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Autore: StClaire    05/02/2016    4 recensioni
Maisie è la classica ragazza di diciassette anni. La sua vita si divide tra scuola e amiche, compiti e feste, famiglia e compagni e il ragazzo dei suoi sogni. La sua vita scorre tranquilla come al solito fino a che non le viene imposto di lasciare la sua camera per ospitare la prima figlia del compagno della madre, che ha le fattezze di un bellissimo ragazzo. Maisie, dopo una bugia di troppo, si ritroverà a chiedere ad Alexis "Alex" di tenerle il gioco e farle da fidanzato.
Da quel momento, tra disguidi, baci e ambigue relazioni, inizia per Maisie un'avventura che le scombussolerà più di quanto lei avrebbe mai potuto sospettare.
Dal testo:
«Devo chiederti scusa!», urlò Maisie improvvisamente.
Lei si girò «Scusa per cosa?», chiese Alexis curiosa, fermandosi sul vialetto di casa.
«Anch’io quando ci siamo scontrate all’aeroporto ti ho scambiato per un ragazzo!» disse Maisie tutto in un fiato.
«L’avevo capito», sorrise, e le fossette spuntarono insieme al sorriso, «Beh, almeno ti piacevo?»
La domanda spiazzò Maisie, ma la risposta usci da sola.
«Si!», forse lo disse con troppo entusiasmo, perché lei rise.
«Questo è l’importante», disse avviandosi verso casa.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 19
- Adieu -
 

«BASTA!», urlò con quanto fiato avesse in gola. Cercò di non scoppiare a piangere. Non voleva darle questa soddisfazione, «Non puoi giocare con i sentimenti delle persone! Vorrei non averti mai incontrato!», urlò quest'ultima frase con tutto l'odio che aveva in corpo. Alexis la guardò, bloccandosi. Sembrava stremata. Aveva gli occhi cerchiati di nero. Ma Maisie se ne accorse solo in quel momento.
«Bene. Bene», ripeté, «Facciamo come se non fosse mai successo niente», la guardò a lungo, «Facciamola finita», sibilò.
Ma proprio in quel momento, la porta di casa si aprì, spalancandosi. E sia Maisie che Alexis, capirono che quella storia non sarebbe finita lì.

 
*
 
«Ragazze…», Paddy entrò allarmato in cucina, «Cosa succede?»
Maisie sentì il suo cuore mancare un battito e cercò di asciugarsi velocemente le lacrime, ma sua madre le aveva già notate.
«Maisie, tesoro, tutto bene?», Cate si avvicinò, l’espressione confusa, «Si sentivano le urla da fuori!»
«Alex, cosa hai fatto?», domandò Paddy voltandosi verso sua figlia.
«Cosa? Niente! Cosa pensi che abbia fatto?», sbottò Alexis, era veramente stanca di tutta quella situazione, di quel nascondersi continuamente. Paddy si avvicinò a lei e l’afferrò in malo modo il braccio, trascinandola verso il suo studio. Maisie la vide sparire oltre il corridoio. Non l’aveva neanche degnata di uno sguardo. Era davvero finita?
«Vieni Maisie, andiamo sopra».
Maisie sentiva la voce ovattata di sua madre, la testa le girava e sentiva il proprio cuore battere a mille. Seguì sua madre su per le scale, muta, la testa rivolta oltre. Appena entrò in camera si sedette come un automa sul letto e continuò a guardare verso il vuoto. Solo quando sentì il materasso piegarsi sotto il peso doppio della madre si riprese.
«Cos’è successo?», le domandò Catelyn.
Maisie scosse impercettibilmente il capo, «Niente», sussurrò.
«Maisie», sua madre la richiamò, «Cos’è successo?», ripeté, ma questa volta in tono perentorio.
«Mamma», mormorò Maisie finalmente voltandosi e guardando verso sua madre, «Che cosa vuoi sapere esattamente?»
 
*
 
Alexis sentiva ancora il peso della mano di Paddy dove l’uomo aveva stretto. Si era lasciata trascinare, senza fare domande. Le lacrime di Maisie, alla vista di sua madre, le avevano spezzato il cuore.
Stupida. Era stata una stupida a pensare che una ragazzina di diciassette anni potesse reggere al peso di una confessione del genere. Non avrebbe mai dovuto chiederlo, o avrebbe dovuto impedirle di formulare quel pensiero. Avrebbe dovuto soffocare i suoi sentimenti, mettendo a tacere anche i propri.
«E dimmi, quando avresti voluto rendermi partecipe di questa cosa?», le domandò Paddy.
«Quale cosa?», domandò per risposta Alexis, era terribilmente stanca. Non aveva chiuso occhio tutta la notte.
«Di... Come dire...»
«Della mia omosessualità? Vuoi sapere perché non ti ho detto che sono lesbica?», finì Alexis per lui.
«Si».
«Paddy, tu hai mai dichiarato di essere etero? Hai mai detto a qualcuno che ti piacciono le donne?»
«Che cosa? No!»
«Perché no?»
«Beh, perché è una cosa normale. Non c'è bisogno mica di specificare!»
Alexis lo guardò, un sorriso beffardo in volto, «Ecco la tua risposta».
Paddy rimase in silenzio per un po', cosciente, che la figlia non aveva tutti i torti.
«Dimmi ancora una cosa», riprese Paddy, «Perché Maisie?»
Alexis alzò lo sguardo verso suo padre, incrociando i suoi occhi. Era seduta, con le mani in grembo, come chi crede di star per ascoltare la storia del mondo.
«Che significa?», mormorò.
«Perché proprio lei?»
«Ma che cazzo si domanda è?», sbottò infastidita Alexis.
«Dico io, fra tutte, proprio tua sorella?»
Alexis guardò suo padre. Le sembrava così buffo, tutto ciò, all'improvviso. Suo padre che era sparito per dieci anni, adesso era follemente interessato al suo cuore.
«Non scegliamo noi di chi ci innamoriamo, no? Non è quello che dicesti tu a mia madre?»
 
