8
“Un
universo di orrore e smarrimento circonda
un palcoscenico illuminato,
sul quale noi mortali danziamo per sfidare le
tenebre”
[Stephen
King]
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
Non
era una stupida. Sapeva benissimo che se Artù
l’aveva sistemata in un’altra ala
del castello non era perché era a corto di stanze.
Semplicemente lui, la sua
mogliettina e, di certo, anche quegli idioti dei genitori di Emma
pensavano
fosse meglio separare la ragazza che aveva dato fuoco a Percival dalla
nuova
Signora Oscura. Artù ancora non era consapevole che
l’Oscura era tra loro, ma
aveva intuito quanto lei, figlia di una donna in grado di trasformarsi
in
drago, fosse pericolosa e incontrollabile.
Ed
era vero. Era entrambe le cose. Pericolosa, soprattutto.
“So
abbastanza. Quelle come te... come
noi... non possono essere Salvatrici. È come sperare che
Biancaneve sia davvero
la ragazzina che parla con gli uccellini”.
Forse
era vero anche che l’oscurità di Emma avrebbe
potuto influenzarla
negativamente. Forse era vero che avrebbe dovuto starle lontana per
evitare
guai. Ma non si trattava di una persona qualsiasi. Si trattava di Emma.
Di
sicuro, chi pensava che Lily rimanesse sveglia buona parte della notte
perché
tormentata dall’immagine dell’uomo che aveva
ucciso, si sbagliava di grosso.
-
Posso aiutarti a dormire con un incantesimo, se ne hai bisogno
– le aveva detto
sua madre.
-
Non mi serve. Sto bene. – Era stata una risposta brusca e se
ne rendeva conto. –
O credi che io sia continuamente tormentata da un uomo che brucia?
Anche
quella sera scivolò insensibilmente nel sonno. Si
addormentò di botto,
riposando su un fianco nello spazioso letto con le coperte color
porpora come i
mantelli del re e dei suoi cavalieri.
E
quando riaprì gli occhi era da tutt’altra parte.
Era in una stanza buia. Non
avrebbe saputo dire in quale parte del castello; sembrava un piccolo
salotto. I
contorni delle cose erano pochi chiari, sfuggivano. Dalle porte
lasciate aperte
entrava la luce delle fiaccole accese nei corridoi ed era una luce
tremolante,
malaticcia. Davanti a lei, dentro una scatola di legno, c’era
il pugnale dell’Oscuro,
con il nome di Emma inciso sulla lama ondulata. Era lì da
sola e Dio solo
immaginava il perché e stava guardando l’arma che
serviva per controllare la
creatura che tutti temevano più dei loro stessi incubi,
più di quanto lei
temesse l’oscurità che albergava nel suo corpo.
Lily ne avvertiva il potere. Un’intensa
forza di attrazione che allungava le braccia per acciuffarla. Le
lettere che
formavano il nome Emma Swan parevano
ingigantirsi dinanzi ai suoi occhi e poi rimpicciolirsi, le sembravano
lettere
sfocate e, se batteva le palpebre per metterle a fuoco, aveva
l’impressione che
fossero vive, che si muovessero. Inoltre... non era solo la forza di
attrazione
che sentiva, ma anche un senso di oppressione, come se avesse un peso
sul
petto.
Emma
Swan.
Non
riusciva a smettere di guardare le lettere impresse sul pugnale.
Emma
Swan.
Il
nome mutò. Si deformò. Si confuse.
Alla
fine non ci fu più il nome di Emma sulla lama.
Lilith
Page.
Sgranò
gli occhi, premendosi le nocche sulle labbra. Il terrore.
L’orrore. Lily li
avvertiva crescere dentro di sé, fino a che il suo stesso
cuore sarebbe
scoppiato sotto quella implacabile stretta.
E
c’era una voce. Qualcuno la chiamava.
C’era
il peso sul petto e c’era la voce. La voce del pugnale...
La
voce...
-
Lily. – Era sua madre e sembrava allarmata. – Lily,
svegliati.
Aprì
gli occhi e si trovò a fissare quelli grandi e celesti di
Malefica. Si alzò di
scatto, mandando un gemito di sorpresa.
-
Va tutto bene, Lily – disse sua madre, allungando gentilmente
una mano per
appoggiargliela sulla testa. – Stavi sognando... parlavi del
sonno, ma non
capivo che cosa stessi dicendo.
Rimase
immobile, in attesa che la realtà, quella
realtà, la riprendesse fino in fondo.
Solo
un sogno. Un incubo e niente di più. Per quanto fosse reale
e terribile, era
stato solo un incubo.
-
Non so... – mormorò, schiarendosi la voce.
Guardò fuori dalla finestra e si
accorse che il sole era appena sorto. –
Ma che cosa ci fai qui?
-
Una guardia davanti ad una porta non è certo un problema,
per me. – disse
Malefica.
-
Che cosa gli è successo?
-
Dorme. Quello che dovresti fare anche tu. È molto presto.
– Sua madre
continuava a passarle le dita tra i capelli.
Lily
si sentì confortata da quella carezza e posò la
fronte contro la spalla di Malefica.
Si sentiva anche leggermente a disagio. Non era abituata a ricevere
affetto da
una persona, tantomeno ad essere rassicurata da qualcuno che conosceva
appena. Aveva
avuto una madre, una madre adottiva. Da piccola quella donna
l’aveva
abbracciata spesso e anche suo padre, ma non si era mai sentita al
posto
giusto. Forse quelle due persone l’amavano davvero, ma per
quanto lei si
sforzasse, non era in grado di accettare i loro gesti
d’affetto. Li percepiva
come... sbagliati. Lei era sbagliata e lo era anche la vita che stava
vivendo. Quella
non era la sua famiglia, non era il suo posto. Non desiderava quegli
abbracci.
E allora stringeva il suo ciondolo, pensando alla madre che non aveva
mai
conosciuto.
Dopo
un momento Lily si tirò indietro. - Da quanto tempo sei
nella mia stanza?
-
Da un po’. – rispose Malefica.
Aggrottò
le sopracciglia e piegò leggermente la testa in un cenno
dubbioso.
-
Vuoi che me ne vada? – chiese sua madre.
-
No... è solo che... non mi aspettavo di trovarti qui.
-
Sai, mi dispiace... volevo solo guardarti mentre dormivi. Non... non
l’ho mai
fatto. Una delle tante cose che mi sono persa. – Non
c’era traccia di rabbia
sul suo viso. Solo rammarico e una lieve forma di tristezza che rendeva
più
dolci i suoi lineamenti.
Lily
non rispose, perché se avesse risposto sarebbero uscite cose
poco gradevoli
dalla sua bocca. Certo che te le sei
perse. La mia vita era un casino, lo è ancora e tu te le sei
perse perché
qualcuno ha deciso di proteggere Emma maledicendo un’altra
bambina! Te le sei
perse, perché quei due erano convinti che così
facendo l’avrebbero salvata e
adesso, invece, guarda! L’oscurità è
tornata e se l’è presa. Emma sta male,
deve lottare ogni giorno contro l’essere che la possiede e
chi dice che non è
colpa loro?
