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Autore: Stella cadente    05/02/2016    5 recensioni
Francia, 1482:
Parigi è una città che nasconde mille segreti, mille storie, mille volti e mille intrecci.
Claudie Frollo è un giudice donna che tiene alla sua carriera più di ogni altra cosa al mondo.
Olympe de Chateaupers è una giovane ragazza da poco al servizio del giudice e, sebbene sia spavalda e forte, si sente sempre sottopressione sotto lo sguardo austero di quella donna cinica ed esigente.
Nina è una semplice ragazza di quindici anni, confinata nella cattedrale a causa di un inconfessabile segreto..
L’arrivo di Eymeric, un giovane ramingo gitano, sconvolgerà le vite di queste tre donne, in un modo diverso per ognuna.
Ma alla fine, di quali altri segreti sarà testimone Parigi?
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
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XXXIII.
Il Re 

 
Eymeric
 
 
 
«Non fare idiozie, eh? Come possiamo starcene qui con le mani in mano, dopo che ci è stata detta una cosa del genere?» esplosi, non appena Olympe si fu allontanata.
«Calmati, Eymeric» disse Nina. «Se Olympe ha detto così, noi dovremmo comportarci di conseguenza. Non è il caso di sollevare altri problemi adesso.»
«Ma non capisci? C’è il rischio che ad un’altra battaglia si giunga per forza» replicai. Le parole di Olympe sembravano opprimermi il cuore.
A quanto pare la serenità che avevamo immaginato non si è realizzata. Tenete conto di questo. La situazione è molto precaria alla Corte.
Non volevo crederci. Che cosa stava architettando il giudice? E perché Olympe si era mantenuta così sul vago?
Mi venne voglia di spaccare tutto quando compresi che probabilmente mi ero soltanto illuso. Illuso che lei potesse cambiare, illuso che potesse modificare la sua prospettiva. Eppure ci aveva promesso pace, dal momento che l’avevamo aiutata...
Forse Clopin aveva ragione.
L’ha sempre avuta, alla fine.
 
 
 
 
«Non ce lo assicura nessuno che, una volta tornata al potere, ci lascerà stare, lo capisci?»
Clopin mi guardava con la paura negli occhi, mentre gesticolava animatamente.
«Io mi fido di lei» replicai, con sguardo duro. «E poi, riflettiamo: a che pro andarci contro, dopo che l’abbiamo aiutata a riprendersi il potere schierandoci dalla sua parte?»
Silenzio. Non si fidava, lo vedevo dalla faccia.
«Ascolta» dissi a quello che, ormai, consideravo un padre. «Claudie Frollo si è trovata ad essere come noi, in povertà, senza niente, senza alcun potere, senza nemmeno una casa. Non credo proprio che questa esperienza non l’abbia segnata per niente. Dobbiamo aiutarla.»
Clopin mi guardò come a volermi decifrare, poi sospirò.
«E sia. Mi auguro che tu sappia gestire bene questa cosa, Eymeric. Altrimenti credo davvero che l’unica via d’uscita sarebbe fuggire da Parigi.»
 
 
 
 
«Che cosa vorresti fare?» chiese Nina, perplessa.
«Verificare se Clopin aveva ragione, ecco cosa voglio fare.»
Lei mi guardò allarmata.
«Voglio recarmi al Palazzo di Giustizia e chiedere chiarimenti direttamente a Frollo. Non potrà negarmeli, questo è certo.»
«Ma Eymeric...»
«Lo so, è una decisione importante e rischiosa. Ma non puoi negare che sia utile per tutti noi, alla Corte. D’altra parte, non è questo che un Re dovrebbe fare?»
La ragazza mi guardava come se fosse già in pensiero per me.
«Sei certo di poterti fidare di lei?» mi chiese solo. Nei suoi occhi aveva già un bagliore di apprensione.
Vederla in quel modo mi strinse il cuore; avevo capito che, probabilmente, Nina teneva a me molto più di quello che credevo. Per nulla al mondo l’avrei ferita, e mi piaceva pensare che non avrei fatto nulla di sconsiderato se questo andava contro quello che voleva lei; eppure quella questione era troppo importante per essere lasciata in sospeso. Sentivo che tra me e Claudie Frollo ci sarebbe stata una specie di resa dei conti, e non potevo proprio evitarla. Ne andava della sicurezza del mio popolo.
E poi volevo rivederla. Non sapevo perché.
Sospirai.
«No, Nina. A questo punto, una parte di me non sa se continuare a fidarsi. Ma devo rivederla» dissi, per tutta risposta.
Silenzio.
«Vengo con te» fece lei.
«No» la fermai. «È rischioso. Devi restare qui. Non voglio che tu ti cacci in altri guai per colpa mia.»
Con una stretta al cuore, notai che delle lacrime avevano fatto capolino dai suoi occhioni blu.
La abbracciai a lungo.
«Tornerò. Promesso» le dissi dolcemente.
«Va bene.»
Le diedi un bacio sulla tempia, poi mi avviai verso l’uscita, armandomi di tutto il coraggio possibile.
Avevo una questione da risolvere.
 
