Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Wassat    02/02/2016    2 recensioni
Sono passati due anni dall'assassinio e Levi è finalmente pronto a lasciarselo alle spalle. La casa in fondo alla via Ashbury è antiquata e isolata - un regalo da parte di un vecchio amico, che con essa vuole dargli la possibilità di un nuovo inizio. Tuttavia, quando le ombre prendono a muoversi nel mezzo della notte prendendo la forma di un tesoro ormai perso, Levi inizia a temere sia per la sua sanità mentale che per la sua vita. Improvvisamente, la strada verso la guarigione diventa un gioco in cui o uccide o viene ucciso.
Genere: Angst, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Eren, Jaeger, Irvin, Smith
Note: AU, Lime, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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HoE chap 7
E con questo capitolo siamo ad un terzo della fic! Quindi mancano 14 capitoli alla sua fine. Mi viene la lacrimuccia solo a pensarci y_y Dettagli a parte, mi dispiace moltissimo per l'attesa, ma purtroppo ultimamente non ho tutto il tempo che mi piacerebbe avere da dedicare alla traduzione. Spero di riuscire a far passare meno tempo per il prossimo capitolo. Preparatevi alla parte finale del capitolo, dove Levi fa il pirla e ne paga le conseguenze (assieme ad Eren). Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
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I raggi di Sole iniziarono finalmente ad illuminare le pareti della casa, col loro tiepido calore, dopo una nottata priva di sonno.

L'unico rumore, oltre al silenzio che regnava nella stanza, era quello di una penna contro la carta. La tensione era ancora palpabile tra loro, ma almeno Levi non si sentiva più sotto pressione.

Sono stato qui per mesi, ma non avevo idea ci fosse qualcosa, la penna si fermò un attimo, esitante, oltre a me.

Seduto sul divano, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento tra le mani, Erwin annuì. "Come sei arrivato fin qui? Sei un fantasma? Un ghoul? Un poltergeist?"

"Siete dei nerd," Commentò Levi. "Entrambi."

Eren gli mostro la lingua, da persona matura qual era, ma continuò a scrivere. Non lo so. Esisto e basta.

"Però Levi riesce a vederti e tu riesci a tenere in mano una penna senza problemi."

"E può toccarmi."

"E com'è?" Gli chiese Erwin, rivolgendogli un'occhiata.

"Come se fosse una scossa," Rispose. "Nel peggiore dei modi, per essere precisi."

"Mi dispiace," Gli disse Eren, grattandosi timidamente il collo. "Fortunatamente non ho tentato di fare nulla con te."

"Non pensarci neanche, in futuro. Per il quieto vivere di entrambi." Anche se furono quelle le parole che pronunciò, l'uomo si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato. "Non voglio prendermi i pidocchi fantasmi." Probabilmente sarebbe stato come scoparsi una lastra di ghiaccio.

Erwin alzò un sopracciglio e Levi scosse la testa, assicurandolo che non gli sarebbe piaciuto venire a conoscenza della loro breve conversazione.

"In qualsiasi caso, tutto questo mi fa ricordare di un programma televisivo che guardavo da bambino." Disse Erwin. Prese il pezzo di carta tra le mani, per poterne apprezzare meglio le parole scritte su di esso, ma subito gli venne strappato dalle mani da una forza sconosciuta. Neanche sobbalzò all'accaduto.

Ghostwriter.

"Proprio quello." Rispose con un sorriso.

Levi portò gli occhi al cielo. "Lo ripeto: siete dei nerd."

"Penso che il termine appropriato sia geek." Disse Eren, con un sorrisone in viso.

"Due geek." Precisò nello stesso momento Erwin.

Alzandosi dal divano e stiracchiandosi, Levi grugnì e sospirò. "Volete che vi lasci del tempo da soli? Sto iniziando a sentirmi la ruota di scorta." Non c'era veleno nelle sue parole, solo divertimento. "Sapete, messo da parte quel presentimento che qualcosa nella mia casa abbia intenzione di uccidermi."

L'uomo si diresse in cucina, prima che uno dei due potesse rispondergli.

Si chiese se fare colazione fosse una buona idea, poi decise di preparare dei caffè e dei panini per tutti.

La conversazione a senso unico che si poteva sentire provenire dal soggiorno era stranamente calmante, grazie alla voce placida di Erwin e le occasionali risate di Eren. Ricordi di normalità gli affiorarono, quelli di tranquilli giovedì sera passati con la testa di Eren sopra le sue gambe, dopo una lunga giornata al college, ed Erwin sul divano di fianco a loro, a guardare vecchi film.

Non gli era mai capitato di pensare a quanto potesse mancare tutto questo anche ad Erwin.

Dopo aver messo dell'acqua a bollire, Levi mise a scaldare del latte. Si appoggiò al frigo, dopo aver messo i primi due panini nel tostapane. La sua abilità nel multitasking lo aveva sempre portato sopra le altre persone.

Con riluttanza, l'uomo si decise a pensare al suo incubo e all'apparente passeggiata durata un intero giorno che aveva fatto ieri. L'unico aspetto che accomunava le due esperienze era la presenza del cervo, o qualcosa di simile ad uno di quegli animali. Il secondo avvenimento era stato più oscuro, gli aveva indotto un senso di claustrofobia che contrastava l'agorafobia che aveva provato il giorno prima nella foresta.

Nulla di quello aveva un senso, a partire da Eren fino alla voce che lo aveva toccato nell'oscurità della sua mente.

Il tostapane emise un rumore e i panini ne uscirono, così si sbrigò a spegnere il pentolino col latte prima che iniziasse a bollire. Mise il terzo panino a scaldare, poi cercò nel frigo del formaggio spalmabile che era certo di avere. Lo trovò vicino al fondo e prese anche la marmellata, ricordando come ad Eren piacesse il contrasto di sapori.