“Lo
senti? Che suono dolce. Che
suono strano! Diamo un’occhiata. Ti va?”
Le
andava. Le andava di dare
un’occhiata. Le andava di seguire i bisbigli, i sussurri. Il
richiamo. Seguirlo
era una vera coercizione. Era più forte di tutto. Di
qualsiasi altra cosa.
Era
stato facile trovarlo. Riposava
in una scatola di legno. Il pugnale.
“Ecco
da dove viene! Il tuo
pugnale!”. La voce di Tremotino era sgradevole. Il suo
sorriso era largo e
soddisfatto, infido e malizioso. “E dato che Regina
l’ha lasciato in questa stanza...
direi che chi lo trova se lo tiene”.
Emma
allungò una mano, ma una magia
protettiva la respinse.
“Oh,
c’è un incantesimo su di esso!
Non è niente per te. Infrangilo”.
“Non
posso”.
“Sta
chiamando... la sua metà”.
“Lasciami
sola”.
“I
tuoi amici non possono
proteggerti”.
“Smettila”.
“Tu
sei la Salvatrice. Salvati!”.
“Esci
dalla mia testa!”. Aveva
diretto il suo potere contro la proiezione di Tremotino, che ovviamente
era
svanito, emettendo una risatina folle. Per poco l’onda magica
non aveva colpito
Uncino...
Aveva
passato la notte ad intagliare rametti di salice per fabbricare
acchiappasogni.
Il cerchio esterno, che rappresentava il ciclo della vita e
l’universo. La rete
interna, che serviva per intercettare i sogni e dirigerli, se buoni,
verso il
filo di perle simboleggiante la natura... se dannosi, verso le piume
d’uccello,
perché volassero via.
Avrebbe
voluto fare lo stesso con le voci. Scacciarle. Come i brutti sogni. Ma
le voci
la circondavano. Le voci la opprimevano. Erano nella sua testa e
sussurravano.
Tremotino, o l’oscurità che ne assumeva le
sembianze, appariva ogni giorno un
po’ più a lungo, le parlava e le sue parole erano
sempre più persuasive ed
insinuanti... sempre più debole era la sua forza di
volontà. Le voci le
avvelenavano il sangue. Si insinuavano sotto la pelle e si addensavano
intorno
al suo cuore. Presto le ombre sarebbero state troppe dense. Per quanto
lottasse, le venivano meno le energie.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
Ma
la stava già consumando.
Emma
giaceva, spossata e con gli occhi appannati, su una panca, nella stessa
stanza
in cui aveva ritrovato il pugnale.
-
Cosa le è successo? – domandò Neve.
L’oscurità
mi consuma, mamma. Non
lo vedi?
-
Non ne ho idea – rispose il pirata, con un tono afflitto.
– Non ha detto una
parola.
Emma
osservava le persone intorno a lei. I colori sembravano più
intensi. Sì, ne era
sicura. L’azzurro degli occhi di Uncino era molto
più azzurro. Il vestito rosso
di Regina era molto più rosso. La giubba di Henry pareva
più... sgargiante. E
Lily... Lily aveva qualcosa intorno a sé. Come
un’aura. Un’aura scura come le
ombre che si assiepavano dentro di lei.
-
È tua... – sussurrò Tremotino. Si era
accomodato sulla panca, vicino ai suoi
piedi. – Quell’aura è tua. È
il tuo potenziale. Ma che ce ne facciamo quando
abbiamo tutto questo, mia cara?
Emma
non rispose.
-
Oh, suvvia, non fare quella faccia! – esclamò lui.
E rise, come se tutto ciò lo
divertisse un mondo e non vedesse l’ora di continuare.
– Regina si sta già
scervellando per trovare un altro posto in cui nascondere il pugnale.
Lo sa che
eri qui per il pugnale. Insomma, non è stupida!
L’ha allenata il migliore. Se
mi avessi dato retta non saresti in questa situazione!
-
È... quella cosa, no? – disse Lily. – La
sta distruggendo.
-
Sì – disse David. Era entrato nella stanza senza
che nessuno se ne fosse
accorto. – Sta peggiorando.
-
David! – esclamò Neve. –
Dov’eri finito? Ti ho cercato per tutto il castello!
-
Con Artù. Ho scoperto che conosce un modo per aiutare Emma.
– Parlava a voce
bassa, per non disturbarla, ma era concitato. Esaltato, persino.
-
Non possiamo, David. Ascoltami...
-
Se gli diamo il pugnale...
-
No, David. Non possiamo fidarci di Artù. – Neve,
invece, non era affatto
esaltata. Era preoccupata. Tesa. Lo era stata dalla fine della
cerimonia di
investitura del marito.
-
Cosa? Chi ti ha detto questo?
-
Lancillotto.
David
non credeva alle sue orecchie. – Lancillotto?
Regina
non aveva idea di che cosa diavolo stesse capitando. Ma di una cosa era
certa:
non c’era nessuno al comando, lì. Non si faceva
alcun progresso. La stanza era
gremita di gente che si aggirava senza uno scopo. Persino lei si
sentiva
inutile. Inutile davanti alla debolezza di Emma. Mai e poi mai le era
successo
di vedere la Salvatrice così fragile. Mai le era sembrata
più distante da loro.
Mai le era sembrata così assillata e schiacciata dal suo
destino. Regina aveva
un groppo alla gola ed era un groppo che non voleva saperne di
sciogliersi. Più
guardava Emma e più quel groppo si faceva stretto e
intollerabile. Era stata
presa dall’assurdo impulso di prendere una coperta e gettarla
sopra Emma,
sebbene il freddo non fosse certo un problema per l’Oscuro.
Era stata afferrata
con forza dal desiderio di appoggiarle una mano sulla fronte, di
toccarla per
accertarsi che il suo corpo emanasse ancora calore, di appoggiare
quella stessa
mano sul suo petto e udire i battiti del cuore.
-
Ehi! – intervenne, alla fine, fermando la discussione degli
Azzurri. – Non di
fronte ad Emma! Visto lo stato in cui si trova, qualsiasi cosa potrebbe
farla
esplodere.
David
e Neve tacquero, vagamente imbarazzati.
-
Deve riposare. In un posto tranquillo e lontana da occhi indiscreti.
– osservò.
-
E dove? Ci sono occhi ovunque qui – disse Lily. Anche lei non
staccava gli
occhi di Emma, per quanto stesse parlando agli altri.
-
Conosco il posto giusto. – disse Henry, con un sorriso.
-
Potremmo portarcela io e il ragazzo. - disse Uncino.
Emma
non sembrava nemmeno in grado di sollevare la testa.
-
Non possiamo portarla fuori. Guardate come sta! –
esclamò Lily, indicandola. – Non
si potrebbe... stare di guardia davanti alla porta? Oppure qualcuno
potrebbe tenere
Artù impegnato.