 
 
****
 
 
Le campane della cattedrale suonavano le sette quando mi trovai di fronte al Palazzo di Giustizia. Il cielo era dipinto di rosso dal sole del tramonto, e poche nuvole fluttuavano in quell’immensità arancio.
Immerso in quell’atmosfera, il Palazzo era ancora più imponente di quanto non mi fosse mai sembrato. In un flash, mille immagini mi passarono nella mente, e di nuovo la strana sensazione che avevo provato in presenza di Claudie Frollo tornò. Ricordai di quando ero stato prigioniero nei suoi appartamenti, di quanto fosse cambiata la visione che avevo di lei in quei giorni, e di quanto ora mi apparisse diversa.
Mi sentii stranamente inutile, come se fino a quel momento non avessi mai capito chi era veramente Claudie Frollo.
In un primo momento mi era apparsa solo come il Giudice che massacrava la mia gente, di indole insensibile e cinica. Poi si era rivelata un personaggio tormentato ed insolito; dopo ancora, l’avevo vista semplicemente come una donna che provava qualcosa per me – una donna passionale che, alla Corte dei Miracoli, mi aveva concesso il suo corpo – e durante la guerra a Grenonat era diventata una vera stratega, determinata e calcolatrice.
Ora non sapevo più chi fosse.
Come aveva promesso, per noi zingari le cose erano cambiate, ma dalla fine della battaglia era non l’avevo più vista, e di lei non avevo avuto più notizie.
Da una parte, sapevo che non potevo aspettarmi che mi affiancasse nei lutti dei gitani, ma il fatto che fosse sparita nel nulla mi aveva messo la pulce nell’orecchio – contando poi che Clopin non si era mai fidato di lei, dall’inizio alla fine.
Non potevo perdere altro tempo; dovevo parlarci immediatamente.
A noi due, Giudice.
Iniziai a salire la scalinata a passo deciso.
Non avevo intenzione di farmi intimorire da nessuno.
 
 
 
«Salve. Vorrei parlare con il Giudice Frollo» dissi, senza tanti preamboli, agli uomini che stavano di guardia alla porta.
I due mi guardarono con diffidenza: immaginai che fosse insolito per loro quanto lo era per me. Fino a poche settimane prima presentarsi così al Palazzo di Giustizia era come andare spontaneamente incontro alla morte, per un gitano. Dovevo abituarmi anche io al fatto che ora zingari e popolani potessero presentarsi liberamente.
«La motivazione?» mi chiese uno dei due uomini, con voce sospettosa.
«Un semplice colloquio in merito a ciò che ha promesso al mio popolo» replicai, per tutta risposta.
La guardia annuì, e mi scortò all’interno del Palazzo. Si avvicinò ad un ragazzetto magro, e gli sussurrò:
«C’è qui un pezzente che vuole parlare con il Ministro Frollo. In questo momento la signora ha altri impegni, che tu sappia?»
Il giovane scosse la testa.
«C’è stata una riunione dei Giudici, a quanto pare molto importante... ma è appena terminata» disse, con aria professionale.
Una riunione? Per cosa?
«Vai subito a riferire allora» fece la guardia. «Io intanto resto qui a controllare che tutto vada bene. Non si sa mai quando si tratta degli zingari: è gente che ruba.»
Mi venne l’improvviso impulso di dare un pugno a quell’uomo, ma mi trattenni. Anche perché, lo sapevo, al momento avevo ben altro a cui pensare.
Il segretario tornò dopo poco – anche prima di quel che mi aspettassi – affannandosi lungo le scale del Palazzo che portavano alle varie stanze.
«Il Ministro Frollo ha accettato di avere un colloquio con voi» fece, rivolto a me. «Si trova nel suo studio. E vi avverto: odia aspettare. Perciò sbrigatevi.»
 