Li preparò e, quando ebbe finito, spense la macchina del caffè e lo servì nelle tazze. Due cucchiai di zucchero per Erwin, tre per Eren e quattro per sé. Gli piaceva il caffè così come gli piacevano i  suoi ragazzi: forti e dolci.

"Non si mangia in salotto," Chiamò i due, poggiando i panini su dei piatti, che sistemò sull'isola della cucina. "Portate i vostri culi di qua."

"Però tu puoi tranquillamente mangiare sul divano." Brontolò Eren, prendendosi lo sgabello più lontano possibile dalle scale.

"Perché io so mangiare decentemente," Gli rispose Levi, puntandolo col coltello sporco di marmellata. "Non fare il rompipalle."

Erwin era rimasto vicino alle scale, rivolgendo un mezzo sorriso a Levi. "Ti dispiace dirmi dove Eren non sta sedendo?"

Levi ci pensò su, prima di scrollare le spalle. "Sì."

"Come ha fatto ad accettare di sposarti?"

"Vero?" S'intromise Eren, gesticolando con le mani come se fosse stato esasperato.

Alzando nuovamente il coltello, l'interpellato fece sicuro di rivolgere ad Eren un'occhiata più omicida possibile, ma il ragazzo si limitò a sorridere. "Puoi andare a infestare la casa di Erwin, se questo ti fa felice." Sbuffò l'uomo, voltandosi per prendere i loro caffè. "Sacchi di merda."

Quando Erwin si rifiutò di muoversi e Levi prese ad irritarsi al pensiero di far freddare il cibo, quest'ultimo disse: "Quando mai hai mangiato dei panini alla marmellata?"

Erwin scrollò le spalle. "Potresti averli scambiati per vendicarti di me."

"E di cosa?" Ovviamente Erwin aveva una lunga lista di cose per la quale avrebbe meritato di essere punito, ma a Levi non avrebbe soddisfatto vederlo schiacciare il suo marito già morto. "Siediti e mangia quel fottuto panino."

Avvicinandosi agli sgabelli, Erwin piazzò una mano sopra a quello col panino farcito unicamente di formaggio spalmabile. "Se sei qui, sarebbe meglio se ti spostassi."

Levi lo fissò senza espressione, mentre Eren sorrise.

Quando Erwin si sedette, Levi quasi stava per fare una battuta, quando venne interrotto da un mormorio pensieroso. "Che tu ci creda o meno, penso di riuscire in qualche modo a vederti."

Quello catturò l'attenzione di entrambi e Levi optò per rimanere in piedi vicino all'isola per mangiare la sua colazione. "Illuminaci."

Erwin guardò al suo fianco, con le sopracciglia corrugate. "Ci sono degli indizi, se mi concentro," Disse. "Per esempio, sono certo che hai messo davanti a lui un panino e una tazza di caffè, eppure la tazza è sparita."

Eren sbatté le ciglia, poi portò gli occhi sulla tazza che stava stringendo tra le mani. "Ho sempre pensato che, quando muovo qualcosa, la gente riuscisse a vedere il movimento. Cioè, non ha visto la penna muoversi?"

"E' interessante." Mormorò Levi, stringendo le dita sulla sua tazza, senza però prenderne un sorso. "Nessuna sorta di movimento?"

"No. E' strano, però, come se sapessi che è lì e che dovrei essere capace di seguire i suoi movimenti, ma venissi distratto abbastanza a lungo da far sì che lui agisca senza che io me ne accorga."

"E' una cosa fighissima," Disse Eren. "Pensa a tutti i concerti in cui mi potrei infiltrare."

"Non pensarci neanche," Lo avvisò Levi. "C'è qualcos'altro?"

Erwin rimase immobile per un momento, prima di annuire. La sua espressione era nuovamente seria, un deciso contrasto dal divertimento di qualche minuto prima. "Hai presente quando la tua vista si appanna all'improvviso? Non c'è nessuna ragione per il quale dovrebbe appannarsi, ma c'è questa specie di macchia nebbiosa che non puoi levarti dagli occhi?" All'accenno di Levi, Erwin sospirò. "E' tipo una strana distorsione che si può notare dove si trova in quel momento."

"Ma è qualcosa, giusto?" Chiese Eren, probabilmente dimenticandosi che Erwin non poteva sentirlo. "Almeno dimostra che non sono un problema della tua testa."

Dopo aver finalmente sorseggiato il suo caffè, Levi afferrò metà del suo panino.

"Dove stai andando?" Chiese Erwin e Levi ed Eren si voltarono verso di lui.

Stava guardando verso le scale con un mezzo sorriso e Levi sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.

Perché Eren non si era mosso dal suo posto.

"Con chi diavolo sta parlando?"

"Con chi cazzo stai parlando?" Sbottò Levi, poggiando il cibo sul piatto, improvvisamente senza appetito. "Erwin?"

Erwin lo guardò confuso. "C'è..." Smise di parlare e si alzò lentamente dalla sedia. "Vicino alle scale."

Ognuno agì velocemente, Eren con abbastanza forza da far cadere lo sgabello, facendo sobbalzare Erwin. Levi era pronto a correre fuori dalla stanza, ma l'altro uomo lo afferrò dal braccio prima che si potesse allontanare troppo.

Stava anche ridendo istericamente.

Levi si scrollò il suo braccio di dosso, col cuore che correva impazzito. Quando capì la situazione, desiderò poterlo castrare a vivo.

"Figlio di puttana!" Lo spinse lontano da sé, senza però riuscire a far molto, data la sua stazza. "Tutto questo ti sembra un fottuto gioco?"

Con una mano sul petto, Erwin quasi cadde dalle risate.

Con la schiena premuta contro il muro, Eren scrollò la testa. "Non è stata una cosa carina." Disse, in un mormorio.

"Mi dispiace, va bene?" Disse l'interpellato, raddrizzandosi senza però riuscire a contenere le risatine. "Ho visto l'opportunità e l'ho presa."