-
Non è sufficiente. – rispose Regina, cercando di
non lasciarsi irritare di
nuovo dal tono dell’amica di Emma. - Se resta qui, chiunque
potrebbe accorgersi
che qualcosa non va. Non possiamo tenere lontane le guardie o i
cavalieri molto
a lungo. Meglio portarla in un altro posto.
-
Forza, tesoro. È ora di salpare. – disse Uncino,
aiutandola ad alzarsi, con
gentilezza.
-
Potrei venire con voi. – osservò Lily.
Emma
le rivolse un sorriso stanco.
-
Forse... è meglio che non siate in troppi a lasciare il
castello con Emma. –
replicò Biancaneve. – Regina ha ragione...
dobbiamo essere il più discreti
possibile. Tutti quanti. Artù non deve sospettare niente.
David
sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine non lo fece.
Lily
levò gli occhi al cielo e uscì. Un attimo dopo se
ne andarono anche Henry, Emma
ed Uncino. Regina si assicurò che le porte fossero ben
chiuse.
-
Quella ragazza non è stupida. Sa che cosa state facendo.
– disse agli Azzurri,
subito dopo.
-
Stiamo cercando di proteggere Emma. – ribatté
Neve, scura in volto.
-
Tenendola lontana da Lily?
-
Lo facciamo per il suo bene.
-
Per il bene di chi?
Biancaneve
sospirò. Non aveva la minima voglia di affrontare
quell’argomento ed era
evidente. – Se ci pensi bene, di entrambe. Ma noi dobbiamo
pensare a nostra
figlia. Lily ha dentro di sé il potenziale oscuro di Emma.
-
Non possiamo sapere come funzionano le cose adesso che Emma
è... ciò che è.
-
Regina, potrebbero influenzarsi a vicenda. So che Lily è
un’amica di Emma, ma
in questo momento nostra figlia non è nelle condizioni per
sopportare la
vicinanza con un altro tipo di... oscurità. Che le
apparteneva, tra l’altro.
-
Beh, siete stati voi a maledirla.
-
Credi che non me lo ricordi? – Neve stava per perdere la
pazienza. I suoi occhi
verdi parevano invitare Regina alla cautela.
-
A volte credo di no. E sei stata tu a proporre Lily quando si trattava
di
attivare quella bacchetta.
-
So benissimo quello che ho fatto! – gridò Neve.
– Me lo ricordo tutte le volte
che guardo quella ragazza! L’ho separata da sua madre e so
che cosa significa,
perché l’ho provato sulla mia pelle! Avevo
promesso che gliel’avrei riportata e
invece...
-
Non c’è bisogno di urlare! – le fece
notare Regina.
-
E chi sta urlando?! – urlò di rimando Biancaneve.
Tutti
ammutolirono.
Neve
serrò le palpebre per qualche momento.
-
Sentite. – riprese Regina, massaggiandosi una tempia.
– Quella ragazza non
starà lontana da Emma. Non potete evitarlo. E per quanto la
giudichi irritante,
so anche che Emma tiene molto a lei. È... il destino.
“Ti
ho vista, in cima a quella
scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si
gode il
momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come
una
Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma”. In
realtà pensava fosse molto più che irritante. Era
aggressiva ed emotivamente
instabile. E Regina era anche convinta che la situazione di Emma la
rendesse
ancora più incontrollabile. Era così che Lily
manifestava la sua ansia, la sua paura.
Diventando aggressiva. Non conosceva altri modi e il filo rosso che la
univa ad
Emma faceva sembrare tutto molto più difficile. Di certo la
ragazza temeva quel
legame. Al tempo stesso era come se lo bramasse, come se volesse
sentirlo più
intensamente.
Forse
era meglio non specificare queste cose ai genitori di Emma.
-
Il destino? – chiese David.
-
Il destino le ha unite. – Regina si chiedeva se il pastore
fosse duro di
comprendonio o solo troppo preoccupato per la figlia per vedere le cose
con
chiarezza. - E credo che le spinga a stare insieme, qualunque cosa
facciano.
Gli
Azzurri piombarono in un silenzio accigliato e non replicarono. Non a
quell’ultima esternazione.
-
Forse è meglio concentrarsi su quello che è
capitato qui – disse David,
riscuotendosi.
-
Già. Perché qualunque cosa le sia successa... di
certo era qui per il pugnale.
– Regina si fece pensierosa, mentre ricordava
l’espressione di Emma. Sembrava
quella di chi aveva battagliato a lungo con qualcuno estremamente
potente. Quel
qualcuno l’aveva spinta in quella stanza. Verso il pugnale.
Certamente
l’oggetto chiamava il suo proprietario e
l’oscurità che aleggiava nell’animo di
Emma la spingeva a riprenderselo. – Meglio spostarlo in un
posto più sicuro.
-
No, aspetta! Artù ha detto che può usarlo per
aiutare Emma. – disse Azzurro, di
nuovo molto concitato.
-
Così ti ho appena detto? Non lo daremo ad Artù.
– preciso Neve, seccata. –
Secondo Lancillotto non possiamo fidarci di lui.
-
E Cora ci aveva detto che Lancillotto era morto. Non puoi credere a
tutto ciò
che senti.
-
Non ti fidi proprio di Lancillotto, vero? Ci ha sposati. È
nostro amico!
David
cercava di non lasciarsi irritare dal tono testardo di sua moglie, che
parlava
quasi come se stesse lanciando accuse a lui e non solo al re di
Camelot. -
Questo è successo molto tempo fa. Dov’è
stato tutto questo tempo?
-
Non me l’ha detto!
-
E perché si presenta qui soltanto adesso?
Vedo
che questa testa vuota non è
poi così vuota. Sta facendo le domande giuste, pensò
Regina, osservando i due coniugi sempre più indaffarati a
far valere le
rispettive opinioni. Solo che la ricomparsa del cavaliere di
Artù e le sue
illazioni contro il re non la facevano stare tranquilla. Non aveva
percepito
niente di anomalo in Artù, ma era anche vero che non si era
soffermata più di
tanto su di lui, fino a quel momento. Si era dimostrato gentile, non
aveva
smesso di fidarsi di lei quando aveva saputo che era... era stata la
Regina
Cattiva. Aveva aiutato Azzurro a recuperare la Corona Scarlatta, anche
se in
seguito il fungo era andato perduto. Aveva buttato in prigione il mago
che
aveva incantato la spada di Percival e il ciondolo.
-
Beh, perché non è il benvenuto a Camelot!
– stava dicendo Neve, sempre più
infervorata.
-
Lo credo bene! Voleva la moglie di Artù. Ed ora è
tornato. Perché?
Oh,
già, quella storia, ricordò
Regina. Aveva udito un sacco di cose, a riguardo. Un sacco di versioni
diverse
erano state raccontate nell’altro mondo.
Stavolta
Biancaneve perse il controllo e urlò davvero.
