante dello sguardo furioso di Jerome, Cynthia si levò dalla poltroncina e, dopo aver oltrepassato la scrivania, allungò una mano in cerca di Sarah.
 
Quando quest’ultima si lasciò trovare, sorrise e disse: “Il suo è un potere diverso da quello di Jer, più affilato e… freddo. Ma non in senso negativo. Come di qualcuno abituato a soppesare sempre pro e contro. Deve essere una cacciatrice incredibile.”
 
Jerome sbuffò irriverente ma, prima ancora di Sarah, fu Cynthia a richiamarlo all’ordine.
 
“Oooh, piantala, Jer! Se la metà delle cose che mi hai raccontato sono vere, vorrei ben vedere che tua madre non fosse così! E non fosse giustamente preoccupata per te!”
 
“Che c’è? La difendi anche, adesso? Se l’avessi lasciata fare, ti avrebbe sbranata senza avere neanche l’accortezza di chiedermi come sei!” brontolò Jerome, ormai fuori dai gangheri.
 
Sarah tentò con tutta se stessa di non rispondere alle accuse, ma fallì miseramente.
 
“Cosa te lo fa pensare, sentiamo? Proprio tu che sei Sköll, dovresti sapere che io agisco solo su ordine di Fenrir. Non avrei mai preso decisioni personali e, soprattutto, dettate da mie paure irrazionali. Inoltre, ti ricordo per la terza volta che Brianna era dalla tua parte!”
 
“Ammetti, allora, che le tue sono solo paure!” le ritorse contro il figlio, poggiando le mani sui braccioli della poltrona.
 
“Sei mio figlio!” sibilò Sarah, ai limiti del pianto.
 
Jerome ammutolì, a quella vista e Sarah, approfittando del suo silenzio, mormorò con maggiore contegno: “Sarò sempre preoccupata per te ed Erika. Finché avrò fiato nei polmoni. Siete carne della mia carne, perciò scusami se questa cosa mi ha scioccata a morte!”
 
Cynthia squadrò Jerome senza vederlo, come a dire: ‘E bravo, l’hai fatta piangere…’
 
Grattandosi la nuca con fare nervoso, Jerome, allora, borbottò: “Okay, dai, ma’. Non piangere. L’ho gestita male, va bene? Ma tu parti sempre in quarta, e pensavo che… che, insomma, anche se Brie sapeva tutto, non ti saresti accontentata. Dovevi essere tu, a essere avvertita per prima. Non il branco. Non Duncan. Solo, non sapevo come fare.”
 
Sospirando, Sarah sollevò la mano libera per chetarlo e, con un mesto sorriso, asserì: “Come dice tuo padre, io sono Freki, sempre e comunque, e il mio istinto parla prima del mio cervello. Ma vorrei scusarmi per non averti lasciato altra scelta che mentirmi.”
 
Cynthia allungò una mano e strinse nella sua quella di Jerome e, nel volgere lo sguardo verso Sarah, sorrise.
 
A Sarah parve che brillasse di pura gioia.
 
“L’appartamento lo ha preso per stare con te?” domandò poi Freki, senza alcun sottofondo accusatorio nella voce.
 
Cynthia annuì, mormorando: “Diciamo che è diventato necessario.”
 
A quel punto, Sarah sgranò gli occhi, si volse a guardare il figlio e, finalmente, comprese.
 
L’aura scombussolata, lo sguardo perso e preoccupato, la testa tra le nuvole.
 
“Jerome, voi…”
 
Lui la interruppe e, sospirando, scrollò le spalle nel dire: “Devo parlare anche con Duncan, a questo punto. Non posso più procrastinare.”
 
“Sì, sarà il caso. Penso che dovresti davvero presentargliela” assentì Sarah, ancora parecchio scombussolata da quell’ultima bomba.
 
***
 
Dopo aver poggiato sul tavolo del salotto un vassoio con del tè e dei biscotti al cioccolato, Brianna andò ad accomodarsi accanto al marito, che teneva in braccio Nat.
 
Jerome li scrutò senza dire nulla, indeciso se dire altro o meno, così fu Duncan a parlare.
 