*
 
Sua madre era ancora seduta, confinata sul letto. Le sembrava così distante in quel momento. Le sembrava così distante adesso che le aveva raccontato tutto. Nel silenzio sentiva solo il suo respiro pesante, ma regolare. Stava pensando. Invece, lei, non riusciva a pensare. Le parole di Alexis le rimbombavano nella mente, come fulmini.
“Facciamola finita.”
Si morse l’interno della guancia per non piangere. Non voleva piangere davanti a sua madre, farle capire quanto stesse male. Non riusciva a capire quanto male stava sua madre.
 
*
 
«Non so che dire», mormorò Paddy.
Alexis roteo gli occhi, «Non dire niente, è meglio».
«Alexis!», sbottò suo padre, «Pensi che tutto questo sia un gioco?»
Un gioco? Scosse la testa. Suo padre non avrebbe mai afferrato il suo stato d’animo in quel momento. Si sentiva vuota, terribilmente vuota.
Ripensò a ciò che aveva urlato.
“Facciamola finita.”
Scosse il capo cercando di cacciare via il momento e il senso di panico che s’impossessava di lei.
L’aveva detto davvero.
Lo pensava davvero?
 
*
 
«E da quanto?»
Maisie rinvenne, ritornando alla realtà.
«Cosa?», domandò guardando sua madre.
«Da quanto… state insieme?», domandò sua madre con un filo di voce.
Maisie sospirò, «Sei mesi. Più o meno».
«Sei mesi…», ripeté in un sussurrò Catelyn, guardando nel vuoto. Sembrava che stesse ripercorrendo all’indietro quel lasso di tempo, «È tanto tempo», mormorò alzando lo sguardo verso Maisie, «Non mi ero accorta di niente».
Maisie la guardò. Cosa avrebbe dovuto dirle? Le sembrava stanca. Avrebbe dovuto… consolarla forse?
 
*
 
«È una situazione delicata», affermò Paddy. Improvvisamente, nel silenzio.
L’uomo incatenò i suoi occhi azzurri a quelli neri di Alexis, che ricambiò lo sguardo.
«È tua sorella».
«Stronzate», ribatté Alexis.
«Legalmente», Paddy sospirò, «Sarete sorelle. Cristo, Alexis! Io e Catelyn aspettiamo un bambino! E quel bambino è tuo fratello, quanto il suo!»
 
*
 
«Mamma?»
Catelyn alzò nuovamente lo sguardo. Era pallida.
«Sei arrabbiata?»
Catelyn strinse tra le mani le lenzuola che coprivano il letto di Maisie, «No», mormorò, «Sono…», si bloccò, cercando le parole adatte, «Sono confusa».
Maisie abbassò lo sguardo.
Confusa. Anche lei lo era.
«Perché litigavate?»
Maisie sgranò gli occhi. Il tono, il tono che aveva usato! Sembrava una madre apprensiva. Una qualsiasi madre che chiedeva alla figlia come mai avesse litigato con il suo ragazzo.
Boccheggiò, insicura della sua risposta.
 
*
 
«Perché stavate litigando?»
Alexis schioccò la lingua.
«Non sono fatti tuoi», sibilò.
Paddy si alzò di scatto, con furia, facendo cadere la sedia sulla quale si era seduto, «Si che sono fatti miei, Alex! Devo sapere che cosa hai fatto a Maisie! Devo sapere, dimmi, cosa devo aspettarmi ancora da te? Non bastavano tutti i casini che hai combinato fino ad adesso? Tutte le volte che tua madre mi ha chiamato in lacrime perché tu avevi ancora combinato qualcosa? Perché eri stata cacciata da scuola? O perché te ne eri andata via di casa, andando a vivere con un drogato?»
 
*
 
Maisie e Catelyn sobbalzarono insieme, quando sentirono il rumore di una sedia rovesciata con forza e le urla indistinte che venivano da sotto, dallo studio di Paddy.
«Resta qui!», le ordinò sua madre, alzandosi a fatica. Aveva un pancione ormai grande. Uscì velocemente dalla camera chiudendosi la porta alle spalle. Maisie si lasciò cadere nuovamente sul letto, per rialzarsi subito, quando sentì la chiave girare nella toppa.
«Mamma!», urlò, precipitandosi alla porta e cercando inutilmente di aprirla, «MAMMA!», urlò più forte.
 
*
 
«Hai capito o no che aspetti, che aspettate, un fratello?», domandò ancora Paddy, a pochi centimetri dalla faccia di Alexis.
Lei lo guardò, gli occhi ridotti a due fessure, «Hai capito o no che me ne sbatto del bambino? Non è mio fratello», scandì bene e lentamente le ultime parole.
«Ti voglio fuori di qui», sibilò Paddy a un millimetro dal viso di Alexis, «Adesso».
Alexis mantenne lo sguardo di Paddy.
«Non te lo perdonerò mai, questo, Alexis. Mai», raschiò, ignorando completamente la voce di Catelyn, che era ritornata giù, che diceva a Paddy di calmarsi.
Quelle parole la fermarono.
«Cosa? Cosa?», ripeté, sentendo l’ira crescere dentro di sé, «Cosa non vuoi perdonarmi?»
Paddy la guardò, aprendo le braccia, il volto deformato dalla rabbia, «Questo!»
«Questo cosa?», Alexis esplose, spintonando con entrambe le mani Paddy, «Cosa? Il fatto che per una fottuta volta abbia trovato qualcuno che mi rendesse felice? Cos’è che ti fa tanto incazzare? Il fatto che tu non sia riuscito a rovinarmi come hai fatto con mia madre?»
«Che cosa succede?»
Alexis si voltò verso la porta. Alice era davanti a loro, gli occhi sgranati dallo stupore.
«Alice, vieni di sopra, raggiungiamo tua sorella».
 