Urlò così forte che a Regina
aumentò il mal di testa. – Non lo so, David! Io
non so tutto!
Calò
il silenzio. Regina osservava la scena con le braccia conserte, in
attesa che
la discussione terminasse.
-
Regina, ti dispiacerebbe lasciarci soli qualche minuto? –
chiese Neve,
recuperando un po’ di contegno.
Profondamente
seccata, Regina disparve in una nuvola viola.
***
Storybrooke.
Oggi.
Il
volo del drago con in groppa il suo oscuro cavaliere era terminato nei
boschi
di Storybrooke, quando Lily era atterrata malamente in uno spazio
aperto tra
gli alberi. Sbalzata dalla schiena della creatura, Emma si era
volatilizzata
per poi riapparire comodamente appoggiata ad un tronco. Sorrideva,
estasiata.
Per
la prima volta da quando era diventata la Signora Oscura, sentiva di
aver fatto
una cosa giusta, una cosa che le era piaciuta davvero, per quanto Lily
non la
pensasse affatto così e lo vedeva dal modo in cui i suoi
occhi la fissavano,
accesi come braci. Emma si era sentita potente, ma quello era diverso
rispetto
al potere che percepiva di solito;
si
era sentita... stranamente completa come non era stata più o
non ricordava di
essersi sentita, da quando la sua natura era cambiata.
La
sua famiglia stava arrivando. Doveva andarsene.
-
Non prendertela, Lily. Ammetterai che è stato esaltante.
– disse Emma. Si
avvicinò al drago e allungò una mano,
posandogliela sulla testa. La creatura
non si mosse, ma seguitò a incenerirla con lo sguardo.
Poi
Emma si dileguò.
Poco
dopo, alla centrale di polizia, Malefica porse la tisana a Lily.
-
Non la voglio. – rispose lei, quasi sua madre le avesse
appena offerto una
manciata di scarafaggi.
-
È solo una tisana. – rispose Malefica.
-
Beh, non mi servono tisane. L’Oscura mi ha appena usata come
destriero
personale!
Uncino
si passò una mano sulla fronte. Era confuso. Non riusciva a
raccapezzarsi.
Prima Emma minacciava tutti quanti. Poi lo invitava sulla barca, salvo
poi
prendersi la sua spada e andarsene di nuovo, dicendogli... cosa aveva
detto? La nave è tua. Ed
ora questo. Ora Swan
si metteva a cavalcare draghi. – Quindi, se non ho capito
male, Emma ti ha
detto che tu non hai fallito... e che sta facendo tutto questo per
proteggerti.
-
Il problema è: da che cosa? – domandò
Regina. Se ne stava appoggiata alla
scrivania, con le braccia conserte. E guardava Lily, aspettandosi
qualcos’altro.
“Ma
tu non riesci a capire... non
hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa
io stia facendo! E
quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli
che sarebbe stato
meglio non sapere!”
-
È tutto quello che mi ha detto, okay?
-
Questo l’hai detto anche l’ultima volta.
– le ricordò Regina.
-
Non c’è nient’altro. – Lily
afferrò la tisana e ne bevve un sorso. Fece una
smorfia. – Non avete qualcosa di più forte?
Uncino
estrasse una fiaschetta di rum dalla tasca della giacca di pelle.
Malefica gli
riservò un’occhiataccia.
-
Questo è per me, non preoccupatevi, signora. –
disse il pirata.
-
Magari anche tu avrai qualcosa di più forte... se ci dirai
tutta la verità –
continuò Regina.
-
Ve l’ho detta! Fidatevi.
-
No! Non ci fidiamo. – Regina si alzò di scatto,
protendendosi minacciosamente
verso Lily. – Perché dovremmo farlo?
-
Regina... – iniziò Malefica.
-
Che cos’è che non ti va? –
domandò Lily, alzandosi a sua volta. –
È sapere di
aver fallito che non ti va? È sapere di non essere la
Salvatrice che desideravi
essere che non ti va? È sapere... che qualcuno ha preso una
decisione sensata e
che qualcuno non sei tu?
Regina
aveva l’impressione che il sangue le fosse appena schizzato
al cervello. – Non
puoi nemmeno credere a tutto quello che ti dice Emma. O pensi che
l’Oscuro non
sappia ingannarti, se vuole qualcosa da te?
-
Io conosco Emma. Può anche essere l’Oscuro, ma in
quel momento era sincera.
-
E allora occorre stabilire che cosa intenda Emma con giusto o
sbagliato. Forse
quello che hai fatto tu è giusto per l’Oscuro, ma
non per gli altri. – La sua
voce suonava rabbiosa e prepotente.
-
Emma è furiosa con te e lo vedi anche tu. È
furiosa con tutti voi. Non credo che
l’abbiate mai vista così furiosa...
Regina
allungò una mano verso Lily. Una mano che sembrava un
artiglio, pronta ad
afferrare la ragazza per i capelli o per la gola.
Malefica
mise una mano sul petto di Regina per trattenerla. Ormai lei e Lily
erano molto
vicine. – Basta così.
Regina
chiuse gli occhi, in un disperato tentativo di mantenere il controllo.
Poi
si udì un frastuono di vetro infranto. La tazza che
conteneva la tisana era
esplosa. Il pavimento si riempì di schegge acuminate. Un
frammento aveva ferito
Lily sul palmo della mano. Nell’aria si diffuse
l’odore di quella brodaglia
alle erbe.
-
Fate attenzione, Maestà. – disse Uncino,
indietreggiando di un passo per
evitare alcuni frammenti.
-
Non sono stata io, Capitan Mascara! – ribatté
Regina.
Lily
osservava, incredula, il palmo sanguinante e, quando alzò
gli occhi, vide molte
facce concentrate su di lei. Azzurro teneva una mano sulla testa del
piccolo
Neal, che ora aveva cominciato a piangere tra le braccia di sua madre.
Agitava
i piccoli pugni e le gambe sotto la copertina. Neve era turbata e
guardinga. Regina
si guardò intorno, come se non credesse che quel potere
potesse venire da Lily,
ma in realtà l’aveva percepito benissimo. Era
stato un atto del tutto
involontario, eppure la magia le aveva fatto accapponare la pelle delle
braccia.
Malefica
intervenne, prendendo delicatamente il polso della figlia. –
Non è niente. Ci
penso io. Credo sia meglio rimandare questa discussione a un altro
momento.
Nessuno
si oppose quando Malefica invitò la figlia ad uscire da
lì. Lily non dimenticò
di regalare a Regina un’altra occhiata di fuoco. Uncino,
invece, le diede la
sua fiaschetta. La ragazza guardò la mano piena di anelli
del pirata, vagamente
perplessa, poi accettò l’offerta e
scolò buona parte del rum con un unico,
lungo e disinvolto sorso.
-
Ehi, tesoro, non ti ho detto che puoi finirlo! – disse Uncino.
Lily
inghiottì il rum e scosse il capo per schiarirsi le idee.