 
****
 
 
Quando salii le scale che portavano allo studio di Frollo, accompagnato dal giovane segretario, sentii il cuore battere furiosamente.
Lei era lì. Mi aspettava. E non sapevo che cosa sarebbe uscito da quella conversazione.
D’improvviso, mi sembrò che fosse da un’eternità che non la vedevo. Avrebbe dovuto confortarmi il fatto che fossimo lontani: invece, mi sorpresi a fremere al pensiero di ritrovarmela davanti.
«Bene» la voce del ragazzo mi riscosse. «Io vi lascio qui» si limitò a dire.
«Grazie.»
Lui mi guardò, poi disse:
«Buona fortuna.»
E prima che io potessi aggiungere altro, sparì, correndo lungo le scale. Lo guardai a lungo, poi riportai gli occhi sulla porta in legno massiccio che mi stava davanti.
Sospirai, come per farmi coraggio.
E bussai.
«Avanti.»
La sua voce.
Mi sembrò di non averla più sentita per anni, ma fu al tempo stesso familiare. Fredda, quasi atona, perennemente formale e distaccata.
Aprii la porta ed entrai nella stanza. Non ero mai stato in quello studio, ma lo trovai molto simile a quello della sua residenza, pieno di volumi alti, pergamene e arazzi. Metteva in soggezione, esattamente come lei.
«Ah, Eymeric» esordì la donna, alzandosi dallo scrittoio. «Immaginavo che saresti venuto qui. Quando Vincent mi ha detto che c’era un gitano che chiedeva un colloquio a nome del suo popolo, ero pronta a scommettere che eri tu. Ed infatti...» sollevò un sopracciglio con un sorrisetto beffardo, in quell’espressione che mi era così familiare, ma che stranamente continuava a mettermi in agitazione.
«Ebbene, sì» proseguii. «Sono qui per un colloquio con voi. Mi è giunta voce che alla Corte di Giustizia non vi è più ordine come prima. La battaglia non è servita a niente, a quanto pare» feci, con tono duro.
Lei si schiarì la voce.
«Eymeric,» cominciò «come puoi dire una cosa simile? Le battaglie servono sempre a qualcosa. Non è forse quello che volevi, fare in modo che i gitani conducessero vite tranquille? Non volevi che io vi lasciassi in pace, e non è precisamente quello che ho fatto?»
Esitai.
In quel momento mi sentii stupido e avventato; le sue parole mi avevano dato ad intendere che, come al solito, ero stato terribilmente impulsivo ed avevo agito senza pensare.
«E dunque,» proseguì «per quale ragione ti trovi qui, adesso?»
Mi bastò un secondo per rendermi conto che mi stava incastrando usando le parole, come faceva sempre e come avrebbe sempre fatto. C’era qualcosa di strano, di sbagliato e di molto diverso nel suo comportamento, rispetto al periodo che aveva trascorso alla Corte dei Miracoli.
«Perché il mio popolo sta attraversando un periodo di lutto, e non c’è secondo in cui non tema un vostro tiro mancino» snocciolai, senza paura.
Lei mi guardò con le sopracciglia aggrottate, come se mi stesse studiando.
«Perché voglio essere sicuro che voi non abbiate niente in mente.»
Mi avvicinai e mi parai di fronte a lei, guardandola negli occhi.
«Voglio sapere che intenzioni avete, da ora in poi.»
Le sue labbra si stirarono in un sorriso cattivo.
«Non sono tenuta a fornirti informazioni del genere, ma sappi che per voi zingari non ho niente in mente. Niente che sia dannoso per voi, almeno» disse, congiungendo le mani. «Per cui, non vedo neanche il motivo di questa tua visita, se davvero non c’è altro a parte questo.»
Non sapevo come comportarmi; mi ero aspettato un atteggiamento diverso, più simile a quello che aveva alla Corte, invece che quella rigida diplomazia. La cosa non faceva che allarmarmi sempre di più, man mano che i minuti passavano.
Restai in silenzio per un secondo, di fronte al suo sguardo altezzoso.