"Sì e quasi mi hai fatto morire d'infarto, stronzo."

"Lo so, lo so. Mi dispiace, davvero." Erwin si passò una mano sul viso, senza più cercare di nascondere il suo divertimento. "Non ci ho ragionato sopra."

Mai una singola frase era suonata così sbagliata alle orecchie di Levi.

Nonostante Erwin fosse, senza dubbio, un idiota, c'era sempre una linea che non aveva mai passato. Le sue scelte di vita non erano certamente pure e sante, ma aveva - e avrebbe continuato - sempre ragionato prima di parlare. In contrasto con la freddezza di Levi, Erwin era decisamente più caloroso, ma nonostante tutto sempre saggio.

In breve, Erwin non aveva mai fatto una cosa del genere.

Quel pensiero fece preoccupare immediatamente Levi.

"Erwin?"

Erwin si buttò sullo sgabello, alzando gli occhi umidi verso Levi. "Mi fa male la testa." Fu tutto quello che riuscì a dire, prima che l'altro gli si avvicinasse.

Passando attorno all'isola, Levi afferrò una manica di Erwin e lo fece alzare. "Fuori." Abbaiò, spingendolo verso la porta. L'aria all'esterno era gelida.

Il più basso si guardò alle spalle solo per sincerarsi che Eren li avesse seguiti.

Erwin barcollò sulle scale. Quando Levi fece per avvicinarsi a lui, fece un gesto per fargli capire di stargli lontano e così l'altro lo ascoltò.

Levi lo guardò barcollare fino alla sua auto, lontano dalla sua vista, ma non distante abbastanza per non fargli capire che stesse vomitando.

"Che è successo?" Chiese Eren, esausto.

Scosso, Levi non protestò quando il fantasma gli prese la mano nella sua, nel tentativo di offrirgli conforto.

I due aspettarono in silenzio che Erwin si ricomponesse. Quando lo fece, aprì la porta del pickup, probabilmente alla ricerca dei fazzoletti.

Tornò verso di loro un po' più stabile sui piedi.

Eren gli lasciò la mano, quando Levi si mosse verso Erwin per farlo sedere sugli scalini.

"Non è sicuro per te, questo posto." Disse Erwin, come se già non fossero arrivati a quella conclusione.

"Non c'è molto che possa fare, finché l'agente immobiliare non trova altro." Levi usò uno dei fazzoletti per asciugare il sudore sulla fronte dell'altro. "Non vomitarmi addosso."

"Non lo farò." Gli rispose con un sorriso.

Eren gli si sedette vicino, premendosi contro il suo fianco.

"Avremmo dovuto prenderci i giubbotti." Commentò Erwin, tremando visibilmente.

Faceva freddo, ma non così tanto da avere bisogno di coprirsi così. "E' Eren," Gli disse Levi, guardando il ragazzo appoggiare la testa sulla spalla dell'uomo. "Evidentemente gli era mancato accoccolarsi a te."

Eren gli fece la linguaccia, ma non negò.

"E' bello sapere che stai bene anche adesso," Gli disse Erwin, voltandosi verso la sua spalla. Il suo sorriso tremante si addolcì. "Levi non è l'unico ad aver sofferto della tua mancanza."

Con un braccio dell'uomo stretto tra le sue, Eren si acciambellò al suo fianco. Era il suo modo per combattere l'ansia, riconobbe Levi, avendolo visto comportarsi allo stesso modo durante il periodo antecedente agli esami al college o quando il suo capo s'intrometteva nel suo lavoro. Né a lui né ad Erwin era mai pesato stringerlo tra le braccia, per aiutarlo a calmarsi.

Certo che i due fossero al sicuro, fuori dalla casa, Levi si avvicinò alla sua auto alla ricerca di salviette sanitizzanti all'alcool e il kit da pronto soccorso. Afferrò anche una bottiglia d'acqua che si era dimenticato di essersi preso. Era a temperatura ambiente, ora, ma sarebbe andata bene ugualmente.

Nessuno dei due stava parlando, quando gli si avvicinò, entrambi avevano chiuso gli occhi e il loro respiro era placido.

Levi aprì il pacchetto di salviette e ne avvicinò una al naso di Erwin, attento a non soffocarlo. L'uomo aprì uno dei suoi occhi blu al contatto.

"Per la nausea." Gli spiegò. Anche se sapeva che Eren non stava dormendo, parlò involontariamente a bassa voce. "Ti senti meglio?"

Erwin mormorò un assenso. Effettivamente stava iniziando a riprendere colore.

"Come prima cosa, domani mattina, mi metterò in contatto con l'agente immobiliare." Sussurrò. "Se non avrà nulla di disponibile, cercherò io qualcosa di adatto a te. Nel frattempo starai da me e Mike."

Eren emise un suono di protesta, ma non si mosse.

"Hai pensato di parlare prima con Mike?"

"Non gli peserà. Non è che sia una sistemazione tanto diversa da quella che abbiamo ora." Disse Erwin. Stava tremando, ormai, ma non si lamentò.

Conoscendo Mike, di certo non si sarebbe lamentato, però a Levi non piaceva come cosa.

Quattro anni fa, lui ed Eren erano diventati una coppia effettiva. Non perché Eren fosse preoccupato dalla presenza di Erwin, ma perché Levi aveva l'idea che il matrimonio fosse una cosa ben diversa e più seria di stare semplicemente assieme. Nonostante tutta la sua apertura mentale, gli sembrava che fosse arrivato il momento della loro intimità, nonostante sapesse che Erwin non si sarebbe mai intromesso in alcun modo tra loro due. Erano le abitudini di un vecchio uomo, si era detto.

Dopo una seria conversazione sull'argomento, lui ed Erwin avevano preso le loro strade. Il ricordo del sorriso tirato dell'uomo era ancora ben stampato nella sua mente, ma aveva rispettato la sua decisione.