*
 
Maisie era ancora intenta a bussare con forza contro quella stupida porta di legno quando questa si aprì magicamente.
«Stai con tua sorella», disse sbrigativa Catelyn facendo entrare frettolosamente Alice e richiudendo velocemente la porta.
«Mamma!», sbottò ancora Maisie, quando sentì di nuovo la serratura scattare.
«Maisie, ma che succede?», domandò sempre più confusa Alice.
Maisie sospirò, sentendo le guance bagnarsi di lacrime. Quella situazione stava peggiorando di momento in momento.
«Alexis e Paddy hanno litigato ancora, vero?», domandò ancora Alice, «Ma perché piangi? Maisie! Che succede?»
 
*
 
«Fuori di qui», ribadì Paddy.
«Paddy, tesoro, aspetta un attimo. Non ti sembra che tu stia precipitando le cose?», Catelyn si precipitò, mettendosi fra Alexis e Paddy che si guardavano in cagnesco.
«NO!», sbraitò Paddy, «Deve andarsene da qui!»
Alexis sentiva il suo respiro pesante e il battito accelerato, la testa le doleva e sentiva la gola graffiata dalle urla. Si sentiva come un animale in gabbia. Un animale che girava intorno al suo spazio, come un girotondo ipnotico.
«No», esclamò improvvisamente, richiamando l’attenzione di Paddy e Catelyn, «Me ne vado», continuò, «Non ha senso restare qui. Non voglio più rimanere».
Catelyn la guardò sconcertata, «E Maisie?»
Alexis tutto si era aspettata, tranne quella domanda.
 
*
 
Alice la stava guardando. I begli occhi verdi sgranati dallo stupore.
«Non l’aveva capito», mormorò, impercettibilmente, «Cioè…»
Maisie alzò lo sguardo, gli occhi arrossati le bruciavano, «Cioè, cosa?»
«Beh, ieri…», Alice si morse il labbro.
«Ieri, cosa? Alice? Cosa?», sbottò Maisie. Non ce la faceva più a sopportare i sotterfugi e le parole mezze dette.
«Beh! Io credevo che fosse una cosa a senso unico!», sbottò infastidita Alice.
Maisie sgranò gli occhi, «S-senso unico? Che significa?».
Alice inspirò profondamente, «Beh, ieri era così palese!»
«Palese? Che significa Alice?»
«Oddio, Maisie! Ma che cazzo! Ti sto dicendo che credevo che Alexis fosse interessata a te! Ma non sapevo che la cosa fosse reciproca!», sbraitò Alice, «Ieri non faceva che cercarti con lo sguardo e poi quando ti ha visto con quella tipa… Dio, che smorfiosa! Comunque, dicevo, quando ti ha visto con quella tipa si è annullata. Completamente!», Alice aprì le mani e mimò una specie di cerchio.
«Davvero?», sussurrò Maisie.
Alice la guardò, addolcendo lo sguardo. Sospirò, «Sì, davvero. Forse tu non te ne sei accorta e non so come tu abbia fatto. Era così strana ieri. Doveva essere felice, cioè, si era appena laureata! E invece sembrava… delusa», Alice fece una pausa, andandosi a sedere sulla sedia della sua scrivania, «Ti guardava. È li che me ne sono accorta», continuò Alice guardando Maisie negli occhi, «Ti ha guardato per tutta la serata, tu eri distratta, non te ne accorgevi. Lei si è andata a sedere su uno dei divanetti, in disparte. Era proprio di fronte a me, ma non mi vedeva. Era completamente presa da te. Ti guardava soprattutto quando ridevi, e per un attimo un lampo di rabbia le deformava la faccia, ma poi ritornava a guardarti, ti guardava, sembrava triste, eppure sul suo viso…», Alice si era imbarazzata a raccontare quella storia, quella sensazione che aveva provato, «Sul suo viso c’era amore».
 
*
 
«Alexis».
La voce di Catelyn la bloccò a due passi dall’armadio, si girò lentamente, inspirando profondamente. Non aveva nessuna voglia di iniziare una nuova battaglia.
«Non serve che te ne vada», mormorò Catelyn, appena realizzò che Alexis non le avrebbe risposto, «Puoi rimanere. È anche casa tua».
Alexis la guardò, un po’ sorpresa, ma sapeva quanto le costassero quelle parole, glielo leggeva negli occhi e nelle mani che Catelyn continuava a torturarsi.
Scosse il capo, «Preferisco andare via», sospirò, «Non credo di essere più benvoluta in questa casa».
Catelyn scosse il capo, in maniera stanca, portandosi entrambe le mani al ventre.
«Non c’è bisogno che ti sforzi», continuò Alexis, prima che Catelyn potesse dire qualcosa, «È una decisione che avevo già preso prima, comunque», concluse, aprendo le ante dell’armadio e afferrando un grosso borsone. Ci avrebbe infilato lo stretto necessario e se ne sarebbe andata.
«E Maisie?», Catelyn ripeté la domanda.
Alexis si bloccò, un paio di t-shirt in mano. Chiuse gli occhi, e si voltò, nascondendo il suo dolore agli occhi di Catelyn.
“Vorrei non averti mai incontrata!”
«Maisie ha già fatto la sua scelta».
 