Gli restituì la
fiaschetta quasi vuota. – Ho bevuto cose peggiori.
Lui
sollevò un sopracciglio.
“Io
conosco Emma. Può anche essere
l’Oscuro, ma in quel momento era sincera”.
Regina
non riusciva a capacitarsi di avere appena avuto
quell’assurda discussione.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Puoi
farcela, mamma. Puoi essere
la Salvatrice”.
“Non
succederà”.
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non puoi”.
-
Non sapevo che il piccolo drago avesse dei poteri. –
commentò Uncino, una volta
che se ne furono andate.
-
Nemmeno io, ma non dovrebbe neppure sorprendermi, considerando che
è figlia di
Malefica... – osservò Regina, pensierosa.
-
Nel suo caso sembra più un dono... – disse
Biancaneve.
-
Non ho tempo di occuparmi di questo, ora. – sbottò
Regina. – Volendo, non ci
metterei molto a strapparle il cuore...
-
Regina! – la rimproverò Neve, scandalizzata.
-
Non ho detto che intendo farlo. – precisò.
“È
sapere di aver fallito che non
ti va? È sapere di non essere la Salvatrice che desideravi
essere che non ti
va? È sapere... che qualcuno ha preso una decisione sensata
e che qualcuno non
sei tu?”
No,
non intendeva farlo, naturalmente. Ma ne aveva avuto voglia. Oh, molta
voglia.
La
porta della centrale si aprì di nuovo e Belle si
catapultò dentro, portando con
sé la campana di vetro. – Meno male che siete
tutti qui.
-
Che succede ora? – chiese Regina.
-
Non so davvero come spiegarlo, è... –
Appoggiò la campana sulla scrivania.
Sotto di essa galleggiava la rosa rossa legata alla vita di Tremotino.
Risplendeva e non perdeva più i petali. Anzi, era una rosa
in procinto di
sbocciare.
-
Il Coccodrillo si è svegliato. –
commentò Uncino.
-
Sì, è l’unica cosa che so. –
rispose Belle. Aveva gli occhi un po’ cerchiati e
l’aria di chi aveva passato giorni e giorni a mangiare
ciò che capitava e solo
quando se ne ricordava. Due ciocche castane le spiovevano sul viso. -
Ma è
sparito.
-
Sparito? - chiese Regina.
-
Quando mi sono accorta che si stava svegliando, sono tornata subito da
lui. Ero
andata da Granny, mi ero allontanata solo un istante per prendere un
toast... –
La sua espressione era afflitta. Quasi si sentisse in colpa per averlo
lasciato
solo, sebbene si fosse trattato di pochi minuti. – E poi...
il letto era vuoto.
-
Si è alzato e se n’è andato, quindi?
– chiese Uncino, confuso.
-
Non credo che sia successo questo. Non poteva farcela da solo.
Insomma... non
si sarebbe mai allontanato così. – disse Belle.
-
Beh, non sappiamo mai che cosa aspettarci da lui.
-
Prima, forse. Ma adesso non è più
l’Oscuro.
-
L’oscurità è stata parte di lui per
centinaia di anni. Potrebbe averlo
cambiato, non credete, tesoro?
Belle
scosse il capo, risoluta. – Quello che conta è che
è scomparso.
Silenzio.
Tutti si scambiarono occhiate disorientate.
-
Potrebbe essere con Emma. – suggerì Belle.
-
Perché Emma dovrebbe avere bisogno di Tremotino? –
chiese Azzurro.
-
Non ne ho idea! – Belle si strinse nelle spalle. –
Perché ha lanciato questa
nuova maledizione? Perché ci ha portato via i ricordi?
Perché dice che abbiamo
sbagliato? Perché ha abbracciato
l’oscurità?
Perché
ha bisogno del piccone di un
nano?, continuò
Regina fra sé e sé. Perché
ha invitato Capitan Mascara sulla sua stupida barca e ha preso
la sua spada? Perché è convinta che Lily abbia
fatto la cosa giusta, mentre
noi...
-
Forse dovremmo cercarlo. – propose Azzurro. – O
dovremmo invocare Emma.
-
Non risponderà alle nostre domande, David. –
rispose Neve.
-
Beh, allora... proviamo a parlarne con Artù. Magari ci
aiuterà a cercare lei e
Tremotino. Sappiamo dove vive, adesso.
Artù
e la sua cricca erano sembrati fin troppo preoccupati a cercare una
soluzione
per tornare a casa. Ormai non avevano più nemmeno
l’unica cosa che avrebbe
potuto ricondurli a Camelot, ovvero il fagiolo magico.
-
Scusate se vi interrompo. Di solito le mie buone maniere me lo
impediscono,
ma...
Regina
si era totalmente dimenticata del mago rinchiuso nella cella. Credeva
che fosse
ancora troppo immerso nel mondo dei sogni. Adesso l’uomo li
fissava, con la
faccia infilata tra le sbarre. Il corvo se ne stava comodamente
appollaiato
sulla sua spalla ossuta, la testa incassata e gli occhi... anzi,
l’unico occhio
chiuso. Sonnecchiava.
-
Allora ricordatevi delle buone maniere e chiudete il becco, mago da
strapazzo.
– replicò Regina.
-
Se fossi dotato di un becco, magari lo chiuderei anche o potreste
chiudermelo
voi, sarebbe facile, no? – Knubbin ridacchiò,
divertito. – Ma del resto non ho
nessun becco. E non sono nemmeno un mago da strapazzo. Il mio nome
è Knubbin. Quello
che mi preme dirvi è che chiedere aiuto a quel re non
è una buona idea. È una
pessima idea. Un’idea terribile! Terribile come... fatemi
pensare... ecco,
terribile come soffocare i sogni di una persona. Oh, troppo pericoloso,
soffocare i sogni. Non lo farei mai. Beh, magari mai
è una parola un po’ troppo forte. Con la
magia... c’è sempre
una via attraverso il mai...
-
Che cosa sapete di Artù che noi non sappiamo? – lo
interruppe Neve, aggrottando
la fronte.
-
Molte cose. In realtà non le ho sapute ascoltando. Le ho
sapute da Heathcliff.
-
Chi diavolo è Heathcliff? – domandò
Regina.
-
Il mio corvo. – Lo indicò. Heathcliff socchiuse
l’occhio, scrutando i presenti.
– Perché sapete... quando il re è
venuto per quel suo servitore... si è
assicurato che io continuassi a dormire. Aveva una polvere con
sé. Una qualche
polvere magica. Oserei dire che era decisamente più forte
della polvere di
papavero.
-
Volete arrivare al dunque? - disse Regina, seccata da quel continuo
ciarlare a
vuoto.
-
Il dunque, ma certo! Veleno delle vipere di Agrabah.