Di conseguenza Levi non se la sentiva di mettere piede nella stessa situazione che lo aveva spinto ad allontanarlo. Mike aveva idee molto simile alle sue. L'uomo amava la sua privacy. Però era così buono da compromettere i suoi stessi ideali di tranquillità per lui e la cosa non gli sembrava giusta.

"Non posso abbandonare questa casa," Disse Levi, spaventato al sol pensiero. "Non posso abbandonare Eren."

Eren alzò la testa, scrollandola. "Non preoccuparti di me." Gli disse.

"Non farlo." Lo avvisò Levi, portando lo sguardo verso la foresta. "Davvero. Non iniziare neanche."

"Per l'amor di Dio, Levi," Disse il fantasma, la sua voce fin troppo calma. "Se rimani in questa casa a causa mia, puoi davvero dirmi addio perché me ne andrò sul serio. Non rimarrò qua ad aspettare che qualcosa ti faccia del male."

"Se succederà, non sarà colpa tua."

"E come fai a saperlo, eh?! Per quel che ne sappiamo si sta nutrendo della mia energia o qualcosa di simile. Mia mamma ha sempre detto che la malvagità richiama altra malvagità-"

"Non sei malvagio." Disse Levi. Non urlò, non ne aveva bisogno. Le sue parole era così decise che fecero tacere il ragazzo. "Che sia l'ultima volta che osi anche solo suggerire una cosa del genere."

Eren serrò le labbra e continuò a tacere, tornando ad appoggiarsi contro Erwin.

"Allora è il momento di trovare un compromesso." Disse Erwin. L'espressione preoccupata che assumeva ogni volta che Levi ed Eren parlavano era ormai inesistente. "Sei disposto ad ascoltarmi?"

Levi non disse nulla, così Erwin continuò.

"In modo da non disturbare qualsiasi cosa sta succedendo qui, che sia con Eren o quell'altra cosa, possiamo continuare a fare come abbiamo fatto fin'ora. Puoi rimanere da me durante la settimana e, nei week end, puoi stare qua."

"Con te."

"Con me."

"No." Rispose Levi. Incrociò le braccia quando la brezza mattutina si scontrò su di lui, tenendo le mani al caldo.

"Non è una pessima idea." S'intromise Eren, piegando di lato la testa.

"Quella cosa era dormiente finché Erwin non ha deciso di entrare. Come potrebbe essere una buona idea?"

"Hai bisogno di qualcuno che riesca a mettersi in contatto con le autorità se qualcosa dovesse succedere." Disse Erwin.

Levi ricordò la simile conversazione che aveva avuto neanche ventiquattro ore prima. La risposta del come Eren fosse riuscito a mandare un messaggio ad Erwin gli sfuggiva tutt'ora.

"Decisamente sicura, come cosa." Ribatté Levi, preoccupandosi che il suo sarcasmo non passasse inosservato.

Erwin si sedette e allargò le braccia in un gesto esasperato. Eren si mosse con lui, come se la sua fosse una forma corporea. "Hai un piano migliore? Fino ad ora questa è l'unica che riesca a soddisfare i bisogni di tutti e tre."

"Anche te?"

"Sì, Levi, soddisferà anche me." Sospirò Erwin. "Dormirò meglio la notte, sapendo di essere vicino a te."

"Due contro uno," Disse Eren con un sorriso trionfante. "La vittoria è nostra."

"Sei a conoscenza del fatto che non ci sarò per cinque giorni su sette." Gli ricordò Levi. Ridusse gli occhi a fessure, guardandolo, perché sapeva che mentre le intenzioni del giovane erano buone, spesso si dimenticava a pensare alle situazioni per intero.

"Non ho mai detto di essere estatico all'idea, ma mi sentirò decisamente meglio a saperti lontano dal pericolo per più giorni che non il contrario."

Levi lo fulminò con lo sguardo, prima di voltarsi dall'altra parte. Questa non era la prima volta che si erano messi entrambi contro di lui. Prima avrebbero ricorso a diversi metodi di persuasione, quelli che richiedevano la porta della camera da letto chiusa a chiave.

Ora, invece, avevano fatto uno gli occhioni da cucciolo, dell'altro invece si vedevano solo le labbra imbronciate. Gli ci sarebbe voluto molto di più per convincerlo, ma lui stesso capiva la loro decisione. Era testardo, ma di certo non cieco. Se fosse stato per lui non avrebbe mai più varcato quella porta.

"Parlerò con Mike," Disse infine, attento a non far sembrare la sua frase un cedimento. "Decideremo meglio dopo aver avuto la sua risposta."

"Cosa gli dirai?" Gli chiese Eren. "Non potrai di certo dirgli la verità."

"A questo ci penserà Erwin." Rispose. "Ma non insinuare qualcosa su un mio ipotetico crollo mentale."

Erwin ridacchiò. "Fidati di me: non c'è una persona che conosciamo che ormai non abbia pensato ad una cosa simile."

•••

Quando il pickup di Erwin sparì dalla loro vista, Levi era già dentro casa, nonostante le proteste di Eren.

"Perché non sei andato con lui?" Gli chiese, gesticolando. "Starà via solo per poche ore."

Levi si avvicinò al contenitore posto sul tavolo, rimanendo soddisfatto nel vederlo intoccato. Erwin doveva essere stato troppo preoccupato con quel che era successo, per decidere di aprirlo. "Perché," Disse, aprendolo e sollevandone il coperchio. "C'è qualcosa che devo fare."

Il fucile era posato all'interno di esso, tenuto fermo da uno strato di spugna, intoccato e lucido.

"Quando l'hai preso?" Sussurrò Eren.

Levi non incontrò i suoi occhi. "E' solo una precauzione."

"Non hai risposto alla mia domanda." La sua apprensione era palpabile.

Decidendo di continuare a non rispondergli, Levi uscì dalla casa.

Si diresse alla sua auto, alla ricerca del resto del suo equipaggiamento. Aprendone il portabagagli, afferrò una borsa.