*
 
 
Maisie non riusciva a non pensare alle parole di Alice. Era stata davvero così cieca? Era stata davvero così stupida? Strinse le ginocchia al petto, affondandoci la testa. Che stupida! Farsi sopraffare dalla gelosia e dalla paura. Aveva ragione Alexis. Avrebbe dovuto chiederle spiegazioni fin da subito. Si era comportata come una bambina. E adesso si sentiva abbandonata.
«Alexis ha deciso di andare via».
Queste erano state le sole e fredde parole che Paddy le aveva detto, quando finalmente sua madre aveva aperto la porta, liberandola da quella prigione improvvisata.
«Che cosa significa?», aveva domandato spostando lo sguardo da sua madre a Paddy. Tenevano entrambi gli occhi bassi. Non riuscivano neanche a guardarla negli occhi e Maisie sentiva i suoi riempirsi di lacrime.
«Quello che significa Maisie. Non preoccuparti, starà bene».
Maisie aveva evitato di rispondere ed era tornata di corsa in camera sua. Si era bloccata, alla vista di quella che era stata la sua camera e poi quella di Alexis. Quella camera che aveva abbracciato i loro momenti insieme. Ci era entrata velocemente, ed era ancora tutto lì. Come se lei non se ne fosse andata veramente. Ma in realtà lo aveva fatto.
E così, adesso era da sola, ancora sul suo letto. Seduta. Con la testa pesante.
«Ehi».
Maisie alzò lo sguardo al richiamo di sua sorella.
«Come va?»
Maisie guardò il cellulare, lo teneva vicino a sé, nella speranza che vibrasse, che desse un cenno di vita. Niente.
«Scusa, è stata una domanda stupida», si affrettò ad aggiungere Alice.
«No, non è vero», rispose laconica Maisie, «Non sto bene. O non lo so. Sembra tutto così irreale».
Alice la guardò in silenzio.
«Da quanto…?»
«Sei mesi».
«Wow. È tanto».
Maisie annuì. Sei mesi, tanto tempo. Davvero? Poteva mai “tanto tempo”, finire così?
«Adesso che succederà?», domandò più a sé stessa che a sua sorella.
Alice scrollò le spalle, «Paddy sembra arrabbiato, non so per quale motivo di preciso, mamma è esausta. Ha cercato di convincere Alexis a rimanere, ma non ci è riuscita».
Maisie alzò la testa di scatto.
«Cosa hai detto?»
Alice la guardò, «Su mamma?»
«Davvero ha cercato di tenere Alexis qui?»
Alice annuì, sorpresa dal tempestivo cambiamento di Maisie.
«Perché?»
«Non lo so», ammise Alice, «Ma sembrava triste, per qualcosa».
«L’ho resa triste io, vero?», constatò tristemente Maisie.
«Non lo so», ripeté in un sussurro Alice.
Rimasero in silenzio per tantissimo tempo. Fuori era ancora giorno. Maisie continuava a domandarsi dove fosse Alexis.
«Se provassi a chiamarla?», domandò improvvisamente a sua sorella che guardava fuori dalla finestra.
«Perché no, magari ti fai dire dov’è».
Maisie annuì, anche se un’idea se l’era già fatta.
Cercò tra le chiamate recenti e lesse il nome sul display. Alex, accompagnata dall’icona di una macchina fotografica. L’aveva aggiunta Alexis stessa, mentre sul suo cellulare il nome di Maisie era accompagnato da un anello.
Sorrise amaramente al ricordo, una fitta le trapasso lo sterno. Si guardò la mano sinistra, quella che indossava l’anello. Quell’anello. Non significava niente?
Toccò a malapena lo schermo, facendo partire la chiamata. Appoggiò il cellulare all’orecchio… Tum.
Staccato.
Lasciò cadere il cellulare, e lasciò cadere sé stessa, all’indietro, stendendosi sul letto. Era così da Alexis staccare il cellulare. Fedele alle sue scelte. Aveva deciso di andarsene, e se ne era andata.
 