Poi mi decisi.
Ora o mai più.
«Non mi avete più parlato» dissi, tutto d’un tratto.
E di nuovo quel sorriso strano, preoccupante.
«Allora c’era altro» fece, soddisfatta.
«Sì» dissi coraggiosamente. «Ebbene? Perché vi siete comportata così, dopo tutto quello che ho fatto per voi?» insistetti. «Non vi siete più degnata di rivolgermi parola.»
«Certo che no, Eymeric» replicò lei, con tono leggero. «Sono stata molto impegnata con l’amministrazione del governo di Pietro e Anna; sono giornate molto impegnative, queste, per me. Ho una carica da mantenere, e non posso permettermi di sbagliare qualcosa.»
Restai meravigliato. Allora non era cambiato nulla per lei? Ero realmente andato troppo in paranoia? Eppure quello che aveva detto Olympe era molto diverso dalla versione dei fatti del Giudice...
«Quindi... è tutto qui. Per voi non è cambiato nulla» dissi, sospettoso.
La sua espressione era seria come al solito, ma aveva un che di tranquillo. Esprimeva serenità, eppure c’era ancora quel qualcosa di strano che mi allarmava.
«Oh, è ovvio che è cambiato qualcosa» le labbra si sollevarono appena in un sorriso. «Sono tornata ad essere l’Inquisitore Supremo di Parigi. E quello che è successo finora ha inevitabilmente mutato la mia prospettiva, questo è certo. Tutto ciò è stato, come dire... un’occasione per capire molte cose
La guardai, avvolta nella sua pesante toga nera. Sapevo che sotto quella veste si nascondeva un corpo magrissimo e pallido. Mi sembrava che, da quando ci eravamo alleati contro Grenonat, l’avessi conosciuta davvero per quello che era. Mi sembrava di sapere chi fosse.
Ma ora tutto sembrava avvertirmi che non era così.
«È però innegabile che la situazione debba stabilizzarsi» disse. «Siamo d’accordo... o no?»
«Certo» annuii.
Silenzio.
«Molto bene» fece lei. «Allora, se non c’è altro che mi vorresti dire, sei libero di congedarti.»
Le sue parole mi spiazzarono. Restai per un attimo a guardarla, mentre anche i suoi occhi erano piantati nei miei, pieni di qualcosa che non sapevo definire.
Poi mi avviai verso la porta e me la richiusi alle spalle.
Mentre scendevo le scale e mi recavo verso l’uscita del Palazzo, capii di aver inquadrato la situazione per quello che era.
Per il momento Frollo avrebbe lasciato in pace me, Nina e tutti gli zingari della Corte, ma qualcosa mi diceva che c’era una parte del suo progetto che mi era rimasta all’oscuro e che mai il Giudice mi avrebbe rivelato.
Ed io avrei scoperto quello che aveva in mente, a tutti costi.
 


Eccomi!
Sono in un ritardo clamoroso, ma finalmente ho trovato un buco di tempo in mezzo a tutti questi impegni.
Allora, intanto parliamo di cose serie: Paris ha raggiunto 200 recensioni.
Cioè, voi scherzate. Ormai mi sento ripetitiva a dirlo, ma quando ho cominciato a postare tutto pensavo meno che arrivare a questo. Ed invece - adesso che la scrivo da quasi nove mesi posso dirlo - questa storia si è rivelata un'esperienza fantastica anche grazie a voi.
In ogni caso: Eymeric ha parlato con Frollo. Il colloquio è stato ricco di tensione - o almeno, doveva esserlo - e adesso lo zingaro è determinato a scoprire che cosa passa per la testa del Giudice. Ci riuscirà?
Spero che quetso nuovo capitolo dal suo punto di vista (dopo un po' che non lo vedevamo, ci voleva) non vi abbia delusi. Siamo arrivati ad un punto della storia in cui non si capisce cosa sta succedendo e so bene che con questi capitoli sto sollevando un sacco di domande: dunque, via libera alle recensioni!
Grazie a tutti per leggermi, siete fantastici,

Stella cadente
  
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