Quando tornò alla casa, Eren era andato a sedersi nel salotto, con la schiena rivolta a lui. La casa gli apparve più fredda di prima, ma non a causa di una presenza malvagia. Il rifiuto di Eren era decisamente la peggior cosa che potesse capitare a Levi.

Decise di non insistere o discutere con lui e così andò in bagno a cambiarsi.

Gli abiti da camouflage gli era costati un bel po', quindi era compiaciuto nel vedere che gli stavano perfetti. Gli stivali da caccia non erano stati così costosi, infatti gli erano un po' larghi: nulla che non potesse essere sistemato stringendo per bene i lacci. Per ultima cosa si mise il cappotto da caccia arancione.

L'uomo si sentiva ridicolo con addosso tutto quel vestiario.

Si soffermò un attimo al bagno, quando ebbe finito di cambiarsi, con la mano sulla manopola della porta. Doveva ancora verificare se il corridoio era ancora lì e non voleva. La sola idea di quella struttura aggiuntiva era blasfema e, se poteva, preferiva non doverla ancora affrontare.

Sapendo che non avrebbe ottenuto nulla a stare lì, aprì la porta e fece sì da rivolgere sempre la schiena verso il corridoio. Non era una delle sue idee migliori, ma se avesse sentito qualcosa si sarebbe voltato senza esitazioni.

Riuscì a far le scale senza alcun incidente.

"Sei ridicolo." Gli disse Eren. Era ancora voltato contro il muro.

"La tua faccia è ridicola." Fu la risposta di Levi. Stanco e stressato, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro litigio.

Impugnò il fucile e ne testò il peso. In qualche modo gli sembrava differente da quando l'aveva maneggiato al negozio.

"Quando hai mai sparato con un'arma da fuoco, prima d'oggi?" Gli chiese Eren.

Levi si assicurò il fucile alla schiena. "Mio padre cacciava volpi, quando ero piccolo." Gli disse: quella era l'unica esperienza che aveva avuto. In realtà non aveva mai neanche impugnato lui stesso un fucile, ma aveva semplicemente visto suo padre cacciare e uccidere animali.

Non stava cercando di fare il difficile, ma la paranoia ormai lo stava mangiando. Sapeva che Eren era a conoscenza del fatto che era solito comportarsi così quando era scocciato, quindi non si preoccupò del suo atteggiamento difensivo.

"E tu hai mai sparato prima d'oggi?" Chiese nuovamente Eren, senza dargli alcuna possibilità di fuga.

Levi si concentrò sul rumore dei suoi passi, di come gli stivali scricchiolavano sul pavimento in legno. "No, non con armi vere." Aveva, tuttavia, usato pugnali in più di un'occasione - strettamente per autodifesa. Essere basso e ossuto da adolescente lo aveva sempre fatto finire nei casini.

"Quindi tu adesso vuoi uscire e sparare a qualche animale perché...? Cosa? Cosa stai cercando di provare?"

Una bella domanda, concesse Levi, una che aveva evitato di porsi fin da quando aveva deciso di comprarsi il fucile.

"Pratica." Rispose. Era l'unica scusa logica che gli era venuta in mente. Pratica, in caso qualcuno cercasse di entrare in casa sua o fargli del male. Una piccola parte della sua mente gli disse che le pallottole non avrebbe di certo ferito qualcosa che non poteva sanguinare, ma l'essere umano ha sempre avuto la tendenza di mentire a sé stesso, in modo da riuscire a dormire la notte.

Eren sbuffò. "Per cosa, le olimpiadi?"

Levi ridusse gli occhi a due fessure, la sua inesistente pazienza ormai al limite.

Scegliendo di ignorarlo, l'uomo si assicurò alla cintura uno di quei pacchi equipaggiati di torcia, pugnale, repellente per insetti, un kit per il pronto soccorso e una bussola. Al suo collo pendeva un paio di binocoli.

Il tutto gli sembrava esagerato, ma chi era lui per sapere se fosse vero o no. Per essere così deciso ad andare a caccia, si era anche dimenticato di cercare in internet qualche consiglio. Quelli di cui era a conoscenza erano quelli di Dimo.

Levi non esitò a inoltrarsi tra gli alberi, una mano serrata sull'arma. Se si fosse fermato a ragionare, sapeva che avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornato a casa, ma non voleva permettersi una cosa del genere. Non aveva idea di chi stesse cercando di convincere, ma aveva bisogno di convincere qualcosa che non era affatto spaventato. Non avrebbe lasciato che la paura lo paralizzasse. Come un animale in trappola, avrebbe attaccato.

Per un attimo si sentì disorientato dall'ambiente in cui si trovava, poi ricordò che l'unica volta che era entrato nella foresta era stato in un incubo. Era ovvio che il posto sarebbe stato diverso e la cosa non fece altro che calmarlo.

Respirò a fondo, con calma, facendosi strada rumorosamente in quel labirinto d'alberi.

La prima cosa da fare: localizzare un cervo.

Era conscio che avrebbe dovuto allontanarsi molto da casa sua. Aveva bisogno di trovare un posto pieno d'alberi, scomodo agli umani. Se non lo avrebbe trovato, un altro posto adatto sarebbe stato un fiumiciattolo, ma avrebbe preferito evitare.

Tirando fuori il cellulare, accese il GPS.

"Vuoi veramente fare questa cosa?" Gli chiese Eren. Levi si sorprese dalla sua mancanza di reazione.

"Se vuoi rompere le palle puoi tornare a casa."

"Non si deve andare a caccia da soli."

La presa dell'uomo sul fucile si fece ferrea. L'ultima volta che aveva camminato tra gli alberi, Eren lo aveva abbandonato a qualsiasi forza che stava cercando di farlo impazzire.