*
 
«Mamma?», sussurrò appena, la bocca vicino alla cornetta.
«A-alexis?», balbettò la voce insicura, resa metallica dal ricevitore.
«Si mamma, sono io. Sei in albergo?», domandò Alexis, la voce le tremava e non riusciva a calmarsi. Sentiva gli occhi bruciarle, le lacrime che spingevano per uscire e dare sfogo al suo dolore.
«Sì, sono in albergo. Ma questo numero? Sei in una cabina telefonica? Tesoro, tutto bene?».
La voce di sua madre sembrava così sinceramente preoccupata.
«No, mamma, non sto bene», Alexis sentiva ormai le lacrime scenderle copiose sul viso, la testa appoggiata contro il vetro della cabina telefonica, «Non sto affatto bene… Posso passare da te? È importante, mamma, è importante…», mormorò lasciandosi andare ai singulti delle lacrime.
«Oh, Alexis!», gemette sua madre, con il tono di chi aveva capito tutto, «Vieni e non preoccuparti, andrà tutto bene».
Alexis annuì e poi riagganciò, rimanendo per un po’ con la fronte attaccata alla plastica del gabbiotto. Ancora non riusciva a credere a quello che era successo. Non riusciva a capire. Come si erano ridotte a quel punto, le cose? Uscì dalla cabina telefonica e si mise il borse in spalla, iniziando ad incamminarsi. Non aveva preso quasi nulla alla fine. Le era servito solo per prendere tempo, per cercare di pensare.
“E Maisie?”
La domanda di Catelyn le rimbombava prepotente nella testa.
Era sincera Maisie quando le aveva detto che avrebbe preferito non incontrarla mai? Oppure era stata una frase gettata lì, dovuta alla foga del momento? L’aveva colpita così forte. Non si era aspettata quella rabbia, non si era aspettata che lo scoprisse. E soprattutto, non si era aspettata che le nascondesse il fatto stesso di sapere. Perché doveva essere sempre così sospettosa? Se solo avesse saputo la verità…
Era quello che le aveva fatto perdere la testa!
Maisie non si fidava di lei! Aveva la mente troppo attanagliata dalla gelosia, da Emma. Non si era aspettata, dopo tutto quel tempo, che i dubbi le sarebbero tornati. Ma era veramente Emma il problema, o i sentimenti di Maisie nei suoi confronti stavano cambiando?
La sola idea le dava la nausea. Era questa la sua paura più grande.
Quando aveva litigato con Emma, quella volta allo studio, alcune parole della sua amica l’avevano colpita.
“…mi hai lasciato per una ragazzina che fino a dieci minuti fa non sapeva neanche che le piacessero le donne!”
Questo le aveva urlato Emma, insieme a una valanga di cattive parole, che le erano scivolate addosso. Ma quelle parole l’avevano colpita. Era vero, Maisie glielo aveva confessato. Alexis era la prima ragazza dalla quale lei si era sentita attratta. Prima di lei c’era stato soltanto Connor.
Ed era questa la paura di Alexis. Non voleva essere soltanto un capriccio adolescenziale di Maisie. Un brutto ricordo, un’esperienza da dimenticare.
Senza neanche rendersene conto, Alexis si ritrovò nella hall dell’albergo. L’attraversò a grandi e veloci passi, entrando velocemente nel primo ascensore che trovò.
«Che piano?», le domandò cortesemente l’addetto.
«Settimo», rispose laconica Alexis. Sperava solo che sua madre fosse da sola. Non sapeva perché era andata proprio da lei. Ella non era mai stata una madre presente, ma era la prima e unica persona che le era venuta in mente. Nonostante tutto.
Ascoltò silenziosa e attenta lo jingle che risuonava per radio diffusione nel cubicolo. Sembrava una canzoncina per la pubblicità di un cioccolato americano, di cui lei andava pazza da bambina.
Quando finalmente l’ascensore si arrestò e le porte si aprirono, Alexis si fiondò sulla sinistra e percorse il lungo corridoio, fino alla camera di sua madre.
Bussò appena, scontrando le nocche con la superficie di legno. Sentì dei passi leggeri ma precipitosi alla porta.
«Alexis», mormorò sua madre. Aveva un’espressione davvero preoccupata.
«Ciao mamma», disse semplicemente.
«Vieni, entra. Chris non c’è… L’ho mandato a fare delle commissioni. Siamo sole», disse Ella, lasciando entrare Alexis e soffermando il suo sguardo sul borsone di Alexis.
Alexis avanzò, lentamente nell’anticamera lasciando cadere il borsone ai suoi piedi.
«Hai gli occhi arrosati», constatò Ella, avvicinandosi e prendendo il viso di sua figlia tra le mani, «Hai pianto?», le domandò con dolcezza.
Alexis si morse il labbro, quasi a sangue, ma alla fine annuì e cedette di nuovo alle lacrime.
«Oh, tesoro!», mormorò Ella, la voce soffocata nel collo di Alexis, stringendola forte.
«La mia bambina», continuò accarezzandole la schiena, «Non ti ho mai visto piangere».
Alexis soffocò una risata nervosa e si staccò dalla madre.
«Che cosa è successo?», domandò Ella guardandola negli occhi. Com’era stata felice quando aveva capito che sua figlia aveva ereditato i suoi occhi.
Alexis scosse il capo, «Quello che tu hai detto che sarebbe successo».
Ella sospirò, «Sai che avrei preferito non succedesse, vero?»
Alexis annuì, «Sarebbe successo, prima o poi. È che non pensavo che sarebbe stato…»
«Così doloroso?», terminò Ella per lei.
Alexis annuì, sedendosi su una delle poltroncine nella stanza.
«Come l’hanno scoperto?», le domandò Ella sedendole affianco.
«Stavamo litigando. In casa non c’era nessuno, ma stavamo urlando e non li abbiamo sentiti arrivare», Alexis parlava guardando nel vuoto, «Non c’è stato neanche bisogno di dire niente. Hanno capito tutto».
«Alexis…», Ella le si avvicinò, «Loro già sapevano. O almeno Catelyn lo sapeva».
Alexis alzò lo sguardo curiosa, «Che significa?»