-
Che cosa? – Le sovvenne il ricordo di tre bocche fameliche e
munite di zanne
acuminate che facevano capolino da dentro un contenitore. Il Genio
aveva
sollevato il coperchio e lei, allora moglie di Leopold e intenta a
recitare la
parte della donna segretamente innamorata di un altro uomo, aveva visto
i
temibili serpenti, le vipere di Agrabah, il cui veleno era in grado di
uccidere
chiunque. Ma cosa diavolo c’entrava Artù con
Agrabah?
-
Mi avete chiesto di arrivare al dunque, se non sbaglio. –
disse Knubbin. - Quell’uomo,
quello che avete messo nella cella qui di fianco...
-
Grif. – disse Azzurro. – Grif è sparito.
L’abbiamo cercato ovunque. Ha usato il
fagiolo magico per tornare a casa sua.
-
Griffo, o in qualunque modo si chiamasse, non è sparito.
– Knubbin si grattò la
testa. – Non nel modo che credete voi. Quel re
avrà anche pensato ad un modo
per impedire che io sentissi tutto, ma non ha pensato ad Heathcliff. Il
mio
corvo non si è perso una parola.
-
E da quando un corvo sa parlare? – domandò Uncino.
-
Il mio corvo parlava molto di più una volta. Era lui che
invitava chi mi
cercava ad andarsene via. Solo che era anche molto facile persuaderlo.
Bastava
dargli un biscotto.
Heathcliff
si appollaiò meglio sulla spalla del mago.
-
Io ed Heathcliff abbiamo... un legame speciale, per così
dire. – continuò
Knubbin, con una scintilla di furbizia negli occhi marroni. - Tutto
quello che
vede lui, lo posso vedere anch’io. Se lo voglio,
naturalmente. Un incantesimo
molto particolare. Molto utile, anche. Certo, se non fosse utile non
saremmo
qui a parlarne...
-
Vediamo se questo incantesimo è davvero così
utile, allora. – Regina si avvicinò
alle sbarre della cella.
-
Ovviamente. Non mi credereste se vi raccontassi quello a cui Heathcliff
ha
assistito. Bisogna... vedere per credere, ecco. Avete qualcosa... in
cui si
possa guardare? Uno specchio, un bacile pieno d’acqua, anche
un...
Regina
aprì la mano e sul suo palmo comparve un piccolo specchio da
borsa. Lo aprì,
mostrandolo al mago, che rimirò la sua immagine per qualche
momento.
-
Non pensavo di avere un aspetto così tremendo! Per tutti i
maghi, va contro il
buon costume. Avreste dovuto avvisarmi.
-
Non pensate al vostro aspetto. Non sarebbe migliore nemmeno se vi
faceste un
bagno di un’ora. – disse Regina. –
Sbrigatevi, maledizione!
Knubbin
agitò le dita sopra la testa del suo corvo.
L’occhio di Heathcliff adesso era
aperto e luccicava. Da esso fuoriuscirono due fasci di luce che
incontrarono lo
specchio e vi si insediarono. La magia vorticò per alcuni
istanti, poi
iniziarono a formarsi delle immagini...
“Maestà,
grazie al cielo siete qui. Non
capisco che cosa stia succedendo”, disse Grif,
approssimandosi alle sbarre
della sua cella, felice di rivedere Artù.“Ho fatto
solo ciò che mi avete
chiesto di fare. Ho preso gli oggetti per tenerli al sicuro. Ho detto
che forse
c’era un fagiolo, anche se noi due sappiamo bene che non
c’era nessun fagiolo.
Esattamente quello che avete ordinato. Adesso potete farmi
uscire?”
Artù
non aveva intenzione di farlo
uscire. I suoi occhi verdi possedevano una lucentezza strana, persino
inquietante. Parevano molto più vividi nel contrasto con i
capelli scuri e con
la luce che entrava dalla finestra.“Non ancora, Grif. Non
possiamo certo far
sapere agli altri che non c’è nessun fagiolo, ti
pare?”
“No,
certo che no, Maestà”.
“E
loro si fidano di me, adesso.
Perciò devo sfruttare questa fiducia per proteggere il mio
regno. Questa gente
può sembrare gentile, ma minaccia tutto ciò che
ci sta più a cuore”.
Grif
era sorpreso, ma anche
sinceramente impressionato da quelle parole. Pendeva dalle labbra del
suo re.
Artù
indicò una fotografia appesa
alla parete della centrale. In essa comparivano David ed Emma. Erano
entrambi appoggiati
all’auto dello sceriffo e lui teneva un braccio intorno alle
sue spalle.
Sorridevano. Sereni. “David è convinto che la sua
missione sia nobile. Ma sua
figlia... è l’Oscuro”.
Ora
Grif sembrava incredulo.
“E
l’amica di sua figlia... quella
Lilith...”
“Parlate
della mutaforma”.
“Sì,
Grif. La mutaforma. È un
pericolo per noi e per il regno. Esiste una profezia che la indica come
una
minaccia per Camelot”.
Grif
si morse il labbro.
“Ci hanno mentito.
Le hanno portate entrambe
nel nostro castello. È colpa loro se siamo stati strappati
da casa nostra, una
casa che dobbiamo rivendicare!”. Artù aveva
assunto un’espressione rabbiosa e
determinata.
“Ma come facciamo
a tornare a casa se non
abbiamo il fagiolo?”.
“Ho
paura che non potremo farlo,
Grif. Dovremo costruire una nuova Camelot qui, a Storybrooke”.
Grif
sorrise. Si illuminò,
rendendosi conto di quanto fosse grande e importante quel piano.
“E voi potete
fidarvi di me. Farei qualsiasi cosa per il mio regno”.
“So
che lo faresti. Così come lo
farei io. Per questo devo chiederti di bere questo”. Estrasse
una piccola
ampolla contenente un liquido di un verde intenso.
Grif
capì subito di cosa si
trattava e diventò paonazzo. “Veleno delle Vipere
di Agrabah. Ma perché? Non
direi mai niente a queste persone!”.
“Non
di tua spontanea volontà. Ma
hanno la magia dalla loro parte. Col tempo, potrebbero costringerti a
parlare”.
“Ci
deve essere un altro modo!”
“Vorrei
che ci fosse. Davvero, lo
vorrei. Ma non c’è. Mi hai detto che desideravi un
posto nella Tavola Rotonda,
una volta. Io ti sto offrendo qualcosa di molto più grande.
La possibilità di
morire per servire Camelot!”. La sua voce era molto
persuasiva. “La tua morte
costituirà le fondamenta della nuova Camelot. Se lo
berrai...”
Grif
era spaventatissimo. Ma era
chiaro che ammirava Artù con tutto se stesso. Lo ammirava al
punto tale da
credere ciecamente nelle sue parole.
Prese
l’ampolla. “Per Camelot”.
Ingurgitò
il veleno con un unico
sorso.
Heathcliff
sbatacchiò le ali e lanciò un gracchio
infastidito, per poi beccare Knubbin
sulla testa. Il mago agitò le mani freneticamente e
imprecò, costringendo il
corvo a levarsi in volo.