Andarono avanti in silenzio, avvantaggiandosi della luce mattutina. Non c'era un filo d'aria a scompigliare le chiome degli alberi e nemmeno un uccello cantava. L'inverno era ormai arrivato, ora mancava solo la neve.

"Erwin è a conoscenza di tutto questo?"

Eren era di fronte a lui. Per la prima volta gli apparve quasi traslucido, come se le ombre che avrebbero dovuto colpirle non ci fossero. Come una fiamma di una candela, Levi aveva paura che un colpo d'aria lo potesse far scomparire.

"No e la cosa non cambierà."

Quando il rumore dell'acqua corrente gli colpì le orecchie, si voltò e prese a camminare nella direzione opposta.

Evitando rovi e quella che sembrava una tana, i due camminarono per un altro quarto d'ora, prima di cambiare sentiero.

"Penso di aver sentito qualcosa." Disse Eren, corrucciato.

Levi sospirò e prese a camminare nella direzione opposta. "Era probabilmente il vento."

"Non penso che il vento emetta grugniti."

Per suo disappunto, la foresta non sembrava voler diventare più fitta. Gli alberi erano sottili e distanti l'uno dall'altro, favorendo una visuali di almeno cento metri più avanti. Non c'erano impronte sul terreno, quindi iniziò a chiedersi se c'erano animali o meno.

"Non dovresti nasconderti da qualche parte e aspettare che qualche animale si avvicini?"

"Per fare quello," Gli disse Levi, attento a non alzare troppo la voce. "Devo prima trovare un posto dove i cervi si sentano a loro agio."

Eren annuì. "Che ne dici del fiume?"

"No."

"'No' nel senso che non ce ne saranno o...?"

"Lo lasceremo per ultimo." Rispose Levi, attento a non apparire troppo sulla difensiva. Non sapeva perché, ma pensava che evitare di raccontare ad Eren dell'incubo sarebbe stata la cosa migliore da fare.

"Va bene," Sbuffò il ragazzo. "Vai avanti e continua a complicarti la vita come fai sempre."

"Se vuoi fare i capricci, torna a casa." Gli rispose l'altro, zittendosi quando notò movimenti quasi fuori dal suo campo visivo.

Muovendosi il più velocemente e silenziosamente possibile, l'uomo premette la schiena contro un albero.

"Non voglio andarmene!"

Levi lo fulminò con lo sguardo e sperò che gli animali non potessero sentire le voci dei fantasmi.

"Che cosa ti sta succedendo, Levi? Lo so che sta succedendo un casino assurdo, ma non sei mai stato così ostile. E non è da poco, come cosa."

Le sue parole lo scossero, ma decise di non prestarci attenzione.

Sistemando il fucile, l'uomo si spostò sulla sua sinistra, cercando il corpo dell'animale. A circa cinquanta metri di distanza c'era una cerva. Era piccola e il suo pelo era chiaro, stava annusando una pila di foglie secche.

Nel frattempo, si rese conto, Eren aveva continuato a parlare.

"Non solo hai comprato un fucile, ma ti stai anche buttando in situazioni pericolose. E' come se in qualche modo desiderassi di morire! C'è sempre stato posto solo per un bastardo suicida in questa vita, ed era il mio. Ma sai cosa, Levi? Sono cresciuto. Sono diventato un normale membro della società, nonostante non avessi avuto un padre su cui contare, nonostante tutte le stronzate. Tu non hai alcuna scusa. Io sono qui e tu ti stai comportando come se... Come se..."

Non concluse la frase, lasciando posto ad un silenzio sofferente.

"Mi stai ascoltando, almeno?"

Certo. Ovviamente lo stava ascoltando.

Levi poggiò il calcio del fucile sulla spalla e prese la mira.

Sapeva che non sarebbe riuscito ad abbattere il suo obiettivo, da quella distanza, ma se non si fosse deciso a sparare le parole di Eren lo avrebbero inghiottito. Aveva bisogno di sopprimere quel bisogno di cui non capiva il significato dentro di sé e non ce l'avrebbe fatta, se Eren lo avesse obbligato a pensare razionalmente.

La razionalità non aveva motivo di esistere da quando Eren era entrato nella sua camera da letto sotto forma di spettro. Era uno scherzo della natura, eppure gli stava chiedendo di ragionare razionalmente.

C'era una ragione per le sue azioni ed era certo che non potesse confidarsi con Eren. Non poteva neanche ammetterlo a sé stesso, nel modo più semplice, che il bisogno di uccidere un animale innocente era un modo per sentirsi in controllo di una situazione senza speranza.

Non era, d'altra parte, lo stesso motivo che accomunava tutti i cacciatori? Gli umani erano gli unici animali che uccidevano senza alcuna ragione. Questo era il suo motivo. La calma.

"Non posso crederci." Disse Eren, ridacchiando senza essere realmente divertito. Si voltò, quando Levi si preparò a sparare.

Levi cercò di fermare le sua mani tremanti. Fece un esitante passo in avanti e il rumore delle foglie secche sotto i suoi stivali fecero alzare la testa alla cerva, che non lo vide immediatamente.

L'uomo premette il grilletto troppo presto, non volendo rischiare la fuga dell'animale.

La mancò di quasi un metro e la pallottola si piantò in un albero.

La cerva scappò, spaventata dal rumore.

"Merda!" Levi batté un pugno sull'albero, prima di portarsi la stessa mano tra i capelli in un gesto frustrato. Sarebbe riuscito a prenderla se avesse aspettato, se fosse stato paziente. Sbuffò, cercando di contenere la sua rabbia.

"Questo è proprio quello che intendevo," Disse Eren, con l'audacia di apparire compiaciuto nell'aver avuto ragione. "Una volta ci voleva così tanto per farti incazzare, per farti reagire così."

Levi fece per allontanarsi, stringendo la presa sul fucile. "Sai fin troppo bene di non dover insistere così." Gli disse, con un tono privo di emozioni.

"L'unico che sta insistendo, qui, sei tu."