«Ieri sera, quando voi eravate al locale e noi al ristorante, in un momento in cui Paddy e Chris si erano allontanati, Catelyn mi si è avvicinata chiedendomi delle cose», fece una pausa, «Delle cose su te e Maisie, ma soprattutto su di te. Me ne ha parlato come se già sapesse tutto. Sapeva che eravate un coppia. Voleva solo una conferma».
Alexis la guardava, insicura dei sentimenti da provare.
«E tu? Cosa le hai risposto?».
«Nulla. Non le ho detto né di sì, né di no. Anche se così credo di aver dissolto ogni suo dubbio. Sai che non sono mai stata brava a mentire».
Alexis annuì lentamente, la testa appoggiata alla mano.
«Mi dispiace averti messo in questa situazione… Ma sapevo che Catelyn aveva capito», mormorò.
«Una madre capisce sempre cosa passa per la testa di una figlia. Nel bene e nel male. E comunque solo un cieco non avrebbe capito di te e Maisie», le sorrise Ella.
«Non ne sono così sicura…», mormorò Alexis mangiandosi le unghie. Lo faceva sempre quando era nervosa.
«Oh, credimi. Pende letteralmente dalle tue labbra come tu dipendi dai i suoi occhi. Ho visto come la cercavi, non sono stupida e non lo è neanche sua madre».
Alexis reclinò la testa all’indietro, lasciandosi andare a un profondo respiro.
«Paddy mi ha chiesto perché non gli ho detto che sono lesbica».
«E tu gli hai detto che non c’è bisogno di specificare?»
«Sì», Alexis sorrise, «Gli ho detto che non siamo noi a scegliere chi amare», aggiunse abbassando lo sguardo.
Ella la guardò con fare materno, «È quello che ti disse quando ti parlammo del nostro divorzio».
La sua infanzia, la sua intera vita, era girata intorno a quella frase.
«Già».
«Perché avete litigato?», domandò Ella dopo un minuto di silenzio.
«Ha scoperto del mio ritorno a Washington».
«E quindi? Non le hai detto…?»
«No», Alexis la interruppe, «Volevo farle una sorpresa», si giustificò, «Solo che lei l’ha scoperto giorni fa, e ovviamente non sa dei biglietti. Ma mi sono arrabbiata! Si è comportata normalmente, mi ha nascosto tutto, per poi scoppiare improvvisamente!», sbottò.
«Magari aspettava che tu confessassi. Ti stava dando un’opportunità, Alex. Non voleva aggredirti, non voleva accusarti. Voleva che fossi tu a fare il primo passo».
Alexis guardò sorpresa sua madre, «Lo pensi davvero?». Non ci aveva pensato.
«Si è messa contro la sua famiglia per te. È normale che voglia essere sicura prima di prendere qualsiasi decisione», Ella la guardò, «Sai Alexis, ho pensato molto a quello che mi hai detto quella sera, davanti a quest’albergo».
«Mamma, non volevo essere…»
«No», Ella la interruppe, alzando una mano ed accavallando elegantemente le gambe, «Avevi ragione, Alexis. Ho passato molto tempo della mia vita, anche dopo che il mio matrimonio con tuo padre era finito, a pensare e ripensare. Come sarebbe andata se fossimo rimasti insieme? Se tuo padre non avesse incontrato Catelyn? Se io non fossi stata debole?»
«Mamma…»
«Shhh», Ella le fece segno di stare in silenzio ed ascoltare, «Non sono stata una buona madre, Alexis, e lo riconosco. Hai ragione. Ho passato troppo tempo a preoccuparmi dei se, senza dare conto a quello che avevo, senza pensare a te. Non voglio che tu faccia il mio stesso errore, Alex. Non voglio che tu rimpianga qualcosa, qualsiasi cosa. Innamorarsi è una delle più grandi gioie della vita. Nessuno può portarti via il diritto di amare un’altra persona, nessuno. È un permesso che devi a te stessa. Non importa ciò che pensa tuo padre, o ciò che pensa Catelyn, o tutta l’intera società! Siete tu e Maisie, è la vostra vita e sono i vostri cuori. Pensaci bene, lo devi a te stessa e a lei».
Alexis guardò sua madre, non l’aveva mai vista così seria e convinta. Sentiva di nuovo gli occhi lucidi.
«Grazie mamma», fu l’unica cosa che riuscì a dire, sorridendole.
Ella le sorrise comprensiva, «Vuoi rimanere qui questa notte? Se vuoi posso allungare la prenotazione, puoi sistemarti qui fin quando vuoi».
Alexis scosse il capo, «Tornerò allo studio. Cercherò di anticipare la data della partenza».
«E il matrimonio?», le domandò Catelyn.
Alexis rise amaramente, «Non credo che Paddy avvertirà la mia mancanza», rispose sarcasticamente.
«Tesoro… Potresti pentirtene in futuro. È un giorno importante per lui».
«Ci sono stati giorni importanti anche per me», Alexis si alzò, «È lui non c’è mai stato. Non l’ho visto così pentito», sibilò.
Ella sospirò, profondamente, «Non sarò io a dirti cosa fare».
«Lo so, non lo hai mai fatto».
«Ma avrei dovuto, qualche volta avrei davvero dovuto», le disse guardandola negli occhi.
«Ci vediamo domani mattina, vi accompagno in aeroporto».
«Va bene», annuì Ella, accompagnandola alla porta.
«Ah! Alexis! Aspetta un attimo», Ella corse verso un comò della stanza, «Mi sono dimenticata di darti questo», disse afferrando un sacchetto di stoffa porpora, «È da parte di tua nonna. Per la laurea».
Alexis afferrò il regalo con curiosità. Era piccolino e sottile. Anzi, erano due cose sottili e piatte. Rovesciò il contenuto del sacchetto sul palmo della mano. Sorrise sorpresa.
«Sono le chiavi dell’appartamento di Maryland Ave. Ha detto che è molto orgogliosa di te. E immagino non si riferisse solo alla laurea».
Alexis sorrise, «Se sapesse cos’è successo oggi me le strapperebbe di mano».
«Non essere stupida! Tua nonna non ha mai perdonato Paddy, voleva solo essere sicura che tu non vivessi condizionata dal suo ricordo, come ho fatto io per tanti anni», le rispose Ella, «Ti ha sempre difesa, sempre».
Alexis le sorrise, «Andrò a trovarla appena torno».
«Sono sicura che quando le presenterai Maisie sarà entusiasta. È molto carina».
«Già», annuì Alexis, mordendosi il labbro. Chissà se ci sarebbe stata mai occasione.
Ella le si avvicinò e l’abbracciò, «Ti voglio bene», sussurrò.
«Anche io».
 