Regina
non badò a ciò che stava accadendo nella cella.
Osservò Grif crollare sul
pavimento della prigione, vittima del terribile veleno. Poi il suo
corpo svanì
in una densa nube verde.
Non
poteva credere a quello che aveva appena visto. Era pura follia. Aveva
l’impressione che tutto il mondo si fosse trasformato in un
gigantesco vortice
di assurdità. – Quel viscido...
-
Per mille diavoli... – disse Uncino.
-
Ci ha ingannati fin dal principio. – mormorò
David. Si sentì ancora più
stupido. Lui si era fidato di Artù. Lo aveva considerato un
degno alleato,
addirittura un amico. Invece era tutta una messa in scena. Il furto del
reliquiario era una messa in scena. Il fagiolo magico non era mai
esistito. Artù
temeva Emma e temeva anche Lily. Parlava di una profezia. Grif era suo
complice
e si era suicidato, spinto da quel re che serviva e che tanto amava.
Artù aveva
persuaso un uomo a bere il veleno delle vipere di Agrabah.
Il
veleno.
La
vera vipera di Agrabah era lo stesso Artù.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
Regina
gettò indietro la testa e contemplò le gelide
stelle in un cielo sempre più
nero.
Degli
Azzurri nessuna notizia. Alla fine avevano trovato un accordo ed
elaborato un
piano. Un piano rischioso, ma era convinta che se la sarebbero cavata.
Tuttavia
l’attesa non le piaceva affatto. Aveva bisogno di qualcuno da
odiare. Da odiare
seriamente. Qualcuno su cui concentrare l’attenzione. O
sarebbe diventata
troppo nervosa.
Quanto
rimase così, con il viso rivolto al vento, non avrebbe
saputo dirlo, sebbene
non dovesse essere molto, in termini di secondi o minuti. Poi sul
balcone in
cui si trovava si allungò un’altra ombra.
-
Quei due si sono fatti vivi? – domandò Malefica,
affiancandola.
-
Non ancora.
“Non
ti sembra rischioso, questo
piano?”, aveva
chiesto Regina, quando Neve l’aveva messa al
corrente.
“Dobbiamo
capire di chi fidarci.
Non possiamo affidare il pugnale ad Artù, dopo quello che mi
ha detto
Lancillotto”, aveva
risposto lei, con sicurezza. Poi
aveva guardato Azzurro. “Ma David
ha
ragione. Ci sono cose che non so su Lancillotto. Era nostro amico, ma
è passato
molto tempo. Devo avere la certezza che sia sincero”.
“E
se mentissero entrambi? La
verità potrebbe stare nel mezzo”, aveva
osservato Regina.
“Allora
troveremo un’altra
soluzione. Potresti creare un finto pugnale con un incantesimo,
intanto?”
Aveva
creato una buona imitazione del pugnale dell’Oscuro, con il
nome di Emma
stampato sulla lama ondulata. Chissà quando si sarebbe
abituata a vedere quel
nome impresso su un oggetto simile. Dopo il ballo organizzato da
Artù, Regina
ci aveva messo un bel po’ per addormentarsi. E quando si era
addormentata aveva
sognato Percival, avvolto nel bozzolo di fiamme, che
l’accusava e la chiamava
angelo della morte. Aveva sognato anche il pugnale. Aveva sognato di
stringerlo
nella mano destra. Ma sulla lama non c’era più il
nome di Emma. C’era il suo.
Regina.
Così
come sarebbe potuto essere, del resto.
-
E tu perché sei qui? Sei preoccupata per loro? –
Da come sorrideva, sembrava
che Malefica la stesse prendendo in giro.
-
Non sono preoccupata. Tanto sono più resistenti di uno
scarafaggio. Quello che
mi rende nervosa è non sapere chi dovrei odiare.
-
Hai messo al sicuro il pugnale?
-
Certo, per chi mi prendi?
-
Per una persona molto coinvolta dagli eventi. Abbiamo a che fare con
l’Oscuro e
a giudicare da come stanno andando le cose... la Salvatrice sta
perdendo la
battaglia.
Regina
reagì seccamente. - Emma è forte.
Resisterà quanto basta.
-
Non era mia intenzione offenderti, Regina. È solo la
verità. Non so se esista
qualcuno abbastanza forte da resistere a quel potere. A
quell’oscurità.
Non
rispose. Non subito.
-
Io di certo non saprei come fare – disse Regina, dopo qualche
momento. – Sarei
incontrollabile.
Malefica
non parlò, ma il suo sguardo era comprensivo. I grandi occhi
celesti
risaltavano di più nel buio della sera, sottolineati dalle
lunghe ciglia. –
Forse è ora di distrarsi un po’, mentre aspettiamo
che quei due facciano almeno
una cosa giusta nella loro vita.
Quei
due. La
divertiva il modo in cui Malefica pronunciava quelle due parole.
Regina
sorrise. – E cosa avresti in mente?
-
Vediamo. Ti piace ancora cavalcare i draghi?
Lungo
il percorso fino al luogo in cui Malefica la stava conducendo, Regina
venne
invasa da un senso di appagamento, che le parve inspiegabile date le
circostanze e tuttavia era reale.
Era
di nuovo in sella ad un drago, per la prima volta dopo molti anni, in
volo a
grandi altezze e si sentiva benissimo, si sentiva viva e piena di
risorse,
pronta a tener testa a qualsiasi cosa e, al tempo stesso, carica di
meraviglia.
Tutto era simile ad un sogno, eppure non lo era affatto. Quella
splendida
sensazione sembrava venire da ogni dove. Il calore emanato dal corpo di
Malefica ne era parte. Il morso del vento, così tagliente da
intorpidire ogni
zona scoperta di pelle, ne era parte. La luce emanata dalla luna ne era
parte.
Poi
il drago planò, così all’improvviso che
Regina percepì un senso di vuoto nello
stomaco. Atterrò in una vasta radura circondata da abeti e
le diede il tempo di
smontare. Poi recuperò la sua forma umana.
-
Dove siamo? – domandò Regina.
-
Non riesci ad indovinarlo?
Le
stelle mandavano un chiarore debole, ma ci vedeva abbastanza.
L’erba della
radura era alta e secca, si piegava sotto il vento che le soffiava
liberamente
intorno, sollevandole i capelli neri. Ma l’aria era pura, era
più calda e aveva
qualcosa di... di diverso. C’era della magia, lì.
Magia che non aveva mai
provato prima d’ora. A pochi metri dal punto in cui si
trovavano c’era un lago.
Le acque calme erano visibili solo per un tratto, poiché
dopo tutto spariva in
una coltre di nebbia che era perfettamente liscia, perfettamente
bianca, densa
e impenetrabile, quasi fosse il manto di neve più leggero
del mondo. Regina
guardò in basso e scoprì che alcuni sbuffi di
quella nebbia giungevano fino a
loro. Non vedeva più tanto bene i suoi piedi.
L’effetto complessivo di quel
luogo era di desolazione, ma di una desolazione che pareva vibrare.