Fenrir scrutò il volto pacifico di Cynthia, seduta su una delle poltrone accanto al camino spento, e disse: “Di sicuro, hai imparato davvero bene a mantenere i segreti. E’ un passo avanti enorme, per te. E, a quanto pare, anche tu hai migliorato molto.”
 
Jerome ghignò e Brianna, nel dare un bacetto a Duncan, asserì: “Era una situazione eccezionale. Diversamente, ti avrei detto tutto.”
 
Nel passare Nathan a Brianna, Duncan le sorrise e si alzò per servire il tè ai presenti.
 
Rimase in silenzio per tutta la durata delle operazioni e, quando infine consegnò la tazza a Cynthia, le domandò: “Ma sei sicura di poter davvero sopportare mio cugino?”
 
Lei rise sommessamente, e annuì.
 
Scrollando le spalle, allora Duncan tornò a sedersi e, intrecciate le gambe, chiosò: “Per me non ci sono problemi. E, visto che Brie ha steso su di te la sua benedizione, sono doppiamente tranquillo.”
 
Sentendosi chiamata in causa, la giovane si limitò a dire: “Posso solo dire che Cynthia mi piace. Ha un’aura positiva e luminosa, e i sentimenti che prova per J sono sinceri. Li avvertii chiaramente fin dalla prima volta in cui la vidi.”
 
Jerome storce un po’ il naso, a quei commenti, e borbottò: “Ragazzi, non per fare il pignolo, ma non stiamo passando un esame.”
 
“E invece sì, mio caro Sköll, per quanto mi dia noia il solo pensarci” sospirò Duncan, fissandolo spiacente. “Sai benissimo che Cynthia dovrà essere presentata al Vigrond, e il branco dovrà accettare la sua presenza nel clan.”
 
“Sì, ma…” iniziò col dire, subito bloccato da Cynthia.
 
“Dovrò passare un esame di qualche tipo?”
 
“No, Cynthia. Solo la Prima Lupa può essere sfidata a un’Ordalia” le spiegò Duncan, sorridendo un attimo a Brie, che ghignò. “Ma rimane il fatto che tu sei umana e, come è successo per il fratello e la matrigna di Brie, dovrai a tua volta essere presentata al branco perché ti accettino in seno alla comunità.”
 
“Si impunteranno perché nessuno la conosce” brontolò Jerome, facendosi ombroso.
 
Brianna, allora, si levò in piedi per raggiungere Cynthia e, dopo averle sfiorato un braccio, le chiese: “Puoi tenere Nathan in braccio per un attimo?”
 
“Volentieri” assentì con naturalezza la dottoressa, che allargò le braccia per accogliere il bambino.
 
Questi gorgogliò di gioia e afferrò la camicetta di Cynthia, facendola ridere.
 
Il bambino giocherellò con le dita della donna, ne succhiò una per un po’, dopodiché si esercitò coi denti, mordicchiando le nocche e le unghie.
 
Dopo un paio di minuti, Brianna si accomodò nuovamente accanto al marito e dichiarò: “Bene. Nathan la conosce, io la conosco e Duncan la conosce. Direi che sarà difficile che qualcuno possa dire qualcosa, quando la Prima Lupa, Fenrir e il Primo Cucciolo dichiareranno che Cynthia è persona gradita. Oddio, Nat dichiarerà poco, ma si capirà comunque.”
 
A quest’ultimo commento, tutti sorrisero e Jerome, passandosi una mano sul viso con espressione vagamente più rasserenata, esalò: “Pensi che basterà?”
 
Duncan, allora, si levò in piedi, raggiunse il cugino, si accoccolò vicino alla sua poltrona e mormorò: “Mio lupo, mio Sköll, pensi davvero che uno solo di noi non sarebbe d’accordo nell’accettare Cynthia nel branco?”
 
“Io, beh… lei è umana e…” tentennò lui, subito azzittito dal gesto del cugino.
 
Duncan gli carezzò una guancia con fare tenero, aggiungendo: “Dovrei essere insensibile per non vedere quanto la ami, e quanto lei ama te.”
 