"Eren."

"No, smettila di fare così, Levi. Smettila di cercare di provare qualsiasi cosa tu abbia in mente, perché non funzionerà. Stai davvero iniziando a spaventarmi."

Levi lo sorpassò scocciato, scontrandosi contro la sua spalla. Rimase insoddisfatto nello scoprire che l'azione non ebbe l'effetto sperato. "Parla il fottuto fantasma."

"Oh, di nuovo con questa conversazione." Sbuffò il diretto interessato, alzando le spalle. "Lo hai detto tu stesso! Non ho nulla da provare... Non sono cattivo, o qualsiasi cosa tu pensi io sia. Magari... Magari non ho un corpo, ma sono umano ugualmente."

"No," Gli disse Levi, voltandosi per guardarlo in faccia. "Non sei umano. Sei un fottuto cadavere e i morti dovrebbero rimanere morti."

"Non lo hai detto seriamente," La sua era più una rassicurazione per sé stesso, più che un'accusa. "Sei solo spaventato."

"Come pensi di aver ragione?"

"Perché quando avevo dieci anni e sono caduto da un albero, slogandomi una caviglia, mi hai urlato contro per due giorni consecutivi. Avevi paura di cos'avrebbe detto mia mamma."

"Cazzate."

"Poi hai provato a fare il duro, crescendo," Continuò il ragazzo, ridendo amaramente. "Sempre così calmo e distaccato, e sai cosa? Ora sei vecchio e solo e tutto quello che hai è uno stupido fantasma a tenerti compagnia e tutto quello che fai è buttarmi merda addosso!"

Levi non rispose, guardando la curva arrabbiata delle sue labbra. "Hai finito?"

"No, non ho finito! Non avrò mai finito, perché tutto quello che ho sempre fatto è stato per te, dannazione, e adesso ti comporti come se fossi la rovina della tua esistenza!"

L'aria nella foresta stava diventando sempre più fredda, nonostante il sole pomeridiano illuminasse timidamente le chiome degli alberi.

"Dì qualcosa," Disse Eren, umettandosi le labbra, cercando disperatamente di controllare il suo respiro impazzito. Strinse i pugni. "Qualsiasi cosa."

Non c'era nulla da dire, decise Levi, perché era stanco di portare avanti discorsi con i morti. Anche se avesse voluto parlargli non sarebbe stato quello il momento e il luogo. Aveva bisogno di riordinare i pensieri ed agire come il mentore che era stato una volta.

Non aveva idea di come funzionasse la vita dopo la morte, ma sapeva che Eren doveva andare oltre. Si sarebbe arrangiato con qualsiasi cosa ci fosse nella casa e con i demoni della sua mente. Ora la sua priorità era quella di liberarsi di Eren, per la salute di entrambi.

Pronto a voltarsi e dirigersi verso la civiltà, venne interrotto dal soggetto dei suoi pensieri.

Venne afferrato per le braccia e sbattuto contro un albero, gesto che gli mozzò il respiro.

Eren usò la sua altezza per avvantaggiarsi, bloccandolo col suo corpo e con una smorfia priva d'espressione. Le sue mani erano premute contro il tronco, sopra la sua testa, creando l'illusione di una gabbia. Una gabbia specialmente costruita per contenerlo.

Tuttavia Levi non aveva paura di lui.

L'elettricità gli accarezzava la pelle, facendogli rizzare i capelli sulla nuca. La temperatura aveva raggiunto livelli glaciali e l'uomo poteva vedere la condensa del suo respiro. La sensazione che stava provando in quel momento era quella di trovarsi di fronte ad un grattacielo ed ammirarne l'incredibile altezza.

Eren non si mosse, la sua bocca curvata in una smorfia rabbiosa.

Almeno stavano provando la stessa cosa, verso quella situazione.

"Non me ne andrò, finché non sarai tu ad obbligarmi a farlo," Sussurrò gelidamente. "Se il tuo comportamento non è stato abbastanza per farmi allontanare quando ero un bambino, allora di certo non lo è neanche adesso."

"Non ti voglio."

"No, non è vero." Disse Eren in un mormorio. I raggi di Sole gli illuminarono i capelli.

Non erano mai stato così vicini, dopo la morte del ragazzo, e da lì Levi poteva vedere la sua pelle intoccata. Poteva vedere le cuciture del tessuto che gli copriva gli occhi, così come le sue macchie. La secchezza delle sue labbra, la curva del suo naso. Tutte le caratteristiche da ragazzino che non lo avevano mai abbandonato.

I suoi occhi si fermarono sulle bende.

"Le provocazioni posso farle anche io, sai, Eren." Disse, nonostante nel suo tono di voce ci fosse una scusa non pronunciata.

Ci fu un momento di immobilità, prima che Eren si allontanasse, realizzando ci fosse qualcosa che non andava, ma non si allontanò troppo.

Levi si mosse per primo, grazie ai suoi riflessi, anche se gli sembrò che il tempo si fosse fermato.

Le sue dita afferrarono le bende rovinate e le tirò.

Il ragazzo sbatté le palpebre più di una volta, mentre Levi lasciò il tessuto sfuggirgli dalle dita, che si disintegrò prima di toccare terra. Negli occhi del giovane c'era furia, tradimento, ma l'unica cosa che notò Levi fu l'assenza di colore nelle due iridi.

I suoi occhi erano grigio pallido con qualche riflesso dorato. Offuscati e vecchi.

Facendo un passo indietro, Eren si toccò il viso e, quando le sue mani incontrarono i suoi occhi, questi si sbarrarono inorriditi.

"Perché avresti fatto...?"

"Nega la mia richiesta e io negherò le tue."

Levi si diede mentalmente una pacca sulla spalla, quando non sussultò nel ritrovarsi sbattuto contro l'albero con abbastanza forza da fargli mancare il respiro.

"Pensi davvero che le indossassi perché lo volevo?!"