-
Questo è... – iniziò, colpita da
un’illuminazione.
-
Avalon. – concluse Malefica per lei, avanzando di qualche
passo e scrutando l’enorme
blocco candido che impediva di scorgere qualsiasi cosa. – O
meglio, le porte di
Avalon. Il lago di Inis Witrin e le nebbie magiche.
-
Ho sentito molte storie a riguardo. Questa magia...
-
È molto antica. – spiegò Malefica.
– Protegge l’Isola delle Fate dai visitatori
indesiderati. Nessuno, a parte le Sacerdotesse di Avalon, riesce ad
aprirsi un
varco in queste nebbie. Si esercitano per anni, fin da bambine, per
poter
domare questo incantesimo. Alcune di loro non ci riescono mai... altre
sì, se
sono abbastanza potenti. Ma possono aprire le nebbie solo per pochi
istanti.
-
E chi vi si inoltra senza una Sacerdotessa... non torna indietro.
-
Né raggiunge l’altra riva. Ma nessuno con almeno
un briciolo di buonsenso
farebbe una cosa simile.
Quando
Malefica pronunciò quelle parole, Regina venne attraversata
da un brivido.
Davanti al lago niente sembrava avere importanza. Contava di
più il vento,
tagliente e gelido. Eppure la sensazione di entusiasmo provata mentre
cavalcava
il drago persisteva.
-
Questo luogo ha un potere. – continuò Malefica.
– Qui, ma soprattutto
sull’Isola che non possiamo vedere. Non credo sia sempre un
potere di cui ci si
possa fidare. È troppo antico. Potrebbe essere molto
pericoloso. Ma è...
attraente, non trovi?
Regina
si mise ad osservarla. Portava sciolti i lunghi capelli color del
grano. La sua
pelle chiara aveva acquisito un certo pallore. Il morbido abito nero
con i
dettagli viola aveva un che di zingaresco, forse anche grazie alla
collana che
indossava, una collana fatta di grosse pietre nere, più
un’unica, grande pietra
azzurra a forma di lacrima.
-
Perché mi hai portata quaggiù? – chiese
Regina.
-
Perché pensavo ti andasse di passare un po’ di
tempo insieme, come ai vecchi
tempi. – Anche Malefica la stava fissando, ovviamente si
aspettava quella
domanda. – E poi... questo luogo mi piace. Mi rilassa.
Pensavo potesse piacere
anche a te.
Regina
sorrise. – Sì. Mi sento meglio di come mi sia mai
sentita da... un bel po’ di
tempo a questa parte. Lo so che sembra assurdo dire una cosa del genere
vista
la situazione in cui ci troviamo, ma è la verità.
Ripensò
ai giorni in cui fingeva di essere una Regina delle Tenebre, ovvero
quando
lavorava sotto copertura per scoprire il piano di Malefica e delle sue
due
tirapiedi. Anche allora aveva avvertito quell’entusiasmo,
quella vitalità. Per
quanto fosse anche enormemente preoccupata, dovendo fare attenzione a
tutto ciò
che faceva e diceva per evitare di essere scoperta e, al tempo steso,
dovendo
impegnarsi per scoprire che cosa stessero tramando, aveva provato una
sensazione di potere molto intensa. Energia. Forza. Soprattutto accanto
a
Malefica.
Regina
stava per aggiungere qualcos’altro, quando qualcosa la
costrinse a drizzare le
orecchie.
Non
erano sole. Una vaga presenza di mosse nell’atmosfera, la
urtò, sospingendola
in avanti. Lei allungò le mani, trovando quelle di Malefica
a sostenerla. Sentì
delle dita invisibili che toccavano il braccio e le spostavano i
capelli,
sfiorandole la nuca.
-
Che cosa diavolo succede? – domandò Regina.
-
Sono gli spiriti del lago. – rispose Malefica. Il suo tono
era assolutamente
calmo. – Sono parte della magia che protegge
l’Isola.
Vorticarono
intorno a loro per qualche momento, poi si dileguarono, in fretta
com’erano
apparsi.
-
Avvertono il nostro potere. – disse Malefica, continuando a
trattenerla. – Ma
non temere. Ti condurrebbero alla follia solo se ti inoltrassi nelle
nebbie
senza il consenso di una Sacerdotessa di Avalon.
-
Grazie per avermi avvisata!
Malefica
sorrise, divertita. Poi le scostò una ciocca di capelli, che
le era
maldestramente ricaduta sul viso.
Dopo
essersi assicurata insieme a suo marito che Lancillotto avesse ricevuto
ciò che
meritava, ovvero un posto nelle prigioni di Camelot, e dopo aver
aggiustato gli
Azzurri, Ginevra si sentiva molto più tranquilla. Avevano
fatto la cosa giusta.
Non c’era nient’altro che lei e Artù
potessero fare per proteggere il regno.
Era loro dovere occuparsene, del resto.
Si
rigirò tra le dita la rosa che aveva trovato lungo il
cammino e se la portò al
viso, annusandola, apprezzandone il profumo delicato.
“Ginevra,
possiamo rompere questo
incantesimo”.
Scacciò
la fastidiosa voce di quel traditore, dandosi della stupida per essersi
lasciata abbindolare dai suoi modi anni prima. L’unico uomo
che amava era Artù.
Non c’era nessun incantesimo. Lancillotto non
l’avrebbe più ingannata.
Stava
per rientrare nel castello, quando un’ombra enorme
oscurò il suo cammino,
costringendola a fermarsi. Udì uno sbattere d’ali
e, sollevando lo sguardo al
cielo punteggiato di stelle, vide un drago, che planava lentamente a
poca
distanza dalla dimora di Artù. Aveva qualcuno in groppa, ma
dalla sua posizione
Ginevra non riuscì a capire chi fosse.
Il
cuore le balzò in gola.
“Vedo
l’ombra infinita
approssimarsi a Camulodunum.
L’infante
figlio del drago porta
con sé una stella.
E
il suo destino s’intreccia con
l’altra metà di Caledfwlch”
Provò
un senso di gelido orrore,
come se non stesse ricordando solo le parole
dell’Apprendista, vergate sulla
carta ingiallita, ma come se qualcuno le avesse appena domandato che
effetto
facesse ingoiare una manciata di insetti vivi.
Affrettò
il passo.
____________________
Angolo
autrice:
Salve
lettori. ;)
Come
al solito, qualche piccola precisazione.
Nel
romanzo di Wendy Toliver, in cui compare Knubbin, non viene specificato
se il
corvo abbia qualche potere e un legame di qualche tipo con il padrone.
Quindi
questa connessione tra il mago e il corvo l’ho inventata io
di sana pianta.
Il
fiore che Ginevra ha raccolto nell’ultimo paragrafo
è quello che nella serie
viene chiamato “middlemist camelia” e che, in
realtà, se cercate delle
immagini, non è affatto una “middlemist
camelia”. Sono rose rosa. E basta.