“O cieco totale” aggiunse con ironia Cynthia, sorridendo in direzione di Duncan, che rise sommessamente.
 
“O cieco totale, per l’appunto” riprese Fenrir, annuendo. “Lo capiranno anche gli altri e, se un domani Cynthia vorrà, potrà diventare licantropa. Ma sarà solo una sua decisione. Nessuno la obbligherà, esattamente come è avvenuto per Gordon e Mary Beth.”
 
A quel punto, Jerome assentì con gli occhi lucidi di pianto e, scrutando Brianna, le domandò: “Pensi che, se diventasse licantropa, potrebbe…?”
 
Non terminò il quesito, ma la giovane comprese subito quale fosse il suo pensiero.
 
La cecità di Cynthia.
 
Rivolgendosi alla donna, perciò, Brie le chiese: “E’ un disturbo congenito, o il risultato di una malattia?”
 
“Una malattia degenerativa” le spiegò allora Cynthia, con tono perfettamente calmo.
 
Brianna, allora, si rivolse a qualcuno di più alto in grado.
 
“Fenrir, tu che dici?”
 
Tutto può essere, mia cara. Forse, potrebbe recuperare parte della vista, forse nulla o, forse, potrebbe recuperarla del tutto. Essendosi trattato di una malattia, le casistiche sono migliaia. Sono passati anni da quando è in questa condizione, perciò non ho davvero risposte degne di tale nome. Curare la tua leggera miopia è stato un po’ diverso.
 
Brianna rammentava bene come, dopo essere divenuta licantropa, aveva potuto rinunciare alle lenti a contatto. Il suo, però, era stato un difetto di poco conto. Cynthia partiva quasi completamente cieca.
 
Sospirando, riemerse da quel confronto interno e mormorò: “Fenrir non è sicuro che possa recuperare la vista, ma non è da escludersi.”
 
Jerome, allora, sospirò, ma Cynthia ci tenne a dire: “Jer, a me va bene anche così. E’ una vita che procedo nel mondo senza vedere. Non mi angustierò se anche non succedesse niente, quando avrò la mia livrea per la prima volta.”
 
“Vuoi… diventerai come me, allora?” esalò lui, sorridendole nel darle un bacio sulla guancia.
 
“Sono abituata a usare i sensi che mi sono rimasti. Ho idea che, come lupo, sarà molto più semplice” ironizzò lei, ammiccando.
 
Jerome rise, assentendo a quel commento, e dichiarò: “Ti insegnerò tutti i segreti del bosco, Cyn… poco ma sicuro!”
 
Duncan prese una mano della dottoressa e, nel carezzarle il dorso, le promise: “Sei e sarai parte della famiglia, Cynthia, perciò non temere. L’approccio con questo mondo sarà semplice. Non dovrai preoccuparti di nulla.”
 
“Non sono preoccupata. Sono con i miei angeli custodi” sorrise tranquilla la donna, e Jerome sorrise fiducioso.
 
Avrebbe tanto voluto ringraziare Nelson Withlock, per averle dato questa fiducia incondizionata nella loro razza, ma era ormai morto da tempo.
 
Una cosa, però, poteva farla, e in quello si sarebbe impegnato per tutta la vita.
 
L’avrebbe amata e protetta e, insieme, avrebbero cresciuto la loro creatura.
 
Sì, era un buon piano e, stavolta, lo avrebbe sbandierato ai quattro venti.
 
Poteva finalmente lasciarsi alle spalle tutti quei segreti.
 
 
 
 
 
 
 
Note: la resa dei conti tra Jerome e sua madre è infine arrivata e, come temeva il giovane, la bomba è esplosa con forza sulle loro teste. Sarah non ha potuto fare a meno di lasciare esternare la sua natura di Freki ma, soprattutto, di madre devota, e questo ha irritato in prima battuta Jerome, pur se lo ha lasciato con l'amaro in bocca alla fine, spiacente di aver ferito suo malgrado la madre col proprio silenzio.
Come andrà a finire tra i due? E la cerimonia al Vigrond metterà a tacere tutti?
  
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