"Pensi davvero che mi interessi?"

"Levi, questo non è uno scherzo!" Eren si strofinò il viso con le mani e fu solo allora che l'altro si rese conto che stava piangendo. Stava singhiozzando, con lo sguardo rivolto ai suoi piedi in vergogna e pentimento. "Ho pagato per questo e ci sono delle regole."

Il ragazzo emise un lamento così disperato che gli fece stringere il cuore.

Voleva dirgli l'ovvietà, in caso Eren non sapesse che il colore dei suoi occhi era sbagliato. Se lo avesse saputo, voleva chiedergli perché. Altre domande, tutto quello che sembrava farsi negli ultimi giorni erano altre dannatissime domande.

Odiava tutto questo.

Si ritrovò a volergli rimettere le bende, perché quelli non erano gli occhi che aveva imparato ad amare. Ovviamente Eren era qualcosa di più di uno stupido paio d'occhi, ma c'era qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel vederlo così. Erano irreali, come se fossero stati tolti ad una bambola e spinti nelle sue orbite.

Qualcosa, dentro di Levi, si ruppe, ma non seppe dargli alcun nome.

"Ho sbagliato tutto," Disse Eren, coprendosi la bocca con le mani. "Dio, ho sbagliato tutto."

Levi scosse la testa, sentendosi in colpa. "Eren."

Ma neanche fece a tempo ad alzare una mano che Eren sparì.

•••

Erwin arrivò con un sorriso falso ad incurvargli le labbra, armato di cibo cinese. Erano le sette di sera e nessuno dei due disse nulla, a parte una domanda su Eren, alla quale Levi rispose con una scrollata di spalle.

Il cibo rimase per lo più intoccato e venne messo in frigo per il pasto successivo.

Le luci vennero accese presto e vennero chiuse tutte le serrature possibili.

"La donna della farmacia mi ha detto che del sale avrebbe tenuto fuori le presenze maligne." Disse Levi.

"E tu ne hai?" Gli chiese l'altro, senza esitazione.

"Non il tipo di cui mi ha parlato."

"Dovremmo andarlo a prendere, domani."

Mentre Erwin si sistemava sul divano, Levi si dedicò alla pulizia della cucina, sgrassando i ripiani, gli utensili, il pavimento, il frigorifero. Continuò, inalando i fumi chimici senza sbatter ciglio.

Le sue mani gli sembravano fredde e umide, come se avesse giocato nel fango, solo più gelide. Aveva prurito ai palmi, ma nonostante si continuasse a grattare, non sembrava intenzionato a sparire. Quindi strofinò più forte.

Continuò, facendo formare schiuma candida e immacolata. Ma le sua mani continuavano a prudergli. Le serrò, fino ad affondare le unghie nei palmi, eppure non avvertì alcun sollievo. La sua disperazione era  soffocante tanto quanto l'oscurità che proveniva dalle scale, quelle in cui Erwin aveva acceso la luce. Levi non ricordava aver toccato l'interruttore.

Con un nodo in gola, chiuse il rubinetto.

Calore, decise: aveva bisogno di calore. Con il calore avrebbe combattuto il freddo.

Cercò un accendino in un cassetto, solo per scoprirlo vuoto.

Si guardò attorno, nella cucina, alla ricerca di qualsiasi cosa che sarebbe potuta tornare utile, solo per soffermarsi ai fornelli.

Sprecare del gas su qualcosa come un prurito fantasma era assurdo, ma ormai non sapeva cos'altro fare. Il prurito, il freddo, la sensazione di bagnato erano tutte presenti, ma non abbastanza da poter essere chiamate fisiche.

Tè. Si sarebbe fatto del tè e avrebbe tenuto le mani vicino alla fiamma: avrebbe preso due piccioni con una fava.

"Lo faccio io." Disse Eren e Levi si voltò di scatto con gli occhi sbarrati.

Per la prima volta non lo aveva sentito avvicinarsi.

"Non ce n'è bisogno."

"Insisto." Disse, sorpassandolo, stando attento a non toccarlo. "Siediti. Mi sembri stanco."

Lo era, definitivamente. Voleva dire al fantasma di uscire dalla sua cucina, che aveva bisogno di scaldarsi le mani, ma qualcosa lo fermò.

Senza alcuna ragione, eppure si ritrovò a tacere.

Non voleva parlare con Eren, non poteva. Per la prima volta si sentì genuinamente a disagio in sua presenza, ma era una sensazione probabilmente data dal fatto che ormai poteva vedere i suoi occhi. Non era una semplice apparizione: era Eren, ora, anche con gli occhi di colore diverso.

Prima che potesse registrarlo, i suoi piedi si mossero, portandolo a sedere su uno sgabello dell'isola.

Levi guardò la schiena del fantasma, mentre questo si muoveva nella cucina, tirando fuori ciò di cui aveva bisogno. Nessuno parlò, probabilmente Erwin si era anche addormentato.

L'intera giornata gli sembrava sbagliata. C'era pesantezza, sia nel loro silenzio che nelle loro parole.

Tutto questo era sbagliato, così sbagliato, così sbagliato, eppure non sapeva dire perché.

Il bollitore prese a fischiare ed Eren versò silenziosamente l'acqua nella tazza.

Non lasciò la bustina di tè abbastanza a lungo. Non aggiunse abbastanza zucchero, abbastanza miele, ed era come guardare un sacrilegio svolgersi davanti ai suoi occhi.

Non c'era familiarità nel modo in cui Eren mise la tazza sul ripiano dell'isola, di come lentamente la spinse verso Levi. Non parlò, non incontrò i suoi occhi.

Levi abbassò lo sguardo sulla bevanda, assaggiandolo nonostante il senso di allarme che urlava nella sua testa.

Il tè sapeva di marciume.

Il tè, così come tutto il resto, così come il sorriso che incurvava le labbra di Eren – era tutto sbagliato.
   
 
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