*
 
Aveva passato due giorni chiusa, serrata, in camera sua, evitando sua madre e Paddy. Era rimasta stesa tra le lenzuola, impassibile, gli occhi sgranati dal terrore. Era quello che provava, terrore. Più i minuti passavano più la sua mente realizzava, passo dopo passo, ciò che era successo. Non aveva più lacrime. Sentiva i suoi occhi secchi, privi di tutto. Percepiva solo un grande vuoto nella sua testa. E al suo fianco. Da quanto tempo non dormiva da sola? Certo, era già capitato, con la sola differenza, che nelle volte precedenti, c’era la speranza di riuscire a risolvere i diverbi, le discussioni. Come si risolvevano le storie finite?
«Maisie?», chiamò Alice.
«Mmh», brontolò Maisie, «Che c’è?».
«Mamma ha detto che devi scendere a fare colazione, sei digiuna da due giorni».
Maisie si alzò a malapena, sostenendosi sui gomiti, «Non ho fame».
«Maisie…»
«Non ho nessuna intenzione di vedere Paddy», sbottò. Dire quelle parole le faceva male. Paddy era stato come un padre per lei. Un ottimo padre per lei, ma pessimo per Alexis. Che cosa succedeva nella sua vita?
«Paddy non c’è. È uscito».
La voce di sua madre le fece sussultare.
«Ciao», mormorò Maisie. Sentiva stranamente la sua voce incrinata.
«Alice, ci lasceresti un attimo da sole?», domandò Catelyn alla più giovane delle sue figlie. Alice annuì in silenzio, e lasciò la stanza, lanciando uno sguardo muto verso sua sorella.
«Dov’è Paddy?», le domandò di getto.
Catelyn ingoiò a vuoto, non era abituata a sentire quel distacco con sua figlia.
«Dov’è Alexis?», domandò ancora Maisie, alzandosi dal letto.
Catelyn si blocco, entrambe le mani appoggiate sul ventre.
«Non lo so», ammise infine.
«Davvero?», domandò Maisie scuotendo il capo.
«Sì, davvero».
«Mamma, perché hai permesso che andasse via?», le domandò isterica.
Catelyn scosse il capo, «Maisie non potevo fermarla! Non sono sua madre e non è stata una mia scelta!»
«Avresti potuto evitare di rinchiudermi qui dentro!», sbraitò, «Perché lo hai fatto?»
«Maisie…», Catelyn avanzò di qualche passo, «Cerca di capirmi! Sono tornata a casa e ti ho trovata in lacrime! E poi… poi…», Catelyn si passò una mano sul viso, sembrava stanza, «E poi mi hai detto di te e Alexis», emise in un soffio di voce Catelyn, «Non capivo nulla. Non avevo la forza di affrontare tanti problemi alla volta».
Maisie guardò sua madre, si sentiva terribilmente in colpa.
«Ero divisa tra la voglia di ascoltarti e starti vicina, e la strana consapevolezza di quello che avevo appena scoperto. Anzi, avevo appena avuto la conferma a un mio… dubbio? Non so neanche come definirlo. Non so che cosa pensare, Maisie».
Maisie accusò le parole di sua madre, pesanti come macigni. Cosa avrebbe dovuto dirle.
«Non volevo che Alexis se ne andasse, non so neanche il perché. Quando ti ho vista piangere avrei voluto tirarle un pugno in faccia», continuò Catelyn, «Ma la sua espressione mi ha fermato. Sembrava così stanca e triste. Come se stesse sopperendo sotto qualcosa più grande di lei. E poi ho capito cos’era», Catelyn guardò sua figlia negli occhi, «Credo che Paddy sia andato a cercarla».
«È stato lui a cacciarla, l’ho sentito», mormorò Maisie.
«Si è pentito, Maisie. Era sotto-shock. Neanche lui sapeva…»
«Tu non lo sapevi?», le domandò Maisie interrompendola, «Eri strana nei suoi confronti».
Catelyn sospirò.
«Avevo qualche dubbio», confessò Catelyn.
«Mary», disse semplicemente Maisie e Catelyn annuì.
Maisie guardò verso sua madre, «Non mi hai mai detto niente».
«Non sapevo se potevo fidarmi di quella pettegola», sussurrò Catelyn, «E poi non capivo».
«Cosa?»
«Maisie, ho sempre pensato di essere stata una buona madre, ho sempre dato tutta me stessa per te e per tua sorella».
«Non ho detto il contrario», si giustificò Maisie.
«Non capivo il perché del tuo silenzio, Maisie. Ci siamo sempre dette tutto. Non capivo perché una cosa… così importante dovevo apprenderla da una sconosciuta».
Maisie incrociò le braccia, imbarazzata.
«Quel giorno ho deciso di guardarvi, bene. E stavo male», sussurrò Catelyn.
Maisie sgranò gli occhi, cosa significava?
«Stavo male nel vederti soffrire», continuò Catelyn, «C’erano giorni in cui i tuoi occhi brillavano di felicità, e altri, durante i quali eri muta e triste. E tu non sei mai stata così. Ti vedevo cambiare, ti vedevo dipendere da lei», Catelyn sospirò, «E non so perché, questa cosa mi faceva paura! Sapevo di essere incinta, sapevo di aspettare vostro fratello!»
«È questo il problema, quindi…», mormorò Maisie, accasciandosi sul letto, «Credi che non ci abbiamo pensato?»
«Maisie, io non so niente».
Maisie sospirò, prendendosi la testa tra le mani, «Neanche io», lamentò.
«Maisie», esordì sua madre, ma lei si alzò di scatto.
«Ho bisogno di farmi un giro. Devo uscire di qui».
 
*
 
«Hai concluso qualcosa con il biglietto?», le domandò Chris afferrando una delle valigie che Alexis gli porgeva.
«Sì», annuì Alexis, «Sono riuscita ad anticipare la partenza».
«Bene», le sorrise l’uomo.
«Alex tesoro, non c’è bisogno che ci accompagni all’aeroporto, è fuori città…», iniziò Ella.
«E io non ho più la macchina, lo so», concluse Alexis per lei.
«Tanto ci rivedremo presto», le disse sorridendo sua madre.
«Quando torni organizziamo una bella cena al ristorante con tua nonna, così possiamo festeggiare insieme la tua laurea», disse Chris.
«Ci conto», rispose Alexis, per poi abbracciarlo.
«Quando parti?», le domandò Ella.
«Lunedì».
«Quindi hai deciso di andare al matrimonio. È sabato, no?»
«Sì, è sabato, ma non credo di andarci».
«Alex…»
«Ne abbiamo già parlato, mamma. Adesso dovete andare, o al check-in sarà un inferno».
Ella annuì, «Che farai adesso?»
«Torno allo studio e aspetto che arrivi lunedì», disse con un sorriso tirato.
«Promettimi che chiamerai Maisie».
«Mamma…»
«Promettimelo», disse Ella guardando negli occhi sua figlia.
Alexis sospirò, «Lo prometto».
 
*
 
«Alex! Alex!», continuò a urlare Paddy, ignorando la folla di gente per strada che lo guardava, «Alex! Non puoi evitarmi!», urlò ancora.
Come diavolo aveva fatto a trovarla?
«Certo che posso!», sbraitò Alexis girandosi di scatto verso l’uomo, lanciò un’occhiata alle persone che si erano fermate a guardarli e poi s’incamminò di nuovo, finché Paddy non la bloccò afferrandola per il gomito.
«Mi dispiace, ok?», esclamò Paddy con voce affannata, «Voglio rimediare», mormorò.
Alexis guardò suo padre negli occhi. Erano lucidi e rossi e sembrava sincero.
«Non puoi», sibilò liberandosi dalla presa di suo padre.
«Alex…»
«Mi hai urlato contro, hai detto che MAI mi avresti perdonato, mi hai ordinato di andarmene e io l’ho fatto! Rispettando il tuo stupido orgoglio! Non ti ho chiesto niente, niente, per anni! Adesso ti sto solo chiedendo di lasciarmi andare… Non puoi avere tutto, Paddy. Non puoi».
«Alexis, ti sto chiedendo scusa!», urlò esasperato Paddy.
«Non le voglio le tue scuse! Non mi interessano! Me ne fotto delle tue scuse, come cazzo devo fartelo capire?», latrò Alexis, fottendosene delle persone che rallentavano per assistere a quella lite.
«Alexis non dire così… non le pensavo veramente quelle cose, ero sorpreso, non capivo! Avevo appena scoperto di te! E…»
«E cosa? Pensi che io abbia passato notti felici e spensierate al pensiero che mio padre mi aveva cacciato di casa perché sono lesbica?», ironizzò Alexis, «Si gente! Sono lesbica!», urlò alle persone che si erano fermate a guardarli, «Adesso ve ne potete anche andare pure tutti a fanculo! Questa è la storia!»
«Alex!», Paddy la bloccò, «Smettila! Non ti ho cacciato perché sei lesbica, non me ne frega…»
«Ah giusto», lo interruppe Alexis, la testa le scoppiava, «Mi hai mandata via perché mi sono permessa di innamorarmi!», ringhiò Alexis, «Scusami tanto se sono stata così egoista!»
Paddy scosse il capo, «Alex, aspetto un figlio! Tuo fratello! Il fratello di Maisie! Ci hai mai pensato a questo?»
Alexis respirò profondamente, «Uno: è il mio fratellastro. Io e questo coso non siamo usciti dal mezzo delle stesse gambe…»
«Alex!»
«Due», Alexis ignorò completamente il richiamo del padre, «Davvero credi che non ci abbia pensato? Cosa pensi? Che io e Maisie ci facessimo grosse risate dietro le vostre spalle? Non credi che io mi sia sentita una merda, vedendo Maisie soffrire per questa storia? Sentiva che stava tradendo sua madre! Avevamo deciso di parlarne con voi! Volevamo essere sincere! Volevamo una fottuta parola di conforto! Volevamo sentirci dire che sarebbe andato tutto bene! Non ci aspettavamo che una finisse rinchiusa in camera e l’altra cacciata. Quindi, caro Paddy, le tue scuse non le accetto. Non m’interessa quanto tu sia stato folgorato dalla notizia!», terminò con il fiatone.
«Alex, davvero. Parliamone!»
«Ne abbiamo appena parlato», sussurrò Alexis, «Più di quanto abbiamo mai fatto in ventitré anni, papà».
Paddy la guardò. Quelle ultime parole l’avevano ferito. Eppure sapeva che aveva ragione. Non era mai stato un buon padre. Non era stato affatto un padre.
«Non preoccuparti, lunedì parto e sarà tutto come se niente fosse successo…»
«C-cosa? Lunedì? Questo lunedì?»
«Si! Ho anticipato i biglietti… Me ne vado! Adieu!», sbottò isterica.
«Torniamo a casa e parliamone…»
«Ancora? Insisti?», domandò incredula e stanca Alexis, «Che cosa credi di risolvere? Se tornassi a casa non si risolverebbe nulla! Catelyn è sempre incinta e io continuo a non poter amare Maisie!», sbraitò.
«Qu-quindi la ami», osservò Paddy.
Alexis inspirò profondamente, «Si, Paddy. Non è una stupida ripicca nei tuoi confronti o qualsiasi cosa tu abbia pensato…»
«Allora perché te ne vai?», le domandò.
«Mi hai costretto tu, Paddy. Siamo una famiglia, no? Non posso amarla se siamo una famiglia…»
«Alexis…»
«Ti prego, basta», mormorò Alexis con gli occhi lucidi. Si sentiva svuotata di ogni forza vitale. La consapevolezza di star perdendo Maisie la uccideva.
«Verrai almeno al matrimonio?», domandò con un cenno di speranza, «Mi sembra di capire di no, dato il tuo silenzio», concluse con un rantolo. Si sentiva terribilmente stupido.
«Devo sistemare delle ultime cose per partire», continuò Alexis, «Quelle che ho lasciato da te me le dovrai spedire».
«Va bene», acconsentì con dolore Paddy, «ma se cambi idea puoi tornare quando vuoi…»
«Sì, ma non succederà. Auguri Paddy, congratulazioni», mormorò lanciando un’ultima occhiata a suo padre per poi dargli le spalle e andarsene.
 

Hello!
Ancora una volta in ritardo, lo so! Ma spero sempre che mi perdoniate!
Allora, è un capitolo un po' diverso questo, almeno nella prima parte. Spero di essere riuscita a comunicarvi una certa sensazione di frenesia, quella che ho provato mentre lo scrivevo e quella che hanno provato Maisie, Alex e le altre persone a loro vicine! Sono così triste!
Credo che ormai manchi veramente poco...
Aaaah, visto che molt* di voi mi hanno chiesto a chi mi sono ispirata per il personaggio di Alex, vi comunico che l'illuminazione per questa storia mi è venuta dopo aver visto la foto di una modella, Tasha Tilberg, ecco la foto
Per me è proprio ALexis, con parecchi tatuaggi in meno e gli occhi chiari!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nonostante la stranezza! Vi lascio al prossimo spoiler!
Un abbraccio, 
StClaire!

«Beh, scusa, allora vai», esclamò improvvisamente Mia.
Maisie alzò gli occhi di scatto, guardando prima le sue amiche e poi sua sorella. Quel cubicolo era troppo piccolo per tutte e quattro.
«C-cosa?», balbettò.
«Alexis è allo studio, no?», domandò retoricamente Jody guardando le altre, «Prendi un taxi e vai!»
«Cosa?», esclamò Maisie, «Come faccio ad andarmene da qui?»
«Ti copriamo noi, no?», continuò Alice guardando verso Mia e Jody.
Maisie ripassò lo sguardò su ognuna di loro.
«Dite che posso?»
«Devi!», urlarono loro all’unisono.

  
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